“La domanda di matrimonio di uno sciocco”: storiella yiddish sull’incontro amoroso
“«Sappi, figlio mio, che con la fidanzata dovrai parlare in una certa maniera. Chiacchiera di quello che ti pare, ma se vuoi piacerle devi assolutamente inserire nel tuo discorso tre cose […]»”‒ “La domanda di matrimonio di uno sciocco”

“La domanda di matrimonio di uno sciocco” è la duecento settantesima storiella yiddish sita nel Capitolo VII intitolato Stolti, sempliciotti, pazzerelli e picchiatelli presente nel volume “Racconti e storielle degli Ebrei” edito in Italia da Bompiani, curato da Elena Kostioukovitch e tradotto dal russo da Benedetta Sforza.
La biografia di Efim Samojlovič Rajze è finemente narrata nella prefazione del volume, ma l’autore è avvolto nel mistero sul web, infatti non sono presenti notizie di alcun genere, e malgrado il vasto successo del volume “Racconti e storielle degli Ebrei” non gli è stata dedicata neppure una pagina Wikipedia.
Noi ci lasciamo però cullare dalla mirabile vita descritta nella prefazione immaginando un uomo colto ‒ coltissimo ‒ che sin dall’infanzia ha trascritto le storielle yiddish dell’Europa dell’est salvandole dall’oblio per poi non veder neppure stampata questa mirabile opera di commistione tra ebraismo e folclore russo, polacco ed ucraino. La stessa biografia di Rajze pare una tipica storiella yiddish, egli stesso è divenuto un personaggio dal sorriso amaro.
“Rajze morì senza alcuna speranza di vedere stampate e pubblicate le favole da lui raccolte. I suoi appunti originali in yiddish sono scomparsi, probabilmente distrutti dallo stesso curatore nel timore di essere incolpato come nazionalista ebraico. È anche probabile che i testi fossero stati distrutti a suo tempo dai servizi segreti sovietici; non ci è dato sapere che fine abbiano fatto. Ma Rajze fece in tempo a tradurre il suo capolavoro in russo. Infatti, il testo russo è diventato l’originale del nostro libro di fiabe ebraiche: parliamo di quel testo che, a giudicare dall’entusiasmo dei critici del suo Paese, venne accolto come un evento storico dell’attuale cultura russa.” – dalla prefazione
Si consiglia vivamente la lettura de “Racconti e storielle degli Ebrei” e si ricorda che il dialetto yiddish, formatosi su base dell’antico tedesco, fu utilizzato nell’Europa Orientale dal XIII secolo sino alla Seconda guerra mondiale, periodo nel quale gli yiddish furono sterminati e con loro la straordinaria capacità di commistione tra umorismo e religiosità, malasorte e ricchezza.
Dopo aver presentato “Il peccato venduto”, “La calunnia del sangue”, “Lo sposo promesso nell’altro mondo”, “Lo zar e l’ebreo”, “La verità viene a galla come olio sull’acqua”, “Il principe stupido”, “Arguzia da musicante”, “Come un rabbino si accordò con Dio”, è la volta de “La domanda di matrimonio di uno sciocco” nel quale un giovane pretendente usò tutte le sue doti intellettuali per convolare a nozze con una fanciulla.
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“La domanda di matrimonio di uno sciocco”
“C’era una volta uno sciocco. Ma non un semplice sciocco, perché riteneva di possedere una grande intelligenza.
Venne in mente allo sciocco di sposarsi.
Chiamò lo shadkhen[1] e gli chiese di trovargli una fidanzata. Lo shadkhen gli scelse una sposa e andò a mettersi d’accordo per la presentazione dei fidanzati. Prima di recarsi all’appuntamento lo shadkhen disse al promesso sposo:
«Sappi, figlio mio, che con la fidanzata dovrai parlare in una certa maniera. Chiacchiera di quello che ti pare, ma se vuoi piacerle devi assolutamente inserire nel tuo discorso tre cose: per prima cosa parlale della sua famiglia, in secondo luogo parlarle di amore (è una cosa che alle ragazze piace), in terzo luogo parlale un po’ di filosofia, il che ti darà un certo peso. Se condurrai con successo la conversazione la fidanzata sarà tua.»
«Fate conto che le sono già piaciuto», disse con aria soddisfatta il fidanzato e andò all’appuntamento.
Arrivò. Si presentarono. Si sedettero a conversare.
Si ricordò, il fidanzato, del consiglio dello shadkhen e pertanto chiese alla fidanzata:
«Avete fratelli o sorelle?»
«No», rispose lei, «sono figlia unica, una bas-yekhida.[2]»
“Bene”, pensò il fidanzato, “il primo punto, grazie a Dio, è superato. Come passare ora abilmente a parlare di amore?”
Pensandoci su un poco, domandò:
«Ditemi, per cortesia, amate le tagliatelle con la zuppa di latte?»
«No», rispose la fidanzata. «Non le posso proprio sopportare, le tagliatelle con la zuppa di latte.»
Il fidanzato, assai contento di se stesso, pensava: “E anche col secondo punto, sia lodato il cielo, non me la sono cavata male. Non rimane che il discorso filosofico, ma questo proprio non mi preoccupa, perché le dimostrerò di che cosa sono capace”.
Dopo aver riflettuto a lungo le chiese:
«Ma se aveste avuto fratelli o sorelle, forse vi sarebbero piaciute le tagliatelle con la zuppa di latte?»
***
Un filosofico finale per la storiella “La domanda di matrimonio di uno sciocco” che strappa sin dall’incipit svariati sorrisi perché ci si aspetta qualcosa di veramente sciocco da uno sciocco che vuole fidanzarsi. Ma non è possibile di certo immaginare una conversazione del genere, un humour deciso e talvolta contradditorio che riesce sempre a stupire per la sua arguzia.
Note
[1] Shadkhen è una parola che proviene dall’aramaico e ha il significato di “mediatore matrimoniale”, una figura che procura incontri con il fine del matrimonio.
[2] Termine con il quale si designa una figlia unica.
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