Anima Mundi di Marsilio Ficino #17: Fatalia
“La divina provvidenza ha stabilito che le cose antiche verranno rinnovate. Se tu avessi compreso i nostri scritti, che tu dici di aver letto, non nutriresti dubbi sulla ragione per cui questa nostra renovatio degli antichi assecondi la divina provvidenza.” ‒ Marsilio Ficino
Diciassettesima puntata della rubrica “Anima Mundi” che presenta il quarto capitolo della Parte Quarta Il tempo della magia suddivisa in: Anima Mundi; Il mondo delle immagini; Sui demoni; Fatalia; Medicina del corpo, medicina dell’anima.
Fatalia, quarto capitolo de Il tempo della magia, è a sua volta suddiviso in quattro sezioni: Commento alle Enneadi di Plotino; Parafrasi del De musteriis di Giamblico, un secondo Commento alle Enneadi di Plotino; Lettera a Giovanni Pannonio.
Nel 1486 Marsilio Ficino iniziò la stesura del commento alle “Enneadi”, subito dopo aver terminato la traduzione dell’opera. Fu sotto sollecitazioni di Giovanni Pico della Mirandola che Ficino si interessò di questo importante lavoro, dopo aver commentato la seconda Enneade, però, mise da parte il progetto per dedicarsi alla traduzione de “De Mysteriis” di Giamblico, “De sacrificio et magia” di Proclo, de “De somniis” di Sinesio ed altre opere di altri filosofi della scuola platonica.
La rubrica Anima Mundi propone al lettore una selezione di brani come invito ad intraprendere la conoscenza di Marsilio Ficino, il “nuovo” Orfeo che, a differenza del suo “predecessore”, ebbe successo perché dal suo viaggio portò seco “numerosi tesori”. Il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499) è ricordato come il primo traduttore delle opere complete di Platone, seguace del neoplatonismo commentò le Enneadi di Plotino in modo esemplare (si ringrazia Pico della Mirandola), equiparò Ermete Trismegisto a Zoroastro, Pitagora, Orfeo, Filolao, Zalmoxis: ogni sapiente del passato fu sul tavolo di lavoro di Marsilio Ficino, vero promotore del pensiero umanista ed influente esponente del Rinascimento. Giamblico, Porfirio, Avicenna, Averroè, Niccolò Cusano, Macrobio, Agostino, Apuleio, Dionigi Aeropagita, Lucrezio, Dante Alighieri (et cetera) sono solo alcuni dei nomi degli autori che Marsilio Ficino interpretò e promosse come menti illustri da osservare da vicino per riuscire a “cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori”.
In questa diciassettesima puntata Fatalia si presenta l’interessantissima Lettera a Giovanni Pannonio che presenta il concetto di provvidenza divina connesso al rinnovo dell’interesse per la dottrina platonica, cosa che poi avvenne e che accade tutt’oggi con sempre più veemenza.
Giovanni Pannonio (o Janus Pannonius), noto anche come Giano dal nome ungherese Csezmicei János, fu un vescovo, poeta ed umanista cattolico, nacque nel 1934 e morì nel 1472. Fu inviato dal re Mattia Corvino a Roma per chiedere aiuto nella guerra contro gli Ottomani ma rientrato in patria partecipò ad una cospirazione contro lo stesso re: è dunque probabile che nel tempo trascorso in Italia abbia modificato in qualche modo il suo pensiero o verso il re, o verso gli Ottomani, o verso il sistema della guerra. È ricordato per il suo impegno nell’introduzione della cultura umanistica in Ungheria. Fu amico di Andrea Mantegna e Galeotto Marzio.
Estratto da Lettera a Giovanni Pannonio ‒ Fatalia
“La divina provvidenza ha stabilito che le cose antiche verranno rinnovate.
Se tu avessi compreso i nostri scritti, che tu dici di aver letto, non nutriresti dubbi sulla ragione per cui questa nostra renovatio degli antichi assecondi la divina provvidenza.
In primo luogo non dobbiamo pretendere perfetta conoscenza delle dottrine cristiane da coloro che vissero prima dell’avvento di Cristo. Non dobbiamo neppure supporre che gli ingegni acuti e in certo modo filosofici abbiano potuto essere attratti e condotti, passo dopo passo, alla perfetta religione se non da un’esca filosofica.
Gli ingegni acuti, infatti, si affidano solamente alla ragione, e quando la trovano in un filosofo religioso, sono pronti ad ammettere volentieri la religione in generale. Così educati, più facilmente si elevano a una specie migliore di religione.
Perciò non senza la divina provvidenza, che vuole richiamare meravigliosamente a sé tuti gli enti, in base all’ingegno proprio di ognuno, accadde un tempo che una pia filosofia fosse nata, a sé consona, presso i Persiani sotto Zoroastro e presso gli Egizi sotto Mercurio. Essa venne poi svezzata presso i Traci sotto Orfeo e Aglaofemo, e divenne adolescente, sotto Pitagora, presso i Greci e gli Italici. Fu infine resa pienamente matura sotto il divino Platone, in Atene.
Era antico costume dei teologi nascondere i divini misteri dietro matematici e figure, e dietro finzioni poetiche.
Plotino spogliò da questi veli la teologia. Primo e solo, come testimoniano Porfirio e Proclo, penetrò per divina ispirazione gli arcani degli antichi. Ma in virtù dell’incredibile concisione dello stile, della grande abbondanza di dottrine e della profondità dei significati, Plotino necessita non solo di una traduzione, ma anche di commentari. Mi sono sforzato, fino ad ora, di tradurre ed esporre gli antichi teologi; adesso invece mi impegno quotidianamente sui libri di Plotino.
Sono stato destinato dal cielo a questo lavoro, proprio come fui destinato agli altri. Così che portando alla luce la teologia i poeti possano smettere di cantare nelle loro favole, in modo empio, le azioni e i misteri della pietà, e i peripatetici, ossia tutti i filosofi, siano ammoniti a non considerare la religione come favola da vecchiette.
Tutta la terra ormai occupata dai peripatetici è divisa perlopiù in due sette, l’alessandrina e l’averroista. I primi ritengono che il nostro intelletto sia mortale, i secondi sostengono che sia unico. Entrambe, allo stesso modo, distruggono tutta la religione dalle fondamenta. Ma se qualcuno crede che una tanto diffusa empietà, così difesa da sottili ingegni, possa essere cancellata da una sola e semplice predicazione della fede, costui sarà smentito apertamente.
Qui occorre una ben più grande potenza, e cioè divini miracoli, manifesti ovunque, o almeno una religione filosofica, che verrà di più buon grado ascoltata dai filosofi, e che a un certo punto li persuaderà.
Piace alla divina provvidenza, in questi tempi, confermare il genere della sua religione con autorità e ragioni filosofiche, fino a quando, al momento stabilito, essa confermerà a tutte le genti la verissima specie della religione, come un tempo è accaduto, con miracoli manifesti.
Ma perché tu, nel tentativo di ricondurre al fato la causa della nostra opera, ti sei preoccupato della mia nascita?
Non nego che in quella figura ‒ ossia in Saturno ascendente in Acquario, con il Sole e Mercurio nella nona casa del cielo, e con tuti i pianeti in aspetto con questa casa ‒, sia indicato un innovatore delle cose antiche, ma nego che ne sia la causa.
Anche tu, se leggerai con attenzione la mia epistola sulla stella dei magi e quel che abbiamo detto, in modo simile, nella nostra Teologia, e ancora i libri di Plotino che trattano di questo argomento, che ho tradotto, comprenderai con chiarezza che i compiti delle anime in vista del bene comune dipendono principalmente dalle menti superne, ministre del sommo Dio, come dalle loro cause generali e prime. Essi derivano anche dalle decisioni degli uomini, come da cause specifiche e ultime, là dove gli uomini si conformano alle realtà superiori. Sono poi indicati dalle figure e dai movimenti celesti, quasi strumenti delle menti divine.
Imparerai inoltre che il fato, ossia la serie delle cause celesti, è al servizio della divina provvidenza. Le nostre anime sono però giudicate soprattutto libere quando si accordano con la divina volontà.
Ma poiché so che ti dedichi con particolare cura allo studio dei poeti, concluderò l’intera questione con Virgilio.
Enea, ossia l’anima eroica, sul punto di scendere agli inferi e di risalire, ossia di penetrare i segreti misteri delle cose divine e portare alla luce ciò che è oscuro, è guidato in ciò dalla divina provvidenza ‒ come chi fu generato dal cielo, così dice Virgilio, e fu amato dal giusto Giove, e fu mosso alla sua impresa da divini oracoli.
Enea procede verso il suo destino liberamente quando virtù ardente lo innalza al cielo e quando delibera su come agire; e consulta di sua volontà gli oracoli, accordandosi sempre di buon grado con la sentenza divina. Giova allo stesso il fato, che serve la provvidenza, come indicato in questo oracolo:
Strappalo
con la mano, secondo il rito; ti seguirà da solo,
docile e agevole, se i fati ti chiamano; altrimenti
con nessuna forza potrai vincerlo, o staccarlo col duro ferro.[1]
Certamente il fato, araldo della provvidenza, ti chiama e ti indica quel che la provvidenza ha stabilito e comanda. Tu puoi condurre a termine l’arduo lavoro nella misura in cui ti sostengono queste due cose. Così tu agisci in modo libero, nella misura in cui ti accordi di buon grado con la provvidenza.
E in verità sei signore nel regno del fato, quando sei servo nel regno della provvidenza.
State bene.”
***
Nella prima puntata della rubrica si è scelto di pubblicare un brano estratto dall’introduzione di Raphael Ebgi, nella seconda si è presentata una delle due lettere presenti nel primo capitolo intitolato Un circolo lucreziano all’amico, poeta e suonatore di lira Antonio Serafico; nella terza si è optato per la pubblicazione di un estratto dalla Epistola sul divino furore all’amico e studioso di eloquenza Pellegrino Agli; nella quarta ci si è soffermati su un estratto tratto da Trattato di Dio et anima ed uno tratto da Le quattro sette dei filosofi; nella quinta puntata si è preso in oggetto un estratto della lettera all’amico Antonio Canigiani presente nel capitolo Virtù e fortuna; nella sesta puntata si è presentato il primo capitolo Platonismo e repubblicanesimo della Parte seconda del volume intitolata “Firenze Atene”; nella settima lo spazio è stato riservato ad un estratto dal secondo capitolo Pietas et sapientia della Parte seconda intitolata “Firenze Atene”, capitolo suddiviso in sei sottocapitoli; nell’ottava puntata si è scelto di sottoporre una selezione tratta dal terzo capitolo della Parte seconda intitolato Poeti platonici: Argomento allo «Ione» di Platone; nella nona si sono presentati due estratti dal capitolo De miseria hominis; nella decima Misteri d’Amore si presentano due estratti da El libro dell’amore e dalla Lettera ai confilosofi ed a Ermolao Barbaro; nell’undicesima Del bello o della grazia un estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone; nella dodicesima Immortalità e resurrezione un estratto da Argomento al «Fedone» di Platone; nella tredicesima Il regno dei nomi un estratto da Argomento al «Cratilo» di Platone; nella quindicesima Il tempo della magia si presenta un estratto dal primo Commento alle «Enneadi» di Plotino; nella quindicesima Il mondo delle immagini un estratto da Parafrasi del «De mysteriis» di Giamblico; nella sedicesima Sui demoni un estratto da Lettera a Braccio Martelli.
Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali “impolverati”; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).
Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Marsilio Ficino.
Note
[1] Virgilio, Eneide, VI, 145-48
Info
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Bibliografia
Marsilio Ficino, Anima Mundi, Einaudi, 2021
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