Editoria 2024: 21 libri per l’inverno consigliati da Oubliette Magazine

“Carissimo, è molto facile, e tipico dell’uomo, criticare sempre lo stato presente: bada però che a corrompere le grandi nature potrebbe non essere la pace del mondo, ma piuttosto questa guerra infinita che governa i nostri desideri, e inoltre le passioni che assalgono la nostra vita, alienandola e tenendola prigioniera.” ‒ “Il Sublime” di Anonimo

Editoria 2024 libri per l'inverno
Editoria 2024 libri per l’inverno

“Una guerra infinita governa i nostri desideri” sostiene l’autore che verrà chiamato Anonimo ‒ per ovvi motivi ‒ nel celebre trattato “Il Sublime”, nel quale confuta le tesi dello storico e critico letterario Cecilio di Calatte, sottolinea la differenza tra “stile sublime” e “sublime” con numerosi esempi di poeti dell’antichità e mostra di essere prima di tutto un lettore famelico.

Ed è proprio la classica fame di libri che dà valore all’indicazione del tempio di Delfi: γνῶθι σαυτόν μηδὲν ἄγαν (conosci te stesso – nulla di eccessivo).

“Pólemos di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re: e gli uni rivela dèi, gli altri umani, gli uni rende schiavi, gli altri liberi.” Eraclito

È ormai tradizione di Oubliette Magazine celebrare il solstizio d’inverno con una selezione di 21 libri, editi nell’anno corrente, consigliati dalla redazione e da alcuni stimati lettori di Oubliette Magazine.

Se avete il piacere di unirvi a noi per raccomandare un libro che ritenete valido, potete inserire il vostro consiglio a fine articolo nella sezione Commenti indicando il titolo, l’autore, la casa editrice e qualche riga di esplicazione.

 

Editoria 2024 ‒ 21 libri per l’inverno

“Sono schizofrenica e amo la mia follia” di Elena Cerkvenič

Sono schizofrenica e amo la mia follia Elena Cerkvenič
Sono schizofrenica e amo la mia follia Elena Cerkvenič

Ne “Sono schizofrenica e amo la mia follia” (Meltemi, 2024) la narrazione di Elena Cerkvenič è toccante, e per me lo è ancora di più perché conosco Elena. Le sue parole commuovono, e portano a sentirsi insieme in quella fragilità che vorresti abbracciare e tenere al sicuro per sempre. Nella sua descrizione minuziosa risuonano le emozioni laceranti e brucianti di una sofferenza indicibile, ma anche il desiderio mai sopito di vita.

Qualcosa che accomuna Elena alle molte persone che vivono l’esperienza del disagio psichico, e a tutti noi che attraversiamo questa vita non senza fatica. Le storie di vita, come quella di Elena, sono un atto di grande generosità per chi legge perché si ha l’opportunità di incontrare idealmente chi scrive, di approssimare il suo mal-essere e conoscere qualcosa in più anche del proprio.

In tutto il racconto di Elena, il “saper essere-con-l’altro” assume un valore enorme. Nelle strade dell’animo ci si può smarrire in un disagio profondo, ma si può ritrovare la strada: questo è il messaggio della sua opera, a patto che vi sia qualcuno capace di starci accanto.

Dall’altro dipende, infatti, la possibilità di riprendere il cammino dopo una caduta, e di recuperare le forze ‒ e infine ritrovarsi. L’importanza di avere vicini i propri familiari, e di sentirsi accettata e amata nei contesti di vita, rappresenta un elemento centrale della vita di Elena, così come essere accolta dagli operatori dei Servizi di salute mentale, in una Trieste in cui questi ultimi sono sempre aperti.

“Vorrei che tutti sapessero dell’importanza vitale che il sistema pubblico della salute mentale di comunità ha per chi soffre di un grave disturbo mentale. Ascolto attivo, supporto e cure che vanno al di là dell’utilizzo dei farmaci e che assicurano a chi soffre di disturbi mentali una possibilità di mantenere delle relazioni, ma anche di inserimento sociale e lavorativo, e di protagonismo fattivo come soggetti attivi, impegnati a diversi livelli nella realtà e nel contesto sociale e culturale del territorio e della città.” ‒  p. 108

(Consigliato da Loredana Di Adamo)

 

 “1 minuto al giorno, meditazioni quotidiane” di Selene Calloni Williams

1 minuto al giorno meditazioni quotidiane Selene Calloni Williams
1 minuto al giorno meditazioni quotidiane Selene Calloni Williams

1 minuto al giorno, meditazioni quotidiane” di Selene Calloni Williams è un libro che propone 365 meditazioni che si integrano alla perfezione nella quotidianità di chiunque, trasformando ogni singolo giorno in un’opportunità per ritrovare equilibrio e serenità. Addentrarsi all’interno del volume è come avere a portata di mano una guida che, con pochi momenti, spezza il flusso ininterrotto della mente e trasforma emozioni e insicurezze in potenti alleati.

“«Krim Vasamanaya Paht.» Durante la notte e l’eclissi puoi allearti con i tuoi sogni. In meditazione, vocalizza questo mantra; cerca di ricordare le tue immagini oniriche, sia di esseri senzienti sia di quelli insenzienti, senza analizzarle, ma chiedendo loro di aiutarti nella realizzazione della missione per la quale l’anima è venuta.” ‒ Meditazione 132

La tecnica “OMI – One Minute Immersion” è il frutto di un’esperienza che, condivisa con psicoterapeuti, medici e life coach, è ormai diventata parte integrante delle loro attività professionali. Ora, finalmente, è disponibile anche per chiunque desideri portare consapevolezza e leggerezza nella propria vita, anche nelle giornate più frenetiche. Un piccolo gesto quotidiano può fare una grande differenza.

I mantra, come l’antico “Om Mani Padme Hum” non sono semplici parole, ma vere e proprie vibrazioni profonde che risvegliano un senso di libertà e gioia. Ogni pagina de “1 minuto al giorno, Meditazioni quotidiane” invita a fare un piccolo passo verso la trasformazione, offrendo uno strumento semplice ma incredibilmente potente per prenderti cura di te stesso.

Con “1 minuto al giorno, meditazioni quotidiane”, edito da Piemme nel novembre 2024, non si sta solo scegliendo un libro, ma un nuovo stile di vita – un metodo che renderà la tua quotidianità più consapevole e appagante. Il mio consiglio è di aggiungerlo alla propria vita oggi per scoprire quanto può essere straordinario il potere della meditazione quotidiana: basta 1 minuto al giorno!

“«Concentratevi in me ed espandetevi in ogni luogo HAM.» I leggeri araldi della parola e della fama sono nel quinto chakra al centro della gola. Sono spiriti leggeri e richiedono semplicità, velocità, azzardo e godimento. Mentre sei consapevole del piacere di respirare, poni la concentrazione sulle parole della formula proposta e recita il mantra «Ham» a ogni espirazione.” ‒ Meditazione 285

(Consigliato da Morgan K. Barraco)

 

“Arsenico e altri veleni. Una storia letale del medioevo” di Beatrice Del Bo

Arsenico e altri veleni di Beatrice Del Bo
Arsenico e altri veleni di Beatrice Del Bo

Testo dal titolo accattivante, che anticipa un contenuto altrettanto accattivante, “Arsenico e altri veleni. Una storia letale del Medioevo” dell’autrice Beatrice Del Bo è stato pubblicato nel 2024 dalla casa editrice il Mulino.

Titolo invitante quindi, che evoca un senso del mistero nei secoli bui del Medioevo. Stagione dei secoli bui per definizione, il Medioevo, che però non lo erano neppure troppo, in quanto messaggeri di un mondo che si sarebbe aperto a trasformazioni importanti. Scelta del titolo che richiama alla mente un senso dell’arcano, promettendo al lettore un viaggio in un mondo oscuro e misterioso, che con realtà intriganti manifesta la fragilità umana, e in cui l’impiego dei veleni occupa un posto di rilievo. Realtà, quali per esempio la vendetta, la giustizia, la precarietà delle relazioni fra gli uomini, e non ultima la moralità.

Questioni tutte, che da sempre gravano sull’esistenza dell’uomo condizionandone il percorso.

È a partire da fonti storiche assolutamente attendibili, che l’autrice vuole smontare, se così si può dire, alcuni falsi miti che da sempre gravitano intorno a un fenomeno che ha affascinato, e al contempo intimorito, l’umanità per secoli: l’uso del veleno.

Elemento che coinvolgeva uomini e donne dei diversi ceti sociali, con infiltrazioni sia nelle corti nobiliari quanto nei mercati e nelle taverne. Che era sì strumento di morte, ma anche di cura, oltre che simbolo di autorità e controllo. Capace di sconvolgere le dinamiche del potere e della vita quotidiana, il veleno, con tutte le conseguenze del suo impiego, era un nemico spesso invisibile.

Corredato, nella parte centrale del testo, di immagini iconografiche esemplificative, che danno la dimensione dell’impiego dei veleni e dei suoi effetti nei tempi passati.

Narrazione ricca di tensione e di suspense, che tiene il lettore con il fiato sospeso,” Arsenico e altri veleni” racconta di personaggi, ben delineati pur nella loro complessità, descritti con le proprie lotte interiori e le conseguenze di tali stati emotivi.

La struttura narrativa del testo gode di punti di vista multipli e di flashback volti a svelare segreti e verità nascoste con l’intento di creare suspense, oltre che un ampio coinvolgimento. Sviluppato con stile evocativo e arricchito da minuziosi particolari, il testo dà al lettore la spinta opportuna per immergersi nell’atmosfera del libro, che con i suoi rimandi è soggetta a vivide descrizioni e marcati dialoghi per dare all’esposizione un tocco di realismo.

(Consigliato da Carolina Colombi)

 

“La Russia moralizzatrice” di Marta Allevato

La Russia moralizzatrice Marta Allevato
La Russia moralizzatrice Marta Allevato

Molti tendono a interpretare l’attuale guerra d’invasione dell’Ucraina in termini quasi esclusivamente militari, politici o economici, trascurando un aspetto non secondario della questione, che è costituito dalla nuova ideologia antioccidentale propagandata da Putin.

In questo breve saggio “La Russia moralizzatrice” (Piemme, 2024), Marta Allevato, giornalista della redazione AGI di Roma, dove si occupa di Russia, spazio postsovietico e Iran, descrive in modo documentato il processo di trasformazione sociale in senso conservatore in atto da più di quindici anni in Russia.

Allevato, che si può avvalere della sua esperienza di free-lance svolta in Russia dal 2010 al 2018, spiega come, per Putin, attraverso la costruzione di questa nuova ideologia antioccidentale, reazionaria e conservatrice, diviene anche possibile giustificare la guerra neoimperialista che lui ha voluto chiamare “operazione militare speciale”. Quest’ideologia presuppone un nuovo patto sociale, in base al quale, a fronte del disinteresse del cittadino per la politica, lo stato garantisce sicurezza e benessere.

Per il dittatore russo la necessità è quella di fornire una nuova identità ai russi, a partire da una netta contrapposizione all’Occidente, da lui descritto come decadente e corrotto. Chi, meglio della Chiesa ortodossa poteva fornire una nuova fede in sostituzione del vecchio ateismo di stato di derivazione ideologica? Chi, se non il metropolita Kirill, eletto nel 2009 come Patriarca, poteva essere il miglior alleato di Putin in questa rifondazione di un’ideologia di stato? Liberalismo, secolarismo, pacifismo, omosessualità e femminismo sono i principali bersagli al centro di questa moderna crociata. Il concetto che sviluppa Kirill è che il rapporto tra Stato e Chiesa deve svilupparsi in un’operosa unità d’intenti e distribuzione delle responsabilità.

A fine libro Allevato ha aggiunto un paragrafo molto utile e illuminante, nel quale è stata inserita la cronologia dei passaggi politici e legislativi principali facenti parte della crociata per i valori tradizionali e della lotta all’Occidente a partire dal 2007. Da questi passaggi risulta chiaro come in Russia si stia trasformando la Costituzione in un Manifesto ideologico dello Stato tale da eliminare ogni residua forma di democrazia di tipo liberale. Ciò che Allevato sottolinea, infatti, è come questa crociata non sia indirizzata solo verso il mondo esterno, rappresentato dal “diabolico Occidente”, ma anche contro ogni tipo di opposizione o dissenso interno.

Marta Allevato conclude il libro con una raccomandazione, che mi sento di condividere in pieno, quella di «non distogliere l’attenzione dal “secondo fronte” della guerra», vale a dire quello interno, perché sarà certamente quello nel tempo più dirompente, andando oltre gli esiti dell’attuale estenuante guerra in Ucraina.

(Consigliato da Algo Ferrari)

 

“Magia bianca” di Lucy Maud Montgomery

Magia bianca di Lucy Maud Montgomery
Magia bianca di Lucy Maud Montgomery

Il libro su cui desidero richiamare l’attenzione è “Magia bianca” di Lucy Maud Montgomery edito da Mattioli 1885 in una ristampa del 2024.

Le sette short stories che costituiscono il libro “Magia bianca” appartengono a quel genere letterario che l’autrice ha maggiormente praticato durante tutto l’arco della sua vita. I primi due testi, Magia bianca e Fuori dal silenzio, sono prodotti della maturità, caratterizzati da uno stile e da tematiche in parte ‘nuove’ rispetto a quelle comunemente impiegate nei racconti.

Un sacrificio redentore e Per il bene di Anthony nascono entrambi sulla scia del successo di “Anne di Green Gables”. Perché non chiederlo a Miss Price? e Il bouquet di Janie sono invece due testi ideati negli stessi anni della stesura di Anne. Il racconto conclusivo, Il pranzo di Capodanno dello zio Richard, è invece uno dei numerosi testi ad ambientazione natalizia.

Aggiungo che ho letto questi brevi racconti con grande piacere e interesse, ritrovandomi immersa in quel periodo storico di fine Ottocento caratterizzato da un certo tipo di rapporti famigliari e amicali, spesso ricostruibili attraverso le lettere e le confidenze che animavano la vita in particolare delle donne. Riporto alcuni passi tratti dal racconto intitolato Fuori dal silenzio e incentrato sull’amicizia tra due vecchie amiche ineluttabilmente separate dalla morte di una di esse.

“Anne aveva conosciuto abbastanza dolore nella sua vita per sapere che anche il rimpianto più amaro, quando in esso non c’è del rancore, col tempo svanisce in un’accettabile dolcezza e nella tenerezza del ricordo… Pensavamo di aver litigato? E credevi di essere andata in Italia stizzita con me? Tutti sogni. Non può esserci una lite tra noi ‒ non potrebbe mai esserci, dal momento che io ti voglio così tanto bene e tu ne vuoi a me. Non ci penseremo mai più. Mando questa lettera e il ritratto per il tuo compleanno.”

Dell’ultimo racconto Il pranzo di Capodanno dello zia Richard in cui il tema è il riavvicinamento tra due fratelli in occasione delle feste natalizie.

“Ti sono molto grato Prissy e devo ammettere che mi dispiace per la mia parte nel litigio e che desideravo da molto tempo tornare amico di tuo padre, ma ero troppo timido e orgoglioso per fare il primo passo. Puoi dirglielo per me, se vuoi. E se è disposto a metterci una pietra sopra, digli che vorrei che venisse qui con te stasera, quando torna a casa, per passare la serata insieme a me.”  

(Consigliato da Giovanna Fracassi)

 

“La Filonzana” di Sara D’Andrea

La Filonzana Sara D’Andrea
La Filonzana Sara D’Andrea

Avevo da tempo il manoscritto de “La Filonzana”, conosco Sara D’Andrea che mi aveva dato il file digitale per avere una mia opinione prima della pubblicazione del romanzo, ma devo confessare che ho disatteso questa richiesta, sono ancora viziato dalla necessità di leggere i libri in versione cartacea.

Ai primi di settembre appena pubblicato con Edizioni Clandestine l’ho comprato senza neanche conoscere la trama e ho deciso di leggere le prime pagine, giusto per farmi un’idea. Ho chiuso dopo averne lette circa ottanta, tutte d’un fiato, e avrei continuato se l’orologio non mi avesse detto che erano le due di notte e la vocina dentro la mia testa: «Domani mattina devi andare a lavorare!»

Ci sono romanzi che toccano corde così profonde, originarie, che sembrano chiamarci per nome. È quello che accade con “La Filonzana”, fin dalla prima pagina, quando la misteriosa figura che tutti in paese chiamano “Sa Filonzana” e che forse non ricordava più il suo vero nome che vive da eremita in una casupola buia vicino al paese si mostra con i suoi ripetitivi riti e vaga tra i ricordi di un passato inenarrabile, celato. Una persona che in paese tutti credono abbia il potere di decidere della sorte degli altri. “La Filonzana” è un romanzo storico che presenta una storia di cultura e tradizione e che racconta alcune usanze e superstizioni della Sardegna.

Ambientato nel giugno del 1860, in un paese della Sardegna, vediamo da subito una comunità che si prepara a festeggiare il santo patrono. Beatrice, ragazza bella e chiacchierata, anche per le sue misteriose pratiche di morte a maleficio, attira le attenzioni di Jaccu e di Iginio Ferru, marito di Rita Mattana, ricca possidente, a servizio dei quali lavorano Jaccu e Beatrice. Dopo alcuni avvenimenti Rita deciderà di rivolgersi alla Filonzana per riuscire a rimanere incinta. La trama di impronta deleddiana è avvincente e ricca di riferimenti storici documentati da fonti ufficiali.

Lo stile dell’autrice è molto fluido, la lettura scorre veloce, pagina dopo pagina. Sono presenti dialoghi in dialetto (con note di traduzione), il tutto serve a rendere la storia più vera e a creare un ambiente palpabile al lettore.

Ne consiglio la lettura, un libro a volte crudele, ma in grado di toccare in modo profondo le emozioni di chi si perde nelle sue pagine.

(Consigliato da Franco Carta)

 

“Ultimo quadro d’amore” di Larry Tremblay

Ultimo quadro d'amore di Larry Tremblay
Ultimo quadro d’amore di Larry Tremblay

Nel 1963 Francis Bacon è all’apice della carriera; come già la Tate Gallery, il Museo Guggenheim di New York ne ospita una retrospettiva. Alla fine dello stesso anno, il pittore dublinese incontra George Dyer; ventinove anni, bello e maudit, ladro dell’East London. Bacon lo vuole come modello, diventeranno amanti; la relazione burrascosa avrà un epilogo tragico. Il trittico In memory of George Dyer è un atto d’amore postumo; è anche il compimento di un lungo processo creativo. Lo scrittore canadese Larry Tremblay trasfigura la storia artistica e sentimentale che lega Bacon a Dyer; il romanzo Ultimo quadro d’amore (Bordeaux edizioni, 2024, pp. 141, trad. di Paolo Bellomo) è liberamente ispirato all’opera del pittore e ad alcuni episodi della sua vita. È una sorta di epicedio affidato alla voce di Bacon; tra introspezione e memoria, egli si rivolge a George ma è se stesso che interroga. Come Oreste, Francis è perseguitato dalle Erinni; instancabili, implacabili, gli ricordano la colpa. Ha abbandonato alla sua sorte l’uomo che amava; ha peccato di codardia. Confiteor; mai alcuna compassione né slancio di bontà verso George.

Leggere Ultimo quadro d’amore è come camminare a piedi nudi su schegge di vetro; quella di Tremblay è una prosa sanguigna, carnale. Il corpo, la carne; presenze ossessive nella vita e nell’opera di Bacon. Il corpo è terra di mezzo; le due attività, artistica e sessuale, convergono in quel centro.

“Avevo sempre dipinto carne: mi ero accanito a far straripare dal corpo umano la sua parte di animalità, e esibire lo spasmo della sua sessualità intralciata. […] Avevo messo in scena l’assurdità della condizione umana, la sua disperazione, la sua crudeltà, e l’assenza di una qualsivoglia eternità salvifica.”

Bacon nasce due volte. Viene al mondo dal grembo della madre; viene messo al mondo dallo sguardo del padre. Quella repulsione è forza creatrice; lo cristallizza in un’immagine piena di sporcizia, non priva di qualche misero piacere. Il suo corpo di bambino riceveva staffilate; quella carne ancora non distingueva il dolore dal piacere. Li confondeva, li masticava; li ha vomitati in un grumo altro di esistenza. In quel lembo ‒ o limbo ‒ non del tutto umano, Francis ha imparato a sopravvivere; si è costretto a trarre piacere dalla sofferenza. Nella relazione con George, si replica il moto perpetuo della sua vita; l’oscillazione perenne tra quei due opposti.

(Consigliato da Tiziana Topa)

 

“Il primitivo del sogno” di Teresa Maresca

Il primitivo del sogno di Teresa Maresca
Il primitivo del sogno di Teresa Maresca

Teresa Maresca è un’artista poliedrica. I suoi lavori pittorici, spesso organizzati in cicli, testimoniano di uno stile personale ma duttile a suggestioni diverse: se in Swimming Pools o nel ciclo Americana si può riscontrare come radice certa arte statunitense (da Edward Hopper a Eric Fischl), il recente Songs of Myself, ispirato da poesie di Walt Whitman, sembra potersi accostare, come figurazione, alla produzione dei Neue Wilden tedeschi; fino agli ultimissimi, delicati, lavori di piccole dimensioni, la cui stilizzazione è dichiaratamente influenzata dall’arte tradizionale dell’estremo oriente, in particolare quella giapponese.

Non si tratta di influenze soverchianti, ma di confronti che esplicitano la continua ricerca sulle forme e sui materiali di un’artista che mantiene nondimeno uno stile del tutto personale. E con questo prezioso volumetto, Il primitivo del sogno, Maresca ci offre una serie di riflessioni che ci aiutano ad entrare nel cuore della sua poetica.

Vi sono infatti delle tematiche, o forse meglio: delle attenzioni che attraversano la produzione della pittrice. La Natura, l’ecologismo come rapporto empatico con essa, ma anche l’interesse per l’arte paleolitica e la pittura rupestre – a sua volta collegato con l’idea dell’artista-sciamano – sono cifre importanti nel lavoro di questa artista.

Ne Il primitivo del sogno (Algra Editore, 2024) sembra funzionare molto bene proprio l’alternarsi di capitoli dedicati ad autori e temi cari all’autrice con le dichiarazioni di poetica – sintetiche ma efficaci – a quegli stessi temi collegate. E forse ancora più interessante è il racconto del processo creativo, descritto nel suo svilupparsi dalle suggestioni originarie alla scelta del medium fino alla realizzazione dell’opera. Il tutto esposto con semplicità in uno stile di scrittura limpido ed elegante.

Il sottotitolo del volume è Walt Whitman e l’arte dalla natura: dalla grotta di Chauvet a Brancusi, dalla Land Art a Beuys, dagli Yanomami della foresta amazzonica ai nativi americani, da Whitman a Dylan Thomas, questo volume costituisce anche un affascinante percorso interculturale e interartistico.

(Consigliato da Sandro Naglia)

 

“Come l’arancio amaro” di Milena Palminteri

Come l’arancio amaro di Milena Palminteri
Come l’arancio amaro di Milena Palminteri

L’arancio amaro dai frutti asperrimi diventa un importante arbusto su cui innestare frutti dolcissimi, esattamente come il corpo femminile da sempre sottomesso.

Carlotta mia, io dell’arancio conosco solo le spine e ormai non mi fanno più male. Ma il profumo del suo fiore bianco è il tuo, è quello della libertà. Prega per me, figlia mia e fatti albero di arancio amaro, con le spine e con i fiori.”

Sono le parole che la madre rivolge a Carlotta ne “Come l’arancio amaro” (Bompiani, 2024) che racconta la storia di tre donne a partire dagli anni ‘20 fino agli anni ‘60 in una Sicilia dove è difficile avvertire i cambiamenti. La domanda che si percepisce è: a cosa serve essere giovane, piena di idee e progetti se sei nata nel tempo sbagliato e nel luogo sbagliato?

E le nostre protagoniste cercano, anche inconsapevolmente, di trovare il senso dell’essere donne in un mondo che continua a scegliere al posto loro.

Agrigento anni ‘60. Carlotta ha 36 anni, il suo sogno da sempre era quello di esercitare la professione di avvocato e per questo studia legge, ma al momento di iniziare il suo lavoro viene consigliata da uno zio acquisito di fare il concorso come archivista perché l’avvocatura non è cosa da donne. Ma è proprio nell’Archivio che scoprirà un segreto che coinvolge le altre due protagoniste di questa storia.

1924: la giovane Nardina, spinta dalla voglia di affermazione sociale di sua madre, invece di seguire il suo sogno di laurearsi, sposa il nobile Carlo Cangialosi e di fatto rientra nel ruolo stabilito per le donne: essere mogli e madri. Ma la giovane non riesce a rimanere incinta e questa colpa, che si dà per scontato che sia sua, la avvolge sempre più come un’ombra.

E qui entra in gioco un’umile serva, Sabedda, figlia del fattore di casa Cangialosi, bella, indomita e selvatica che cede alle lusinghe del cugino del barone Carlo rimanendo incinta di un figlio che non potrà sfamare e che porterà il disonore su suo padre.

A questo punto viene messo in atto dalla madre di Nardina, Bastiana, e da certo don Calogero, un piano scellerato che cambierà il destino di tutti.

L’autrice, Milena Palminteri, esordisce con un romanzo intenso sostenuto da una lingua ricca di sfumature dialettali e popolato da personaggi che con fatalismo ma anche fierezza abbracciano i loro destini non avendo la forza di cambiarli.

(Consigliato da Beatrice Benet)

 

“Pillole di letteratura” di Isabella Mastino

Pillole di letteratura di Isabella Mastino
Pillole di letteratura di Isabella Mastino

Puoi seguire l’indice per orientarti in una scaletta stile patchwork. Oppure no: l’ordine degli argomenti è che non c’è ordine. Si spazia liberi perché gli argomenti sgomitano tra loro per emergere, creando quel caos da cui nascono le idee, le visioni, l’arte.

Un patchwork letterario appunto, cucito con stile, con colori che cozzano, ma che insieme creano quell’armonia capace di accendere sensazioni e quella luce che è la risultante di tutti i colori, e che dai colori trae forma e vita.

Chi conosce Isabella Mastino, scrittrice sassarese, sa che nelle sue pagine ama comporre quadri, spesso quadri di autori classici, attraverso le sue visioni. Come se riuscisse a trovare l’anima nelle grandi pagine della letteratura e ce le servisse accese dalle sue emozioni. È lì che le pagine ingiallite sono pagine di oggi, e che ci fanno guardare dentro di noi.

Sto parlando di Pillole di letteratura (Echos edizioni, 2024) di Isabella Mastino, un saggio che affronta tanti argomenti tra cuore, cervello e emozioni passando al settaccio, come un cercatore d’oro, le fantastiche pagine eterne di Grazia Deledda e Lev Tolstoj.

Si teme che i classici possano essere impolverati dalla memoria degli anni, ma nelle Pillole di letteratura della Mastino trovano una grandissima forza d’attrazione.

Gli argomenti si schierano davanti al lettore in maniera del tutto libera, forse anarchica. Si spazia dall’amore, alla gelosia, dal destino alla religione, dalla follia alla rinascita, al mare e alla speranza finale. Gli argomenti sono ventitré e tessono avventure e riflessioni dei classici, con le considerazioni di una autrice di oggi. Così tutto diventa attuale, attuale per noi. Perché alla fine i protagonisti siamo noi.

Siamo noi, perché dentro ogni buon libro c’è tanto di noi. Noi, con i nostri demoni, le nostre passioni, le nostre sconfitte e ogni tanto quella micidiale forza traente che ci porta a cercare di capire cosa ci circonda e dove siamo.

Sì, Isabella Mastino ci fa vedere che, anche oggi, ce lo possono insegnare Grazia Deledda, Tolstoj, ma anche Dickens, o Tomasi di Lampedusa, o Cervantes, o Jodorowsky. Da loro a noi, dalle loro pagine alle nostre sensazioni. E la magia del saggio è servita.

(Consigliato da Pier Bruno Cosso)

 

“Oltre il muro Gaza” di Beatrice Benet e Shadi AlQarra

Oltre il muro Gaza
Oltre il muro Gaza

Citazioni, racconti, poesie, interviste e fotografie. “Oltre il muro Gaza – Beyond the Wall Gaza” (Amazon 2024, di prossima pubblicazione Tomarchio Editore) si presenta al lettore nelle varie sfaccettature dei due autori: Beatrice Benet e Shadi AlQarra. Un’opera che mostra la resistenza di un popolo, quello palestinese, che affronta ogni giorno dal 1948 la condizione di incertezza di appartenenza alla terra natìa, situazione che negli ultimi anni si è aggravata a causa della ripresa dello storico conflitto esistente.

“Una normale giornata di mare se non fosse che qui siamo a Gaza dove nulla è normale e dove all’improvviso ogni scenario può cambiare e diventare luogo di tragedia.”

Ogni fotografia del palestinese Shadi AlQarra è accompagnata da un inserto letterario in lingua italiana ed inglese. Il volume si presenta come una miscellanea di brani dell’autrice Beatrice Benet, sono presenti alcune preghiere in arabo ed anche una selezione di citazioni di persone che hanno cercato di cambiare il mondo mostrando la concreta possibilità di pace fra i popoli.

Il progetto nasce dalla volontà dell’autrice Beatrice Benet di aiutare l’amico fotografo Shadi AlQarra che, attualmente, vive in Palestina e precisamente a Gaza con la moglie ed i suoi quattro figli in una situazione di estremo sconforto e disagio, nella quale anche il fabbisogno alimentare giornaliero diventa una lotta per la sopravvivenza. Infatti, il ricavato dalle vendite del libro fotografico “Oltre il muro Gaza ‒ Beyond the Wall Gaza” sarà devoluto in beneficenza in Palestina.

Il volume è impreziosito dalla prefazione di Moni Ovadia:“Questa breve opera di Beatrice Benet è densissima e fortemente intensa. Ogni foto ci guarda e ci sollecita, ogni racconto, cronaca, o narrazione tradizionale ci chiede di uscire da un orizzonte statistico dell’orrore per farci ricordare che il nostro primo dovere è quello di restare umani, di riconoscere il nostro simile nella sua dignità.”

(Consigliato da Alessia Mocci)

 

 “Il fiato lungo delle cose” di Nadia Alberici

Il fiato lungo le cose Nadia Alberici
Il fiato lungo delle cose Nadia Alberici

“Porgimi suoni e voci/ Una peluria di luce mi ha acceso/ oscilla e vibra al vento/ Sgrondo linguaggi che deturpano i visi// […]” ‒ “Il mio becco è vuoto”

Il fiato lungo delle cose”, edito nel 2024 dalla casa editrice mantovana Negretto Editore, è la quarta raccolta poetica di Nadia Alberici.

L’esordio nel mondo letterario risale al 2015 con “Terre incolte”, pubblicata da Gilgamesh Edizioni, a cui fanno seguito nel 2018 “Mi prende d’amore una forma” in coedizione tra Negretto Editore e Gilgamesh Edizioni e “Cuciture” pubblicata nel 2019 dalla Fondazione Ponchiroli di Viadana in un numero limitato di copie.

Come nelle precedenti pubblicazioni, nelle liriche di Nadia Alberici si coglie la necessità di esplorare l’istante vivo del verso nel suo palesarsi in frammenti, visioni, connessioni.

“Dicono che fosse lì la vita/ Versando lei passi corti/ Fra le pietre, il fazzoletto legato dietro alla testa/ e la vestaglia a fiori tra polvere e malgasci// […]” ‒ “Tutto in ogni filo”

Dalla prefazione: “[…] La poesia di Nadia non ha finalità morali, non si cura di lasciare messaggi di tipo etico o politico, vuole solo “dire la verità” (la propria): una verità adeguata alla vita, che diventi uno strumento di conoscenza riproducibile nell’esperienza concreta di tutti noi. Le immagini suggestive, quasi sempre inedite, di cui Nadia felicemente si avvale, nascono proprio da questo sguardo che cerca l’altrove, e che sperimenta il dolce naufragio – di leopardiana memoria – di ogni parola comune, ovvero del banale ripetitivo ambito della comunicazione intersoggettiva o sociale quotidiana. […] Dal senso di smarrimento, dalle frequenti inattese esitazioni, l’autrice mostra sempre di riprendersi, lasciando scorrere i suoi fantasmi, i suoi sogni o incubi, o speranze, per far emergere con dolce equilibrio le verità sommerse. Rispetto alle tre precedenti raccolte pubblicate da due diverse case editrici e da una Fondazione culturale, ora Nadia mi sembra collocarsi ad una più giusta distanza rispetto alle stesse sue parole: sembra contemplarle come oggetti scultorei a lungo elaborati, che si possono perennemente ritoccare o perfezionare, mai sostanzialmente trasformare. […]”

(Consigliato da Silvano Negretto)

 

“Invernale” di Dario Voltolini

Invernale di Dario Voltolini
Invernale di Dario Voltolini

Il romanzo “Invernale” (La nave di Teseo, 2024) di Dario Voltolini si apre con la descrizione di una zona del mercato di Torino dove Gino, il padre dell’Autore, svolge il suo mestiere di macellaio.

Nelle prime pagine de “Invernale” ci si imbatte in crude diapositive della merce ‒ la carne ‒ e si descrive come venga tagliata, lavorata, esposta in vetrina per renderla accattivante all’ acquirente. Viene da dire che forse l’incipit può fuorviare e spingere il lettore a desistere dal continuare la lettura. Ma ben presto ci si accorge che si tratta di un libro speciale, originale per il narrato inusuale, con ricorrenti immagini e metafore davvero sorprendenti. Si generano così descrizioni che sobbalzano sul rigo come una musica costituita da suoni crudi e note dolcissime.

Nello specifico parlo del comparire all’improvviso nel bel mezzo di una prosa realistica delle vere pennellate di poesia: “La lattescenza del mattino. Ci sono mangrovie che piovono legno nell’acqua, fanno cattedrali che si specchiano in laghi senza trasparenza, sbarre che irretiscono tutta la scena in una geometria di gabbia. Ci sono aurore boreali che sventagliano nei cieli gelati come scogliere che disperatamente vogliono emanciparsi dall’assalto dell’oceano […]”

Il figlio, con una narrazione pulita a tratti toccante, conduce il lettore nella vita del padre. Gino è un uomo che dal primo all’ultimo paragrafo appare taciturno per indole, ma umanissimo e dignitoso.

L’Autore diviene così il portavoce dell’anima perla del suo genitore. Racconta il suo vivere di impegno lavorativo corredato di interessi stabili, tra i quali spicca il vizio della sigaretta nazionale e soprattutto il trasporto passionale per il calcio. Esperto di tale gioco, sa egli per l’appunto esplicitare la dinamica occulta di una partita, sa soppesare le traiettorie del pallone, prevedere le mosse successive, divenire quasi l’oracolo del risultato. Suo altro hobby è la caccia, durante la quale si apposta con mira precisa, come fa il giocatore proiettato a fare goal. Una vita così dunque! Con poche pretese, ma con una propria magia, dedizione e sacralità.

Ma poi un brutto giorno, mentre imprime coltellate ai pezzi di carne da vendere “il coltello devia sul suo dito pollice […] il dito si stacca dalla mano, ma non completamente […] Il sangue di lui si mescola a quello freddo della bestia […]”

Al lettore non togliamo il piacere della scoperta. Ne consiglio la lettura.

(Consigliato da Antonietta Fragnito)

 

“White people rape dogs” di Jacopo Iannuzzi

White people rape dogs di Jacopo Iannuzzi
White people rape dogs di Jacopo Iannuzzi

In un’imprecisata località del Nordest, indecisa fra la provincia e la metropoli, tra le montagne e il mare, Remo trascorre il tempo cercando di dare un senso alle proprie giornate. Remo non studia, non lavora, e alle sagome uniformi che affollano una normalità che sa troppo di artificio, preferisce la compagnia di amici che magari quasi tutti definirebbero improbabili ma che, come lui, più o meno consapevolmente, lottano per “non rassegnarsi al silenzioso dolore del tempo che passa e restare svegli anche oggi un minuto in più”.

Come ghostbuster del secondo millennio, Remo e i suoi sodali ondeggiano in un altrove quotidiano affollato da una panoplia di umanità lucidamente votata a non varcare la fatidica soglia della cosiddetta normalità, un altrove però stabile, mentre là fuori tutto è mutevole. Tipi segnati da una biografia dispari, che si muovono in un mondo a parte, fluttuanti al di fuori dalla banale cornice della normalità; tipi che non hanno destini da compiere, che non precipitano nella prosaica trama della vita; tipi in uno stato cosciente di assenza mentale, magari in fuga dal dolore, anche prigionieri delle proprie ossessioni, vagabondi metropolitani sospesi in un proprio continuum spazio temporale, dove ogni cosa succede da qualche altra parte.

Esordio letterario di Jacopo Iannuzzi, “White people rape dogs” è stato pubblicato da Einaudi nel 2024 nella collana Stile Libero, subito si è distinto vincendo il premio Calvino. Il romanzo ci consegna una voce poetica ma nello stesso tempo ruvida, che non fa sconti. Una voce aspra ma struggente che, come riportato nella quarta di copertina, “squarcia il velo della narrativa italiana contemporanea”.

“Jem ci ha presentati, lì sulla porta. Lei ha allungato la mano per stringere la mia, che ho sbrogliato dalla tasca del giubbotto come se non me l’aspettassi. Mi è sembrato di stringere una piuma, senza peso. Una piuma bianca sottile come il lino. Era fredda e leggera. Poi lei si è spostata i capelli dietro l’orecchio e ci ha fatti entrare.”

(Consigliato da Maurizio Fierro)

 

“Belletti e il Lupo” di Paolo Scardanelli

Belletti e il Lupo di Paolo Scardanelli
Belletti e il Lupo di Paolo Scardanelli

Belletti e il Lupo, Un caso del commissario Belletti” di Paolo Scardanelli, edito da Carbonio Editore nel 2024, ci catapulta nella città di Milano e la coltre di nebbia che si insinua sul paesaggio avvolgendo e mistificando ogni cosa, il commissario Belletti e due casi che impongono un’attenta analisi dei fatti e di sé stesso, in relazione alla società; il tutto intrecciato alla vita familiare e personale dello stesso ispettore in una scelta narrativa magistrale. Antagonista del commissario il lupo personaggio ricorrente nella narrativa che simbolicamente rappresenta il male o il pericolo, ma nel contempo il lupo rappresenta libertà anarchica, forza temibile, connessione con la natura, una natura che in sé stessa rappresenta l’immancabile dualità della vita. Quali sono le similitudini tra il lupo e l’uomo? I lupi sono caratterizzati da un elevato grado sociale composte da unità familiari con una definita gerarchia: capobranco, gerarchia dominante con i suoi privilegi e poi a seguire. Nella narrativa, spesso, rappresenta la sfida, la minaccia da vincere; e per il nostro protagonista? Rappresenta simbolicamente vizi e virtù della specie umana, sviscerato in un’accurata analisi della spietata e crudele irrazionalità istintiva dell’individuo, contrapposto a chi invece è pregno di senso di giustizia, dovere e determinazione nell’affermarne l’essenza come il commissario Belletti. L’effimero senso di potere e onnipotenza contro il senso di giustizia.

“Gli uomini si nutrono della luce per meglio illuminare l’oscurità.”

Un ritmo di vita scandito dall’alternanza di bene e male e tutti gli elementi in contrapposizione insiti nella natura umana, alla ricerca di un’armonia necessaria al proprio star bene, un continuo trasmutare di emozioni e della propria essenza: una continua metamorfosi che può rappresentare ricerca della verità, della giustizia o appagamento dei propri desideri, una via di fuga o un ritorno. A volte è necessario perdersi per ritrovarsi oppure solo perdersi? In questo continuo peregrinare tra luce e oscurità Paolo Scardanelli fa vivere al lettore un viaggio introspettivo personale e sociale ricco di spunti di riflessione, ben intrecciato alle indagini e alla ricerca più attenta delle caratteristiche dei personaggi del romanzo. Sta all’individuo decidere quale impronte lasciare di sé.

“Siamo bruchi che divengono crisalidi, quindi farfalle pronte a spiccare il loro disincantato volo, battendo silenziosamente le ali, ma cambiando questo mondo col loro battere d’ali.”

(Consigliato da Simona Trunzo)

 

 “James” di Percival Everett

James di Percival Everett
James di Percival Everett

“Estrassi il libro dalla sacca. Controllai che Huck stesse ancora dormendo e poi lo aprii. L’odore delle pagine era meraviglioso. ‘C’era in Westfalia…’  Ero altrove. Non su un lato di quel maledetto fiume o sull’altro. Non ero sul Mississippi. Non nel Missouri.”

È l’io narrante di James (La nave di Teseo, 2024) di Percival Everett, che dopo averci trasmesso l’emozione di chi s’accinge al rito della lettura, legge l’incipit del libro scelto come suo primo romanzo. Lo schiavo negro procede tuttavia furtivamente, di nascosto perfino del suo amico, perché un negro che sa leggere è gravemente sospetto, può rischiare la vita. E si tratta, non a caso, del Candido di Voltaire, un testo d’intramontabile attualità, una parabola universale sulla grandezza e la miseria dell’uomo che si misura con la storia e con la natura. Gli stessi elementi coi quali si trovano a fare i conti i personaggi di James navigando sul Mississippi, fiume che giganteggia sull’intera storia.

Si viene così trascinati lungo il percorso di eroi già protagonisti di un altro romanzo celeberrimo, Le avventure di Huckleberry Finn di Marc Twain, in cui il giovane Huckleberry s’imbarca su una zattera insieme a James, lo schiavo fuggiasco, e con lui s’avventura sul Mississippi. I due compiono sostanzialmente lo stesso viaggio per trovarsi coinvolti in traversie consimili. Chi conoscesse il celebrato libro di Twain ‒ dal quale secondo Hemingway nascerebbe addirittura la letteratura americana (lo si prenda come consiglio di lettura parallelo) ‒ potrebbe chiedersi: perché dunque leggere James? Perché, qui io rispondo, se nel rileggere un romanzo si ha la sensazione di scoprire un romanzo diverso, a maggior ragione nello scrivere un libro già scritto (col suo Pierre Menard Borges insegna) non si può che scriverne uno diverso.

A partire dall’Iliade, la riscrittura di storie sulla falsariga di libri famosi non è una particolarità del libro che consiglio; tra i più recenti mi viene in mente quello, pure bellissimo, di Björg Larsson, La vera storia del pirata Long John Silver, che ha per protagonista l’indimenticabile personaggio de L’isola del tesoro di Stevenson. E anche in James, come abbiamo visto, protagonista narrante non è l’Huckleberry di Twain, ma il negro James, il quale conferisce alla vicenda una prospettiva totalmente diversa. E con voce dal tono epico, tanto più potente allorché descrive, quasi sottotono, l’orrore della discriminazione, impareggiabile poi nel rivelare la psicologia di coloro che ritengono addirittura naturale venir martoriati, vilipesi, non esser degni di diritto alcuno.

(Consigliato da Riccardo Garbetta)

 

“Il villaggio perduto” di Camilla Sten

Il villaggio perduto di Camilla Sten
Il villaggio perduto di Camilla Sten

Alice Lindstedt è una giovane regista di documentari precaria convinta che quella storia che da sempre la ossessiona possa essere la via per il successo.

Nell’estate del 1959 il piccolo villaggio minerario di Silvertjärn è stato teatro di un evento inspiegabile: i suoi novecento abitanti sono svaniti nel nulla, lasciandosi dietro soltanto una città fantasma, il cadavere di una donna lapidata nella piazza del paese e una neonata di pochi giorni abbandonata sui banchi della scuola. Nonostante le indagini e le perlustrazioni a tappeto della polizia, non si è mai trovata alcuna traccia dei residenti, né alcun indizio sul loro destino. La nonna di Alice viveva nel villaggio, e tutta la sua famiglia è scomparsa insieme a loro. Le domande senza risposta sono troppe, e Alice decide di realizzare un documentario per ricostruire ciò̀ che è realmente accaduto. Raggruppa una troupe di amici fidati, o presunti tali, e si reca sul posto per i primi sopralluoghi: ben presto capiranno che non tornare indietro sarà più complicato di quanto avrebbero mai immaginato.

“Il villaggio perduto” (Fazi Editore, luglio 2024, traduzione Giuseppe Marano) è il coinvolgente thriller di Camilla Sten, autrice svedese classe 1992, figlia della famosa scrittrice di gialli Viveca Sten.

Una storia che parte con un mistero per sfociare poi in una serie di vicende terrificanti che ci accompagnano in un crescendo di tensione all’interno delle case diroccate di questo piccolo villaggio abbandonato la cui storia surreale nasconde un passato spaventoso.

Un inizio che non può non ricordare The Blair witch project per virare poi verso un horror che si mescola alle credenze popolari, alla desolazione dei piccoli paesi abbandonati a causa di situazioni lavorative, alle superstizioni più inquietanti.

Coinvolgente, inaspettato e da brividi.

“Eccola, finalmente. Ecco la svolta che stavo cercando. Uno scoop incredibile. Solo che non avrei mai potuto immaginare quale sarebbe stato il prezzo da pagare.”

(Consigliato da Rebecca Mais)

 

 “Cortocircuito poetico” di Franco Carta

Cortocircuito poetico di Franco Carta
Cortocircuito poetico di Franco Carta

“L’obiettivo era/ mettere in ordine/ quel cassetto metaforico/ dove pensavo fosse possibile nascondersi./ […]/ L’invito era astratto./ L’ho materializzato./ […]” – “Cassetti”

Edito nel 2024 da Edizioni DrawUp la silloge “Cortocircuito poetico” di Franco Carta è suddivisa in tre parti intitolate Accarezziamo i sensi con la poesia, Strappare la scena dal reale, Frammenti reali; nel volume è presente l’accurata prefazione di Maria A. Miraglia, poeta e membro dell’Accademia Europea delle Scienze e delle Arti di Salisburgo; la postfazione di Rita Nappi e la Nota dell’autore.

“L’acqua mola la pietra/ dura acqua dolce,/ la pietra, dura/ acqua di sorgente affilata/ pietra dura e rigida/ e tanto viene leccata/ la pietra dura gode/ di languida bocca d’acqua./ […]” ‒ “Lama d’acqua”

Le tre raccolte presenti ne “Cortocircuito poetico” rappresentano tre momenti temporali distinti dell’autore e ciò si palesa anche dallo stile e linguaggio utilizzato che varia a seconda della sezione. Leggendo la silloge si ha a che fare con un apparente contrasto tra temi e stile che si rifà ad un vero e proprio ‘cortocircuito” del poeta ibrido ‒ così Franco Carta ama denominare se stesso per l’ibridismo mostrato nella commistione di italiano e diverse varianti di dialetti della Sardegna.

Dalla prefazione di Maria A. Miraglia: “I lettori potranno riconoscere alcuni loro momenti di vita in questi versi di Carta. Momenti in cui, l’autore rivolgendo lo sguardo dentro prova la sensazione di trovarsi in un oceano mai conosciuto, difficile da navigare, che lo fa sentire perso. Un vuoto più immenso dell’infinito! Molti sono i momenti di interlocuzione dell’autore con se stesso nelle poesie di questa antologia. Versi nei quali l’autore cerca un contatto con il suo io più profondo per carpirne i bisogni, forse i segreti, le aspirazioni nascoste ponendosi domande che spesso non hanno risposte e che esprimono i suoi dubbi, le sue incertezze qualche volta la sua angoscia. In questo assolvendo a quello che il sommo poeta asiatico, Yayati Madan Gandhi, definiva un aspetto della ‘poesia alta’ che si realizza nello svelare denominatori comuni nei quali il lettore può riconoscersi e non sentirsi solo nel vasto universo ma consapevole di avere compagni che condividono gli stessi fardelli nel lungo viaggio.”

(Consigliato da Alessandro Vizzino)

 

“Sedime” di Gianni Marcantoni

Sedime di Gianni Marcantoni
Sedime di Gianni Marcantoni

Torna alla scrittura Gianni Marcantoni con la raccolta Sedime edita nel novembre di quest’anno con la casa editrice riminese Fara. Sedime significa propriamente “sedimento, posatura”: in ambito edile indica la superficie su cui ci sono le fondazioni di una costruzione. Si tratta di un termine raro, derivante dal tardo latino sedimen = “depositarsi”. Ricavo queste informazioni dalla enciclopedia online Treccani. Il termine è raro e prezioso come queste poesie.

Innanzitutto colpiscono la bellissima immagine di copertina, raffigurante l’acqua trasparente e verde del mare, quasi una vista di speranza sul fondo, sul sedime, per l’appunto.

Il sedime può essere una zona remota, come si evince dall’omonimo titolo della prima poesia della raccolta. E anche da lì non si scappa: “Sotto quel che sei ‒ e con te arrivando,/ non troverai vie di fuga”. Il sedime può essere il mare, come accade nella lirica In nessun mare. Anche qui in realtà si tratta di un fondo introvabile, irraggiungibile, remoto, abissale: “Mare per noi che non ti vediamo/ mai sorgere, nel tuo barile profondo/ respiriamo insieme/ e trafughiamo conchiglie rotte”.

Altra fondamentale e irrinunciabile declinazione del sedime è il silenzio cui pure sono dedicate diverse poesie. Si tratta in effetti di un tema, quello del silenzio, molto caro al poeta.

Il sedime è la realtà bestiale che resta al di sotto di tutto: “La realtà è una bestia legata,/ gonfia di latte, dalle mammelle ferite;/ nella mossa delle fauci/ la piuma esterna viene spolpata” (Cosa resta).

In tutta questa Natura sedimentata, non dobbiamo dimenticare l’uomo e le sue paure. Da un lato tale sentimento riguarda l’ignoto, “un mondo…/ sconosciuto come il passato/ assai lontano da noi”; dall’altro riguarda il contrasto tra la permanenza della natura e l’impermanenza dell’uomo: “E la caverna lunga e buia/ ora è vuota, l’acqua cadendo dall’alto/ è divenuta roccia;/ non siamo noi questi resti,/ quei resti non sono di nessuno” (La paura dell’uomo).

Talora, invece, la Natura ci è accanto, ci è solidale, è tutto un sedime con noi: “Il sole ha i miei malanni,/ la stessa avversione,/ la mia coscia,/ e scende, affonda ultimo/ per essere uno spago tirato. Mio mentre” (Accanto). In questo mutevole scambio tra Natura e Uomo, il poeta si congeda dal suo misterioso “tu”, l’interlocutore non nominato dei suoi versi, forse il lettore, forse un amico, forse una donna, forse Dio, forse un sedime. Buona permanenza e buona lettura!

(Consigliato da Filomena Gagliardi)

 

“Poetesse e Scrittrice d’Italia” AA.VV.

Poetesse e Scrittrici d'Italia
Poetesse e Scrittrici d’Italia

La prima edizione dell’antologia “Poetesse e Scrittrici d’Italia” (Tomarchio editore, 2024) è un viaggio alla scoperta di poesie e brevi prose percorso da dodici autrici che, in armonico confronto, condividono la passione per la scrittura e l’interesse verso il ragionamento sul comportamento umano.

La prima edizione del progetto antologico “Poetesse e Scrittrici d’Italia”, strettamente connessa al gemello “Poeti e Scrittori d’Italia” (Tomarchio editore, 2024), presenta dodici autrici di varie regioni italiane che, differenziandosi per stile e contenuto, invitano ad entrare in mondi altri nei quali la parola si tinge di èthos e pàthos. Le due antologie gemelle mostrano uno spaccato della poesia e della prosa contemporanea con una suddivisione al maschile ed al femminile in un laboratorio di idee in continua evoluzione.

La prima edizione dell’antologia “Poetesse e Scrittrici d’Italia” vede al suo interno tredici raccolte: Tra sogno e realtà di Beatrice Benet, SS 80 di Carina Spurio, La Saga di Solange di Daniela Balestra, Modi d’esser donna di Francesca Santucci, Velati ricordi di Gabriella Mantovani, Tutti abbiamo una storia di Giovanna Fracassi, Il coraggio di cambiare di Manuela Orrù, Gocce di sole sulla neve di Maricà, Ancora è possibile di Maricà, Galassie dentro di Marina Minet, Emozioni in gocce di Teresa Stringa, Fiori e colori di Teresa Viola e Quello che non si dice di Tiziana Topa.

La copertina dell’antologia “Poetesse e Scrittrici d’Italia” celebra il pittore lombardo Ugo Stringa (1923 – 2006) con un’opera del 1968 intitolata “Sole spento”.

Dalla prefazione: “L’essere umano, da qualche millennio, si interroga sulla necessità del raccontare ciò che la mente instancabilmente crea. Dall’oralità alla scrittura, dalla preistoria ai giorni nostri non pare esserci stata variazione nel nostro interesse: le parole ‒ atte alla comunicazione con l’altro del nostro “stato” ‒ sono gli elementi che ci permettono di plasmare i mondi interiori. I fogli bianchi diventano il terreno fertile nel quale gettare semi di nero inchiostro intenti a decifrare le immagini ed i sussurri da cui siamo abitati. Per taluni diventa una ossessione, per altri uno svago, per altri ancora una cura benefica: ciò che assimila tutti è la sensazione di aver prodotto qualcosa di unico ed importante, ognuno secondo le proprie possibilità.”

(Consigliato da Rosario Tomarchio)

 

“Soffrire di adolescenza” di Loredana Cirillo

Soffrire di adolescenza di Loredana Cirillo
Soffrire di adolescenza di Loredana Cirillo

Loredana Cirillo, psicologa e psicoterapeuta, ha scritto questo saggio accorgendosi dei cambiamenti della società e sulle conseguenze che questo ha sui giovani. Tutti noi, ascoltando i telegiornali, vediamo come il disagio degli adolescenti li porti a gesti sconsiderati e violenti.

“Soffrire di adolescenza” (Raffaello Cortina Editore, 2024) è un saggio, questo, che non è semplicissimo da leggere e da capire, ma risulta comunque comprensibile prestandovi un poco di attenzione. Un libro utile, oltre che agli psicologi, anche agli insegnanti, ai genitori e, perché no, agli stessi ragazzi spesso incompresi e persi sulla strada del loro futuro.

“Negli ultimi anni il malessere psicologico è esponenzialmente aumentato per quantità e per intensità.”

Tutti noi siamo stati adolescenti, alle prese coi problemi che ciò comporta. Ma cosa è cambiato in questi anni? Il modo di approcciarsi dei genitori ai propri figli. Spesso non si sacrificano per il bene del figlio, ma tendono a renderlo sacrificabile per continuare la propria vita. Riempiono le giornate dei ragazzi con cose da fare, non rispettando le loro esigenze. I giovani si portano addosso cicatrici come se avessero subito gravi traumi, pur non avendo mai avuto genitori abusanti, ma madri e padri convinti di aver fatto del loro meglio.

“Disponibili a fare di tutto per i figli, ma lontani da ciò di cui avevano profondamente e autenticamente più bisogno i diretti interessati.”

I disturbi di cui soffrono questi giovani sono legati all’ansia, al cibo, all’autolesionismo, ai tentativi di suicidio. Vivono in una società “algofobica, che ripudia il dolore e la fragilità”. Dove il corpo è ancora, come lo è sempre stato, lo strumento per rappresentarsi; ma i social network “hanno trasformato radicalmente il modo di rappresentare psicologicamente il pudore, l’intimità, il corpo e le sue intenzioni”.

Tramiti vari casi seguiti, la dottoressa ci porta a conoscere i disturbi di questi giovani; le loro reazioni e motivazioni, oltre a quelle dei genitori che, spesso, vogliono solo che i figli vengano “sistemati”, rifiutando anche l’idea di essere parte del loro malessere. Un libro che a me, quale scrittrice di tematiche sociali, ha dato molti spunti e chiarimenti e, ne sono certa, possa essere uno strumento utile per chiunque abbia a che fare con i giovani o, semplicemente, voglia saperne di più e capire cosa sta accadendo di preciso ai ragazzi del nostro tempo.

(Consigliato da Miriam Ballerini)

 

 

“Fa una scelta di buoni autori e contentati di essi per nutrirti del loro genio se vuoi ricavarne insegnamenti che ti rimangano. Voler essere dappertutto e come essere in nessun luogo. Non potendo quindi leggere tutti i libri che puoi avere, contentati di avere quelli che puoi leggere.”

Lucio Anneo Seneca“Lettere morali a Lucilio

“Datta, dayadhvam, damyata/ Shantih shantih shantih” [Dai, compatisci, domina/ Pace]

Thomas Stearns Eliot ‒ “The Waste Land

 

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