“Anima Mundi” di Marsilio Ficino #13: Il regno dei nomi

“Si prende poi gioco di coloro che, ignorando le cause, ostentano una conoscenza degli effetti. Ma tu, in ciò che dice in seguito, presta attenzione a questa aurea sentenza: «L’inganno fra tutti più grave è quello con cui uno inganna se stesso. In tal caso, infatti, l’ingannatore non abbandona mai l’ingannato».”Marsilio Ficino

Anima Mundi Marsilio Ficino #13 Il regno dei nomi
Anima Mundi Marsilio Ficino #13 Il regno dei nomi

Tredicesima puntata della rubrica “Anima Mundi” che presenta il quarto capitolo della Parte Terza Eros filosofico suddivisa in quattro capitoli: Misteri d’Amore; Del bello, o della grazia; Immortalità e resurrezione; Il regno dei nomi.

Il regno dei nomi è a sua volta suddiviso in due sezioni: Commento al «Filebo» di Platone e Argomento al «Cratilo» di Platone.

La rubrica Anima Mundi dona al lettore piccoli frammenti per intraprendere la conoscenza di Marsilio Ficino, il “nuovo” Orfeo che, a differenza del suo “predecessore”, ebbe successo perché dal suo viaggio portò seco “numerosi tesori”. Il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499) è ricordato come il primo traduttore delle opere complete di Platoneseguace del neoplatonismo commentò le Enneadi di Plotino in modo esemplare (si ringrazia Pico della Mirandola), equiparò Ermete Trismegisto a Zoroastro, PitagoraOrfeo, Filolao, Zalmoxis: ogni sapiente del passato fu sul tavolo di lavoro di Marsilio Ficino, vero promotore del pensiero umanista ed influente esponente del Rinascimento. Giamblico, Porfirio, Avicenna, Averroè, Niccolò Cusano, Macrobio, Agostino, Apuleio, Dionigi Aeropagita, LucrezioDante Alighieri (et cetera) sono solo alcuni dei nomi degli autori che Marsilio Ficino interpretò e promosse come menti illustri da osservare da vicino per riuscire a “cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori”.

“Della famiglia di Ficino abbiamo poche notizie sicure. La madre, Alessandra di Nannoccio dal Montevarchi, era appena quindicenne quando nacque Marsilio. Di lei è nota una certa dimestichezza con il mondo dei fantasmi e dei sogni, qualità che le conferiva doti divinatorie.” ‒ Raphael Ebgi

“Anima Mundi” (Einaudi, 2021) curato dal professore di Storia della Filosofia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano Raphael Ebgi, autore dell’approfondita – ed appassionata –introduzione intitolata “Marsilio Ficino: l’amore del pensiero”; si presenta come una selezione di lettere, traduzioni, riflessioni e commenti del famoso filosofo connesso alla famiglia de’ Medici.

È suddiviso in cinque parti denominate: “Gli anni del piacere” (capitoli: Un circolo lucreziano; Furor et voluptas; Dio, anima, natura; Virtù e fortuna), “Firenze Atene” (capitoli: Platonismo e repubblicanesimo; Pietas et sapientia; Poeti platonici; De miseria hominis), “Eros filosofico” (capitoli: Misteri d’amore; Del bello, o della grazia; Immortalità e resurrezione; Il regno dei nomi), “Il tempo della magia” (capitoli: Anima mundi; Il mondo delle immagini; Sui demoni; Fatalia; Medicina del corpo, medicina dell’anima); “Cristianità e presagi della fine” (capitoli: Sul male; Profezia; Preghiera e sacrificio; De Trinitate; Lode al sole). Nell’intervallo tra la prima e seconda parte è presente una serie di tavole illustrate rappresentanti alcuni dei pittori del tempo di Ficino (Piero del Pollaiolo, Antonio del Pollaiolo, Piero di Cosimo, Iacopo del Sellaio, Luca Signorelli, Sandro Botticelli, Bertoldo di Giovanni, Leonardo da Vinci, Maestro di Griselda, Domenico Ghirlandaio, Cosmè Tura, et cetera).

Nella prima puntata della rubrica si è scelto di pubblicare un brano estratto dall’introduzione di Raphael Ebgi, nella seconda si è presentata una delle due lettere presenti nel primo capitolo intitolato Un circolo lucreziano all’amico, poeta e suonatore di lira Antonio Serafico; nella terza si è optato per la pubblicazione di un estratto dalla Epistola sul divino furore all’amico e studioso di eloquenza Pellegrino Agli; nella quarta ci si è soffermati su un estratto tratto da Trattato di Dio et anima ed uno tratto da Le quattro sette dei filosofi; nella quinta puntata si è preso in oggetto un estratto della lettera all’amico Antonio Canigiani presente nel capitolo Virtù e fortuna; nella sesta puntata si è presentato il primo capitolo Platonismo e repubblicanesimo della Parte seconda del volume intitolata “Firenze Atene”; nella settima lo spazio è stato riservato ad un estratto dal secondo capitolo Pietas et sapientia della Parte seconda intitolata “Firenze Atene”, capitolo suddiviso in sei sottocapitoli; nell’ottava puntata si è scelto di sottoporre una selezione tratta dal terzo capitolo della Parte seconda intitolato Poeti platonici: Argomento allo «Ione» di Platone; nella nona si sono presentati due estratti dal capitolo De miseria hominis; nella decima Misteri d’Amore si presentano due estratti da El libro dell’amore e dalla Lettera ai confilosofi ed a Ermolao Barbaro; nell’undicesima Del bello o della grazia un estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone; nella dodicesima Immortalità e resurrezione un estratto da Argomento al «Fedone» di Platone.

In questa tredicesima puntata Il regno dei nomi si presenta un estratto da Argomento al «Cratilo» di Platone.

 

Estratto da Argomento al «Cratilo» di Platone ‒ Il regno dei nomi

Sulla giusta ragione dei nomi. La sapienza platonica rivolge sempre lo sguardo alle realtà eccelse, mai però disdegna quelle umili. E tuttavia la scienza dei veri nomi non è certo umile, bensì eccelsa, e lo è in particolare la scienza dei nomi divini.

I sapienti ebrei la considerarono tanto importante da anteporla non solo a tutte le scienze, ma anche alla legge scritta e affermarono che essa fu trasmessa da Dio ai patriarchi e a Mosè ‒ a Mosè, dico, che stava per vergarla non per iscritto, ma nelle menti dei santi, ossia nelle menti dei profeti che vennero dopo di lui. Questi, a loro volta, trasmisero la sapienza dei nomi divini nelle menti dei molti che li seguirono in lunga serie. Affermarono anche che in virtù della potenza di questi nomi i loro antenati hanno compiuto opere meravigliose e che hanno incluso alcuni di questi nomi nei loro scritti, molti sparsi però qua e là e oscuri. E se qualcuno li conoscesse, li riunisse e li pronunciasse in modo perfetto, e con la stessa purezza di mente con cui vennero trasmessi, costui potrebbe compiere cose meravigliose ‒ specialmente con il primo nome di Dio, che si compone, in modo meraviglioso, di quattro lettere soltanto, tutte vocali[1], e che per questo da nessuno, certo, a meno che non sia divinamente ispirato, può essere correttamente pronunciato. Sono così costretti ad ammettere che Gesù, da loro chiamato ‘Nazareno’, sia stato di natura divina, poiché confessano che lui, grazie a un’autentica comprensione e perfetta pronuncia di questo nome quadrilittere (Tetragrammaton), abbia compiuto miracoli ‒ ma di questo abbiamo parlato a sufficienza nel nostro libro Della religione[2].

Anche Origene, nel libro Contro Celso, dopo aver preso in esame la meravigliosa potenza dei nomi divini e delle preghiere, dice che in tutti i sacri nomi si nasconde una mirabile potenza. Per questo, essi non si devono tradurre dall’ebraico in altra lingua, ma occorre conservarli nei loro stessi caratteri (characteres). Infatti, al modo cui la vita si conserva in un corpo composto in un determinato modo, mentre svanisce se il corpo è composto in modo diverso, o se viene mutato, così, a loro avviso, una virtù vitale si trova nei nomi divini composti in modo divino. Del resto, come Mercurio Trismegisto ha fin da principio insegnato, e così tempo dopo Plotino e Giamblico, è in qualche modo possibile che demoni siano rinchiusi in statue modellate secondo una determinata disposizione. Qualità divine sono poi ripartite in parole temperate secondo una certa analogia celeste, e questo per volere di Dio, così che ogni qualvolta la situazione lo richieda, sia possibile invocare in modo debito l’aiuto divino.

Dicono ciò fu fatto dallo stesso Febo e da Pitagora ‒ loro che, così si tramanda, curarono in modo meraviglioso malattie dell’anima e del corpo ricorrendo soltanto a divine parole. Sappiamo poi che su questo si basava tutta la sapienza di Zoroastro, che Platone chiama, nell’Alcibiade, «divina», e che nel Carmide definisce «curatrice delle malattie dell’anima e del corpo».

Tralascio il fatto che tra tutti i popoli e in tutte le lingue il più nobile nome di Dio si pronunci con solo quattro lettere[3]; ne abbiamo infatti discusso nel nostro commento al Filebo, dove dimostriamo come un tale generale accordo testimoni un intervento divino. Così, quel che noi chiamiamo «Dio» [Deus], gli Egizi lo dicono Theuth, i Persiani Syre, i magi Orsi, da cui Oromasi, gli Ebrei pronunciano Adonai, ogni volta che possono, quel nome ineffabile di quattro vocali, i Greci Theos, gli Arabi Alla, Maometto Abdi, noi ancora Gesù, nome che abbiamo ricevuto dall’angelo.

Ma per quale ragione Dio ha voluto essere invocato ovunque per mezzo di quattro lettere?

Forse perché lui stesso dispone tutte le cose in quattro gradi: essenza, essere, virtù e azione. Allo stesso modo tutte le realtà celesti sono disposte in quattro triplicità di segni, ossia fuoco, aria, acqua, terra, e la realtà sotto il cielo, in modo simile, in quattro elementi.

[…]

Un nome vero, infatti, secondo Platone, è nient’altro che la potenza della cosa stessa, concepita in primo luogo, come ho detto, dalla mente, poi espressa dalla voce, infine indicata dalle lettere. Ora, è necessario che la potenza di una cosa divina sia essa stessa divina. Platone dunque, sin qui che nel Filebo, comanda di venerare i nomi di Dio, in quanto in essi è insita una forza divina, e di venerarli persino più dei templi e delle statue degli dèi, come indica nelle Leggi.

[…]

Socrate dice poi di giocare con i nomi degli dèi che deve illustrare, sapendo di non poter cogliere la sostanza divina di tali nomi, ma solo narrare le loro disposizioni, e spiegare, per quanto può, le nostre affezioni verso di loro. Aggiunge anche che gli dèi talvolta giocano e scherzano. Come noi giochiamo con le nostre realtà divine, così anche gli dèi giocano con le nostre cose ‒ nella misura in cui le nostre cose non hanno per loro alcun valore, e che le governano con nessuna fatica e incredibile facilità. Tralascio al momento quel detto platonico secondo cui: «l’uomo è il giocattolo degli dèi».

[…]

Marsilio Ficino citazione Platone
Marsilio Ficino citazione Platone

Si prende poi gioco di coloro che, ignorando le cause, ostentano una conoscenza degli effetti. Ma tu, in ciò che dice in seguito, presta attenzione a questa aurea sentenza: «L’inganno fra tutti più grave è quello con cui uno inganna se stesso. In tal caso, infatti, l’ingannatore non abbandona mai l’ingannato».[4]

[…]”

 

Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali “impolverati”; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).

Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Marsilio Ficino.

 

Note

[1] Rif. ie/o/a/i.

[2] Cfr. Della christiana religione, [XXVII]: «Ieremias: Ecco e dì vengono dice el Signore et susciterò la giusta stirpe di David et regnerò el re, et sarà sapiente et farà el giudicio et la giustitia in terra (Ger, 23, 5). Di poco poi aggiugne: Et questo è el nome col quale el chiameranno el nostro signore giusto (Ger, 23, 6), ove in hebreo si dice stirpe di David, in caldeo dice Messia. Quando dice el propheta: ecco e dì vengono, dimostra sanza lungo indugio dopo il tempo dilecto Ieremia dover venire el Messia, questo sarebbe falso se ancor dovesse venire. Oltra questo dichiara el Messia dovere essere Iddio, perché dove la translation nostra dice “Signore”, gli Ebrei hanno quel nome Thetragamathon, cioè di quattro lectere, el quale sopra gli altri nomi di Dio e in tanta veneratione appresso di loro, che non si conviene a creatura alcuna contradire, del qual lungamente disputa Moysè Egyptio nel libro della Directione. Onde Habba giudeo, nel libro Thren, ove si dimanda qual sia el nome del Messia, risponde: “Adonay, cioè signore è el nome suo”. Ponendo quivi quel nome mirabile thetragamathon et adducendo quello decto di Ieremia; Questo è el nome, col quale chiameranno el nostro signor giusto (Ger, 23, 6). Non si debbe dire chiameranno, perché così c’insegna la translation caldea et ancora e septantadue interpreti.» Ed ancora in Della christiana religione, [XXX]: Finalmente come altra volta dixi el fine di questa disciplina sanctissima manifestamente dichiara che Christo et suoi discepoli non per magica ma per divinità feciono miracoli. Havete un libro della vita di Giesù Nazareno nel quale si leggie che Giesù tra gli altri miracoli che quivi molti si narrano etiamdio risuscitò el morto perché solo sapeva rectamente pronuntiare ha questo suono Hiehovahi, che significa fu, è et sarà.»

[3] Nel campo musicale contemporaneo il cantautore Maler ha citato il quattro con significato alchemico nella canzone “Mutamento”.

[4] Platone, Cratilo.

 

Info

Rubrica Anima Mundi

Rubrica Enneadi di Plotino

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Bibliografia

Marsilio Ficino, Anima Mundi, Einaudi, 2021

 

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