“Anima Mundi” di Marsilio Ficino #12: Immortalità e resurrezione
“[…] non è sicuro accostarsi al compito della speculazione prima di aver attraversato il fuoco della purificazione morale, giacché qualcuno infetto dalle malattie dei vizi, potrebbe così ricorrere all’acume della speculazione per difendere ingiustizia ed empietà.” ‒ Marsilio Ficino
Dodicesima puntata della rubrica “Anima Mundi” che presenta il terzo capitolo della Parte Terza Eros filosofico suddivisa in quattro capitoli: Misteri d’Amore; Del bello, o della grazia; Immortalità e resurrezione; Il regno dei nomi.
Immortalità e resurrezione è a sua volta suddiviso in tre sezioni: Argomento al «Fedone» di Platone; Teologia platonica; Della christiana religione.
Il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499) è ricordato come il primo traduttore delle opere complete di Platone, seguace del neoplatonismo commentò le Enneadi di Plotino in modo esemplare (si ringrazia Pico della Mirandola), equiparò Ermete Trismegisto a Zoroastro, Pitagora, Orfeo, Filolao, Zalmoxis: ogni sapiente del passato fu sul tavolo di lavoro di Marsilio Ficino, vero promotore del pensiero umanista ed influente esponente del Rinascimento. Giamblico, Porfirio, Avicenna, Averroè, Niccolò Cusano, Macrobio, Agostino, Apuleio, Dionigi Aeropagita, Lucrezio, Dante Alighieri (et cetera) sono solo alcuni dei nomi degli autori che Marsilio Ficino interpretò e promosse come menti illustri da osservare da vicino per riuscire a “cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori”.
“Per Ficino, alla discesa tra le antichità del tempo corrisponde una discesa nella nostra interiorità. Gli astri che misurano le vicissitudini dei secoli, che scandiscono vita e morte delle epoche storiche, misurano anche i ritmi della nostra vita interiore.” ‒ Raphael Ebgi
“Anima Mundi” (Einaudi, 2021) curato dal professore di Storia della Filosofia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano Raphael Ebgi, autore dell’approfondita – ed appassionata –introduzione intitolata “Marsilio Ficino: l’amore del pensiero”; si presenta come una selezione di lettere, traduzioni, riflessioni e commenti del famoso filosofo connesso alla famiglia de’ Medici.
È suddiviso in cinque parti denominate: “Gli anni del piacere” (capitoli: Un circolo lucreziano; Furor et voluptas; Dio, anima, natura; Virtù e fortuna), “Firenze Atene” (capitoli: Platonismo e repubblicanesimo; Pietas et sapientia; Poeti platonici; De miseria hominis), “Eros filosofico” (capitoli: Misteri d’amore; Del bello, o della grazia; Immortalità e resurrezione; Il regno dei nomi), “Il tempo della magia” (capitoli: Anima mundi; Il mondo delle immagini; Sui demoni; Fatalia; Medicina del corpo, medicina dell’anima); “Cristianità e presagi della fine” (capitoli: Sul male; Profezia; Preghiera e sacrificio; De Trinitate; Lode al sole). Nell’intervallo tra la prima e seconda parte è presente una serie di tavole illustrate rappresentanti alcuni dei pittori del tempo di Ficino (Piero del Pollaiolo, Antonio del Pollaiolo, Piero di Cosimo, Iacopo del Sellaio, Luca Signorelli, Sandro Botticelli, Bertoldo di Giovanni, Leonardo da Vinci, Maestro di Griselda, Domenico Ghirlandaio, Cosmè Tura, et cetera).
La rubrica Anima Mundi dona al lettore piccoli frammenti per intraprendere la conoscenza di Marsilio Ficino, il “nuovo” Orfeo che, a differenza del suo “predecessore”, ebbe successo perché dal suo viaggio portò seco “numerosi tesori”.
Nella prima puntata si è scelto di pubblicare un brano estratto dall’introduzione di Raphael Ebgi, nella seconda si è presentata una delle due lettere presenti nel primo capitolo intitolato Un circolo lucreziano all’amico, poeta e suonatore di lira Antonio Serafico; nella terza si è optato per la pubblicazione di un estratto dalla Epistola sul divino furore all’amico e studioso di eloquenza Pellegrino Agli; nella quarta ci si è soffermati su un estratto tratto da Trattato di Dio et anima ed uno tratto da Le quattro sette dei filosofi; nella quinta puntata si è preso in oggetto un estratto della lettera all’amico Antonio Canigiani presente nel capitolo Virtù e fortuna; nella sesta puntata si è presentato il primo capitolo Platonismo e repubblicanesimo della Parte seconda del volume intitolata “Firenze Atene”; nella settima lo spazio è stato riservato ad un estratto dal secondo capitolo Pietas et sapientia della Parte seconda intitolata “Firenze Atene”, capitolo suddiviso in sei sottocapitoli; nell’ottava puntata si è scelto di sottoporre una selezione tratta dal terzo capitolo della Parte seconda intitolato Poeti platonici: Argomento allo «Ione» di Platone; nella nona si sono presentati due estratti dal capitolo De miseria hominis; nella decima Misteri d’Amoresi presentano due estratti da El libro dell’amore e dalla Lettera ai confilosofi ed a Ermolao Barbaro; nell’undicesima Del bello o della graziaun estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone.
In questa dodicesima puntata Immortalità e resurrezione si presenta un estratto da Argomento al «Fedone» di Platone.
Estratto da Argomento al «Fedone» di Platone ‒ Immortalità e resurrezione
Il nostro libro Sulla religione dimostra, cosa sufficientemente nota di per sé, che la vita di Cristo è l’idea della virtù nella sua interezza, mentre l’ottavo libro delle nostre lettere prova che la vita di Socrate è un’immagine della vita cristiana, o quantomeno una sua ombra, e conferma l’antico testamento per mezzo di Platone, il nuovo per mezzo di Socrate.
Se qualcuno nutre dubbi riguardo la validità di questa analogia socratica, legga Senofonte, Platone e coloro che hanno tramandato per iscritto le parole e le azioni di Socrate ‒ ma in particolare il Gorgia, l’Apologia, il Critone e il Fedone di Platone.
Di seguito, dunque, percorreremo l’argomento al Fedone di buon passo, anzi, d’un balzo. Ci sembra infatti di aver esposto a sufficienza i suoi misteri nella Teologia. Raccomanderemo come prima cosa di non stupirsi del fatto che Socrate, tra le argomentazioni relative all’immortalità dell’anima, abbia tralasciato proprio quella in cui confida nel Fedro, e cioè che l’anima è principio del movimento, da cui segue che l’anima si muove da sé e in modo perpetuo, e che vive in eterno. Socrate decide di ometterla perché tale argomentazione non riguarda noi nello specifico, ma è comune alle realtà celesti e alle anime demoniche. Nel Fedone, invece, vengono indagati gli argomento a noi più propri. Ma veniamo ora a una brevissima analisi della disposizione del dialogo.
Merita in primo luogo osservare come Socrate consoli meravigliosamente i suoi amici, che proprio nel giorno in cui lui avrebbe bevuto il veleno si erano recati in carcere per salutarlo e come a consolarlo. E poi quando religiosamente egli osservi i precetti ricevuti nei sogni, quasi fossero oracoli, e come ponga speciale cura nel non tralasciare nulla dei divini comandi. In terzo luogo è da tenere bene a mente che gli uomini si trovano sotto la costante tutela del Dio, e non è loro concesso andarsene, se non quando il Dio ha deciso. In quarto luogo, occorre fare grande attenzione a cosa Socrate desideri per sé, là dove dice di sperare, con la morte, di andarsene presso uomini buoni e presso altre buone divinità ‒ sebbene sia certo in realtà di andare presso buone divinità, più che presso buoni uomini.
Innanzitutto quando dice: «Altre divinità, molto buone», indica che oltre alle anime delle sfere esistono menti angeliche più sublimi delle sfere. Socrate spera che anche le nostre anime possano un giorno diventare loro compagne. Non osa tuttavia asserirlo, perché a molti sapienti sembrava che l’anima si dovesse tenere contenta, se un giorno potesse essere accolta tra le anime celesti. Il vero dubbio sorge però a proposito di quelli che lui definisce «uomini buoni». Non osa infatti affermare che le anime degli uomini siano buone per la stessa ragione per cui aveva definito buoni gli dèi. Dopo queste cose, per consolare se stesso e i suoi amici, sotto la maschera del filosofo dice: «Dal momento che ogni sforzo del filosofo mira a una separazione dal corpo, e che grazie a essa si perfezione ogni giorno, non solo non deve temere affatto quella separazione dal corpo che avviene con la morte, ma deve desiderarla con grandissima speranza e gioia.»
Mostra subito dopo come in due modi il filosofo separi l’anima dal corpo: in primo luogo la separa dalle passioni attraverso la purificazione della disciplina morale; in secondo luogo la separa dai sensi e dalla stessa immaginazione attraverso l’esercizio contemplativo.
I sapienti medici fanno ricorso a una duplice purgazione, prima infatti mitigano, poi dissolvono ‒ loro che sanno che non è sufficiente mitigare, né è sicuro dissolvere prima di mitigare. Analogamente, per i filosofi prima viene la purificazione morale, come a mitigare, poiché essa non può estirpare le malattie interiori dell’immaginazione, i.e. gli inganni.
Segue la purificazione speculatrice (speculatrix), la quale, per quanto è in suo potere, dissipa prima o dopo le nuvole dell’immaginazione. Ma non è sicuro accostarsi al compito della speculazione prima di aver attraversato il fuoco della purificazione morale, giacché qualcuno infetto dalle malattie dei vizi, potrebbe così ricorrere all’acume della speculazione per difendere ingiustizia ed empietà. Conclude per questo che il filosofo separa l’apice della mente (acies mentis) dai corpi, nella misura in cui lo congiunge alle ragioni incorporee e alle idee.
[…]
Accenna poi, per mezzo di lunghi ed enigmatici discorsi, al fatto che, come la sostanza del cielo e la materia degli elementi passano all’infinito da una disposizione all’altra, così l’anima razionale, principio del movimento, della generazione e della vita, può congiungersi con u corpo e viceversa separarsi da esso all’infinito ‒ posto che molte sostanze, in natura, mutano qualità a causa di una perpetua vicissitudine, e ovunque, in virtù dell’anima, si produce un eterno ciclo. Nei passi successivi, infine, si dice certo di quella resurrezione cui aveva già accennato.
Affronta poi il tema della reminiscenza, avendo poco prima dimostrato che l’anima vive prima e dopo il corpo. Ma tu sappi che simili temi sono pitagorici. Fra questi, scegli tu quello che ci conduce più vicini alla verità.
Dice: «Se l’educazione è reminiscenza, allora le anime hanno vissuto altrove prima di entrare nel corpo.»
Che sia reminiscenza lo dimostra specialmente in due modi. In primo luogo poiché a chi ci interroga in modo giusto replichiamo spesso dicendo cose vere riguardo a questioni che mai abbiamo studiato. In secondo luogo poiché dalla cognizione di realtà percepite con i sensi ci innalziamo, per un’improvvisa astrazione, alla cognizione delle idee ‒ come per esempio quando, conoscendo realtà uguali, c’innalziamo all’uguaglianza stessa, là dove riconosciamo che queste realtà sono lontane dalle idee, e che anzi anelano a farsi a esse simili, e quanto si avvicinano a esse e in che misura. Dal momento che facciamo ciò per tutta la nostra vita, è necessario che l’idea sia in noi prima della nascita.
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D’altra parte, dopo aver detto che l’anima è assolutamente indissolubile, soggiunge: «O vicino a qualcosa di indissolubile». Queste parole le devi intendere rifacendoti a quanto detto nel Timeo, dove si dimostra che solo Dio è assolutamente indissolubile, mentre gli altri enti, se comparati a Dio, si considerano in qualche modo dissolubili, poiché sono in qualche modo anche composti (benché gli enti composti in modo perfetto, cioè in modo separato rispetto alla materia elementale, mai si dissolvono). Le anime, dunque, le nostre anime come quelle divine, sono vicine all’indissolubile Dio.
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Aggiunge così che l’anima pura, dopo la morte, ritorna verso le realtà pure ed eterne, mentre l’anima impura, macchiata delle realtà terrene, è ricacciata verso simili realtà, e spesso assume un aspetto terreno.
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Platone indica senz’altro quel che pensa Proclo, ossia che tra il corpo etereo, immateriale, semplice, eterno, e il corpo aereo, che è sì materiale, ma in qualche modo semplice e più longevo nel quale le anime dimorano anche dopo la morte. Quando tale corpo si dissolve, le anime, se non si sono purificate, si dirigono verso il cielo con il solo corpo etereo. Quel che dice sulla trasmigrazione delle anime nelle bestie è pitagorico. Tu sappi questo: le nostre anime non vivificano i corpi degli animali, piuttosto, a scopo di purificazione, si mescolano in qualche modo per mezzo della loro immaginazione bruta all’immaginazione dei bruti, come si dice che demoni impuri sono spesso mescolati all’immaginazione dei folli. Questa è la spiegazione offerta dalla maggioranza dei seguaci di Platone, con l’eccezione di Plotino, come si desume dal fatto che egli non dice che l’anima diviene bestia, ma che se ne riveste, che vi subentra o transita.
[…]
La profezia è di quattro tipi: divina, demonica, umana e naturale ‒ cioè quella propria degli animali, dono dell’istinto naturale. Sappi che i cigni sono gli uomini innocenti, privi di filosofia, i quali, dal momento che spesso non temono la morte, indicano che i filosofi non devono in alcun modo temerla. Fai poi attenzione al fatto che è difficilissimo, in questa vita, conoscere la sostanza dell’anima, poiché la vediamo sotto apparenza corporea. Per questo la via più sicura per farlo è procedere attraverso la purificazione morale e l’astrazione metafisica. Là dove ciò non sia sufficiente è necessaria una parola divina, vale a dire divine rivelazioni e miracoli.
[…]”
Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali “impolverati”; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).
Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Marsilio Ficino.
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