La cattura di Loki: la leggenda vichinga sull’origine dei terremoti
“Una volta che stava seduto dentro casa a meditare accanto al fuoco su quel che gli avrebbe riservato il futuro, cominciò a intrecciare e annodare quasi sovrappensiero alcune corde di lino, finché vide che aveva formato delle maglie come quelle che si impiegano per le reti da pesca.” ‒ “La cattura di Loki”

Il termine vichingo ha un significato controverso, alcuni lo fanno derivare da wic o wik (latino vicus) che in anglosassone ed in francese significa “mercato”, altri invece sottolineano il significato di vicus pertinente ad “abitatori di città”; inoltre vik significa “baia” e presume proprio lo stare fermi nelle baie aspettando il momento propizio per le incursioni, da qui vig che significa “battaglia” richiama la bellicosità di questo popolo; ma non finisce qui, alcuni linguisti sostengono che il significato di viking sia “corsaro che sta lontano dalla patria”.
Normanni, vichinghi, ascomanni, gente del nord, uomini con i remi, demoni pagani (da madjius, arabo): le tribù di danesi, norvegesi e svedesi dal 780 ed oltre il 1000 padroneggiarono nei mari portando seco la vasta tradizione di leggende intorno ai loro antichi dèi.
“La cattura di Loki”, ad esempio, oltre a trattare una parte della vita del dio dell’astuzia e dell’inganno, racconta l’origine dei terremoti e della particolare forma della coda del salmone (il lettore odierno deve assolutamente leggere il mito evitando di comparare le successive conoscenze dell’essere umano perché cadrebbe in un antipatico ed inopportuno senso di “superiorità”). La fonte del racconto “La cattura di Loki” è l’Edda in prosa, ma la si trova in una versione un po’ diversa ne Lokasenna.
Loki è figlio dei giganti Farbauti e Laufey, tra i suoi appellativi è stato tramandato il Viaggiatore del Cielo, Vergogna degli Dèi, Briccone, Attaccabrighe, Calunniatore degli Asi. Sposato con Sigyn ha avuto due figli, Vali e Narfi; mentre sottoforma di giumenta si accoppiò con uno stallone generando Sleipnir; generò anche il lupo Fenrir, il serpente Jormungand e la regina del regno dei morti Hel dopo essere stato fecondato dal cuore della gigantessa Agìngrboda.
“La cattura di Loki”
“Dopo gli ultimi misfatti, Loki non dubitava che gli dèi nutrissero verso di lui il più vivo rancore. Ad Asgard[1], almeno per un po’ di tempo, non si sarebbe sentito al sicuro; perciò non vi fece ritorno dopo che ebbe lasciato il banchetto di Aegir. Andò invece a nascondersi in un luogo sperduto su una montagna di Midgard, vicino alle acque fragorose di una cascata, e vi costruì una casa con quattro porte, per poter spiare da ogni direzione l’arrivo di chicchessia. Ma neppure così si sentiva al sicuro e quando durante il giorno aveva voglia di riposare o di allenare la sorveglianza, prendeva la forma di un salmone e si celava nella cascata che si chiamava Franang, l’acqua risplendente. E tuttavia continuava a non saper distogliere la mente dalle trappole che gli Asi[2] avrebbero potuto mettere in atto per catturarlo.
Una volta che stava seduto dentro casa a meditare accanto al fuoco su quel che gli avrebbe riservato il futuro, cominciò a intrecciare e annodare quasi sovrappensiero alcune corde di lino, finché vide che aveva formato delle maglie come quelle che si impiegano per le reti da pesca. Le fissava sgomento, quando percepì delle voci dal fondo della valle. Non rimase ad attendere gli ignoti visitatori: gettata nel fuoco la rete di lino, uscì a precipizio dalla porta verso la cascata e si celò in forma di salmone dentro le acque ribollenti. Poco dopo un gruppo di Asi giungeva alla sua casa: Odino, seduto sul suo alto seggio Hlidskjalf[3] dal quale poteva vedere ciò che succedeva in tutti i nove mondi, non aveva tardato a scoprire il rifugio di Loki e gli aveva mandato incontro una spedizione per catturarlo.
Il primo a entrare fu Kvasir,[4] il più perspicace di tutti gli dèi, l’unico che avrebbe potuto tenere testa all’astuzia e alla doppiezza di Loki. Quando, dopo aver frugato in ogni angolo della stanza, scoprì tra le bianche ceneri del focolare i resti delle maglie di lino, capì a cosa potessero servire.
«Una rete» annunciò agli altri due. «Una rete da pesca per prendere un insolito pesce!»
Sotto la guida di Kvasir, gli dèi si misero all’opera e confezionarono una rete di lino dalle maglie strette e fortissime sull’esempio di quella fabbricata da Loki, tanto grande da dragare la pozza d’acqua sotto la cateratta e il tratto di torrente che scorreva per la valle verso il mare. Vi si applicarono in silenzio alla pallida luce della breve notte estiva di quelle regioni e, prima ancora dell’alba, il lavoro era stato portato a termine. Allora andarono al fiume e gettarono la rete nella cascata. Il fortissimo Thor ne reggeva un capo, gli altri Asi l’altra estremità, tutt’insieme.
Dragarono la pozza in lungo, in largo e di traverso, e il fiume a monte e a valle, ma ogni volta Loki riusciva a sfrecciare davanti alle maglie e a rifugiarsi sotto le pietre. La rete gli passava al di sopra e veniva ritratta vuota. Tuttavia, dal sommovimento dell’acqua, gli dèi si erano accorti che sul fondo c’era qualcosa di vivo. Risalirono di nuovo presso la cascata e gettarono ancora la rete, e questa volta avevano avuto cura di assicurarvi dei pesi, così che niente potesse scivolare via al di sotto. Loki però sfuggì nuovamente alla trappola: nuotò innanzi alla rete, finché solo un breve tratto lo separò dal mare aperto; allora si volse indietro e, raccolte tutte le forze, fece un gran balzo nell’aria, superò il bordo della rete e filò via verso la cascata. Nel fare questo si era però esposto alla vista degli inseguitori: ora gli dèi sapevano dove avrebbero potuto trovarlo.
Risalirono anch’essi alla cateratta e si divisero in due gruppi, uno su ciascun lato, mentre Thor entrava in mezzo all’acqua, proprio dietro la rete; in questa formazione discesero la corrente. Ma come aveva già gatto una prima volta, Loki fuggì innanzi a loro.
Sapeva che poteva scegliere solo tra due espedienti, ugualmente pericolosi: era per lui un azzardo mortale tentare di superare le secche che lo separavano dal mare, così come poteva essergli fatale guizzare al di sopra della rete. Scelse comunque il secondo partito: saltò alla velocità del lampo in direzione della cascata. Ma oltre il bordo della rete, saldamente piantato in mezzo al letto del fiume, questa seconda volta trovò Thor ad attenderlo. Il dio del tuono stese la mano e lo colse a mezz’aria, prima che ricadesse nell’acqua.
Loki si dibatté e si divincolò; riuscì a guizzar via tra le dita, ma la coda rimase nella presa delle mani abituate a reggere Mjöllnir[5]. Il Tonante lo trattenne, stringendo forte ‒ ed è questa la ragione per cui da quel giorno il salmone si assottiglia verso la coda. Costretto fuori dall’acqua a tornare alle primitive fattezze, Loki affissò lo sguardo in quello degli dèi, fin troppo eloquente. Non ricorse a menzogne o adulazioni, non si diede la pena di supplicare. Sapeva di non aver scampo.
Fu trascinato legato in una caverna sull’isola Lyngvi, giacché la sua sola presenza avrebbe contaminato il sacro suolo di Asgard. Gli Asi presero tre pietre piatte e praticarono un foro in ognuna; quindi alcuni di loro catturarono i figli di Loki, Vali e Narfi, mentre uno solo si recava da Odino a riferire gli eventi. Come il messaggero fu di ritorno riportando gli ordini dell’Eccelso insieme all’assenso degli dèi, Vali fu magicamente trasformato in un lupo famelico: seguendo la sua natura, la fiera si avventò sul fratello Narfi e lo fece a brani.
Con le viscere estratte dal corpo dilaniato, gli dèi legarono Loki alle tre pietre taglienti, in modo che la prima fosse assicurata sotto le sue spalle, la seconda sotto le reni, la terza sotto i garretti. E non appena l’uccisore di Balder[6] fu avvinto dalle viscere del suo stesso figlio, quei lacci mostruosi si fecero di solido ferro. Infine Skadi[7] prese un serpente e lo sospese a una sporgenza nel soffitto della grotta, così che la sua bava velenosa colasse sul viso del prigioniero immobilizzato al suolo. Poi gli dei si ritrassero, lasciando Loki al suo crudele destino fino alla fine dei tempi. Nei loro cuori non c’era gioia per la vendetta compiuta.
Tuttavia Loki non è solo nella grotta. Sigyn, la sposa fedele,[8] gli è rimasta accanto, troppo dolente per la sorte del marito e per quella dei figli per vivere ancora tra gli dèi. Gli siede vicina in silenzio e regge sopra il suo capo un grande bacile di legno,[9] dentro il quale si raccolgono le gocce del veleno che stillano dalla bocca della serpe. Quando il recipiente è colmo fino ai bordi, Sigyn corre a vuotarlo; ma non abbastanza in fretta perché, in sua assenza, il succo velenoso non stilli sulla faccia dello sposo. Ogni goccia è un supplizio insopportabile al quale Loki non può porre rimedio, ed egli sussulta e spasima con tale violenza che la terra ne trema. È l’inspiegabile sommovimento che scuote all’improvviso il suolo seminando distruzione e terrore, e al quale gli uomini hanno dato il nome di terremoto.”
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Note
[1] La mitica residenza degli Asi.
[2] Gli Asi (al singolare maschile Ase, singolare femminile Asinia e plurale Asinie) sono gli dèi del cielo; si presume che la parola sia correlata al sanscrito as con un significato di “raggio di luce che emana dalla divinità”. Secondo la tradizione gli Asi erano originari dell’Asia, capeggiati da Odino si spostarono verso il Nord fermandosi in Svezia. Contrapposti all’altra stirpe divina, i Vani (singolare Vanr) entrarono in guerra contro gli Asi per ben due volte arrivando poi alla pace.
[3] Così era chiamato l’alto trono di Odino, dal quale vedeva i nove mondi (Ásaheimr, casa degli Asi; Álfheimr, regno degli elfi chiari e degli elfi oscuri; Svartálfaheimr o Niðavellir, regno dei nani, e degli elfi oscuri/elfi neri (Svartálfar); Mannheimr, dov’è situata Miðgarðr, la casa degli umani; Jǫtunheimr, regno dei giganti (Jǫtunn) di roccia; Vanaheimr, regno dei Vani; Niflheimr, regno del ghiaccio e del freddo abitato dai giganti di ghiaccio; Múspellsheimr, regno del fuoco abitato dai giganti di fuoco; Hel, regno dei morti su cui governa la dea Hel).
[4] Kvasir è il più saggio degli Asi, l’unico che poteva contrapporsi a Loki. Potrebbe essere una incongruenza la presenza di Kvasir perché all’epoca della cattura di Loki è già stato ucciso da due fratelli nani (Fjalarr e Galarr) per bere il suo sangue addolcito con il miele, questo composto creò un magico idromele che rendeva poeta chiunque lo bevesse. La coppa che ospitò il sangue di Kvasir divenne una gradita offerta per i guerrieri nel Valhalla.
[5] Il famoso martello di Thor, il dio del fulmine e del tuono.
[6] Balder è il figlio secondogenito di Odino ucciso da Loki, dio del disordine, con una astuzia terribile: si tramutò in donna mortale e chiamò a sé la sposa celeste di Odino nonché madre di Balder, Frigg, per scoprire il punto debole del figlio: il vischio. Ma questa è una storia che si racconterà in un futuro articolo.
[7] Skadi è una gigantessa che venne accolta nella stirpe dei Vani dopo aver sposato il dio del vento, del mare e della navigazione Njörðr.
[8] Comparando Loki e Sigyn nel mito greco non può che venire in mente Odisseo e Penelope, l’astuto e la fedele. Ma l’incatenamento sulla roccia riporta a Prometeo. Nelle leggende caucasiche i mostri incatenati scatenano terremoti perché si dibattono sotto le torture dei serpenti.
[9] Nel Cumberland c’è una croce di pietra risalente al 900 nella quale vi è rappresentata una scena nella quale un uomo è immobilizzato ed una donna che raccoglie il veleno del serpente. Nella croce ci sono anche altri simboli con riferimenti biblici.
Bibliografia
Miti e leggende dei vichinghi, curato da Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Mondadori, 1990
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