“Anima Mundi” di Marsilio Ficino #21: Preghiera e sacrificio
“Sono due, pare, le principali vie del bene: la via della ricerca, che si percorre dibattendo, e la via della preghiera, che si percorre supplicando. La prima si sforza di conoscere il bene, la seconda conduce a ottenerlo e, nel conseguirlo, a conoscerlo in modo perfettissimo.” ‒ Marsilio Ficino

Ventunesima puntata della rubrica “Anima Mundi” che presenta il terzo capitolo della Parte Quinta Cristianità e presagi della fine suddivisa in: Sul male; Profezia; Preghiera e sacrificio; De Trinitate; Lode al Sole.
Preghiera e sacrificio, terzo capitolo de Cristianità e presagi della fine, è a sua volta suddiviso in sette sezioni intitolate Lettera a Lorenzo de’ Medici; Lettera a Ermolao Barbaro; Lettera a Bindaccio Ricasoli; Commento al Fedro di Platone; Commento alla Teologia mistica di Dionigi Areopagita; Commento ai Nomi divini di Dionigi Areopagita; Commento all’Epistola ai Romani di san Paolo.
La rubrica Anima Mundi propone al lettore una selezione di brani come invito ad intraprendere la conoscenza di Marsilio Ficino, il “nuovo” Orfeo che, a differenza del suo “predecessore”, ebbe successo perché dal suo viaggio portò seco “numerosi tesori”. Il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499) è ricordato come il primo traduttore delle opere complete di Platone, seguace del neoplatonismo commentò le Enneadi di Plotino in modo esemplare (si ringrazia Pico della Mirandola), equiparò Ermete Trismegisto a Zoroastro, Pitagora, Orfeo, Filolao, Zalmoxis: ogni sapiente del passato fu sul tavolo di lavoro di Marsilio Ficino, vero promotore del pensiero umanista ed influente esponente del Rinascimento. Giamblico, Porfirio, Avicenna, Averroè, Niccolò Cusano, Macrobio, Agostino, Apuleio, Dionigi Aeropagita, Lucrezio, Dante Alighieri (et cetera) sono solo alcuni dei nomi degli autori che Marsilio Ficino interpretò e promosse come menti illustri da osservare da vicino per riuscire a “cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori”.
In questa ventunesima puntata Preghiera e sacrificio si presenta un estratto da Commento ai Nomi divini di Dionigi Areopagita.
Διονύσιος ὁ Ἀρεοπαγίτης, Dionigi Areopagita è venerato come santo, visse attorno al I secolo. Giurista e vescovo greco, fu giudice dell’Areopago di Atene. Viene menzionato negli Atti degli Apostoli (17,22), si narra che si convertì al cristianesimo dopo la predicazione dell’apostolo Paolo.
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Estratto da Commento ai Nomi divini di Dionigi Areopagita ‒ Preghiera e Sacrificio
Sul nome del bene e sull’efficacia della preghiera. In che modo Dio sia ovunque.
[LXVII][1] Nei successivi capitoli del libro, seguendo un ordine quasi platonico, Dionigi tratterà in primo luogo del bene, poi dell’ente e delle idee, quindi della vita, in quarto luogo dell’intelligenza, infine delle cose che, in ordine, vengono dopo questa.
Tra tutti i nomi di Dio, il principale è quello di «bene in sé». Tutti i nomi, infatti, che indicano le processioni e i doni di Dio, sono compresi in tre modi in quest’unico nome. In primo luogo poiché tutti i doni, come diversi beni, sono contenuti in un unico e comune bene. In secondo luogo perché Dio dona tutto in virtù della bontà esuberante della sua natura e della sua volontà, come causa efficiente. In terzo luogo poiché, al fine di comunicare e manifestare la sua bontà, orienta tutte le cose, come causa finale.
Sono due, pare, le principali vie del bene: la via della ricerca, che si percorre dibattendo, e la via della preghiera, che si percorre supplicando. La prima si sforza di conoscere il bene, la seconda conduce a ottenerlo e, nel conseguirlo, a conoscerlo in modo perfettissimo. Sono tre, in particolare, le condizioni necessarie a rendere una preghiera efficace. La prima è quella di frenare le passioni dei sensi, che ci trascinano verso le realtà corporee, distantissime dalla divinità. La seconda è quella di dissipare dall’intelletto, come fossero nuvole,[2] inganni ed espedienti dell’immaginazione. La terza è quella di rivolgere l’intero affetto della volontà, distratto ora da diverse cose buone, al primo bene, con pieno slancio d’amore. L’ardore infatti congiunge l’anima di chi prega a Dio, così come il calore dello zolfo unisce la legna alla fiamma. A questo si riferisce quel detto di Zoroastro: «Se dirigerai la mente infuocata verso l’opera di pietà, preserverai anche il corpo mortale».
Considera poi i quattro gradi delle cose: la cosa divisibile, che si trova circoscritta entro certi limiti spaziali; la cosa indivisibile, ma dalla virtù finita, la quale sebbene non sia contenuta nei limiti di un luogo, è tuttavia situata in un luogo finito; questa cosa, perché, se possiede una virtù uguale a tutte le altre, facilmente le rischiara con la sua presenza; se invece la sua virtù è uguale all’insieme delle cose, facilmente dimora nel tutto. Non si deve poi tanto dire che ciò che possiede un’immensa potenza sia in tutte le cose, quanto che le assiste e che al contempo tutte le comanda.
L’aurea catena, o la catena di luce che è sospesa a Dio, è la disposizione delle cose tra loro connesse, sottomesse alla divina provvidenza.
[LXIX] Immagina una catena intrecciata con varie luci, come anelli, che si estende per tutto il cielo e giunge fino a terra ‒ una catena quale Platone immagina nel decimo della Repubblica, o ancora simile a quella che Giove in Omero[3], getta attraverso il cielo, quando convoca gli dèi e promette di trascinare in alto chiunque l’afferri, non potendo lui stesso essere trascinato in basso.
Questa catena è l’ordine e la serie delle cose che obbediscono alla divina provvidenza ‒ una serie, dico, fatta di luci, in parte invisibili, in parte visibili. Le luci occulte son gli intelletti angelici e animati. Quelle manifeste sono le luci celesti. Vige del resto una certa mutua comunanza e connessione sia tra gli intelletti, sia tra gli enti celesti, sia tra enti celesti e intelletti, e viceversa.
Si può così dire che l’universo, intrecciato in tal modo, sia una catena. Ma lassù la catena è aurea, intellettuale e provvidenziale, quaggiù invece è naturale, argentea e fatale. Senza dubbio la serie fatale è sottoposta all’ordine della provvidenza, grazie al quale le anime devote possono a un certo momento liberarsi dal fato – come vogliono i platonici, i magi e gli astrologi degli Ebrei.
Infine, dalle parole di Dionigi si ricava che la divina provvidenza si distende fino alle cose più piccole, e anzi, pur rimanendo immutabile, guida con ordine le cose mutevoli, lasciando però spazio al libero arbitrio delle anime e alle preghiere, cosa che Plotino spesso conferma.[4]
I magi afferrarono gli anelli più bassi della catena fatale, così da essere gradualmente trascinati verso i beni celesti. I contemplatori metafisici allungano invece la mano verso gradi più vicini della catena intellettuale. Ma qual è la catena che l’adoratore deve afferrare per ottenere in modo propizio quel che desidera dal sommo Dio? Si tratta certamente della legge divina, insita naturalmente nelle menti e promulgata ovunque, in vari modi. Essa stabilisce in primo luogo che esiste un unico e sommo Dio, poi che questo Dio è l’autore di tutte le cose buone, in terzo luogo che deve essere innanzitutto amato da tutti.
Il platonico Giamblico ritiene la preghiera di gran lunga superiore ai sacrifici, e dimostra che i sacrifici ottengono dalla preghiera tutta la loro efficacia, che nulla unisce l’anima alla divinità con più forza della preghiera, e che Dio non viene mutato dalle preghiere, mentre l’anima ne viene intimamente trasformata e si prepara per ricevere i doni celesti. Platone, nelle Lettere, dice che in tutte le cose occorre cominciare da Dio, sia nel parlare che nel pensare. Nel Timeo, là dove tratta delle realtà divine e della creazione di Dio, afferma che si deve cominciare prima di tutto da Dio.
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Nella prima puntata della rubrica si è scelto di pubblicare un brano estratto dall’introduzione di Raphael Ebgi, nella seconda si è presentata una delle due lettere presenti nel primo capitolo intitolato Un circolo lucreziano all’amico, poeta e suonatore di lira Antonio Serafico; nella terza si è optato per la pubblicazione di un estratto dalla Epistola sul divino furore all’amico e studioso di eloquenza Pellegrino Agli; nella quarta ci si è soffermati su un estratto tratto da Trattato di Dio et anima ed uno tratto da Le quattro sette dei filosofi; nella quinta puntata si è preso in oggetto un estratto della lettera all’amico Antonio Canigiani presente nel capitolo Virtù e fortuna; nella sesta puntata si è presentato il primo capitolo Platonismo e repubblicanesimo della Parte seconda del volume intitolata “Firenze Atene”; nella settima lo spazio è stato riservato ad un estratto dal secondo capitolo Pietas et sapientia della Parte seconda intitolata “Firenze Atene”, capitolo suddiviso in sei sottocapitoli; nell’ottava puntata si è scelto di sottoporre una selezione tratta dal terzo capitolo della Parte seconda intitolato Poeti platonici: Argomento allo «Ione» di Platone; nella nona si sono presentati due estratti dal capitolo De miseria hominis; nella decima Misteri d’Amore si presentano due estratti da El libro dell’amore e dalla Lettera ai confilosofi ed a Ermolao Barbaro; nell’undicesima Del bello o della grazia un estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone; nella dodicesima Immortalità e resurrezione un estratto da Argomento al «Fedone» di Platone; nella tredicesima Il regno dei nomi un estratto da Argomento al «Cratilo» di Platone; nella quindicesima Il tempo della magia si presenta un estratto dal primo Commento alle «Enneadi» di Plotino; nella quindicesima Il mondo delle immagini un estratto da Parafrasi del «De mysteriis» di Giamblico; nella sedicesima Sui demoni un estratto da Lettera a Braccio Martelli, nella diciassettesima un estratto da Fatalia, nella diciottesima un estratto da Medicina del corpo, medicina dell’anima, nella diciannovesima un estratto da Sul Male, nella ventesima un estratto da Profezia.
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Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali “impolverati”; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).
Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Marsilio Ficino.
Note
[1] Il testo latino di riferimento, pubblicato da Harvard University Press, presenta il titolo On Dionysius the Areopagite; le parti prese qui in esame appartengono al volume I, pp. 260-262 [LXVII] e pp. 264-266 [LXIX].
[2] Connessione simbolica tra nuvole ed immaginazione.
[3] Omero, Iliade, VIII, 15.28
[4] Ad esempio nella terza Enneade, 2,9. Per leggere qualcosa dell’enneade clicca QUI.
Info
Leggi articolo Il Piombo in alchimia
Bibliografia
Marsilio Ficino, Anima Mundi, Einaudi, 2021