Ragnarok: la leggenda vichinga sulla fine del mondo

“Moriranno gli dèi insieme agli einherjan cari a Odino, moriranno i figli degli uomini, i nani e gli elfi, i giganti delle montagne, quelli del fuoco e del gelo, tutti i mostri e le fiere, gli uccelli e gli animali, quelli domestici e quelli che strisciano sulla terra e nel sottosuolo.” ‒ “Ragnarok”

Ragnarok Skoll ingoia il Sole
Ragnarok Skoll ingoia il Sole

Dopo la controversa pubblicazione de “La caduta di Loki” seguita da “Il dio degli impiccati” e da “La guerra tra gli Asi e i Vani”, il viaggio nel mondo norreno continua con lo sconvolgente brano intitolato “Ragnarok”. Si è già discusso nei precedenti articoli sull’etimologia della parola “vichingo” e dell’alba dei tempi in cui tutto accadde e tutto fu narrato e scritto.

Ora, invece, incontriamo la temibile profezia che vede il sangue sgorgare dai corpi nell’era dell’Inverno degli Inverni durante la quale i figli della gigantessa dimoreranno nel mondo causando terribili angosce.

Il Sole avrà timore di mostrarsi e sarà divorato, così come la Luna. I tre galli canteranno. La nave temuta dagli dèi e dagli uomini sarà pronta. Il ponte degli Asi crollerà, Loki sarà libero dalle sue catene. L’ultima grande battaglia, Ragnarok, scuoterà le cinquencentoquaranta porte del Valhalla.

E sarà guerra, l’ultima guerra predetta, differente da quella incontrata ne “La guerra tra gli Asi e i Vani” perché non ci sarà alcuna volontà di pace fra le parti che si muoveranno come in una danza i cui passi furono già scritti quando tutto ha avuto origine.

“Ragnarok”

“Tempo di spade, tempo di asce, gli scudi andranno in pezzi; età di bufere, età di uomini che si fanno lupi, prima che il mondo rovini.

Tre aspri inverni di guerra sconvolgeranno il mondo. Nessuno risparmierà l’altro: per sordida avidità, il padre non avrò misericordia del figlio, il fratello darà la morte al fratello, i parenti infrangeranno i vincoli di sangue; si compiranno malvagità, meretricio e adulterio immane.

Fimbulvetr,[1] l’Inverno degli Inverni, farà sentire la sua morsa; turbinerà la neve dai quattro punti cardinali, eromperanno le tempeste, il gelo sarà duro come il ferro, i venti soffieranno taglienti; privo di forza, il sole on oserà mostrarsi. Tre inverni simili a questo, terribili, si succederanno l’un l’altro, e non saranno interrotti da conforto dell’estate.

All’annuncio della fine dei tempi, Eggther, il pastore che custodisce le mostruose greggi della Foresta di Ferro, suonerà felice l’arpa sulla collina, chiamando all’azione i figli dell’orrida gigantessa, i lupi voraci. Accadrà allora un evento incredibile a dirsi: Skoll ingoierà il sole spruzzando di sangue l’aria e la sede degli dèi; Hati, suo feroce fratello, divorerà la Luna in un sol morso; le stelle cadranno dai loro punti fissi. Perdita che i figli degli uomini giudicheranno irreparabile, ma che farà fremere di gioia i figli dei giganti.

Nel Bosco delle Oche, Fjalar, il gallo rosso splendente, canterà il risveglio delle stirpi di Ymir; gli farà eco, ad Asgard, Gullinkambi Crestadoro, che ogni giorno desta i guerrieri nelle aule del Valhalla, mentre in giù in Hel un terzo gallo dalle piume color ruggine leverà col suo richiamo le schiere dei morti.

Subito dopo la terra e le montagne si scuoteranno, le foreste si sradicheranno dal suolo, i monti rovineranno alla cima, ostacoli e vincoli saranno spezzati. E il lupo Fenrir[2] si libererà dalle catene.

Il mare rovescerà la sua massa d’acqua sulla terra, mentre Jormungand, il Serpente del Mondo, si divincolerà nella sua furia per emergere alla superficie e guadagnare la spiaggia. All’irrompere dei flutti, Naglfar,[3] la nave che dèi e uomini si augurerebbero di non vedere mai pronta, romperà gli ormeggi. Il suo scafo sarà fatto con le unghie dei morti ‒ per questo, è bene che un guerriero muoia con le unghie tagliate, per non aggiungere materiale alla costruzione di Naglfar. Scivolando sugli alti marosi, la nave avanzerà verso la piana di Vigrid: Hrym ne reggerà il timone, mentre la folla di thursi della brina siederà a poppa, a prua e sui lunghi banchi.

Anche Loki, infrante le catene, farà vela da settentrione verso il campo dell’ultima battaglia con la sua ciurma formata dalle schiere spettrali dei figli di Hel.

Poi giungerà Fenrir, la mascella superiore puntata contro il cielo, quella inferiore a toccare terra: spalancherebbe le fauci ancora di più, se avesse spazio a sufficienza. Dagli occhi e dalle nari gli usciranno fiamme; spaventoso e terribile, il fratello Jormungand procederà al suo fianco soffiando veleno a ogni respiro, fino a saturarne la terra e il cielo.

In tanto tumulto, la volta celeste si spezzerà, e attraverso gli squarci i figli di Muspell irromperanno al galoppo da meridione. Alla loro testa, Surt dalla spada sfolgorante più del sole incendierà il cammino avanti a sé e alle sue spalle. Bifrost, il ponte degli Asi, crollerà dopo il passaggio della fiera cavalcata. I figli di Muspell correranno sicuri a formare una propria schiera nella valle larga centro leghe e lunga altrettanto; là si saranno già radunati Fenrir il lupo e Jormungand il serpente, Loki e Hrym con i rispettivi seguaci, i figli di Hel e i giganti del gelo.

Quando questi eventi accadranno, Heimdall, la sentinella degli Asi, lascerà la sua sala e si porterà alle labbra il potente corno Gjall. Il richiamo si udrà per i nove mondi[4] e gli dèi, avvertiti, si raduneranno all’istante. Allora Odino, chiamato a sé Sleipnir, galopperà fino alla radice di Yggdrasill che si estende nel mondo dei giganti e, presso la fonte di Mimir, chiederà consiglio per sé e la sua gente. Intanto anche il grande frassino comincerà a tremare, ne vi sarà angolo di cielo o zolla di terra esente dal terrore.

Gli Asi rivestiranno le armi, e con essi gli einherjar, i guerrieri di Odino: con in testa gli elmi a cono, in pugno le lunghe aste, i bianchi scudi rotondi stretti al petto, usciranno contemporaneamente in numero di novecentosessanta da ciascuna delle cinquecentoquaranta porte del Valhalla per recarsi a Vigrid, la piana della battaglia. Odino cavalcherà innanzi a tutti, col casco d’oro e la splendida armatura, e la lancia che ha nome Gungnir.

Il Padre degli Eserciti punterà direttamente su Fenrir, ricercandolo nella calca; il figlio Thor, che sarà alla sua destra, non potrà essergli d’aiuto, perché Jormungand, suo antico nemico, lo attaccherà appena lo avrà visto. Freyr e Surt si affronteranno a vicenda. Ne seguirà uno scontro durissimo, prima che il principe degli dèi soccomba: la sua rovina l’avrà decisa egli stesso da tempo, allorché cedette la sua incomparabile spada a Skirnir, che si era fatto per lui messaggero d’amore.

Subito dopo cadrà Tyr il Monco, azzannato alla gola dal feroce cane Garm, che si sarà slegato dalle catene innanzi alla caverna di Gnipa; tuttavia, prima di soccombere, il più coraggioso degli dèi darà la morte al suo uccisore.

Loki incontrerà Heimdall, e i due si distruggeranno a vicenda. Intanto Thor avrò avuto la meglio sul serpente, ma si allontanerà dal luogo dello scontro nove passi soltanto, prima di vacillare e stramazzare al suolo, attossicato a morte dal veleno che Jormungand gli avrà soffiato addosso nel corso della lotta. Poi si concluderà l’ultimo scontro: Fnerir ghermirà Odino tra le fauci e lo inghiottirà, e sarà la fine per il Padre degli Dèi.

Subito si farà avanti Vidar, suo figlio: pianterà un piede sulla mascella inferiore del Lupo, quel piede calzato con la scarpa che è in fabbricazione fin dagli inizi del tempo, fatta di pezzettini di cuoio che gli uomini tagliano via dalle scarpe nove per l’alluce e il tacco ‒ per questo si dovrebbero buttare via i ritagli come dono agli dèi. Dopo avergli ficcato un piede alla gola, Vidar affretterà l’altra mascella di Fenrir e gli lacererà le fauci con un secco rumore di schianto. Così il Lupo morirà, e Odino sarà vendicato.

Infine Surt appiccherà fuoco alla terra con la sua spada fiammeggiante: Asgard e Midgard, Jotunherum e Niflheim profondo, e tutti i nome mondi saranno simili a fornaci ardenti.

Moriranno gli dèi insieme agli einherjan cari a Odino, moriranno i figli degli uomini, i nani e gli elfi, i giganti delle montagne, quelli del fuoco e del gelo, tutti i mostri e le fiere, gli uccelli e gli animali, quelli domestici e quelli che strisciano sulla terra e nel sottosuolo. E mentre il fumo e il fuoco infurieranno congiunti, il firmamento sarà privo del sole, le stelle abbandoneranno il cielo, la terra sprofonderà nelle nere acque del mare.

Eppure, dopo che il creato sarà arso, poi che saranno periti gli dèi, i guerrieri eletti e le stirpi degli uomini, non sarà la fine di tutto. Una nuova terra sorgerà dal mare: sarà verde e bella, scrosceranno le cascate, l’aquila volerà sopra le rocce andando a caccia di pesci, i campi e gli alberi cresceranno là dove nessuno avrò seminato, il male si muterà in bene.

Vidar e Vali continueranno a vivere, quasi che l’infuriare del mare e della fiamma di Surt non li avesse toccati. Fisseranno la propria dimora sulla piana di Ida, dove un tempo era Asgard, e Modi e Magni, figli di Thor, si uniranno a loro, portando con sé Mjollnir il Maciullatore, il martello del padre. Balder tornerà nel regno dei morti accompagnato dal cieco Hod, suo involontario assassino. Anche Honir Gambalunga sarà tra di loro, e terrà tra le mani la verga che predice la sorte. I figli di Vili e di Vé abiteranno nuovamente la vasta regione dei venti.

Ancora una volta siederanno riuniti nella piana di Ida, parleranno dei grandi eventi e delle antiche memorie note a essi soltanto, converseranno in pace dei fatti accaduti in passato, della serpe di Midgard e del lupo Fenrir. Poi, tra l’erba cresciuta da poco, troveranno i pezzi d’oro dei tavolieri che gli dèi avevano posseduto agli inizi dei tempi, e li stringeranno tra le mani come ambiti tesori.

Si innalzeranno allora nuove corti e nuove sale: alcuni luoghi saranno buoni, altri cattivi, ma il migliore tra tanti sarà Gimli celeste, più bella del sole, dal tetto coperto d’oro. Lì vivranno per l’eternità, in pace e in letizia, le schiere fedeli di coloro che rispettano i vincoli di parentela. In Okolnir, là dove il suolo non è mai freddo, vi sarà la sala chiamata Brimir, e la birra vi sarà mesciuta in abbondanza ogni volta che lo si vorrà. A settentrione, tra le oscure montagne di Nidafjoll, si ergerà invece Sindri, la sala risplendente di fulgido oro.

Altri luoghi vi saranno, meno felici. Lontana dal sole, a Nastrond, la spiaggia dei morti, si innalzerà una sala dalle porte rivolte a settentrione, le pareti e il tetto fatte di serpenti intrecciati, stillanti fiumana di veleno che alimenterà diverse correnti: spergiuri, assassini e quanti seducono le donne altru dovranno passarle a guado. Ma la dimora peggiore di tutte sarà in Hvergelmir, dove Nidhogg il mostro, sopravvissuto al Ragnarok, continuerà a succhiare il sangue dei cadaveri presso la radice di Yggdrasill.

Tra i rami del grande frassino o, secondo altri, nel bosco di Hoddmimir, avranno trovato riparo un uomo e una donna, Lif, vita, e Lifthrasir, avida di vita, che né il Grande Inverno[5] né il fuoco di Surt avranno toccato. Si ciberanno della rugiada del mattino, e su di essi rispenderà un nuovo sole, poiché, prima di essere raggiunto e inghiottito da Fenrir, l’astro avrà dato alla luce una figlia non meno bella, che percorrerà le stesse vie celesti, illuminando il mondo dopo che gli dèi saranno periti.

Lif e Lifthrasir genereranno dei figli, i loro figli altri figli; da essi la terra sarà ripopolata e tornerà a vivere. Se la fine dei tempi sarà qual è stata predetta, questo non meno, sarà l’inizio.”

***

Un dettaglio del finale della predizione del Ragnarok fa riflettere sulla reale entità della profezia. Bisogna considerare che nelle culture antiche il genere del Sole indicava la predominanza sociale: con un sostantivo maschile il patriarcato e con sostantivo femminile il matriarcato.

A differenza del mondo latino nelle lingue germaniche il Sole (die Sonne) era per l’appunto femminile e, dunque, non stupisce che il Sole della nostra storia sul Ragnarok prima di morire abbia dato alla luce “una figlia”. Questo propriamente perché si pensava in termini di nuovo inizio della storia con il ripristino dell’identico: Odino e Loki sono morti ma altri continueranno la dualità bene/male perché necessaria (nel senso greco di Ananke[6]). Da qui, per noi occidentali, l’eco fortemente nietzschiano dell’eterno ritorno dell’uguale.

Ritroviamo in questa storia vichinga il sempre caro concetto di catastrofe (καταστροφή), parola di origine greca derivata da un composto: katá con il significato di ‘giù, in basso, contro’ e stréphein con il significato di ‘girare, voltare’. Una catastrofe diventa una opportunità di capovolgere, la fine di una situazione, o dei nove mondi, si evolve con l’inizio di un nuovo evento, così come conclude la divinazione norrena: “Se la fine dei tempi sarà qual è stata predetta, questo non meno, sarà l’inizio”.

 

Note

[1] La parola ha il significato di ‘terribile inverno’ ed è tutt’ora in uso in Norvegia e Svezia per indicare un inverno molto rigido. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che questo l’Inverno degli Inverni nel quale non è presente la stagione estiva fosse un ricordo mitizzato del 535-536 periodo nel quale ci fu, per l’appunto, una stagione invernale molto lunga e devastante.

[2] Fenrir è un gigantesco lupo figlio di Loki generato nella Jarnvior, la Foresta di Ferro. Di grande carattere aveva intelligenza e capacità di parola. Partorito dalla gigantessa Angrbooa. Da questa unione nacquero anche Hel e Jormungandr.

[3] Purtroppo poco si sa di questa nave infernale perché nominata poche volte nel mito anche se grazie alla sua particolarità legata alle leggi sociali (tagliarsi le unghie) entra facilmente nella memoria dei lettori.

[4] I nove mondi: Ásaheimr, casa degli Asi; Álfheimr, regno degli elfi chiari e degli elfi oscuri; Svartálfaheimr o Niðavellir, regno dei nani, e degli elfi oscuri/elfi neri (Svartálfar); Mannheimr, dov’è situata Miðgarðr, la casa degli umani; Jǫtunheimr, regno dei giganti (Jǫtunn) di roccia; Vanaheimr, regno dei Vani; Niflheimr, regno del ghiaccio e del freddo abitato dai giganti di ghiaccio; Múspellsheimr, regno del fuoco abitato dai giganti di fuoco; Hel, regno dei morti su cui governa la dea Hel.

[5] Negli ultimi anni una serie tv di enorme successo “Il trono di spade” e la più recente “House of the Dragon” vede come mitico nemico il regno nel quale vivono i morti e si vive aspettando con terrore il “Grande Inverno”.

[6] Il concetto di fato è radicato nelle popolazioni germaniche così come in quelle greche, ma esiste una differenza sostanziale fra le due culture: gli dèi norreni non sono immortali e sin dalla prima guerra tra le due grandi stirpi si è insinuata pian piano la caduta.

 

Bibliografia

Miti e leggende dei vichinghi, curato da Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Mondadori, 1990

 

Info

Rubrica Miti vichinghi

 

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