“Anima Mundi” di Marsilio Ficino #23: Lode al Sole
“Secondo una massima pitagorica, assolutamente divina, magnanimo Piero, «non si può parlare, a luce spenta, di cose e misteri divini». Con tali parole, come credo, quel sapiente non indicava solamente che non si deve osare nulla, nelle cose divine, se non ciò che la stessa luce di Dio viene rivelando alle menti ispirate. […]” ‒ Marsilio Ficino

Ventitreesima ed ultima puntata della rubrica “Anima Mundi” che presenta il quinto capitolo della Parte Quinta Cristianità e presagi della fine suddivisa in: Sul male; Profezia; Preghiera e sacrificio; De Trinitate; Lode al Sole.
Lode al Sole, quinto capitolo de Cristianità e presagi della fine che chiude il volume “Anima mundi” è a sua volta suddiviso in due sezioni intitolate Libro del Sole e Libro della Luce.
La rubrica Anima Mundi ha proposto al lettore una selezione di brani come invito ad intraprendere la conoscenza di Marsilio Ficino, il “nuovo” Orfeo che, a differenza del suo “predecessore”, ebbe successo perché dal suo viaggio portò seco “numerosi tesori”. Il filosofo Marsilio Ficino (1433-1499) è ricordato come il primo traduttore delle opere complete di Platone, seguace del neoplatonismo commentò le Enneadi di Plotino in modo esemplare (si ringrazia Pico della Mirandola), equiparò Ermete Trismegisto a Zoroastro, Pitagora, Orfeo, Filolao, Zalmoxis: ogni sapiente del passato fu sul tavolo di lavoro di Marsilio Ficino, vero promotore del pensiero umanista ed influente esponente del Rinascimento. Giamblico, Porfirio, Avicenna, Averroè, Niccolò Cusano, Macrobio, Agostino, Apuleio, Dionigi Aeropagita, Lucrezio, Dante Alighieri (et cetera) sono solo alcuni dei nomi degli autori che Marsilio Ficino interpretò e promosse come menti illustri da osservare da vicino per riuscire a “cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori”.
In questa ventitreesima puntata Lode al Sole si presenta un estratto da Libro del Sole dedicato a Piero Cosimo de’ Medici (detto il Gottoso, 1416 – 1469), l’opera era nata come progetto di commento al sesto e settimo libro de Repubblica di Platone. Il De Sole è suddiviso in tredici capitoli che si possono suddividere a loro volta in tre sezioni: il proemio ed i primi due capitoli che rappresentano la parte introduttiva dell’opera; dal terzo all’ottavo capitolo nella quale si trova una trattazione del Sole dal punto di vista astrologico; dal nono al tredicesimo capitolo nella quale si potrà leggere una dissertazione metafisica sull’astro. In questo articolo si presenteranno il proemio ed i primi due capitoli.
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Estratto da Libro del Sole ‒ Lode al Sole
Proemio di Marsilio Ficino al libro Sul Sole, al magnanimo Piero de’ Medici
Proseguo ogni giorno, magnanimo Piero, il nuovo commento a Platone cominciato da tempo sotto i tuoi auspici. Come ben sai, lo sto illustrando, tanto quanto è richiesto dalla cosa stessa, con più ricche distinzioni di articoli e con più lunghi argomenti. Per questo, giunto poco fa a quel mistero platonico in cui in modo assai ingegnoso il sole è comparato a Dio, mi è parso opportuno esporre in modo più dettagliato una questione tanto importante, in particolare poiché il nostro Dionigi Areopagita, principe dei platonici, la cui traduzione ho tra le mani, accoglie volentieri la similitudine tra il sole e Dio.
Avendo ormai trascorso molte notti insonni su questo sole, come attorno a un lume, ho pensato di raccogliere, dall’intera opera, questo fiore sceltissimo, e dedicargli uno specifico compendio. Questo mistero sul sole, quasi dono di Febo, lo invio innanzitutto a te, alunno di Febo, guida delle Muse, e delle Muse patrono, a cui è dedicato anche tutto questo nuovo commento di Platone, così che da questa luce, sorta di luna, tu possa presagire come sarà l’intera opera platonica, sorta di sole. E se mai hai amato il mio Platone, ormai da molto tempo tuo, che tu, infiammato da questa luce, possa d’ora in poi amarlo con più ardore e abbracciare l’amato con tutta la mente.
Al lettore. Questo libro è allegorico ed anagogico, piuttosto che dogmatico
[I] Secondo una massima pitagorica, assolutamente divina, magnanimo Piero, «non si può parlare, a luce spenta, di cose e misteri divini».[1] Con tali parole, come credo, quel sapiente non indicava solamente che non si deve osare nulla, nelle cose divine, se non ciò che la stessa luce di Dio viene rivelando alle menti ispirate. Ma sembra ammonirci a non tentare di afferrare né di esprimere la luce occulta delle realtà divine senza compararla a questa luce visibile.
Noi, dunque, da questa ci faremo prossimi a quella, secondo le nostre forze, e non tanto con ragionamenti, quanto con similitudini tratte dalla luce. Ma tu nel frattempo, lettore attentissimo ‒ e spero anche assai indulgente verso di noi ‒ memore di quel modo apollineo e quasi poetico che ci si lascia fare sotto la luce del sole, non esigere da noi cose più severe, o delle asserzioni, come dicono i Greci, dogmatiche. Io ho promesso soltanto un’esercitazione allegorica ed anagogica degli ingegni, garante Febo, che ne è responsabile.
Mai disputano le Muse con Apollo, ma cantano. Lo stesso Mercurio, inoltre, inventore delle disputazioni, se con Saturno e Giove tratta di argomenti severi, tuttavia assieme ad Apollo gioca, e non soltanto in modo appropriato, ma divino. Possa giocare anch’io, se solo ne sono capace, in modo non sciocco. Ora però facciamo venire alla luce questi nostri preludi sulla luce, non importa con quale risultato, con la propizia ispirazione di Dio, sommo bene.
In che modo la luce del sole sia simile allo stesso bene, cioè a Dio
[II] Nulla più della luce richiama la natura del bene. In primo luogo, la luce ci si mostra come la cosa più pura ed eminente nell’ordine sensibile. In secondo luogo, essa si dilata più facilmente di ogni altra cosa, e in modo più ampio, in un istante. In terzo luogo, essa si diffonde su tutto senza arrecare danno, e tutto penetra, leggerissima e piacevolissima. In quarto luogo, essa si accompagna a un calore vitale, che nutre tutte le cose, e le genera e muove. In quinto luogo, mentre assiste e si trova in tutte le cose, al contempo da nessuna è guastata e con nulla si mescola. Analogamente, il bene in sé sovrasta l’intero ordine delle cose, si dilata con grande ampiezza, addolcisce e attrae a sé tutte le cose. Non costringe, ha per compagno amore, ovunque, sorta di calore, da cui ciascuna cosa è da ogni parte adescata e riceve con gioia il bene. È presentissimo ovunque nei penetrali delle cose, ma non ha commercio con esse.
Infine, come il bene stesso è inestimabile e ineffabile, così è la luce; fino ad ora, infatti, nessun filosofo l’ha definita. In tal modo, nulla vi è di più chiaro della luce, e al contempo nulla sembra essere più oscuro ‒ come il bene, che è la cosa più nota e del pari la più conosciuta. Per questo il platonico Giamblico si riduce infine a dire che la luce è un atto e una chiara immagine della divina intelligenza, al modo in cui un raggio che scaturisce dalla vista è immagine della stessa vista; forse però la luce è la stessa vista dell’anima celeste, o l’atto della visione teso verso le realtà esterne, che agisce da lontano, che non abbandona il cielo, ma è sempre nei suoi pressi, non mescolato con cose esterne, e che agisce vedendo e sfiorando.
Noi siamo soliti definire la luce un vestigio della vita del mondo, che si offre agli occhi secondo una certa proporzione, sorta di spirito vitale intermedio tra l’anima del mondo e il corpo. Ma di questo abbiamo parlato a sufficienza nella nostra Teologia. Per tale motivo, quanto ti sforzi di accertare l’esistenza di molte menti angeliche, sopra il cielo, quasi luci, e l’ordine che vige tra loro, e il loro rapporto con Dio, unico Padre delle luci,[2] che bisogno hai di perderti in lunghe e tortuose ricerche?
Alza gli occhi al cielo, ti prego, cittadino della patria celeste ‒ quel cielo che Dio ha fatto ordinatissimo e visibilissimo per mostrare in modo chiaro proprio questo. Subito le realtà celesti, a te che alzi gli occhi, per mezzo dei raggi delle stelle, quasi espressioni e cenni dei suoi occhi, narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento.[3] Il sole ti offrirà i segni. Chi oserebbe dire che il sole è falso? Le perfezioni invisibili di Dio, ossia i numi angelici, sono così rese visibili attraverso le stelle; attraverso il sole si manifesta invece l’eterna virtù e divinità di Dio.”
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Nella prima puntata della rubrica si è scelto di pubblicare un brano estratto dall’introduzione di Raphael Ebgi, nella seconda si è presentata una delle due lettere presenti nel primo capitolo intitolato Un circolo lucreziano all’amico, poeta e suonatore di lira Antonio Serafico; nella terza si è optato per la pubblicazione di un estratto dalla Epistola sul divino furore all’amico e studioso di eloquenza Pellegrino Agli; nella quarta ci si è soffermati su un estratto tratto da Trattato di Dio et anima ed uno tratto da Le quattro sette dei filosofi; nella quinta puntata si è preso in oggetto un estratto della lettera all’amico Antonio Canigiani presente nel capitolo Virtù e fortuna; nella sesta puntata si è presentato il primo capitolo Platonismo e repubblicanesimo della Parte seconda del volume intitolata “Firenze Atene”; nella settima lo spazio è stato riservato ad un estratto dal secondo capitolo Pietas et sapientia della Parte seconda intitolata “Firenze Atene”, capitolo suddiviso in sei sottocapitoli; nell’ottava puntata si è scelto di sottoporre una selezione tratta dal terzo capitolo della Parte seconda intitolato Poeti platonici: Argomento allo «Ione» di Platone; nella nona si sono presentati due estratti dal capitolo De miseria hominis; nella decima Misteri d’Amore si presentano due estratti da El libro dell’amore e dalla Lettera ai confilosofi ed a Ermolao Barbaro; nell’undicesima Del bello o della grazia un estratto da Argomento all’«Ippia maggiore» di Platone; nella dodicesima Immortalità e resurrezione un estratto da Argomento al «Fedone» di Platone; nella tredicesima Il regno dei nomi un estratto da Argomento al «Cratilo» di Platone; nella quindicesima Il tempo della magia si presenta un estratto dal primo Commento alle «Enneadi» di Plotino; nella quindicesima Il mondo delle immagini un estratto da Parafrasi del «De mysteriis» di Giamblico; nella sedicesima Sui demoni un estratto da Lettera a Braccio Martelli, nella diciassettesima un estratto da Fatalia, nella diciottesima un estratto da Medicina del corpo, medicina dell’anima, nella diciannovesima un estratto da Sul Male, nella ventesima un estratto da Profezia, nella ventunesima un estratto da Preghiera e sacrificio, nella ventidueesima un estratto da De Trinitate.
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Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali “impolverati”; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).
Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Marsilio Ficino.
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Note
[1] Giamblico, De vita pythagorica liber, XVIII
[2] Giacomo, 1, 17: “ogni cosa buona e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre degli astri luminosi presso il quale non c’è variazione né ombra di mutamento”.
[3] Salmi, 18, 2: “I cieli narrano la gloria di Dio,/ e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento.”
Info
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Bibliografia
Marsilio Ficino, Anima Mundi, Einaudi, 2021