La guerra tra gli Asi e i Vani: la leggenda vichinga sulla pace divina
“Divamparono invidie, sorsero odi, gli Asi litigarono tra loro. Alla quotidiana riunione presso la fonte di Urd, Odino tornò ad ammonire, e questa volta l’assembla degli dèi gli diede ascolto.” ‒ “La guerra tra gli Asi e i Vani”
Dopo la controversa pubblicazione de “La caduta di Loki” e de “Il dio degli impiccati” il viaggio sul mondo norreno continua con la famosa leggenda “La guerra tra gli Asi e i Vani”. Si è già discusso nei due precedenti articoli sull’etimologia della parola “vichingo” ed ora incontriamo da vicino l’alba dei tempi in cui tutto accadde e tutto fu narrato e scritto.
Protagonista una guerra, ovviamente, perché come soleva dire il filosofo greco Eraclito: “Pólemos di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re: e gli uni rivela dèi, gli altri umani, gli uni rende schiavi, gli altri liberi”. Pólemos è un termine greco che significa per l’appunto guerra, contesa.
È la contesa che abita il mortale e l’immortale (θνητός και αθάνατος): la dualità si rispecchia sia nel mondo interno sia in quello esterno. Ma la contesa può tramutare in liberi. La nostra condizione abituale è di schiavitù dalle passioni (participio passato del verbo latino pati, con il significato di patire, soffrire) e solo con una diatriba interna si può accedere allo status di liberto (libero); ma la stessa contesa può anche renderci maggiormente schiavi.
“La guerra tra gli Asi e i Vani” racconta della prima guerra mai disputata: quella tra le due grandi stirpi divine, gli Asi che abitano Asgard ed i Vani che abitano Vanaheim. Il tema della guerra fra due famiglie vicine è comune a molte mitologie, basti pensare alla Titanomachia, la guerra fra Titani e divinità dell’Olimpo. Dapprima in pace le due stirpi vivono separate ma in rapporti amichevoli, si dilettano nel gioco degli scacchi e delle arti magiche. La guerra arriva per il mancato dialogo fra le parti, un po’ come tutte le guerre (anche le nostre più recenti).
“La guerra tra gli Asi e i Vani”
“Era l’alba dei tempi. Gli Asi vivevano nella prosperità e giocavano a scacchi nelle splendenti corti celesti senza che tra loro corressero parole di odio e di falsità; ma venne il giorno in cui si insinuò in Asgard[1] e prese il nome e le fattezze di una donna, Gullveig,[2] potenza dell’oro.
Gullveig era una sibilla esperta di profezie e di quelle arti che sono la gioia e la delizia delle donne malvagie, ma aveva aspetto incantevole e modi seducenti. Quando giungeva nelle case, coloro che non vedevano al di sotto del suo fascino perverso trovavano per lei il soprannome che sembrava appropriato, e la chiamavano Splendente.
Si presentò nelle sale di Asgard, venuta da chissà dove, e gli dèi ne furono subito attratti; tutti tranne Odino che, aveva in odio le fattucchiere, non cessava di mettere in guardia gli Asi.
Tuttavia Gullveig si muoveva con mille moine, offriva bevande di ebbrezza parlando all’orecchio di ognuno del giallo metallo che dà potere supremo e piega ogni cosa ai propri fini. Così gli Asi ascoltavano la donna e non le parole di Odino, e l’oro, che fino a quel momento era servito solo come gioco generando armonia, divenne potenza malefica e corruttrice.
Divamparono invidie, sorsero odi, gli Asi litigarono tra loro. Alla quotidiana riunione presso la fonte di Urd, Odino tornò ad ammonire, e questa volta l’assembla degli dèi gli diede ascolto.
Non fu un passo facile, ma alla fine la decisione divenne unanime: proprio come l’oro è purificato nel fuoco, così Gullveig doveva trovare la sua fine tra le fiamme. Nel centro di Asgard gli Asi strinsero l’incantatrice in un cerchio fatto di lance appuntite e vi appiccarono il fuoco, ma Gullveig uscì dal rogo incolume e ancora più splendente. Per tre volte la arsero a morte, per tre volte Gullveig rinacque, giacché la sua natura era indistruttibile, come la sete di ricchezze e dell’oro.
Lasciò il recinto degli dèi e continuò le sue peregrinazioni di casa in casa, diffondendo ovunque un sinistro splendore. Gli Asi non la videro tornare, ma il germe della distruzione era stato gettato. L’età innocente dell’oro e della pace era finita per sempre.
Gullveig era apparentata con l’altra famiglia divina, quella dei Vani, che aveva dimora nel Vanaheim. Indignati per il trattamento che gli Asi le avevano riservato, i Vani decisero di esigere una riparazione, ma di tenersi comunque pronti per la vendetta: affilarono le lame delle spade e delle lance, staccarono dalle pareti i tondi scudi lucenti.
Intanto ad Asgard, anche gli Asi convenivano a giudizio per deliberare se dovessero pagare ai Vani un compenso per il danno arrecato a Gullveig, o se invece toccasse a loro ricevere un indennizzo, dal momento che l’incantatrice aveva usato contro gli dèi celesti i suoi poteri corruttori.
Mentre dibattevano sulla natura del compenso e chi ne avesse diritto, Odino dal suo alto seggio vide i Vani compiere gli atti che precedono la guerra. Allora anche gli Asi affilarono le lame e tolsero dalle pareti i tondi scudi lucenti.
Odino con in testa il casco d’oro della battaglia guidò la propria schiera nel Vanaheim e scagliò nel territorio nemico la sua lancia che paralizza gli eserciti stringendoli in un magico laccio. Tuttavia i Vani, preparati a riceverlo, opposero magia a magia, forza a forza. Ebbe così inizio la guerra, la prima che il mondo avesse mai conosciuto.
Gli Asi attaccavano, i Vani si difendevano strenuamente e passavano all’offensiva, rompevano le mura, calpestavano i campi dei nemici; gli dèi celesti facevano scudo, ricacciavano i Vani, ne devastavano le terre. Per lungo tempo si andò avanti così, con sorti alterne e con perdite e danni per entrambe le parti, finché ai contendenti la tregua parve meglio della guerra.
Si tenne nuovamente consiglio nelle sedi celesti, gli Asi assieme ai Vani, ed erano diversi i pareri su chi avesse aperto le ostilità, se entrambe le parti avessero pari dignità e diritto a ricevere un tributo; ma il desiderio di pace era comune.
Asi e Vani si impegnarono a vivere in perfetto accordo; lo proclamarono con giuramento solenne e, a garanzia delle loro buone intenzioni, si scambiarono ostaggi scelti tra i capi di maggior prestigio, perché si fondessero con le genti presso le quali venivano inviati.
Da Vanaheim si misero dunque in cammino verso Asgard Njord il Ricco e suo figlio Freyr, e con loro andò anche l’altra figlia di Njord, la bellissima Freyja, insieme a Kvasir, il più saggio dei Vani. Benché gli Asi sapessero che Njord aveva generato Freyr e Freyja con la sua stessa sorella, pratica che in Asgard era aborrita, accolsero con grandi onori gli inviati dei Vani: fecero di Njord e dei suoi figli i loro sommi sacerdoti perché presiedessero ai sacrifici, e da Freyja appresero tutte le arti magiche di cui la dea era esperta, e che erano d’uso quotidiano tra i Vani.
Da parte loro, gli Asi inviarono Honir, di bell’aspetto e di statura imponente, che ritenevano adatto al ruolo di capo in pace come in guerra, e Mimir, che in quanto a saggezza non aveva nulla da invidiare a Kvasir, l’inviato dei Vani. Quando giunsero a Vanehim, essi furono accolti con grandi onori: Honir fu fatto capo, e Mimir gli fungeva da braccio destro, pronto in ogni occasione a sostenere il compagno con i suoi accorti consigli. Tuttavia, se insieme i due formavano una coppia formidabile, quando Honir si trovava a partecipare da solo al consiglio o ad altra assemblea, e Mimir non era al suo fianco, era incerto su tutto, non sapeva come pronunziarsi. Confrontato con questioni di una qualche importanza, rispondeva sempre con le stesse parole: «Ebbene, lasciamo che siano gli altri a decidere!».
I Vani cominciarono a sospettare di essere stati ingannati, che nello scambio fosse toccato loro il peggio. Allorché dal malcontento passarono alla collera, la sfogarono su Mimir: lo decapitarono e rinviarono la sua testa agli Asi.
Odino ricevette il dono di morte con grande dolore. Prese la testa mozzata e la strofinò con erbe perché non potesse mai decomporsi, poi cantò su di essa formule magiche ignote a ogni altro, e le restituì il potere della parola, perché anche dopo la morte potesse dispensargli i suoi consigli. In questo modo il Padre di Tutto fu padrone di molte verità e di numerosi segreti, e la saggezza che era appartenuta a Mimir divenne la sapienza di Odino.
***
La pace creatasi tra le due stirpi porta all’evoluzione di un nuovo pantheon di dèi, i Vani con il passare del tempo verranno totalmente inglobati nella casata di Odino e tutti gli dèi saranno menzionati come Asi. Ma la successione degli eventi è molto confusa e le fonti portano avanti due versioni. Nella Ynglinga saga, cioè quella ivi presentata, con la decapitazione di Mimir; mentre nell’Edda in prosa, dopo le trattative di pace, Asi e Vani sputano a turno in un vaso e creano con la loro saliva congiunta un uomo molto sapiente che porterà lo stesso nome del più sapiente dei Vani, Kvasir. Lo stesso Kvasir che fu ucciso dai due nani e con il cui sangue si creò l’idromele che infonde l’ispirazione poetica (si è citato nell’articolo “La caduta di Loki”).
Note
[1] Uno dei nove regni: Ásaheimr, casa degli Asi; Álfheimr, regno degli elfi chiari e degli elfi oscuri; Svartálfaheimr o Niðavellir, regno dei nani, e degli elfi oscuri/elfi neri (Svartálfar); Mannheimr, dov’è situata Miðgarðr, la casa degli umani; Jǫtunheimr, regno dei giganti (Jǫtunn) di roccia; Vanaheimr, regno dei Vani; Niflheimr, regno del ghiaccio e del freddo abitato dai giganti di ghiaccio; Múspellsheimr, regno del fuoco abitato dai giganti di fuoco; Hel, regno dei morti su cui governa la dea Hel.
[2] La dea vichinga dell’oro, Gullveig, appare solo nell’Edda poetica.
Bibliografia
Miti e leggende dei vichinghi, curato da Gabriella Agrati e Maria Letizia Magini, Mondadori, 1990
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