“Anima Mundi” di Marsilio Ficino #22: De Trinitate

“Il modo in cui il divino concepisce non è il modo con cui concepisce la nostra immaginazione, ma è una sua naturale propaggine, poiché la natura stessa di Dio è intelligenza, e in lui intendere è lo stesso che essere.”Marsilio Ficino

Marsilio Ficino Anima Mundi De Trinitate
Marsilio Ficino Anima Mundi De Trinitate

Ventiduesima puntata della rubrica “Anima Mundi” che presenta il quarto capitolo della Parte Quinta Cristianità e presagi della fine suddivisa in: Sul male; Profezia; Preghiera e sacrificio; De Trinitate; Lode al Sole.

De Trinitade, quarto capitolo de Cristianità e presagi della fine, è a sua volta suddiviso in tre sezioni intitolate Commento ai Nomi divini di Dionigi Aeropagita; Commento al Parmenide di Platone; Commento all’Epistola ai Romani di san Paolo.

La rubrica Anima Mundi propone al lettore una selezione di brani come invito ad intraprendere la conoscenza di Marsilio Ficino, il “nuovo” Orfeo che, a differenza del suo “predecessore”, ebbe successo perché dal suo viaggio portò seco “numerosi tesori”. Il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499) è ricordato come il primo traduttore delle opere complete di Platoneseguace del neoplatonismo commentò le Enneadi di Plotino in modo esemplare (si ringrazia Pico della Mirandola), equiparò Ermete Trismegisto a Zoroastro, PitagoraOrfeo, Filolao, Zalmoxis: ogni sapiente del passato fu sul tavolo di lavoro di Marsilio Ficino, vero promotore del pensiero umanista ed influente esponente del Rinascimento. Giamblico, Porfirio, Avicenna, Averroè, Niccolò Cusano, Macrobio, Agostino, Apuleio, Dionigi Aeropagita, LucrezioDante Alighieri (et cetera) sono solo alcuni dei nomi degli autori che Marsilio Ficino interpretò e promosse come menti illustri da osservare da vicino per riuscire a “cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori”.

In questa ventiduesima puntata De Trinitate si presenta un estratto da Commento all’Epistola ai Romani di san Paolo nel quale Marsilio Ficino rappresenta una catena tra gli antichi sapienti e la Trinitate cristiana, citando tra gli altri Platone e Zoroastro e la loro indicazione del mistero trinitario evidenziandone la figura del figlio.

San Paolo è nato a Tarso verso il 4 d.C. con il nome di Saulo, è stato uno dei primi santi e martini del cristianesimo; principale missionario della parola di Gesù nel mondo romano e greco, anche se non conobbe direttamente il Messia. Si narra della sua celebre conversione nella via che da Gerusalemme portava a Damasco nella quale fu avvolto da una luce abbagliante ed udì la voce di Gesù: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?».

Si narra negli Atti degli Apostoli (17,22) che dopo la predicazione dell’apostolo Paolo il filosofo e giurista greco Dionigi Areopagita (Διονύσιος ὁ Ἀρεοπαγίτης) si convertì al cristianesimo.

***

Estratto da Commento all’Epistola ai Romani di san PaoloDe Trinitate

Le ragioni della trinità. [II] Fin qui abbiamo illustrato il proemio dell’Epistola. Prima di procedere con l’esposizione varrà però la pena precisare alcuni aspetti relativi alla divina Trinità e al farsi uomo del verbo divino. Paolo infatti, qui e altrove, tocca di frequente questi misteri. Mi limiterò al momento a dire poche parole a riguardo, perché in proposito ci siamo dilungati nel libro Della Religione[1].

Se la natura del bene è di propagare se stesso, e quella del bene più grande di tutti è di diffondersi con ancora più abbondanza, ne consegue che l’infinita bontà di Dio genera un’infinita propaggine di se stessa. Ora, non potendovi essere nulla di infinito fuori di Dio, è necessario che l’infinita propaggine di Dio si realizzi pienamente nello stesso Dio, lei, eterna, nell’eterno.

Là dunque è il generante e il generato, ed essendo entrambi infiniti, il Figlio è sempre uguale al Padre. Dato che la natura infinita, per la sua capacità di esaurire tutto, non può essere duplice, ne segue che una sia la natura del Padre e del Figlio, benché, a causa dell’opposizione relativa tra generante e generato, si debbano porre due ‘persone’ ‒ là dove certo il Padre sembra generare, secondo il suo volere, un altro sé, altro soltanto in quanto persona, ma identico per natura, ossia di un’unica natura. Per questo, dunque, tutto ciò che genera, non importa dove, tenta, per quanto possibile, di generare qualcosa a sé simile, ed uguale, ed identico, anche se genera una natura speciale, come se generasse un altro sé. Nei fatti, però, solo un genitore infinito può generare un altro sé.

Inoltre, poiché il bene si accompagna ovunque all’amore, è necessario che tra la bontà e la sua infinita propaggine sia in fiore un infinito amore reciproco. Dal momento che colui che ispira amore e l’amore che è ispirato si distinguono solo attraverso la relazione, benché la loro natura sia la stessa, si ritiene per questo che siano due diverse persone. Siamo così forzati ad affermare che nell’unica, semplice, infinita natura di Dio vi siano tre persone, uguali e del tutto simili tra loro.

Ma se chiederai in che modo accadano una tale generazione e ispirazione, risponderemo che esse si realizzano in virtù di una qualche intelligenza e volontà. Certamente la fecondità paterna, intendendo perfettamente se stessa e tutte le cose in sé, concepisce in se stessa una perfetta nozione della sua totalità e di ogni cosa; e tale concetto è, per così dire, immagine adeguata e completa di Dio, e modello sovrabbondante di ciò che è nel mondo. Il modo in cui il divino concepisce non è il modo con cui concepisce la nostra immaginazione, ma è una sua naturale propaggine, poiché la natura stessa di Dio è intelligenza, e in lui intendere è lo stesso che essere.

Ma quel che si genera intrinsecamente in virtù dell’intelligenza, poiché è generato secondo la sua natura, è una propaggine naturale. Forse, non so in che modo, Orfeo, chiamandola Pallade, disse che era nata dalla sola testa di Giove. Platone definì questo concetto, nell’epistola ad Ermia, «figlio di Dio padre».[2] Nell’Epinomide poi lo nominò logos, ossia ragione e verbo, dicendo che il «logos, divino sopra ogni altra cosa, ornò questo mondo visibile».[3]

Nel sesto della Repubblica allude all’invisibile figlio, che dimora presso Dio, allorché afferma in modo chiaro che anche il sole è figlio di Dio, ma visibile. Anche Zoroastro, assieme a Mercurio,[4] attribuisce a Dio una prole intellettuale. Costoro dissero questo, per quanto fu loro possibile, e certo lo fecero per ispirazione divina. Ma solo Dio comprende queste cose, e colui a cui Dio ha voluto rivelarle.

Infine Dio, attraverso l’eterna conoscenza di sé di cui abbiamo parlato, conoscendosi dall’eternità come infinito bene, per mezzo di questa eterna conoscenza dell’eternità ispira amore infinito in sé e verso se stesso. Per questo i teologi chiamano il Padre, il Figlio e lo Spirito d’amore tre «persone», che stanno assieme nella natura divina ‒ in modo tale che vi sia un solo e semplice Dio ‒, ma che differiscono in virtù di una certa ineffabile relazione. Così il Padre differisce dal Figlio per il solo fatto che è lui a generarlo, mentre il Figlio è diverso dal Padre solo in quanto è generato. Entrambi inoltre sono uguali in questo, e cioè che con medesima potenza e ragione ispirano da sé lo Spirito, che è come il mutuo amore, che procede dal Padre attraverso il Figlio, come da due persone, ma che proviene tuttavia da un unico principio; tale Spirito differisce dal Padre e dal Figlio solamente perché lui spira da essi, mentre esso lo ispirano; differisce invece dal Figlio solamente in quanto il Figlio è generato, mentre lo Spirito procede per processione.

Se la mente umana comprendesse in modo perfetto se stessa, e compresasi, si amasse con forza, avrebbe presso di sé un’immagine chiarissima della Trinità. Ora però siamo costretti solo a contemplarla nel sole, dove Dio «ha posto il suo tabernacolo».[5] Nella natura del sole, infatti, che è una, esistono tre potenze tra loro uguali. La prima è la stessa fecondità naturale. Da essa sempre risplende una luce che viene dall’intimo. Da queste poi procede, internamente, la potenza di riscaldare. La fecondità rappresenta il Padre, la luce che viene dall’intimo il Figlio, la potenza calorifica lo Spirito.

***

Nella prima puntata della rubrica si è scelto di pubblicare un brano estratto dall’introduzione di Raphael Ebgi, nella seconda si è presentata una delle due lettere presenti nel primo capitolo intitolato Un circolo lucreziano all’amico, poeta e suonatore di lira Antonio Serafico; nella terza si è optato per la pubblicazione di un estratto dalla Epistola sul divino furore all’amico e studioso di eloquenza Pellegrino Agli; nella quarta ci si è soffermati su un estratto tratto da Trattato di Dio et anima ed uno tratto da Le quattro sette dei filosofi; nella quinta puntata si è preso in oggetto un estratto della lettera all’amico Antonio Canigiani presente nel capitolo Virtù e fortuna; nella sesta puntata si è presentato il primo capitolo Platonismo e repubblicanesimo della Parte seconda del volume intitolata “Firenze Atene”; nella settima lo spazio è stato riservato ad un estratto dal secondo capitolo Pietas et sapientia della Parte seconda intitolata “Firenze Atene”, capitolo suddiviso in sei sottocapitoli; nell’ottava puntata si è scelto di sottoporre una selezione tratta dal terzo capitolo della Parte seconda intitolato Poeti platonici: Argomento allo «Ione» di Platone; nella nona si sono presentati due estratti dal capitolo De miseria hominisnella decima Misteri d’Amore si presentano due estratti da El libro dell’amore e dalla Lettera ai confilosofi ed a Ermolao Barbaro; nell’undicesima Del bello o della grazia un estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone; nella dodicesima Immortalità e resurrezione un estratto da Argomento al «Fedone» di Platone; nella tredicesima Il regno dei nomi un estratto da Argomento al «Cratilo» di Platone; nella quindicesima Il tempo della magia si presenta un estratto dal primo Commento alle «Enneadi» di Plotino; nella quindicesima Il mondo delle immagini un estratto da Parafrasi del «De mysteriis» di Giamblico; nella sedicesima Sui demoni un estratto da Lettera a Braccio Martelli, nella diciassettesima un estratto da Fatalianella diciottesima un estratto da Medicina del corpo, medicina dell’anima, nella diciannovesima un estratto da Sul Male, nella ventesima un estratto da Profezia, nella ventunesima un estratto da Preghiera e sacrificio.

***

Marsilio Ficino citazioni Trinità
Marsilio Ficino citazioni Trinità

Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali “impolverati”; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).

Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Marsilio Ficino.

 

Note

[1] Riferimento al libro De christiana religione dedicate al tema trinitario.

[2] Platone, Epistolae, Epistola VI

[3] Platone, Epinomis

[4] Corpus Hermeticum, I

[5] Salmi, 18, 6

 

Info

Rubrica Anima Mundi

Rubrica Enneadi di Plotino

Leggi articolo Il Piombo in alchimia

 

Bibliografia

Marsilio Ficino, Anima Mundi, Einaudi, 2021

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *