“Il peccato venduto”: storiella yiddish sulla tentazione amorosa
“Un’ora più tardi ecco i due soci sulla via del ritorno. Ruvim era molto contento per via dell’affare compiuto chiacchierava, scherzava, rideva tanto da non accorgersi subito che il suo socio non proferiva verbo, se ne stava seduto tutto triste con lo sguardo perso nel vuoto, senza poter capire se stesse ascoltando o no il proprio compagno di viaggio.” ‒ “Il peccato venduto”
“Il peccato venduto” è la storiella yiddish che apre il Capitolo III intitolato Apologhi, Racconti e Favole Pie presente nel volume “Racconti e storielle degli Ebrei” edito in Italia da Bompiani, curato da Elena Kostioukovitch e tradotto dal russo da Benedetta Sforza.
L’autore, Efim Samojlovič Rajze, nasce nel 1904 e muore nel 1970. Durante la sua vita intervistò poeti e narratori ebrei per compiere l’impresa di catalogare, in modo meticoloso, le sfaccettature culturali della tradizione yiddish. Purtroppo morì senza veder l’opera stampata.
Sul web non si trova traccia dell’autore se non per l’esistenza del suddetto volume nelle varie librerie online, Wikipedia non gli dedica una pagina malgrado la fortuna postuma, e questo è abbastanza “insolito”. Senza voler rimarcare il mancato accertamento dell’esistenza di Efim Samojlovič Rajze, si avverte il lettore della presenza, nella prefazione, di svariati particolari biografici come ad esempio: “A Rajze è toccato scontare tre gironi dell’inferno Gulag: 1929-31, 1934-36, 1948-55. Nel 1963 fu prosciolto e riabilitato.”
Si consiglia vivamente la lettura de “Racconti e storielle degli Ebrei” perché ogni testo rappresenta uno spaccato di una antica sapienza ebraica amalgamata al folclore russo, polacco ed ucraino. Il dialetto yiddish, formatosi su base dell’antico tedesco, fu utilizzato nell’Europa Orientale dal XIII secolo sino alla Seconda guerra mondiale, periodo nel quale gli yiddish furono sterminati e con loro la straordinaria capacità di commistione tra umorismo e religiosità, malasorte e ricchezza.
“Il peccato venduto”
“Vissero un tempo che fu due mercanti, che erano soci tra di loro. Uno faceva di nome Elia ed era un giovane uomo con una bella barba nera, l’altro si chiamava Ruvim ed era più anziano, coi capelli brizzolati, di carattere riservato. Un giorno andarono a prendere della merce da una possidente con cui già da molti anni erano in affari senza sapere che fosse una strega. Le acquistarono molta merce: velli di pecora, lana, funghi secchi e ogni sorta di ben di Dio. Saldarono, impacchettarono la merce e cominciarono a fare i preparativi per il ritorno. Ruvim andò a noleggiare un carro mentre Elia insieme alla merce rimase in casa dalla possidente-strega.
Alla pani possidente, una signora non più giovane rimasta vedova molti anni addietro, già da tempo piaceva il giovane e avvenente Elia. Approfittò dell’occasione di essere rimasta sola con lui per tentare di insidiarlo, ma Elia non cedeva alla tentazione. Allora ella decise che lo avrebbe sedotto con i suoi begli abiti. Indossò una veste di seta nera con una profonda scollatura sul petto e sulla schiena. Dopodiché si cambiò gettandosi sul corpo nudo un abito trasparente con merletti rosa, quindi uno in scaglia d’oro, infine si ricoprì da capo a piedi di perle. E ogni volta lo accarezzava, lo baciava nel tentativo di piegarlo, bruciando come brace ardente.
Elia tremava tutto, fu lì lì per cedere alle malie della bellissima pani, ma riuscì a dominarsi e a vincersi. La strega perseguiva tuttavia un suo disegno. Abbracciò Elia, aprì un piccolo scrigno, quindi contata una metà dei soldi appena ricevuti dai due soci, gliela infilò in tasca. Quindi uscì nuovamente, la nostra pani, per poi rientrare, completamente nuda, appena coperta da un velo. Attrasse su di sé Elia sussurrando ardenti parole d’amore e giuramenti. A questo punto Elia non ce la fece più… La sua volontà era stata spezzata, si abbandonò a colei che lo aveva ammaliato, a questa donna-strega.
Un’ora più tardi ecco i due soci sulla via del ritorno. Ruvim era molto contento per via dell’affare compiuto chiacchierava, scherzava, rideva tanto da non accorgersi subito che il suo socio non proferiva verbo, se ne stava seduto tutto triste con lo sguardo perso nel vuoto, senza poter capire se stesse ascoltando o no il proprio compagno di viaggio. Ruvim se ne accorse infine, e si mise a incalzare con insistenza Elia: dai, suvvia, racconta, che è successo? Ma Elia taceva. Ruvim comprese che la faccenda era seria e così prese a insistere ancora di più. Alla fin fine Elia si confessò con l’amico: «Ruvim! Io devo confessarti un grave peccato, che ho commesso proprio quest’oggi.»
«Tu hai commesso un peccato? Ma andiamo! Se io e te quasi non ci siamo separati», disse Ruvim.
«E ciononostante io ho fatto in tempo a commettere un peccato grave, vietato dal settimo comandamento: ‘Non formicare’», esclamò tristemente Elia e raccontò al socio tutto quello che gli era capitato dopo che l’altro era andato a noleggiare il carro.
Inizialmente Ruvim non ci voleva credere, cominciò a canzonare l’amico e solo quando questi estrasse dalla tasca i soldi, che ammontavano esattamente alla metà della somma pagata alla possidente per la merce acquistata, si convinse che Elia stava dicendo il vero, ma invece di affliggersi per il peccato del socio ne provò invidia. Cominciò a prendersi gioco di Elia, a dire che non avrebbe disdegnato di trovarsi lui al suo posto. Ma vedendo che Elia continuava a essere rabbuiato Ruvim gli disse: «Sai una cosa? Io sono d’accordo a prendermi carico sulla mia anima del tuo peccato in cambio dei soldi che la possidente ti ha restituito. Mi prendo io carico del tuo peccato con tutte le sue conseguenze!»
«D’accordo!», disse Elia.
Dette a Ruvim il danaro e a conferma dell’affare i due soci si strinsero con aria trionfante la mano.
Un anno dopo Ruvim morì. Ben presto a Elia apparve in sogno il defunto socio per dirgli di essere finito all’inferno per via del peccato commesso da lui e manifestandogli l’intenzione di ottenere da lui la rescissione del contratto. Dopodiché Ruvim prese a tormentare il suo ex socio ogni notte cosicché Elia fu costretto a rivolgersi a un rabbino.
Il rabbino chiamò due dayan,[1] con cui andò a riunirsi in sinagoga, dove, installata in un angolo una tenda per il morto, i giudici presero ad analizzare questa lite fra un uomo vivo e un uomo morto. Elia raccontò come tutto si fosse svolto, come Ruvim lo avesse convinto a vendergli il suo peccato, come l’altro avesse per questo ottenuto in cambio del danaro. Allora il rabbino si volse verso la tenda e chiese: «O tu che un tempo ti chiamavi Ruvim! Confermi ciò che sta dicendo il tuo ex socio? Se sì, cos’altro puoi aggiungere?»
«Sì lo confermo!», si udì al di là della tenda la voce di Ruvim. «Ma io non sapevo che sarei stato punito per questo.»
«Tu che sei stato un mercante», disse il rabbino, «dimmi: hai comprato questo peccato dal tuo socio? Ne hai ricavato del danaro?»
«Sì, l’ho comprato e ne ho ricavato del danaro.»
«Allora stando così le cose», disse il rabbino «i soldi te li sei presi, chiuso!»
In quel preciso istante al di là della tenda echeggiò un grido terribile: «Ahi-a-a-a-a!!!»
Da allora Ruvim smise di apparire in sogno ad Elia.”
Non si è voluto anticipare al lettore questa caratteristica del mondo yiddish anche se il titolo della storiella ne anticipava la trama. Tutte le favole all’interno del Capitolo III presentano uno scopo istruttivo con corrispettivo insegnamento morale. In diverse favole si troverà la possibilità di “donare una parte della vita”, gli ebrei infatti pensavano fosse possibile “cedere anni di vita” a qualcuno. Ne “Il peccato venduto”, invece, è stato proprio il peccato ad essere ceduto/venduto in cambio di soldi.
Per cercare di comprendere l’humour degli ebrei si può prendere in prestito il titolo della stimolante Postfazione di Giacoma Limentani “Piangere ridendo” dalla quale si cita:
“«Ci sono risate e risate» sbottò infine «se lei non sa capire che riso e pianto provocano uguali suoni e lacrime, la smetta di prendere appunti! Che noi ebrei si sappia ridere su noi stessi, non la autorizza a far scadere ogni nostra risata in barzelletta.»”
Note
[1] Membro del tribunale religioso, giudice.
Info
Acquista su Amazon “Racconti e storielle degli Ebrei”
Un pensiero su ““Il peccato venduto”: storiella yiddish sulla tentazione amorosa”