“Anima Mundi” di Marsilio Ficino #16: Sui demoni
“E ciò non capita soltanto a uomini ignoranti, ma anche a molti che si occupano di filosofia. La causa dell’errore dagli uni agli altri procede ed è confermata. Perché quei cultori della filosofia, che mai si sono allontanati dalle inclinazioni comuni, sono caduti negli stessi errori della moltitudine, mentre a sua volta la folla, ascoltando da celebrati scrittori opinioni simili alle loro, ha trovato conferma riguardo questa opinione sugli dèi.” ‒ Marsilio Ficino
Sedicesima puntata della rubrica “Anima Mundi” che presenta il terzo capitolo della Parte Quarta Il tempo della magia suddivisa in: Anima Mundi; Il mondo delle immagini; Sui demoni; Fatalia; Medicina del corpo, medicina dell’anima.
Sui demoni, terzo capitolo de Il tempo della magia, è a sua volta suddiviso in sei sezioni: Apologo su Giovanni Pico della Mirandola, Lettera a Braccio Martelli, due commenti alle Enneadi di Plotino, Lettera a Filippo Callimaco, Lettera a Pierleone da Spoleto.
Nel 1486 Marsilio Ficino iniziò la stesura del commento alle “Enneadi”, subito dopo aver terminato la traduzione dell’opera. Fu sotto sollecitazioni di Giovanni Pico della Mirandola che Ficino si interessò di questo importante lavoro, dopo aver commentato la seconda Enneade, però, mise da parte il progetto per dedicarsi alla traduzione de “De Mysteriis” di Giamblico, “De sacrificio et magia” di Proclo, de “De somniis” di Sinesio ed altre opere di altri filosofi della scuola platonica.
La rubrica Anima Mundi propone al lettore una selezione di brani come invito ad intraprendere la conoscenza di Marsilio Ficino, il “nuovo” Orfeo che, a differenza del suo “predecessore”, ebbe successo perché dal suo viaggio portò seco “numerosi tesori”. Il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499) è ricordato come il primo traduttore delle opere complete di Platone, seguace del neoplatonismo commentò le Enneadi di Plotino in modo esemplare (si ringrazia Pico della Mirandola), equiparò Ermete Trismegisto a Zoroastro, Pitagora, Orfeo, Filolao, Zalmoxis: ogni sapiente del passato fu sul tavolo di lavoro di Marsilio Ficino, vero promotore del pensiero umanista ed influente esponente del Rinascimento. Giamblico, Porfirio, Avicenna, Averroè, Niccolò Cusano, Macrobio, Agostino, Apuleio, Dionigi Aeropagita, Lucrezio, Dante Alighieri (et cetera) sono solo alcuni dei nomi degli autori che Marsilio Ficino interpretò e promosse come menti illustri da osservare da vicino per riuscire a “cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori”.
In questa sedicesima puntata Sui demoni si presenta l’interessantissima Lettera a Braccio Martelli[1] che, in modo assai divertente, esplica il pensiero di Porfirio sulla differenza tra demoni buoni e malvagi.
Estratto da Lettera a Braccio Martelli ‒ Sui demoni
“Nei giorni scorsi, mentre mi trovavo da Filippo e Niccolò Valori, nella villa di Maiano, e indagavo lì, in un luogo appartato, la natura dei demoni, mi si fece incontro, d’un tratto, Plotino, che mi rivolse un divino oracolo relativo ai demoni, avvolto in parole brevissime e oscurissime. Perciò mi sembrò necessario convocare Porfirio, discepolo di Plotino, il quale si dedicò moltissimo a indagare i demoni, e che poteva perciò facilmente aprire l’involucro demoniaco del suo maestro. Accorse allora Porfirio, evocato per mezzo del suo Plotino e dei suoi demoni, e ci illustrò quel che aveva inteso il maestro. Confermò quel che Origene aveva sostenuto riguardo ai demoni. Porfirio allora mi parlò in greco. Io tradurrò per te in latino le parti principali del discorso. Se tu affiancherai questo compendio all’epistola sulla Concordia tra Mosé e Platone a te dedicata, ti accorgerai facilmente quanto non solo Platone, ma anche i platonici s’accordino con la nostra religione.
[…]
«Gli antichi popoli dei gentili chiamavano demoni gli esseri numinosi che, invisibili, dimorano sotto la Luna, e ritenevano che ogni demone talvolta ci giovasse, talvolta ci nuocesse.»[2]
Rimane la moltitudine degli enti invisibili, che Platone chiamava, senza distinzione demoni, Alcuni di questi, che hanno ricevuto dagli uomini un nome, hanno ottenuto presso ciascuno onori pari agli dèi e ogni restante culto. Altri per la maggior parte non hanno ricevuto un nome, ma da alcuni, in villaggi o città, hanno ottenuto segretamente un nome o un culto. Il resto di quella turba è chiamato comunemente con il nome di demoni. In tutti, però vi è una radicata convinzione, e cioè che i demoni possono affliggere il genere umano se vengono presi da ira per il fatto di essere trascurati, e per non aver ricevuto un giusto culto, mentre possono apportare benefici a quegli uomini che se li rendono propizi con preghiere, suppliche, sacrifici e altre cose che a queste s’accompagnano. Dal momento che questa opinione sui demoni è confusa e piena di menzogna, è necessario distinguere, con ragione, la loro natura. Ed è necessario, dicono, rendere noto da dove deriva, agli uomini, l’errore nei loro confronti. Occorre dunque fare la seguente distinzione.
«Tutti i demoni sono anime che scaturiscono dall’intera anima, ossia dall’idea delle anime; essi sono anche dotati di spirito, ossia di un corpo sottile. I demoni che dominano in più alto grado il loro corpo sono buoni e benefici, quelli che non lo dominano sono malvagi e malefici.»[3]
Tutte quelle anime che scaturiscono dall’intera anima e che governano gran parte delle regioni sotto la Luna, si fanno molto prossime al corpo spirituale, sebbene lo dominino con la ragione. In ogni caso queste anime si devono considerare buoni demoni, che si danno molto da fare per giovare a quel che è stato generato, sia che presiedano su alcuni animali, o su certi frutti, o su altri fenomeni disposti in loro favore, come le piogge, i venti moderati, il cielo sereno, il clima temperato delle stagioni e quanto risulta utile a tutto ciò, o ancora, presso di noi, sulle arti, sulla musica, sullo studio, sulla medicina, sulla ginnastica e su cose simili. E non può accadere che i demoni che si danno da fare per utilità e vantaggio delle cose possano anche arrecare danno.
Tra questi sono da enumerare quei demoni che, dice Platone, annunciano e trasportano «agli dèi ciò che viene dagli uomini, e agli uomini ciò che viene dagli dèi.»[4] Essi portano i nostri voti agli dèi, come a giudici, e viceversa conducono verso di noi i loro comandi ed ammonimenti, assieme allo spirito profetico. Ma le anime che non hanno controllo sul loro corpo spirituale, e che vi sono sottomesse, sono spinte e trascinate via con forza, quando le ire e i desideri di tale corpo si fanno più potenti. Di certo, queste anime sono anche demoni, giustamente definiti demoni malefici.
E questi, e quelli che hanno contrario potere, sono invisibili e non possono essere percepiti dai sensi umani. Non sono infatti rivestiti di un corpo solido.
[…]
Il corpo dei demoni buoni è in armonia; e così i corpi degli enti manifesti. Ma i corpi dei demoni malefici non hanno proporzione e, causa una disposizione passiva, dimorano in un luogo vicino alla terra ‒ e non vi è alcun male che non osino perpetrare, avendo un carattere violento e corrotto, privo cioè della tutela dei migliori demoni. Per questo essi perlopiù macchinano attacchi violenti e repentine imboscate, e mentre agiscono si sforzano ora di stare nascosti, ora di attaccare con violenza. Le passioni da loro suscitate sono per questo acute e rapide. Le cure e i rimedi che provengono dai demoni migliori sembrano invece più lenti. Ogni bene, infatti, è facile da governare e uniforme, procede per ordine, e mai trasgredisce il limite del conveniente.
Se penserai così riguardo ai demoni mai incorrerai nella peggiore assurdità che si possa pensare su di loro, e cioè che da buoni demoni provengano cose malvagie e da demoni malvagi cose buone. Non soltanto questo discorso è assurdo, ma vi sono anche molti che ne hanno tratto pessime opinioni sugli dèi, che hanno poi divulgato tra altri uomini.
[…]
In questo modo tentano di sottrarre se stessi all’accusa di essere causa della calamità, e, nel fare questo, si sforzano in un primo momento di nasconderci la loro colpevolezza. Subito dopo però ci inducono in preghiere e culti che convengono agli dèi benefici, come se questi fossero adirati. E fanno queste e simili cose con l’intenzione di distoglierci dalla giusta nozione degli dèi e per condurci verso di loro.
[…]
E ciò non capita soltanto a uomini ignoranti, ma anche a molti che si occupano di filosofia. La causa dell’errore dagli uni agli altri procede ed è confermata. Perché quei cultori della filosofia, che mai si sono allontanati dalle inclinazioni comuni, sono caduti negli stessi errori della moltitudine, mentre a sua volta la folla, ascoltando da celebrati scrittori opinioni simili alle loro, ha trovato conferma riguardo questa opinione sugli dèi.
L’arte poetica, per esempio, accese con più vigore le fantasie degli uomini, perché fa ricorso a uno stile fatto per provocare stupore, e per attrarre quasi magicamente, in grado con facilità di addolcire e attirare le anime, suscitando per questo in noi fede nelle cose più impossibili. Dobbiamo però credere con fermezza che il bene mai nuoce, e che mai il male giova.
[…]
«Chi sacrifica animali attrae a sé demoni malvagi: ma noi dobbiamo sacrificare ai demoni buoni, ossia agli angeli, e soltanto cose inanimate e con la mente pura.»[5]
Un uomo prudente e saggio, dunque, si guarderà dal ricorrere a sacrifici di tal genere, con i quali attrae a sé simili demoni. S’impegnerà poi a purificare l’anima in modo perfetto. Questi demoni infatti mai si accostano a un’anima pura, a causa del loro grado di dissomiglianza con essa. E se anche fosse necessario alla città placare tali demoni, una simile pratica non ci riguarda. In una città, infatti, le ricchezze e i vantaggi esteriori e corporei sono tenuti per beni tra i cittadini, i loro contrario per mali, mentre non ci si cura proprio della perfezione e purezza dell’anima.
[…]
«La purezza e l’astinenza ci proteggono dai demoni malvagi, ai quali i contemplatori non devono sacrificare nulla.»[6]
Per questo i teologi, se mai concedono di sacrificare un animale ai demoni malvagi ‒ e questo per evitare mali che potrebbero essere da loro arrecati ‒, vietano però di cibarsi di simili sacrifici. Prescrivono inoltre, prima che tu sacrifichi in questo modo, di purificare l’anima digiunando e soprattutto astenendoti dagli animali.
[…]
«Il sapiente si asterrà tanto dal cibarsi quanto dal sacrificare animali; cose attraverso le quali richiamiamo verso di noi demoni malvagi.»[7]
Un uomo divino difenderà la propria anima con la sapienza divina, e con l’astinenza da cibi che risvegliano le passioni umane, e con l’essere simile a Dio. Riterrà poi la sua anima come un tempio incontaminato di Dio, in questo universale tempio di Dio Padre[8].
[…]”
***
Nella prima puntata della rubrica si è scelto di pubblicare un brano estratto dall’introduzione di Raphael Ebgi, nella seconda si è presentata una delle due lettere presenti nel primo capitolo intitolato Un circolo lucreziano all’amico, poeta e suonatore di lira Antonio Serafico; nella terza si è optato per la pubblicazione di un estratto dalla Epistola sul divino furore all’amico e studioso di eloquenza Pellegrino Agli; nella quarta ci si è soffermati su un estratto tratto da Trattato di Dio et anima ed uno tratto da Le quattro sette dei filosofi; nella quinta puntata si è preso in oggetto un estratto della lettera all’amico Antonio Canigiani presente nel capitolo Virtù e fortuna; nella sesta puntata si è presentato il primo capitolo Platonismo e repubblicanesimo della Parte seconda del volume intitolata “Firenze Atene”; nella settima lo spazio è stato riservato ad un estratto dal secondo capitolo Pietas et sapientia della Parte seconda intitolata “Firenze Atene”, capitolo suddiviso in sei sottocapitoli; nell’ottava puntata si è scelto di sottoporre una selezione tratta dal terzo capitolo della Parte seconda intitolato Poeti platonici: Argomento allo «Ione» di Platone; nella nona si sono presentati due estratti dal capitolo De miseria hominis; nella decima Misteri d’Amore si presentano due estratti da El libro dell’amore e dalla Lettera ai confilosofi ed a Ermolao Barbaro; nell’undicesima Del bello o della grazia un estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone; nella dodicesima Immortalità e resurrezione un estratto da Argomento al «Fedone» di Platone; nella tredicesima Il regno dei nomi un estratto da Argomento al «Cratilo» di Platone; nella quindicesima Il tempo della magia si presenta un estratto dal primo Commento alle «Enneadi» di Plotino; nella quindicesima Il mondo delle immagini un estratto da Parafrasi del «De mysteriis» di Giamblico.
Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali “impolverati”; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).
Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Marsilio Ficino.
Note
[1] Braccio Martelli è stato un politico vicino alla cerchia di Lorenzo de’ Medici.
[2] Porfirio, De abstinentia, II, 37, 1-3.
[3] Porfirio, De abstinentia, II, 38 2-42-3.
[4] Platone, Convivium.
[5] Porfirio, De abstinentia, II, 43, 1-5
[6] Porfirio, De abstinentia, II, 44, 1-4
[7] Porfirio, De abstinentia, II, 45, 4-47, I
[8] Rilettura di Porfirio in chiave cristiana, Porfirio parla del Tempio del Padre intendendo l’Universo.
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