“La logica della lampara” di Cristina Cassar Scalia: nel frattempo si armano le reti

“Uno due e tre, e vi dicono macari quante volte respirò l’indagato.” – “La logica della lampara”

La logica della lampara di Cristina Cassar Scalia
La logica della lampara di Cristina Cassar Scalia

Chissà a cosa allude il titolo La logica della lampara, noir di Cristina Cassar Scalia?

Conosco le lampare: sono dei grossi lumi che si appendono alle prue delle barche da pesca (dette, per metonimia, lampare), che girano al largo (ma non troppo) delle coste del sud (ricordo le cilentane). Esse sono come delle lucciole: la loro logica indica che è notte e che c’è chi sta lavorando per te (per soddisfare la tua brama di alici, sgombri e assimilati). Le stesse parentesi sono delle lampare che illuminano un discorso diversamente scuro. Alla fine si può dire che tutte le espressioni lo sono, l’importante è che conducano a una sorta di chiarezza.

Dopo Sabbia nera, La logica della lampara è il secondo libro di Cristina che leggo, sempre con protagonista ‘sta specie di lampara umana, il vicequestore Vanina Guarrasi. Dai romanzi di Cristina è stata tratta una serie televisiva che non seguo per la solita (assurda!, stolta!) ragione: guardando la tivu non riesco né a leggere né a scrivere. Lo farei anche, se potessi condividere l’esperienza con una persona amata. A leggere e a scrivere occorre invece essere orfano, solo e miracolosamente ap(i)olide (apatride, dicono in Francia).

La domanda che mi pongo ora è banale: un palermitano che vive a Catania (conosco un certo Francesco che sta patendo, dai!, battuta!, tale esperienza, tra l’altro matrimoniato con Giuseppina, donna di Salemi!), in che senso lo si può definire apolide?

Tale è Giovanna Guarrasi, detta Vanina. E pure “Manfredi Monterreale, di professione medico pediatra…” – e non è questione di teste, quanto, si dice, di corna (tisi, dicono a Palermo, le catanisi; chiane, le palermitane, dicono a Catania). L’Italia è bella anche grazie ai suoi fulgidi campanili!

“Sante Tammaro invece era un giornalista, catanese fino all’unghia dell’alluce e con una spiccata inclinazione verso l’inchiesta.” – siamo messi bene, allora…

A ognuno di loro, per celia (come messaggio da social, più che de visu) amerei narrare del quesito che posi a un certo Giuseppe B. (il cui cognome è uguale al nome di un pregiato Nero d’avola): ma è più bella Palermo o Catania? – e ancora della Sicilia non conoscevo che Tcrapani… Lui sprecò mezzo secondo della sua inclìta vita prima di rispondermi; e poi disse, con pacata indifferenza: le brucerei tutte e due. Per la cronaca, trattasi di palermitano di provincia…

– “Amuní” – dice l’uno.

– “Amuní dove?” – lo interroga l’altro.

Entrambi hanno assistito a una scena che, lo giuro, è covata proprio lì, tra pagina 7 e 8 de La logica della lampara.

Vanina cerca ora, invano, di confortare una donna di Brescia: “Marta scrollò le spalle, come a voler chiudere lí il discorso.” – un argomento più interessante (per me almeno) è: perché, essendo questo un libro della Einaudi, gli accenti delle i e delle u sono chiusi, mentre in Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt, pure Einaudi, sono aperti? Non essendo previste magiche lampare, il caso resterà, temo, insoluto. A Palermo la gente è spalancata, a Catania invece è socchiusa, diffidente, e talvolta ti dà una mezza tagliata, di nascosto. Ma poi ci sono ovunque le eccezioni.

La faccenda da me non descritta (di pagina 7/8) sta diventando un caso, un casino, macari: “… fatto sta che con la sua storia assurda mi ci stavo amminchiando macari io.” macari pure il lettore svogliato comincia a drizzare, come si dice, le antennine.

Non voglio dire di più, che non sono fatti miei, e la cosa “m’abbitta troppo” – però una mia amata consanguinea è una fan (grazie alla mia ridondanza in fatto di elargizioni di ‘sti oggetti rettangolari di cellulosa) di Cristina Scalia Cassar (anche di Valerio Varesi, ma il suo è un altro noir, diversamente appassionante). Lei però non gradisce quel che io invece amo (essendo un boomer amante delle ricerche on line): il fiorire, manco fosse marzo, di tutta una serie di espressioni sicule: una lingua, per il sottoscritto, più è lontana, più le si deve correre appresso… mancu fusse ‘na bèdda picciottuzza. Virite vui (io fui un tempo un emiliano trasfugo nel salernitano), macari, se vulite, la prossima volta mettete ‘na nota tra parentesi come facìa Gavino Ledda nei libri che lessi.

Spanò tene lo stesso probema mio: non si rassegna a dire “Ex” quando presenta la “moglie” – è una problematica glottologica, lu sacciu, ma nel farlo la lingua batte dove essa stessa duole: trent’anni di convivenza non si possono azzerare con un monosillabo! Il nuovo uomo della pregressa (questa suona già meglio: e non bisogna mai dire vecchia!) è “Uno brillante, cui le donne correvano dietro e che poteva permettersi di stupirle con effetti speciali.” – in assenza di lampare, cherchez l’homme!

Sto pensando ai tre motivi principali per cui, secondo Agatha Christie, s’uccide, si confeziona cioè un delitto come si fa con l’abito funebre: uno riguarda l’economia, l’argento per cui si fanno le guerre; l’altro è la vendetta. Il primo, è tanto appassionante, che manco lo dico.

“… Ma che sta babbiando, ispettore?…” – lo fui, ma in tutt’altro contesto!

“Ora sta babbiando lei, capo! Se non resto qui a lavorare, stasera mi vado a sbattere la testa muri muri.” – e idda, Vanina, chistu lo sape buonu, ché già lo visse su di sé.

Se due pisciottani si trovassero per caso a Catania comincerebbero a discùrriri con affetto e, dopo un po’, uno dei due direbbe: Aniè!, ho capito che siamo lontani da casa, ma com’è che ci siamo messi a parlare siciliano?!

Anche a Pisciotta ci sono le putie, che ho incontrato pure da queste bande: capiti ci siamo?

“… Mi spiegai?” – come no!

“Uno due e tre, e vi dicono macari quante volte respirò l’indagato.” – ah, per fortuna che ci sta l’intelligenza, si fa per dire, artificiale!

“… tutti questi dati, queste indicazioni, certe volte possono perfino fuorviare…” – a chi lo dici, troppi autori, troppi assassini, troppe vittime. Non si sa più chi scegliere come indiziato.

“… Parli tu, parlo io: e che siamo in salotto?” – ancora sì, cara la mia “vicequestore” fìmmina. Ma non t’incavolà – siamo appena a pagina 117 de La logica della lampara!

“– Ovvio. Ma perché, ancora niente combinarono.” – come amo e temo i vostri tempi remoti, e come mi sollazzano! Come quel racalmutese che disse, appena vide l’amico testé giunto in auto da Palermo: Ora arrivasti, ah…?

“Tito Macchia, il Grande Capo, l’uomo dallo sguardo piú autorevole di un’enciclica papale…” – che però, era: “… totalmente assoggettato a una ragazza.” – che un mio amico, tale S. G., definisce, chissà perché, la solita. La solita voragine in cui gira (e rigira) lu munnu intero.

Un consiglio amichevole dato a Marta: “Cosí ti cambi quelle scarpe, che mi fanno male i piedi solo a guardarti. Come ti venne in mente di venirci a lavorare?” – e la ragione c’è, anch’essa covata nell’alveo del muto rispetto degli insensati sensi… Frasetta che tutto e nulla vuol dire!

“– Pensavi fossi una sicula convinta?

Casomai una sicana. Noi occidentali sicani eravamo.” – e chissà che capirebbe dell’Uomo di Trinacria la Arendt se dovesse vagliare una a una le diverse genie!

Una domanda macari casuale: “Come mai te ne sei andata da Palermo?”

Al che: “Con un tempismo eccezionale, Nino arrivò con le due paste alla norma, armato di grattugia a manovella per la ricotta salata. L’operazione durò abbastanza da distrarre l’attenzione.” – non tutta la pappa viene per cuocere, ma, anzi… per essere cotta!

“Una conversazione che scottava più di una brace accesa.”metà-fora ustionante, per fortuna, solo metà-dentro

“Ora sí che c’era da scialarsi!” – entrando dove occorre entrare per capire chi dovrà scìri…

Beh, l’ho capito: Ora è un avverbio di tempo. Per i siculi è un modo di dire che il tempo è un’illusione, come da decenni insistono a dire il professor Julian Barbour e il suo allievo Carlo Rovelli. Si pensi a ‘sta frasetta: “… ora ora arrivai…” – allo stesso big bang si potrebbe chiedere: ora ora scoppiasti? Time is a sicilian illusion! Lu tempu è unu mèzzu rrifardu!

“La verità era che pure se erano passati quattro anni, pure se in mezzo c’era stato di tutto, a sua madre che Paolo Malfitano fosse l’uomo perfetto per lei non glielo levava nessuno dalla testa.” – capito hai, Vanina? Mamma tua ti conosce! Devi solo deciderti! Come se fosse facile, eh?

Cristina, adoro la tua ironia, quando scrivi: “Non aveva un’idea precisa di quanto Lorenza Iannino potesse aver speso per quel guardaroba, pieno di firme che nemmeno una petizione.” – come se fosse una cosa facile, per i cittadini, in quei luoghi (ma dappertutto, ormai!) chiedere al Potere d’essere cortesemente tenuti in nota!

A ogni mia sciocca asserzione ti è consentito replicare: “– Non babbiamo con le cose serie!” – ok!

“La terza sveglia invece – una vecchia Veglia a carica manuale datata 1930, il cui trillo avrebbe buttato giù dal letto un reggimento di bradipi…” – e qui t’avverto che ‘sto tuo affezionato tridattilo sta scrivendo queste preziose righe, alle 4 e 38 ante meridium…

Sto per chiedermi cosa penserebbe di te, Vanina, Miss Marple se leggesse, a pagina 159 de La logica della lampara, di tutti quei sortilegi telematici che sono oggi disponibili per carpire i suoni e le immagini del passato… Panta rhei! Pensa a un “gruppo Whatsapp” con lei, Poirot, Dupin, Holmes e la Signora in giallo!

Sto finalmente apprezzando quell’avverbio più ipotetico che di dubbio: “macari” – che fa andare avanti nei ragionamenti, senza mai rallentarli…

“Non squetare mai il cane che dorme…” – una versione che rende meglio l’idea del pericolo che sonnecchia nei fatti e nelle parole.

Dice Vanina a un magistrato: “… io sono uno sbirro. E gli sbirri a volte non valutano, intuiscono.” – poi saranno gli eventi a falsificare o a validare le teorie popperiane…

Hai una tua autorità, Vanina: “… aspettavano l’arrivo del vicequestore Guarrasi con la faccia di chi deve farsi cavare un dente e non sa quando sarà il suo turno.” – e quanto fastidio recherà…

È ovvio che sto facendo incetta di (per me) nuove espressioni trinacrine: “cuttigghio”, “incagghiare”, “tinchité” – questo è ormai la mia mansione principale contrattualmente prevista.

Tra pagina 273 e 274 sorge una questione, non fra te e Paolo, ma fra me e un amico Panormitano, che dice che sei certamente Catanese, per via del tuo abbreviativo, Vanina, che è, a quanto pare, d’uso catanese. Ho deciso di non metterci (la mia emiliana) lingua.

Probabilmente sei un frutto di un incrocio fra varie genti, con relative usanze, ma la tua attuale residenza di lavoro oggi è Catania, dove, ammetti: “Dico solo che ci vivo bene.” – anche se, ammettilo, c’è da stare accorti agli sfiori di chi sfreccia a gran velocità pure nelle vie del centro!

“– Ora ora finii di parlare con Agata Rizza.” – che ti va a confermare un dato che sta dando una nuova e stramba ragione a tutta la storia!

Cristina Cassar Scalia citazioni
Cristina Cassar Scalia citazioni

Nelle pagine 298 e 299 de La logica della lampara c’è la spiegazione del titolo del romanzo.

La luce è per tutti un punto di riferimento: sia per il reo, sia per il vice questore che indaga, sia per la scrittrice, sia per il lettore. Facevo prima a dire: per tutti! Sarebbe assurdo svelare come va a finire la storia. Sarebbe un’ingiustizia per chi l’ha scritta e per chi la leggerà, in primo luogo. Serve (ora ora) rilevare, macari per sempre, il fatto che la verità non è mai scompagnata dalla sua consorella (la giustizia), e che poi il parentado tutto alla fine verrà a dire la sua.

Lo sai che dicono a Pisciotta? Meliu nu mali maritu che nu mali vicinu! Speci se solu chist’ultimu è chinu ‘ri quibsi! E prisintùsu!

I parenti non sono migliori degli altri, però si sa come pigliarli. Per gli affini il discorso è diverso.

Comprai a Palermo, in via Roma, un Dizionario Italiano-siciliano dell’Antares Editrice. E ora non trovo né la voce denari, né soldi, né monete! Ma dove so’ finiti? Per incanto, ho l’idea di cercare quattrini! E, fra le definizioni che trovo, scelgo, picciulli, che più mi fanno simpatia rispetto ad altri.

Cristina, ricordi i motivi per cui, secondo Agatha Christie, si uccide principalmente? Ma qui la situazione è più complicata, essendo, funestamente, duplice. Come dice il saggio siculo, la vita è, pi vèru, ‘na grandissima camurria!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Cristina Cassar Scalia, La logica della lampara, Einaudi, 2020

 

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