“Anima Mundi” di Marsilio Ficino #11: Del bello o della grazia
“Giacché i singoli uomini belli sono resi belli da una forma comune a ogni individuo; ma la forma comune ai molti uomini belli è impressa dall’aspetto (species) divino, come un carattere (character) impresso da un sigillo, poiché l’intera moltitudine è ricondotta all’uno che è al di sopra del molteplice.” ‒ Marsilio Ficino
Undicesima puntata con la rubrica “Anima Mundi” che ci presenta il secondo capitolo della Parte Terza Eros filosofico suddivisa in quattro capitoli: Misteri d’Amore; Del bello, o della grazia; Immortalità e resurrezione; Il regno dei nomi.
Del bello, o della grazia è a sua volta suddiviso in sette sezioni: Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone; El libro dell’amore; Lettera a Sigismondo della Stufa; Lettera a Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici; Febo e Lucilia; El libro dell’amore; Lettera a Giovanni Cavalcanti.
Il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499) è ricordato come il primo traduttore delle opere complete di Platone, seguace del neoplatonismo commentò le Enneadi di Plotino in modo esemplare (si ringrazia Pico della Mirandola), equiparò Ermete Trismegisto a Zoroastro, Pitagora, Orfeo, Filolao, Zalmoxis: ogni sapiente del passato fu sul tavolo di lavoro di Marsilio Ficino, vero promotore del pensiero umanista ed influente esponente del Rinascimento. Giamblico, Porfirio, Avicenna, Averroè, Niccolò Cusano, Macrobio, Agostino, Apuleio, Dionigi Aeropagita, Lucrezio, Dante Alighieri (et cetera) sono solo alcuni dei nomi degli autori che Marsilio Ficino interpretò e promosse come menti illustri da osservare da vicino per riuscire a “cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori”.
“La potenza della grazia soggioga e rapisce con la stessa violenza di un dio. Come insegnava Platone: chi incontra il bello incontra il frammento di un mondo altro.” – Raphael Ebgi
“Anima Mundi” (Einaudi, 2021) curato dal professore di Storia della Filosofia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano Raphael Ebgi, autore dell’approfondita – ed appassionata –introduzione intitolata “Marsilio Ficino: l’amore del pensiero”; si presenta come una selezione di lettere, traduzioni, riflessioni e commenti del famoso filosofo connesso alla famiglia de’ Medici.
È suddiviso in cinque parti denominate: “Gli anni del piacere” (capitoli: Un circolo lucreziano; Furor et voluptas; Dio, anima, natura; Virtù e fortuna), “Firenze Atene” (capitoli: Platonismo e repubblicanesimo; Pietas et sapientia; Poeti platonici; De miseria hominis), “Eros filosofico” (capitoli: Misteri d’amore; Del bello, o della grazia; Immortalità e resurrezione; Il regno dei nomi), “Il tempo della magia” (capitoli: Anima mundi; Il mondo delle immagini; Sui demoni; Fatalia; Medicina del corpo, medicina dell’anima); “Cristianità e presagi della fine” (capitoli: Sul male; Profezia; Preghiera e sacrificio; De Trinitate; Lode al sole). Nell’intervallo tra la prima e seconda parte è presente una serie di tavole illustrate rappresentanti alcuni dei pittori del tempo di Ficino (Piero del Pollaiolo, Antonio del Pollaiolo, Piero di Cosimo, Iacopo del Sellaio, Luca Signorelli, Sandro Botticelli, Bertoldo di Giovanni, Leonardo da Vinci, Maestro di Griselda, Domenico Ghirlandaio, Cosmè Tura, et cetera).
La rubrica Anima Mundi dona al lettore piccoli frammenti per intraprendere la conoscenza di Marsilio Ficino, il “nuovo” Orfeo che, a differenza del suo “predecessore”, ebbe successo perché dal suo viaggio portò seco “numerosi tesori”.
Nella prima puntata si è scelto di pubblicare un brano estratto dall’introduzione di Raphael Ebgi, nella seconda si è presentata una delle due lettere presenti nel primo capitolo intitolato Un circolo lucreziano all’amico, poeta e suonatore di lira Antonio Serafico; nella terza si è optato per la pubblicazione di un estratto dalla Epistola sul divino furore all’amico e studioso di eloquenza Pellegrino Agli; nella quarta ci si è soffermati su un estratto tratto da Trattato di Dio et anima ed uno tratto da Le quattro sette dei filosofi; nella quinta puntata si è preso in oggetto un estratto della lettera all’amico Antonio Canigiani presente nel capitolo Virtù e fortuna; nella sesta puntata si è presentato il primo capitolo Platonismo e repubblicanesimo della Parte seconda del volume intitolata “Firenze Atene”; nella settima lo spazio è stato riservato ad un estratto dal secondo capitolo Pietas et sapientia della Parte seconda intitolata “Firenze Atene”, capitolo suddiviso in sei sottocapitoli; nell’ottava puntata si è scelto di sottoporre una selezione tratta dal terzo capitolo della Parte seconda intitolato Poeti platonici: Argomento allo «Ione» di Platone; nella nona si sono presentati due estratti dal capitolo De miseria hominis; nella decima Misteri d’Amoresi presentano due estratti da El libro dell’amore redatto in volgare fiorentino e dalla Lettera ai confilosofi ed a Ermolao Barbaro.
In questa undicesima puntata Del bello o della grazia si presenta un estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone.
Estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone ‒ Del bello o della grazia
Argomento di Marsilio Ficino fiorentino all’Ippia di Platone. O sul bello. A Piero de’ Medici.
Platone tratta del bello nel Fedro, nel Convivio e nell’Ippia. Nell’Ippia, Socrate, dal momento che discute con il sofista Ippia (il quale, pur non sapendo, pensava di sapere ‒ tipo d’ignoranza, questo, che rende l’anima incapace di apprendere), non spiega a sufficienza cosa sia il bello, ma mostra che cosa non è, confutando le opinioni false a riguardo. Definisce «sofista» colui che si sforza di sembrare un sapiente, piuttosto che di esserlo davvero, in vista di guadagni e di onori. Che Ippia fosse un simile uomo viene affermato sia nel proemio che alla fine del proemio. Prendendo spunto dal discorso di Ippia intorno alle belle occupazioni, Socrate lo interroga su cosa sia il bello in sé, quel bello per cui tutte le altre cose sono fatte belle.
Occorre infatti riferire gli enti particolari all’universale che è nei particolari, e l’universale che è nei particolari all’universale che si trova al si sopra dei singoli enti. Giacché i singoli uomini belli sono resi belli da una forma comune a ogni individuo; ma la forma comune ai molti uomini belli è impressa dall’aspetto (species) divino, come un carattere (character) impresso da un sigillo, poiché l’intera moltitudine è ricondotta all’uno che è al di sopra del molteplice. Per questo, dal momento che le cose belle sono molte, occorre che ogni singolo ente sia bello in virtù di una bellezza comune a tutti, che è insita in tutti, e che la bellezza, che è in tutti gli enti, come è in altro, e non in se stessa, così dipenda da altro e non da se stessa.
Platone definisce «bello» (pulchrum) ognuno dei singoli enti belli; definisce «bellezza» (pulchritudo) la forma che è in tutti gli enti, «bello in sé» (pulchrum ipsum) l’aspetto (species) e l’idea (idea) sopra tutti gli enti. Il primo è percepito dai sensi e dall’opinione. Socrate, dopo aver confutato le definizioni di Ippia, ne offre a sua volta tre, due basate sulla ragione, una sulla mente. Il sofista infatti procede per mezzo del senso e dell’opinione, il filosofo piuttosto per mezza della ragione e della mente.
Per prima cosa, Ippia risponde che il bello in sé è una bella fanciulla. Che ciò sia falso lo mostra il fatto che non tutte le cose belle sono tali per una fanciulla. Del resto la fanciulla risulta bella se comparata ai bruti, appare invece brutta se paragonata agli dèi. Per questo non sembra essere più bella che brutta.
In secondo luogo Ippia risponde, in modo analogo, che il bello è una certa altra cosa tratta da singoli enti belli; sarebbe infatti l’oro, per mezzo di cui tutte le cose sono rese belle, il bello in sé. Socrate rigetta tale argomento mostrando come l’oro renda sì bello tutto ciò a cui conviene, ma renda brutte le altre cose; dunque l’oro non rende belle le cose in assoluto, ma quando conviene a esse. Di conseguenza esso non orna le cose per sua virtù, ma per altro; del resto, non è solo con l’oro che si ornano le cose, ma anche con argento e avorio, e con altri materiali.
In terzo luogo porta un altro argomento, anch’esso più specifico che generale. Il bello, dice, è godere di salute fisica, essere ricchi, onorati, morire vecchi, essere seppelliti dai figli, seppellire i genitori. Questo è chiaramente falso, poiché, escluso l’uomo, le altre cose non da ciò sono rese belle; inoltre, queste cose, per gli uomini, sono forse belle, ma sono turpi per gli dèi e per i loro figli, giacché ai loro genitori non è dato morire.
Confutati questi argomenti relativi ai singoli enti corporei che Ippia ha addotto sulla base del senso e dell’opinione, Socrate, tendendo ormai a cose più alte, introduce non quel che il senso offre all’opinione, ma quel che la ragione porge ad essa. Innanzitutto chiama il bello «decoro» (decor), cosa che è molto più incorporea di qualsiasi altro bello materiale e più comune. Ma confuta così una tale definizione. O il decoro garantisce al bello soltanto l’apparire, o garantisce tanto l’apparire che l’essere. Nel primo caso, il decoro è un inganno riguardo al bello e non è certo il bello in sé. La vera bellezza, infatti, rende belle le cose, come la vera grandezza le rende grandi, anche se esse non appaiono tali.
Se dici vero il secondo caso, diresti il falso. Perché se il bello in sé, ogni volta che dona l’essere, concedesse anche l’apparire, allora tutte le cose che sono belle, in quanto sono tali, così anche apparirebbero a tutti. Che ciò sia falso ce lo mostrano le contese e le controversie riguardo le cose belle.
Espone in secondo luogo l’altro argomento offerto all’opinione dalla ragione, per cui bello è l’utile. L’utilità è qualcosa di incorporeo e comune a molti. Non fa meraviglia che il pensiero s’inganni attorno al decoro e all’utile. Il decoro, infatti, è l’ordine di una parte rispetto a un’altra e delle parti rispetto a tutto, mentre l’utile è l’ordine di un certo tutto rispetto a un altro tutto. L’ordine sembra dunque rappresentare il bello. Per questo uno può facilmente scambiare il decoro e l’utile per il bello. Risulta dunque che il decoro non è il bello; si mostra poi così che nemmeno l’utile lo sia. L’utile è ciò che ha la potenza di fare qualcosa. Potenza è dunque un altro nome dell’utilità. Ogni volta che operiamo, operiamo per mezzo di una potenza; capita però spesso che facciamo cose malvagie. La potenza e l’utilità, per questo, sono spesso causa di male. Ma il bello non è mai causa di male. Per questo non è vero che qualunque forma di utilità, in assoluto, corrisponda al bello. Qualcuno però obietterà che vi corrisponde almeno quella che favorisce il bene. Ed ecco come rispondere a una simile obiezione. Per il fatto che vantaggioso è ciò che tende al bene, ciò che è vantaggioso produce il bene, ma ciò che genera qualcosa è altro da ciò che è generato ‒ per questo altro è il vantaggioso, altro il bene. Il bello è identico al vantaggioso; dunque il bello e il bene sono differenti. Il bello non sarebbe così bene, né il bene sarebbe bello, il che è assurdo.
Infine, confutati gli errori dei sensi, dell’opinione e della riflessione, la mente detta alla ragione che il bello è una certa grazia, la quale muove e attrae l’anima attraverso la mente, la vista e l’udito. Cosa che certo si ricava in parte dalla chiusa di questo dialogo, in parte dal Fedro e dal Convivio.
Socrate indaga la ragione per cui vi sia questa grazia, e con quale nome si deve chiamarla; non espone tuttavia al vanaglorioso sofista ciò che ha rivelato a Fedro e ad Agatone, che erano sì ignoranti, ma che riconoscevano la loro ignoranza ed erano pronti a imparare. Di certo la bellezza è grazia, non rispetto al senso, poiché non converrebbe alla mente, ma spetterebbe a tutti gli altri sensi, come all’udito e alla vista. Non è lo neppure rispetto alla mente, poiché essa sfuggirebbe allora agli occhi e alle orecchie. E ancora non rispetto al piacere, che non si trova solamente nell’udito e nella vista, ma in tutti i sensi. Non rispetto all’udito solamente, perché in tal caso non sarebbe conforme alla mente e alla vista. Non rispetto alla vista, giacché farebbe così difetto alla mente e all’udito. Non rispetto all’udito e alla vista insieme, poiché allora bellezza si troverebbe nell’unione di vista e udito.
La bellezza non è in alcuna di queste potenze prese separatamente l’una dall’altra. Noi riteniamo invece che tale grazia sia colta da tutte e tre quelle potenze dell’anima, e che sia presente nei loro tre rispettivi oggetti. Socrate aggiunge quindi che i piaceri della mente, della vista e dell’udito sono belli soprattutto per il fatto che sono i piaceri più innocenti e i migliori.
[…]”
Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali “impolverati”; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).
Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Marsilio Ficino.
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