Editoria 2020: i libri per l’inverno consigliati da Oubliette Magazine

Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento; letti una volta, vi serviranno per il resto della vita.” – Ezra Pound

21 libri inverno - editoria 2020
21 libri inverno – editoria 2020

Il poeta e saggista statunitense Ezra Pound (Hailey, 30 ottobre 1885 – Venezia, 1º novembre 1972) è ricordato per il linguaggio d’impatto, per la musicalità del verso in corrispondenza con l’indole dell’anima. È stato uno dei principali esponenti dell’Imagismo e del Vorticismo assieme al poeta e saggista statunitense naturalizzato britannico Thomas Stearns Eliot (Saint Louis, 26 settembre 1888 – Londra, 4 gennaio 1965).

L’Imagismo, come corrente, proponeva l’immediatezza delle “cose” rappresentate, la precisione della parola utilizzata per un linguaggio poetico conciso. Ed è questo l’invito per il 2021: una riflessione sulle parole utilizzate così da snellire il discorso per giungere al nucleo del ragionamento che si vuole condividere.

Per celebrare il solstizio d’inverno vi presentiamo una selezione di 21 libri, editi nel 2020, consigliati dalla redazione e da alcuni stimati lettori di Oubliette Magazine.

La tradizione non […] può venire acquistata in eredità; e se la volete possedere, dovete conquistarla con grande fatica.– Thomas Stearns Eliot

Se avete il piacere di unirvi a noi per raccomandare un libro che ritenete valido, potete inserire il vostro consiglio a fine articolo nella sezione Commenti indicando il titolo, l’autore, la casa editrice e qualche riga di esplicazione.

 

I libri del 2020 consigliati da Oubliette Magazine

“Bomba atomica” di Roberto Mercadini

Bomba atomica di Roberto Mercadini
Bomba atomica di Roberto Mercadini

Il progetto Manhattan ha coinvolto in tutto centotrentamila persone. Molte di loro non erano che bassa manovalanza, lavoratori ignari che hanno dato il loro contributo alla catastrofe con cieca innocenza. Chi ha eretto gli edifici e i laboratori di Los Alamos, ovviamente, non sapeva nulla della bomba atomica…

Da Enrico Fermi a Adolf Hitler con il suo Mein Kampf, passando per altre e interessanti dissertazioni, al fine di raccontare della produzione dell’energia nucleare e dell’utilizzo di quello strumento altamente distruttivo come la bomba atomica. Tutto ciò, e molto altro è compreso in Bomba atomica, saggio del 2020 scritto da Roberto Mercadini e pubblicato da Rizzoli.

Fermi fa parte del progetto fin dall’inizio, anzi, ancora prima che il progetto Manhattan assuma quel nome…

In un testo ricco di contenuti, che spaziano da un argomento all’altro apparentemente distanti fra loro, ma legati da un unico filo conduttore, l’autore dà conto di eventi del Novecento che hanno fatto la Storia. Dei quali, la realizzazione della bomba atomica è il più preminente. Ed è avvenimento che colpisce più di altri fra quelli citati nel libro, nonostante si conosca il tragico epilogo che ha avuto, il quale ha fatto sì che, in quel tragico agosto 1945, le città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki, diventassero protagoniste dello scenario mondiale.

Argomento di grande criticità, affrontato dall’autore con perizia, si raccontano i retroscena e i personaggi che hanno aderito all’impresa, aggiungendo alla triste circostanza elementi inediti a ciò che già si conosce, alcuni dei quali oscuri ai più. Ed è con informazioni diventate top secret, che Mercadini mette al corrente il lettore della posizione di alcuni scienziati persuasi che, in nome della scienza si potessero oltrepassare quei limiti imposti dall’uomo nell’esercizio delle sue azioni. Denunciando che all’idea di progresso non si dovrebbe sottrarre l’importanza delle riflessioni e la necessità di ponderare le conseguenze di gesti deleteri per l’umanità.

Fermi e Hitler. Lo scienziato e il dittatore. Entrambi sono personaggi fondamentali in questa storia. Ma, quando si parla di bomba atomica, è un altro nome a venire in mente: Harry Truman, presidente degli Stati Uniti d’America…

Sviluppato come un monologo avvincente, di cui l’autore è maestro, Bomba atomica è saggio capace di coinvolgere il lettore dalla scrittura della prima fino all’ultima riga, soprattutto per le considerazioni contenute in esso e sviluppate con grande abilità narrativa.

Non faceva nessuna differenza, per lui, parlare di qualcosa di reale o di qualcosa di immaginario…” August Kubizek, amico adolescenziale di Adolf Hitler

Ma chi è l’autore di Bomba atomica? Ingegnere elettronico, Roberto Mercadini è conosciuto più per la sua presenza sul web che per le sue caratteristiche professionali. Ha abbandonato infatti la professione di ingegnere per dedicarsi alle sue performance teatrali, dove protagonista è la ricerca della verità in ogni sua forma, da lui inseguita e messa in scena attraverso i suoi monologhi. Attivo in rete, su Youtube la sua presenza è un costante riferimento per un’informazione altra e al di fuori dei canali consueti.

Il primo settembre, puntuale come la fine delle vacanze, Hitler invade la Polonia e spara il colpo di partenza per la disumana gara della Seconda guerra mondiale

(Consigliato da Carolina Colombi)

 

“Il sale e gli alberi” di Ernesto Venturini

Il sale e gli alberi
Il sale e gli alberi

Il sale e gli alberi”, edito da Negretto Editore nel settembre 2020, è un libro che racconta una piccola storia, parte effettuale di una grande storia.

La piccola storia – che l’autore chiama “Riabilitare la città” – riguarda il superamento degli ospedali psichiatrici di Imola negli anni ‘80-‘90, attraverso la partecipazione attiva della comunità, uno tra gli esempi più importanti di salute mentale comunitaria.

La grande storia è il processo di liberazione dell’essere umano, che cerca, nelle contraddizioni storiche e sociali, i riferimenti ideali per promuovere i cambiamenti. In questa circostanza l’orientamento è il pensiero basagliano della “Deistituzionalizzazione”: un processo dialettico, che va al di là di una semplice riforma e che cerca di dare concretezza ai valori di un’utopia – quella di una società senza manicomi. Ciò che è in gioco è la ricerca di una rottura con ogni logica escludente, riflesso di una società di disuguali. La deistituzionalizzazione si configura, in sostanza, come un movimento per trasformare la società, attraverso pratiche collettive che si muovono nelle correnti calde dell’immaginazione creativa.

In questa prospettiva, la vicenda imolese degli anni ‘80 continua a mantenere una sua forte attualità, per il suo messaggio di speranza nelle possibilità di riscatto e di emancipazione dell’essere umano.

L’autore usa uno stile di esposizione, talora metaforico e poetico, che guida i lettori, anche di ambiti diversi da quelli della psicologia e della psichiatria, alla comprensione dei fenomeni che sostengono i processi della cura e della riabilitazione in psichiatria.

Ernesto Venturini è stato uno degli attori più importanti nello sviluppo e nella realizzazione del nuovo modello di assistenza della salute mentale in Italia. Negli anni ’60 e ’70, al fianco di Franco Basaglia, ha guidato gli interventi nel manicomio di Gorizia e in seguito in quello di Trieste. Ha partecipato a programmi di cooperazione nella salute mentale in diversi paesi dell’Africa e dell’America Latina, spesso nel ruolo di consulente dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

(Consigliato da Silvano Negretto)

 

“Amazzonia verde d’acqua” di Márcia Theóphilo

Amazzonia verde d'acqua di Márcia Theóphilo
Amazzonia verde d’acqua di Márcia Theóphilo

Il rio delle Amazzoni lavora senza pose, vive: gracidano le rane, i rami degli alberi cadono infradiciati dall’umidità, scendono lungo il fiume che si biforca sinuoso.”

La foresta Amazzonica è la più grande foresta fluviale del pianeta, attraversata da migliaia di fiumi tra cui l’immenso Rio delle Amazzoni. La foresta amazzonica ricca di biodiversità in cui sono presenti ottantamila specie di piante, una fauna ricca di quattrocento specie di uccelli, cento specie di rettili, centoventicinque tipi di mammiferi, quattrocento tipi di insetti. Attualmente nella foresta è in atto una deforestazione, la sua magia cromatica, il pulsare degli animali, le tribù Amazzoniche e la loro cultura costrette a scomparire. Tante le iniziative prese per salvare il territorio e i suoi abitanti. Ecologisti, ambientalisti sono i fautori e sostenitori in difesa dell’ambiente.

Márcia Theóphilo è poeta e antropologa e con le sue opere descrive la bellezza, i suoni i colori, la ricchezza che dà vita alla foresta, ma nelle sue poesie si percepisce il dolore nel vederla devastata. La sua produzione poetica è il suo impegno per la difesa ambientale dell’Amazzonia. L’autrice è nata in Brasile a Fortaleza, vive a Roma da anni. Ha pubblicato diverse opere, dal 2009 membro onorario dell’Accademia della poesia è in lista di candidatura al premio Nobel, ha ricevuto numerosi premi: nel 2020 il premio Catullo.

Il suo ultimo libro “Amazzonia verde d’acqua” uscito il 16 giugno 2020 edito da Mondadori è un canto d’amore, le poesie hanno un legame intenso con la natura che diviene anima, respiro, energia, disperazione per la sorte dell’Amazzonia, incanalata attraverso la poesia di una bellezza suggestiva.

Impensate foreste senza fine/ di fiori e frutti tropicali/ e cuore di antichi animali/ impregnati di vita/ in un cielo di nubi polverose/ e di acqua coperte di metallo rovente/ dove ardono i marinai/ di una portaerei” – “Rios Marmelos”

Marcia con la sua poesia diventa la voce nel mondo per la salvaguardia della foresta e sensibilizza tutti affinché  prendano coscienza perché il fuoco che arde annerisce e distrugge la foresta è dolore vero, è  dolore il lamento degli uccelli, degli animali, degli insetti costretti a lasciare i loro nidi, degli uomini costretti a lasciare le loro case le radici, la sua è una battaglia ecologica contro gli abusi compiuti  nei confronti dei popoli indigeni e del loro patrimonio culturale, si dispera per la sorte della sua gente che descrive nella sua bellezza e naturalezza, incastonata  come gemma preziosa nel suo ambiente. Nella sua opera vi è fusione tra memoria emotiva, cultura e documentazione, tra arcaico e contemporaneità, identità tramandata dalla sua famiglia d’origine.

Portano i cesti con la manioca le donne,/ sfiorano con i piedi le rive del fiume./ Kuambu vede passare kupahúba/ e un fiume immaginario gli percorre/ la mente: è una corrente che trascina/ in se tutti i fiumi della terra

Il libro “Amazzonia verde d’ acqua” è diviso in capitoli che corrispondono agli elementi della natura: acqua, aria, alberi, eros, l’intensità della poesia è la natura stessa. È lei stessa a dircelo: “Penso che senza poesia non si possa raggiungere l’anima della foresta. Una combattente che combatte da più di quaranta anni per la sorte del suo paese. L’Amazzonia è il polmone verde dell’universo, Márcia Theóphilo ne è l’anima. Vi consiglio di leggere il libro.

Amazzonia verde d’acqua: perché l’amore nasce dalle radici e la salvezza della terra dipende da ognuno di noi.

(Consigliato da Giuseppina Carta)

 

“Mappa delle Amiche” di Lorenza Ravaglia

Mappa delle Amiche di Lorenza Ravaglia
Mappa delle Amiche di Lorenza Ravaglia

Come catalogheresti le tue amiche? Con uno stile ironico e scorrevole Lorenza Ravaglia descrive le più svariate tipologie, dalle Morbide alle Verdi, dalle Guerriere alle Sportive… brevi ritratti di donne reali o immaginate, per sorridere e riflettere.

Il libro Mappa delle Amiche di Lorenza Ravaglia (Tempo al Libro 2020) delinea una piacevole “mappa” dell’universo femminile.

È arricchito dalle illustrazioni di Tabita Frulli (Wonderlab, Ravenna).

Lorenza Ravaglia racconta del suo libro:

«Questo è il mio elenco di amiche. Non sono donne stereotipate: è una classificazione personale, basata sulla mia particolare esperienza. Non è solo una serie di ritratti. Sono lettere d’amore e di reclamo, che ho scritto a donne che ho conosciuto, o soltanto intuito

Un’occasione per lanciare uno sguardo divertivo alla propria cerchia di amiche, ma anche un inno alla “sorellanza” tra donne, fatta di complicità, ascolto, comprensione e immaginazione.

(Consigliato da Carina Spurio)

 

“Trattato del Leone verde” di Raimondo Gaufredi

Trattato del Leone verde
Trattato del Leone verde

Testo abbreviato da Raimondo Gaufredi. Con un testo più breve ho riassunto per voi l’opera verissima e comprovata estratta dai segreti nelle operazioni del Sole e della Luna, richiedendo assolutamente per prima cosa che una tale e così preziosa perla non debba essere gettata ai cani e ai porci: questo è infatti il segreto dei segreti di tutti i filosofi, orto delle delizie e tesoro di ogni profumo, che coloro i quali una volta lo hanno intravisto non necessitano più di altro.”

Il “Trattato del Leone verde” è considerato opera di Raimondo Gaufredi, XIII generale dei francescani e successore di Frate Elia da Cortona, ed è stato recentemente pubblicato dalla casa editrice Edizioni Mediterranee nella collana Nuova Biblioteca Ermetica diretta da Massimo Marra.

La pubblicazione consta di un’introduzione curata dallo studioso e ricercatore Paolo Galliano, o piuttosto un vero e proprio saggio sull’alchimia, sul simbolismo e sull’autore Raimondo Gaufredi. Suddiviso in cinque capitoli così denominati: “Alchimia e Chiesa fra XIII e XIV sec”, “La ‘schola alchemica” francescana”, “Raimondo Gaufredi: vita e scritti”, “Il simbolismo del ‘leone verde”, “Il ms 433 Helmst di Wolfenbüttel: il De leone viridi”.

Segue il “De leone viridi” in latino su un testo trascritto dal manoscritto 433 Helmst di Wolfenbüttel (codice papiraceo scritto tra il 1415 e il 1429) e dalla traduzione in italiano riccamente annotata da Paolo Galiano. Chiude una postfazione del curatore della collana Massimo Marra.

Un trattato di Alchimia non può essere interpretato in modo razionale perché i concetti – e le parole che li formano – sono un codice. Ogni trattato è strettamente correlato a colui che l’ha scritto e questo ci palesa perché, nei diversi trattati, le modalità presentate sono differenti: questo fattore è di grande importanza perché ci ricorda che ogni essere umano è unico seppur simile.

“Prepariamo dunque la nostra Pietra con questa terra mista a fuoco e con l’aria e l’acqua che già in precedenza sono state estratte. Ora nel nome di Dio prendi una parte della terra di cui si è detto e imbibiscila con una parte dell’acqua suddetta, cioè il mercurio, tritando con grande attenzione sul marmo ed essiccando nel modo descritto, e quando sia ben disseccata di nuovo imbibiscila col mercurio, imbibendo ed essiccando al sole o con un fuoco basso, come si è detto. E questo ripetilo tante volte fin quando la terra incorpori il doppio del suddetto mercurio rispetto alla sua quantità.”

(Consigliato da Alessia Mocci)

 

“Prima di noi” di Giorgio Fontana

Prima di noi di Giorgio Fontana
Prima di noi di Giorgio Fontana

Prima di noi di Giorgio Fontana (edito da Sellerio) è un romanzo che tiene incollati alle pagine, ci conduce attraverso secoli di storia italiana, nella cui cornice si incastona perfettamente il racconto di una famiglia friulana.

È il 1917 e tutto inizia con l’incontro tra Maurizio Sartori, soldato di origini venete, e Nadia Tassan, che vive con la famiglia in uno sperduto casolare nel Friuli. Maurizio è in fuga dalla guerra e chiede ospitalità a Nadia, che timorosamente lo accoglie per poi rimanerne incinta pochi mesi dopo.

Sono questi i capostipiti della famiglia Sartori, dai quali si dipana un albero genealogico di quattro generazioni che migrano dalla Lombardia al Friuli, che mettono radici, partono e ritornano, disegnando percorsi peculiari ma comuni a tanti altri destini italiani.

Ogni personaggio porta con sé il fardello dell’epoca in cui vive, con le sue incertezze, le passioni, il coraggio e la disillusione, dal lontano 1917 a un più vicino 2012. È circa un secolo che diventa breve: per i Sartori il passato lascia sempre in eredità un fardello pesante, di lotta e complessità, che non abbandona i suoi eredi neanche nei più semplici gesti d’amore.

Ma le colpe dei genitori e dei genitori dei genitori ricadono sempre sui figli? Quanto siamo legati al nostro cognome e quanta importanza ha? Ma soprattutto, scoprire il passato e il trapassato potrebbe in qualche modo modificare il presente e il futuro?

Romanzo storico e corale, che sicuramente riesce nell’ambizione di essere un’epopea familiare, ma che forse manca di restituire una profondità psicologica ed emotiva ai personaggi del racconto.

Un libro che anche grazie a uno stile pulito, liscio e senza fronzoli presenta un mosaico di storia, rendendo le lotte politiche, le ambizioni e l’irrequietezza delle diverse epoche della storia italiana, da cui emergono personaggi forse troppo stereotipati, le cui avventure di amori e dolori ci scorrono davanti agli occhi senza coinvolgere fino in fondo il cuore.

Prima di noi è una freccia che attraversa il Novecento italiano da parte a parte, una lettura di certo imperdibile per chi interroga il passato mentre vive nel presente, proprio come tutti i Sartori della storia.

(Consigliato da Maria Cristina Mennuti)

 

“La bambina senza il sorriso” di Antonio Menna

La bambina senza il sorriso
La bambina senza il sorriso

Libro napoletano assai edito da Marsilio. La scena più bella, dal punto di vista glottologico, è quando Carletto, il ragazzino che va a lezione dal protagonista, esclama: “Uanema”, che vuol dire, se non erro: “All’anima!”.

All’inizio del capitolo 7, l’io narrante, Tony Perduto, scrive: “Avevo tredici quando decisi che avrei fatto il giornalista. Mi ricordo perfettamente il momento. Mio padre leggeva il giornale al solito modo. Quella volta lo guardai a lungo. Non alzò mai gli occhi. Seguiva l’articolo con le pupille, muoveva le labbra a scatti. Era totalmente rapito. Pensai: voglio che legga così una cosa scritta da me.

Egli è una persona bonaria e ironica al contempo, e, come forse lo stesso autore (e come venni definito io una volta a Paestum), tene ‘na faccia ‘e Pasqua; eppure è sconsolato, eppure è tranquillo, eppure non si sente valorizzato come si deve, eppure è scaltro, eppure vive ogni attimo improvvisando quello successivo, eppure vive una vita troppo fitta di eppure. E viene sfruttato dal datore di lavoro, che mai una soddisfazione! Mai! Solo critiche!

Il lettore condivide per empatia i suoi sentimenti, senza che ci sia bisogno di verifiche. Specie quando alla sua porta bussa una guaglioncella di nome Chiaretta che, senza mai sorridere (del resto non ha motivo per farlo), gli comunica di aver smarrito il padre, all’improvviso, mentre erano tutti e due in una via dei quartieri spagnoli, e lui all’improvviso si è immerso nella folla e, puff!, è sparito, così, d’incanto. Che non sia andato via volontariamente la prova è che le altre volte che se n’era andato via da casa, mai aveva cessato di restare in comunicazione con lei.

Fra i due consanguinei c’è una sorta di correlazione che ora sembra essersi spezzata. La bimba affida il caso al giornalista. Una situazione alla Dylan Dog, per intenderci. Il male sta covando sotto le ceneri, e dovrà essere Tony capire che cosa. La principale differenza fra i due investigatori è che a Napoli, rispetto a Londra, non ci sono spettri sumeri che infestano i frigoriferi. C’è molto di peggio.

Nella coda del Capitolo 25 la bimba, che pare atarassica, stupisce Io narrante e lettore, dicendo: “Quando rido lo vede solo il mio papà.”

All’inizio del 26, l’Io narrante afferma: “Forse è la fissità dell’espressione o la palandrana di ferro della timidezza, che conosco bene, e che ti fa sembrare a volte guerriero e un secondo dopo preda.”

Sei capitoli dopo: “Non sono mai stato abile con le donne. In realtà non sono mai stato abile con gli esseri umani. Anzi, allarghiamo la visuale, con la vita.” È il problema di chi nasce sfigato con un’ombra di genialità, oppure tutto all’incontrario. Il cognome dell’Io narrante è Perduto, ma gli starebbe senz’altro meglio Perdente, oppure A Stento Pareggiante. Perduto, purtroppo è il padre (come capisco la tua mestizia, Antonio).

Nel romanzo brilla una novità: chi conta è il padre; anche la madre ha una certa importanza, meno però: a volte è assillante, oppure assente. Il dramma della storia è che anche il padre, come tutto il resto, è vittima del secondo principio della termodinamica, ed è soggetto all’inevitabile entropia. Una certa Federica non solo collabora col nostro eroe alla soluzione del caso, ma è grazie a lei che scopro l’esistenza di Anne Sexton, una scrittrice e poetessa americana, che presto leggerò, lo sento. Il finale di La bambina senza il sorriso è di quelli che ti lasciano quel sapore dolce e un po’ amarognolo, che ti rimarrà sul gozzo tutta la notte. La storia però termina nel modo migliore: con uno straordinario sorriso.

(Consigliato da Stefano Pioli)

 

“Pensare altrimenti” di Marco Aime

Pensare altrimenti di Marco Aime
Pensare altrimenti di Marco Aime

L’antropologia studia l’uomo considerandolo come un animale che può mutare nel tempo e nello spazio. Gli uomini sono diversi in relazione a diversi concetti come “essere”, “convivere”, “comunicare”, “dove e quando”, “crescere”, “specchiarsi”, “rappresentarsi”, “scambiare/donare”, “credere”, “nutrirsi”.

Concetti attorno a cui ruota il recente libro di Marco Aime, dal titolo “Pensare altrimenti” edito da Add Editore.

Aime è docente di Antropologia culturale all’Università di Genova e quindi è uno specialista della materia. Tuttavia scrive questo saggio con un linguaggio accessibile a tutti, pur rispettando il rigore argomentativo. La materia è organizzata in dieci brevi capitoli, tanti quanti sono i termini da esaminare per un totale di centodiciannove pagine.

Ogni capitolo presenta una breve sintesi preliminare ed è diviso in due parti, la prima dedicata alla trattazione del tema richiamato dal titolo stesso (il termine da approfondire di volta in volta), la seconda dedicata ad una esemplificazione di quanto precedentemente espresso. Segue una bibliografia ragionata in quanto distinta per ciascuno dei lemmi studiati.

L’idea cardine è che ciascuno dei concetti cambi nelle varie epoche e nelle varie società storiche: da qui la necessità “pensare altrimenti”, aprendosi agli altri punti di vista, non solo per comprendere il diverso ma anche per capire se stessi.

Questo si apprende, ad esempio, nel capitolo “Nutrirsi” dove Aime afferma che l’accettazione o il ripudio di certi alimenti è oggetto di una scelta, così come il concetto di “tipico”, inteso come autoctono, è in realtà solo una convenzione che presuppone precedenti contatti con altre culture.

Di tutti questi concetti quello certamente più pervasivo è quello di cultura, scavato dal professore nelle sue varie accezioni e nei suoi significati più profondi: è del resto la chiave di volta per comprendere tutti gli altri.

(Consigliato da Filomena Gagliardi)

 

“Lampadari a gocce” di Savina Dolores Massa

Lampadari a gocce di Savina Dolores Massa
Lampadari a gocce di Savina Dolores Massa

Lampadari a gocce” di Savina Dolores Massa, edito da Il Maestrale nel 2020, inizia con il mercantile Casta Diva fermo nel porto di Gibilterra per delle riparazioni. Nel romanzo si svolgono in asincrono due storie principali: quella di Notturno, dove appaiono il napoletano Martino, che racconterà la sua vita in un capitolo di pagine memorabili, facendo rivivere una Napoli dall’allegria triste, chiassosa e odorosa, commovente e divertente (come se a scriverle fosse stata una napoletana ‘namurata); il cuoco Cormorano, che per una confessione fatta ai genitori si è ritrovato a doverli rifuggire e da allora teme a manifestare i propri sentimenti; Ruben, giovane e ambizioso, poco amato dal resto dell’equipaggio, ma con un ruolo forte anche lui; e Andreas, la cui vita è stata segnata da una violenza in famiglia. A capitoli alterni si evolve la storia di Izta che nella messicana Veracruz, durante un carnevale, conosce lo scienziato del cosmo Robert, ammaliandolo e facendogli perdere il senno. Izta gestisce uno strano negozio dove vende istantanee di frammenti di Mondi da lei creati. Li riproduce e poi li disfa ogni martedì. Perché i turisti possano acquistare le foto di qualcosa che di lì a poco non ci sarà più. E forse si abitua così tanto, a perdere ciò che ha creato, da non temere più alcun sacrificio. Da deciderli a discapito di chiunque, con una decisione e una volontà distruttive.

Se solo gli occhi bianchi della Mambo cieca da lei consultata avessero visto un futuro diverso! Forse le sue certezze sarebbero vacillate e lei avrebbe potuto rendere il senno a Robert. In fondo la Mambo le aveva soltanto disegnato un’incomprensibile risposta sulla terra nuda, ed essa era persino svanita un istante dopo, risucchiata dai suoi occhi ciechi.

La storia di Izta e Robert si svolge in un Messico magico e ricco di tradizioni. Lei fa da collante a questo mondo misterioso, mentre l’archeologo, più razionale, un futuro vorrebbe crearselo con le proprie mani.

Sebbene ciò non sembri a un primo sguardo, il romanzo di Savina Dolores Massa si presenta come un’opera di una precisione matematica. La vita dei personaggi si svolge in modo del tutto naturale, secondo i dettami del caso e delle singole volontà. Eppure, tutto torna e appare un disegno, ricco di colori e dalla forma affascinante. Basta badare bene ai dettagli, essi infatti si ripresentano con puntualità implacabile nei punti chiave della storia. Per esempio il tema della notte scelto a un certo punto da Izta per il suo bazar, quel tema si ripresenta in mille modi diversi per tutto il libro, facendo sì che Lampadari a gocce si mostri come un variopinto frattale, una figura geometrica solo in apparenza disordinata e asimmetrica. Invece rispecchia se stessa a diversi livelli. Dal macro al micro. Come un quadro di Pollock. Il romanzo di Savina Dolores Massa si può scomporre all’infinito: ogni sezione in una più piccola, e si vedrà sempre lo stesso potente disegno generale, pur sembrando qualcosa di diverso ogni volta.

Sia Izta che Notturno hanno sofferto una mancanza, un abbandono. A Izta è Robert a colmare il vuoto. Forse anche per questo è così forte la sua paura di perderlo. A Notturno, questa mancanza, la supplisce Agata; che gli dà la forza per andare avanti. Da tempo la sua vita si era fermata, e questo amore compensatore di quell’altro, diverso, su cui si era impantanato il suo vivere, potrebbe permettergli di ripartire. Notturno sembra ritornare bambino, e poi adolescente, con il suo primo amore a mandargli in subbuglio la mente. E nemmeno questo avviene per caso.

Sia Izta che Notturno sono attanagliati dai sensi di colpa, bloccati dai fantasmi del loro passato, anche se in modi e per ragioni diverse. E infatti diversa sarà la loro reazione.

Per tutte queste ragioni, e tante altre ancora, ritengo Lampadari a gocce uno dei migliori lavori di Savina Dolores Massa. Di lei consiglio anche il Carro di Tespi, è un libro da leggere assolutamente, come tutta la produzione dell’autrice oristanese; o è napoletana? No, forse è messicana. Non so più… Ormai Savidò è cittadina del mondo, lo è da un pezzo, e forse noi ce ne accorgiamo solo adesso. “La sua scrittura da leone berbero sfuggito all’estinzione” merita una lettura attenta, uno sforzo che sarà ricompensato.

(Consigliato da Claudio Piras Moreno)

 

“Celestia vol.2” di Manuel Fior

Celestia vol.2 di Manuel Fior
Celestia vol.2 di Manuel Fior

Una città sull’acqua, una visione a metà strada tra il reale e l’immaginario: Celestia.

Un rifugio per chi è riuscito a portarsi in salvo, una prigione per Dora e Pierrot. Loro sono i protagonisti di questa storia che non vogliono rimanere nascosti come gli altri, ma vogliono conoscere ciò che rimane vivo intorno a loro. I due si spingono ai margini di Celestia per capire se davvero non ci siano altre possibilità, altre vie di fuga.

Incontreranno bambini più responsabili degli adulti, personaggi metafisici di un mondo che ancora non c’è, personaggi senza nome dal carattere forte, personaggi inquietanti e ostili. Il piano temporale sembra assente in un tumulto di colori forti, acquerelli e sfumature; ogni pagina, ogni vignetta racconta un orizzonte temporale e mentale a sé stante, in cui proiettarsi e perdersi completamente nell’ammirazione e nella meditazione.

Il pensiero è ciò che salverà i due ragazzi, il proiettarsi in un futuro possibile in cui il reale sia sullo stesso piano di ciò che non esiste. Uno slancio in cui le generazioni del presente e quelle future potranno vivere in armonia soltanto con una nuova visione del mondo.

La struttura narrativa è quella classica del viaggio, di mondi da scoprire, ma pagina dopo pagina si percepisce qualcosa che non si legge nelle vignette. Il linguaggio grafico riesce a parlare molto più dei baloon che sono pochi e non c’è nessuna descrizione dei luoghi e dei tempi. Per questo il lettore si trasporta nella storia grazie alle immagini che riescono a farci entrare in un mondo nuovo e in una visione diversa di ciò che ci circonda.

Il volume 2 è stato distribuito nel 2020, mentre il primo volume è uscito a fine 2019, sempre dall’editore Oblomov. Da leggere entrambi ovviamente, visto che la seconda parte ricomincia esattamente dalla fine del primo libro.

Il secondo è molto più metafisico sia come contenuti che nella dimensione del disegno.

Ridurre la storia di entrambi i volumi ad una sinossi è molto difficile e sarebbe banale. È davvero consigliata la lettura, l’immersione direi in questo volume, visto che non possiamo viaggiare fisicamente questo volume è un ottimo viaggio verso Celestia e i nostri propositi per il futuro prima che vengano sommersi.

(Consigliato da Gloria Rubino)

 

“La notte delle malombre” di Manlio Castagna

La notte delle malombre di Manlio Castagna
La notte delle malombre di Manlio Castagna

“La notte delle malombre” è un romanzo di Manlio Castagna edito per Mondadori nell’ottobre 2020.

Il libro fa parte della letteratura per ragazzi ma, mai come in questo caso, questa etichetta è unicamente una mera catalogazione.

Questa è una storia di cui i protagonisti sono ragazzi. Ma questi giovani, in realtà, se guardo nelle poltrone di casa mia, voltate verso il fuoco della storia, sono i miei nonni. I nostri nonni.

Già, i nonni di un’intera generazione che nel marzo nel 1944 cercavano pace, un riparo e un piatto caldo.

Su tre giovani è imbastita la storia. Tre estrazioni sociali ed educazioni differenti, così, a rappresentare una nazione e tutte le sue vite all’interno.

3 marzo 1944. Non molti sanno cosa accadde quella notte a Balvano, la storia lo ha dimenticato e anche le strutture edilizie del luogo non lo sanno più. A chi chiedere allora?

A ricordare oggi c’è una galleria ferroviaria: la galleria “delle armi” poco lontano da Balvano, in Lucania.

Il treno 8017 lascia la stazione stracarico di persone. 500 saranno i morti di cui molti non avranno un nome perché clandestini e solo 50 dei passeggeri si salveranno.

“La notte delle malombre” racconta uno dei più grandi disastri ferroviari del nostro tempo. Manlio Castagna lo racconta con incredibile sensibilità e maestoso rispetto.

Questo è un romanzo sociale che è ambientato in una fetta d’Italia che non molti conoscono ma che nel ’44 era casa nostra comunque. Ogni luogo della narrazione è le nostre ossa e ogni bambino o umano perduto quella notte il nostro sangue.

Questa è una storia italiana, della storia che nessuno di noi dovrebbe mai lasciar andare.

(Consigliato da Altea Gardini)

 

“La pedagogia del bambino vero” di Nicoletta Geniola

La pedagogia del bambino vero di Nicoletta Geniola
La pedagogia del bambino vero di Nicoletta Geniola

Nicoletta Geniola, nata a Ortona (CH) nel 1985, laureata in Scienze della Formazione Primaria all’Aquila, è un’educatrice d’infanzia e insegnante di Yoga. Da anni studia e si perfeziona nell’approccio olistico al benessere psicofisico dando il giusto spazio all’anima. Coltiva varie discipline e passioni tra le quali quella della poesia. La scrittura è per lei impegno e missione per trasformare la vita grazie all’ascolto delle emozioni per l’evoluzione della persona.

Così ha deciso di pubblicare La pedagogia del bambino vero. La relazione educativa per i genitori della nuova era, edito da Fontana Editore. Il testo è frutto di un percorso personale spirituale e intellettuale che ha deciso di mettere al servizio della comunità, bambini e genitori, perché “ciascuno di noi custodisce nella propria anima un seme che arriva a sbocciare soltanto al momento giusto.”

Il libro “si presenta come un’opera di pedagogia iniziatica e trasformativa utile ai futuri genitori, e a tutti coloro che si avvicinano al mondo delle relazioni umane e che intendono educare con la “E” maiuscola”. E in questo senso la prefazione di Valerio Sgalambro è illuminante sulla genesi e sulle finalità del testo, che viene inserita nel dibattito mai concluso tra Istruttivismo e Costruttivismo, spingendosi nella ricerca “oltre i limiti del cognitivo, fino ad affermare che: ‹‹Un bambino non è solo un bambino è molto di più: è un campo informato››”. Il lavoro della Geniola si muove entro un quadro di riferimento preciso che è quello della gnoseologia BioQuantica dell’essere. Così il genitore deve imparare a essere specchio attraverso cui il bambino può entrare in connessione con noi, ogni volta che sente l’esigenza di specchiarsi e ritrovare se stesso. Non conoscersi, dunque, ma riconoscersi.

Solo riponendo l’odio che spesso si ha verso se stessi, amandosi, realizzando la pace e l’armonia personale, si può avere cura del bambino, rispettandolo e accettandolo, così da entrare in una vera relazione genitore-figlio.

L’opera che si snoda in dieci ricchi capitoli, è supportata da un’ampia, ricca e variegata bibliografia e ogni capitolo si chiude con dei consigli pratici, dei veri e propri esercizi: nel primo capitolo l’esercizio è volto a “ritrovare se stessi”; nel secondo per poter “crescere figli felici”; nel terzo per comunicare con il cuore; nel quarto per “aumentare la sensibilità”; nel quinto “per sviluppare presenza”; nel sesto, attraverso tre differenti fasi, per “imparare a fluire seguendo la via dell’acqua”; nel settimo, dove si prospetta una nuova visione dell’essere umano, gli esercizi aiutano a “riscoprire la propria identità spirituale”; nell’ottavo, dedicato al ruolo spirituale del genitore entro una visione nuova della famiglia, gli esercizi sono molteplici, per un concepimento spiritualmente consapevole; nel nono, che affronta le tappe evolutive dello sviluppo spirituale, dall’infanzia all’adolescenza, sono presenti “suggerimenti per sviluppare la natura spirituale del bambino”.

L’ultimo capitolo è incentrato sui bisogni educativi del bambino vero, seguiti da consigli pratici per imparare a soddisfare i bisogni dei propri figli, ricordando che “Un bambino vero è un bambino che vive dal cuore. È un bambino che si meraviglia delle piccole cose intorno a lui, che sa ancora emozionarsi e ascoltare. Un bambino vero è un bambino che ama rischiare, avventurarsi, disobbedire. È un bambino che ama se stesso”.

Un libro ricco di spunti che, nonostante la complessità della matrice epistemologica, se letto col cuore libero e aperto alla comprensione, alla condivisione e al dialogo, può portare buoni frutti nella conoscenza e nell’equilibrio di sé, in sé e per gli altri. Sicuramente possono avere da giovarsene le relazioni educative, a partire dal contesto familiare e genitoriale, in “un continuo apprendistato per imparare l’arte di essere autentici, completi e indipendenti”.

(Consigliato da Katia Debora Melis)

 

“L’isola e la tua voce” di Antonio Pelliccia

L'isola e la tua voce di Antonio Pelliccia
L’isola e la tua voce di Antonio Pelliccia

A Passignano sul pontile/ dei passi perduti,/ fuliggine d’insetti,/ brucia forte l’attesa./ Una mattina di festa/ tra nuvole di luce/ e bagliori d’intesa,/ tornati nel ricordo/ ancora insieme/ lo sguardo tuo mi accende.” – dalla lirica “Sul Trasimeno”

L’isola e la tua voce” di Antonio Pelliccia, edito nel 2020 da Tomarchio Editore, si compone di quattro mini raccolte di poesie: L’isola e la tua voce che dà anche il titolo all’opera letteraria; Una pioggia dell’anima; Una cara solitudine; Di tanto in tanto… Tempo di tenerezza.

Il poeta assorbe il compito di scrutare l’anima e di dar voce ai ricordi di gioie passate che si infrangono con il grigio del mattino e il dolore di chi sta vicino al poeta e trova conforto nella mite malinconia ch’è tanto cara ai poeti.

Con le liriche che compongono l’opera letteraria “L’isola e la tua voce”, il poeta dà voce ai sentimenti: l’amore verso la persona amata, il dolore per la sofferenza, la malinconia e la solitudine. Ecco di cosa soffrono i poeti ed è di questa sofferenza che vivono i poeti dalla quale nascono liriche che fanno vibrare l’anima del lettore.

Il poeta sente la necessità di fuggire dal rumore della quotidianità e della città e trova rifugio nel nido della propria abitazione. Quelle mura domestiche che isolano e proteggono e sin dai poeti antichi sono state sempre care e fonte di nuova ispirazione.

Antonio Pelliccia sente la necessità di fare silenzio, non solo di rifugiarsi nel nido ma soprattutto di immergersi nel silenzio per far memoria di quel tempo passato che ritorna come una lama di luce nei giorni di tristezza e permette al poeta di guardare il cielo per ritrovare per un istante quel volto, quel sentimento che il tempo ha portato via.

Dopo aver dato voce al dolore, alla malinconia e al silenzio, il poeta trova finalmente riposo e un sicuro rifugio nella donna amata e ne narra con le sue liriche tutta la sua tenerezza che portano luce nei grigi giorni, pace nei sogni e una segreta allegria nella vita del poeta.

(Consigliato da Rosario Tomarchio)

 

“Maregrigio” di Vincenzo Restivo

Maregrigio di Vincenzo Restivo
Maregrigio di Vincenzo Restivo

Teresa Miele è una giovane donna ma non sa cosa significhi vivere in modo spensierato perché costretta a vendere il suo corpo a uomini bavosi che la utilizzano per i loro porci comodi. La sua realtà è oscura ma sa che c’è qualcos’altro e forse può provare a cambiare la sua esistenza. Ezio ha sedici anni, è innamorato di Francesco ma l’omofobia di quest’ultimo e dei suoi amici non gli rendono la vita semplice.

Poi ci sono Stefano e Diego, fratelli adolescenti, alla ricerca dell’avventura, che giocano a fare i grandi con il rischio di finire male. E poi Marisa, madre e moglie che evade la realtà grazie alla eccitante relazione segreta con Pasquale, amico dei suoi figli. E infine ci sono gli altri che a Dragona attendono con trepidazione della Madonna sull’acqua.

“Maregrigio” (Milena Libri, giugno 2020), l’ultimo romanzo del marcianisano Vincenzo Restivo, è un groviglio di emozioni, di corpi, di cieli, di dolore.

Quelle che inizialmente paiono come storie separate tra loro diventano ben presto un tutt’uno, perché ogni personaggio ha la sua storia da raccontare e questa non è mai priva di altri protagonisti con i relativi vissuti.

Teresa combatte contro le differenze e le costrizioni di genere ed un mondo che, ancora oggi, separa in modo troppo netto maschi e femmine.

Tutti patiscono la mancanza di libertà di essere ciò che ci si sente, chi perché vorrebbe crescere anzitempo per emulare le vite degli adulti, chi perché spinto da pulsioni naturali considerate dai più riprovevoli.

La colpa che li accomuna è quella di essere nati nella periferia dove accade di tutto ma nella quale, al contempo, nessuno parla e attende con rassegnazione il proprio destino o che la Madonna faccia il miracolo e porti via con sé il dolore di vite subite.

Sacro e profano si intersecano in continuazione, ognuno osserva la luce negli occhi degli altri e tentano di attaccarsi a quella luce come fosse la sola speranza possibile.

“Maregrigio” trascina ogni cosa con sé, tra attimi di sospensione, attesa, indecisione, tra luce ed ombra, tra fatti e pensieri, risultando così fortemente attuale e toccante, dall’inizio alla fine, con pagine che volano via con rabbia e dolore profondi.

(Consigliato da Rebecca Mais)

 

“Cambiamo strada: le 15 lezioni del Coronavirus” di Edgar Morin

Cambiamo strada le 15 lezioni del Coronavirus di Edgar Morin
Cambiamo strada le 15 lezioni del Coronavirus di Edgar Morin

Edgar Morin dedica il suo ultimo libro “Cambiamo strada: le 15 lezioni del Coronavirus” (Raffaello Cortina editore) alla presa di coscienza necessaria, una consapevolezza che l’autore auspica come dono e impegno per ognuno di noi: regalo che possiamo ancora accendere gli uni negli altri, con un movimento collettivo che ci unisce in “comunità di destino terrestre”; impegno perché mai come in questa epoca che spezza ogni più piccola certezza, dobbiamo agire insieme verso una direzione univoca.

La consapevolezza dovrebbe essere, di fatto, “l’evento chiave del nostro secolo”.

Che cosa possiamo fare per coltivare un nuovo “umanesimo planetario”?

Il suggerimento arriva dal novantanovenne Morin che ci racconta di aver speso le sue ultime energie nella stesura del piccolo prezioso saggio che io vi invito a leggere, a regalare, a passare di mano in mano come fosse l’ultimo libro del mondo.

Il filosofo e sociologo dallo sguardo transdisciplinare dichiara: “L’umanesimo di una volta aveva in sé un universalismo potenziale, ma non aveva la concreta interdipendenza tra tutti gli umani divenuti comunità di destino che la globalizzazione ha creato e che continua a far aumentare.”

E, per Morin, “l’umanesimo rigenerato consiste nel promuovere una dialettica costante tra l’Io e il Noi, nel collegare la realizzazione personale con l’integrazione in una comunità, nel cercare le condizioni affinché un Io si realizzi in un Noi, e il Noi possa permettere all’Io di realizzarsi.”

La visione di Morin va oltre il “preservare l’ambiente naturale”, perché ciò che diventa fondamento necessario per la rigenerazione dell’umanesimo oggi è la ricongiunzione dell’umanità al pianeta Terra, la ricostituzione della filialità: “lo scatenarsi tecnico-economico globale mosso da una insaziabile sete di profitto è il motore del degrado della biosfera e di quello dell’antroposfera”.

(Consigliato da Valeria Bianchi Mian)

 

“Achille e Odisseo. Il furore e l’inganno” di Matteo Nucci

Achille e Odisseo. Il furore e l’inganno di Matteo Nucci
Achille e Odisseo. Il furore e l’inganno di Matteo Nucci

Prima di accennare al libro “Achille e Odisseo” (Einaudi) di Matteo Nucci devo fare una confessione: io non conoscevo l’Iliade né l’Odissea. E non lo sapevo. O meglio, quel che di queste opere sapevo si riduceva a ciò che ricordavo (ahimè ben poco) dall’epoca remota dei miei studi liceali, dalla rilettura parziale in anni successivi, o dai richiami di tante narrazioni che fanno riferimento al Pelide o al re Itacese.

Così, mentre m’impegno a riprendere in mano i capolavori di Omero, seguo l’autore che delinea, capitolo dopo capitolo, un profilo dei due eroi che m’era sfuggito, in particolare di Odisseo, personaggio di cui tanti scrittori si sono appropriati.

A partire da Dante, altro gigante della letteratura, che in uno dei passi più memorabili della Commedia tratteggia un eroe che sfida le forze primarie dell’anima e della natura per rincorrere a ogni costo il sapere. Né amor di padre, né di sposo, né di patria, lo trattengono, men che meno gli uragani e le muraglie d’acqua che ai confini della Terra finiranno per sommergerlo.

È questa l’immagine di Odisseo che più è rimasta impressa nel nostro immaginario, e che nel commento di molti insegnanti ha assunto rilevanza di monito, di sprone a studenti alle soglie del sapere. E ciò è tanto più paradossale se si pensa che Dante non aveva letto i poemi omerici, che di Ulisse, nome latino dell’eroe, aveva saputo da altre fonti, non si sa bene quali.

Dante ignorava il greco, lo rivela peraltro egli stesso allorché chiede a Virgilio d’intrattenersi con le anime di Ulisse e Diomede che incontra nell’ottavo girone infernale. Virgilio acconsente, ma a condizione che Dante taccia, che sia il poeta latino a interrogarli: “… Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto/ Ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,/ Perché fuor Greci, forse del tuo detto.” (Inferno, XXVI,73-75).

Ora, chi s’inoltra nel libro di Matteo Nucci deve dimenticare l’Ulisse dantesco che riprende il mare per “seguire virtute e conoscenza”, deve porsi sulle tracce del vero Odisseo, quello che Omero ha tramandato. Se non fosse il volere divino a sbatterlo da un lido all’altro per dieci anni, l’eroe viaggerebbe non per scoprire o conoscere, ma per tornarsene a casa. Con almeno un’eccezione che mi fa notare mio nipote Federico, cui il libro di Nucci ho regalato (dono spesso i libri che amo a chi amo): allorché Odisseo sceglie di passare, non obbligato, davanti alle coste di Antemoessa per udire il canto sconcertante delle Sirene.

Lasciando da parte l’abusato confronto tra Ettore e Achille, campioni avversari nella guerra di Troia, Matteo Nucci contrappone Achille a Odisseo, l’altro grande personaggio dello stesso schieramento militare. Contrapposizione che già risuona nella seconda parte del titolo, Il furore e l’inganno, che è la sola cosa del libro che non so apprezzare. “Il titolo – scrive Savinio in Vita di Enrico Ibsen contestando quello italiano, Gli Spettri, dato al famoso testo del grande drammaturgo norvegese – è il primo suono del canto di un’opera, il segnale del suo carattere, non deve ingannare”.

Se non proprio ingannevole, il titolo, di cui Nucci non è forse responsabile, pone esageratamente l’accento sui caratteri antitetici dei due eroi. Tanto istintivo, iroso e passionale è l’uno, quanto cauto, misurato e riflessivo l’altro. Questo è certamente vero, ma le cose sono più complesse, e nel libro si trovano richiami a situazioni in cui gli opposti temperamenti sono meno evidenti. Talora addirittura paralleli, come il tentativo di entrambi di evitare la guerra, da parte di Achille nel travestimento alla corte di Licodemo, da parte di Odisseo nel fingersi pazzo per non arruolarsi nell’armata greca. O, ancora, nelle struggenti scene che si leggono nei capitoli finali dei due poemi, dove un padre e un figlio si incontrano e dove irreprimibili scorrono le lacrime degli eroi. Nell’Iliade, allorché Achille cede alle suppliche di Priamo ed esplode nel pianto dopo avergli restituito le spoglie di Ettore; nell’Odissea, quando al culmine della commozione, Ulisse si rivela infine all’affranto suo vecchio Laerte.

(Consigliato da Riccardo Garbetta)

 

“Il sentiero delle babbucce gialle” di Kader Abdolah

Il sentiero delle babbucce gialle di Kader Abdolah
Il sentiero delle babbucce gialle di Kader Abdolah

La scrittura di Kader Abdolah è sempre una certezza.

Edito da Iperborea, “Il sentiero delle babbucce gialle” è un altro meraviglioso libro di questo raffinato narratore.

Un romanzo che inizia quasi come una fiaba. Lo scrittore con il suo linguaggio semplice ma non leggero ci racconta di Sultan, un ragazzo che cresce nel castello della sua famiglia nella periferia di un piccolo paese della Persia. I suoi genitori sono commercianti di zafferano.

Sultan trascorre la maggior parte della sua infanzia proprio nella torre della sua casa, dove ama rifugiarsi perché è un ottimo punto di osservazione da cui poter guardare con il proprio binocolo il mondo esterno.

Finché non decide di sostituire il suo prezioso oggetto con qualcosa di più sofisticato, una macchina fotografica ed in seguito con una da presa.

Scopre così quella vocazione che lo guiderà attraverso un mondo pieno di donne e di guerriglieri, in un’era di rivoluzione con l’avvento di Khomeini, di guerra tra Iran e Iraq e di cambiamenti, che lo costringeranno a fuggire prima in Pakistan e poi in Olanda con la sua voglia di raccontare ed un talento che lo renderà un famoso regista.

Quando sei giovane non ti rendi conto che in realtà i sentieri della tua vita sono già stati tracciati e che devi semplicemente seguirli”.

“Il sentiero delle babbucce gialle” è un romanzo in cui la crescita personale di Sultan, si intreccia con la storia iraniana degli anni ’80.

Un linguaggio fiabesco ma altrettanto inquietante racconta una vita, una ricerca, il viaggio di un singolo legato inesorabilmente alla vita di un intero paese.

Kader Abdolah ha dedicato il libro a Saaed Sultanpoer. Un tributo ad un regista iraniano assassinato dal governo dell’Ayatollah.

(Consigliato da Alessandra Dalla Gassa)

 

“Riccardino” di Andrea Camilleri

Riccardino di Andrea Camilleri
Riccardino di Andrea Camilleri

Vorrei dare il mio modestissimo contributo al ricordo di Andrea Camilleri scomparso nel 2019. Uno scrittore che ho amato e amo moltissimo, che ho conosciuto non attraverso l’epopea del commissario Montalbano ma con “la presa di Macallè”. Bellissimo libro di difficile comprensione per me che vengo dal nord, ma con pazienza l’ho letto entrando in contatto con questa lingua che può essere dolce, ma anche tagliente come un rasoio.

Insomma amore immediato per questa narrativa mai banale, mai ripetitiva, neppure negli innumerevoli casi trattati dal famoso commissario. In questi romanzi la difficoltà linguistica per me è stata minore perché Camilleri ha sapientemente intrecciato il suo dialetto con l’italiano facilitando la lettura ai non residenti…

Con Camilleri e con il commissario ho imparato a conoscere la Sicilia uscendo dagli stereotipi soliti del mafioso con la scoppola in testa, dell’omertà o della fuitina, ho conosciuto una Sicilia sicuramente martorizzata da tutti i cattivi governi che l’hanno segnata profondamente così come l’hanno segnata le uccisioni di coloro che volevano invece portare un cambiamento, con il Maestro ho conosciuto il piacere del silenzio sulla veranda di fronte al mare con davanti un piatto succulento di pasta ‘ncasciata preparato dalla brava Adelina, oppure le sarde a beccafico preparate da Enzo. Una cucina ricca di sapori e di profumi di quella terra. Un silenzio che parla.

Edito da SellerioRiccardino” è il romanzo postumo, quello di cui tutti abbiamo sentito parlare dallo stesso Camilleri, il romanzo con cui si chiude questa saga, così come si è chiusa la vita del Maestro. Io ho letto solo l’ultima versione, l’ho fatto per scelta perché mi sembrava giusto così e ho trovato un’atmosfera diversa dove l’Autore si ritrova a dialogare con Montalbano senza che Autore e Personaggio si confondano, piuttosto sembrano fronteggiarsi battibeccando anche su come chiudere quella saga, quel libro, quel mito risolvendo l’ultimo delitto, “l’ammazzatina” di Riccardino, al secolo Riccardo Lopresti, sciupafemmine ucciso in mezzo alla strada, di mattina presto, davanti a tre amici con un colpo di pistola.

Una nuova novella vigatese dove si aggira un Montalbano teso che di notte spesso ha incubi e che si sente di continuo messo a confronto con l’Attore che lo interpreta in TV e in contrasto con l’Autore che vorrebbe continuamente intervenire per modificare gli eventi narrati.

Questo ultimo romanzo assume dei contorni indefiniti, un po’ sardonici e diventa quasi un duello, un malinconico e surreale duello, fra il personaggio e il suo creatore.

(Consigliato da Beatrice Benet)

 

“How Happy We Were” di Julian Beck

How Happy We Were di Julian Beck
How Happy We Were di Julian Beck

Nel luglio del 1957, a New York, Julian Beck e Judith Malina, i fondatori del Living Theatre, furono arrestati assieme a diversi esponenti di un’organizzazione pacifista per essersi rifiutati di partecipare a un’esercitazione obbligatoria della Civil Defense inscenando un sit-in.

Furono condannati a trenta giorni di detenzione – poi ridotti a venticinque – che Malina scontò in un istituto carcerario femminile nel Greenwich Village, e Beck inizialmente nella prigione di Manhattan soprannominata The Tombs (!), per poi essere trasferito a Hart Island, nel Bronx.

Julian Beck e Judith Malina avevano fondato il Living Theatre a New York nel 1947, anche se il loro primo spettacolo aveva avuto luogo solo nel 1951, nel living room del loro appartamento al 789 di West End Avenue, a Manhattan.

Onesto, franco, diretto – anche perché nato da un’urgenza interiore e non pensato per la pubblicazione – “How Happy We Were” (Fast Books) è anche un libro molto poetico, che sanamente restituisce l’atmosfera di un’epoca in cui visse la speranza di cambiare il mondo in nome di valori etici e libertari.

Penso spesso a persone come Judith Malina (che ho avuto l’onore di conoscere) o Julian Beck; a come si rapporterebbero con la realtà attuale. Forse è meglio per loro che non possano assistere allo sfacelo morale e politico odierno, al crollo di tutto ciò per cui si erano battuti per una vita.

Anche se oggi, sempre più, si sente la mancanza di persone che credano ancora nell’irriducibilità dell’utopia.

«Trenta giorni di condanna sono un tempo così breve, e l’esperienza così nuova. Sono un osservatore sensibile e conscio di fin troppi dettagli. Non soffro, no, affatto, ma sono disturbato da ciò che vedo, e se al momento sono alquanto triste, l’esperienza è una delle più positive che io abbia mai vissuto; e mentre nel mondo esterno, dove tutto è bellissimo e buono, sembra ovvio che l’anima di un uomo possa ammalarsi per un cancro, qui, dove tutto è brutto e corrotto, è evidente che le anime degli uomini abbondano di bontà e antidoti a ogni dolore»

«Il più impressionante, davvero il più impressionante aspetto della vita carceraria [è] il buonumore. Tutti sono allegri, ognuno aiuta l’altro a sopportarla. Oh, ci sono alcune eccezioni, e sono tristi, ma nessuno li abbandona o li evita. Tutti sono allegri, e questo è così meraviglioso che uno vorrebbe che il mondo in generale imitasse i detenuti delle prigioni.»

«E qui su quest’isola, casa dei morti e dannati, sono giunto ad avere più speranza e a sentire più amore fra i miei compagni che in qualsiasi altra parte di questa terra.»

(Consigliato da Sandro Naglia)

 

“De viris illustribus” di Filomena Gagliardi

De viris illustribus di Filomena Gagliardi
De viris illustribus di Filomena Gagliardi

La poesia è ovunque: perché non è nelle cose, ma negli occhi di chi guarda. La poesia la vedi all’improvviso e ti sorprende, perché la trovi in un luogo insolito dell’anima, oppure in un luogo solito, ma che non vedevi chiaramente. Ecco, la poesia ti deve stupire come una scoperta, come un’emozione che non sapevi.

Nelle poesie di Filomena Gagliardi trovi tutto questo, e ti incanta che sia anche dove non avresti pensato. Perché lei è bravissima scavare anche tra gli autori classici. Sì, gli autori classici, che non ti aspetteresti e che incontri, ritratti oltre i semplici ricordi, nei suoi versi intensi.

Tra le sue pagine ti ritrovi a immaginare, a reinventare, e allo stesso tempo dare del tu ai grandi di sempre, come Aristotele, Omero, Socrate, o Saffo. La poetessa sa accendere la luce della loro grandezza, ma allo stesso tempo sembra che possa allungare una mano a sfiorarli.

I classici lì, tra le parole e i versi. I classici, che avresti immaginato scolpiti in vecchie effigi per restare immutabili, che pensavi in fermo immagine dentro l’estasi di una espressione monocromatica, invece la nostra autrice li colora. Li riempie di vita, li tira dentro la nostra epoca come se fosse naturale.

È questo uno degli aspetti che più sorprende nella silloge di Filomena Gagliardi: non ti porta con le sue immagini in polverosi musei dimenticati dal tempo. E non ti porta in mezzo a loro in un salto a ritroso nei secoli. No, la poetessa fa molto di più, e porta loro, i classici, mezzo a noi.

I suoi versi sembrano contestualizzare il loro spirito nell’immediatezza del nostro linguaggio di oggi. Con le sue righe brevi va diretta al centro più vivo delle loro essenze, di quelle che sono state le loro essenze, e le coniuga con le nostre parole di oggi. Reale, immediato, lampo lessicale, visione.

Lei pensa ad Omero e lo celebra così: “Sei mito/ senza la parola scritta/ sei logos/ parola fugace/ affidata al vento/ eppure colorata/ esistente”.

Ieri e oggi si incontrano nelle sue parole e riescono a trovare struggente un tempo remoto; che all’improvviso si delinea davanti ai nostri occhi, stupiti, ed estasiati dalla dolce forza di parole sognanti.

Filomena Gagliardi lo fa con rispetto; rispetto confuso (fuso insieme) a un leggero sospetto di irriverenza. Come se il messaggio fosse che se li ami, se li ami davvero, avvicinarsi così tanto a loro da toccarli non è irriverenza. E leggendo i suoi versi li puoi toccare senza mettere in gioco la loro grandezza. È una magia colorata dalla penna dell’autrice.

Allora, nelle sue pagine, quello ti che prende maggiormente è quel suo saper affondare le mani nel ribollire dei classici per renderli materia viva. Restituirceli, come materia, come materia viva. Subito, nell’immediatezza delle sue parole ispirate.

Così tutta la silloge “De viris illustribus” (Nulla Die) è anche un viaggio, un viaggio dove ti ritrovi seduto al banco con loro, anzi, non al banco, ma in luogo indisciplinato come loro. Perché loro anche rotto gli schemi, hanno volato con ali di cera senza paura, e la nostra autrice ci restituisce tutto l’amore per questo volare alto.

(Consigliato da Pier Bruno Cosso)

 

“Sette opere di misericordia” di Piera Ventre

Sette opere di misericordia di Piera Ventre
Sette opere di misericordia di Piera Ventre

Sette opere di misericordia è un romanzo di Piera Ventre, edito da Neri Pozza nel 2020, scritto con talento, abilità narrativa e descrittiva, pluralità di punti di vista e un’osmosi di termini aulici e dialettali.

Siamo a Napoli, agli inizi degli anni Ottanta, durante il terrorismo, i dubbi sulla strage di Ustica, l’ascesa alla carica di Presidente di Regan, la morte di Tito e il conflitto fra Iran e Iraq.

Siamo a Napoli, dunque, dopo il terribile terremoto che distrusse la città.

Quando camminava per la città, c’erano dei momenti in cui il sole si spalmava sui muri frustri e li faceva rispendere cancellandone le muffe, i colori anneriti, le usurpazioni del tempo e lei si scopriva a guardarli come se si trovasse davanti una cosa nuova, uno scenario pulito dalle scorie. Una finzione transitoria, creata da quella luce, in grado di aprire uno slabbro dal quale intravedere la via d’uscita.”

Da queste macerie di calce e sangue inizierà una storia sulla misericordia nel senso etimologico del termine.

Consigliato!

(Consigliato da Emma Fenu)

 

Fa una scelta di buoni autori e contentati di essi per nutrirti del loro genio se vuoi ricavarne insegnamenti che ti rimangano. Voler essere dappertutto e come essere in nessun luogo. Non potendo quindi leggere tutti i libri che puoi avere, contentati di avere quelli che puoi leggere.”

 Lucio Anneo Seneca ‒ “Lettere morali a Lucilio”

 

Datta, dayadhvam, damyata/ Shantih shantih shantih” [Dai, compatisci, domina/ Pace]

 Thomas Stearns Eliot in “The Waste Land”

 

Info

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