Editoria 2019: i libri per l’inverno consigliati da Oubliette Magazine
“Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento; letti una volta, vi serviranno per il resto della vita.” – Ezra Pound
Il poeta e saggista statunitense Ezra Pound (Hailey, 30 ottobre 1885 – Venezia, 1º novembre 1972) visse gran parte della sua vita in Europa ed in particolar modo in Italia; è ricordato come protagonista del modernismo ed insieme a Thomas Stearns Eliot portò avanti correnti quali l’imagismo ed il vorticismo.
Circa due millenni prima, un uomo che viveva in una botte soleva ricordare che “Avere dei libri senza leggerli è come avere dei frutti dipinti.”. Quest’uomo era il filosofo Diogene di Sinope (detto il Cinico, Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.).
Noi aggiungiamo che se il possesso fisico di libri non è proporzionale alla lettura è necessario rivalutare il proprio rapporto con questo “oggetto” che ci dà la possibilità di scavare nel genio di un altro essere umano e di comparare il nostro pensiero al suo. Leggere è un atto intimo, di ricerca, di esplorazione.
Se avete il piacere di unirvi a noi per consigliare una lettura, a fine articolo nella sezione Commenti si potrà indicare il titolo, l’autore, la casa editrice e qualche riga di esplicazione.
I libri del 2019 consigliati da Oubliette Magazine
“Il giallo Pasolini. Il romanzo di un delitto italiano” di Massimo Lugli
Uno stupendo ritratto, vero e nostalgico, dove Pasolini rialza la testa martoriata e ci racconta un’altra storia, donandoci uno sprazzo di verità lampanti, ma taciute per oscene connivenze tra potere statale e potere sovversivo.
Il delitto Pasolini qua restituisce dignità alla violenza subita dal nostro intellettuale. Non una storiaccia omosessuale.
Ma un vero delitto politico che, prende l’avvio da casi lontani, delitti dimenticati e finisce una sera maledetta all’idroscalo di Ostia farcita da complicità, silenzi e omissioni.
Una storia di potere in cui la volontà di annichilire un popolo e uno stato, oggi sorride beffarda. Ma la verità non può essere taciuta.
La verità non muore perché qualcuno ha deciso di camuffarla. Ed è per questo che, oggi, Pasolini tuona orgoglioso da questo libro, nonostante la violenza subita.
Schiaffeggiando tutti i dormienti, facendosi balsamo sul cuore ferito di tutti gli idealisti, che la verità ancora la cercano.
E redimendo una letteratura stantia, ridonandole il suo autentico quello che svela, rivela e fa riflettere.
Edito il 24 ottobre 2019 da Newton Compton editori.
(Consigliato da Alessandra Micheli)
“Nel silenzio delle nostre parole” di Simona Sparaco
“Il cielo è terso, traforato di stelle, ma nascosto sporadicamente da una nebbia sottile che accarezza la città…”
Sei storie, diverse tra loro, ma legate da un destino ineluttabile. Sono le storie delle persone che animano il romanzo di Simona Sparaco Nel silenzio delle nostre parole, edito da DeAplaneta nel 2019, e che ha valso all’autrice il primo premio del concorso, della stessa casa editrice, alla sua prima edizione.
Le vicende narrate dall’autrice non sono frutto della sua fantasia, ma l’eco di un fatto realmente accaduto a Londra nel 2017. Per elaborare il romanzo, la Sparaco si è ispirata a un articolo di giornale, come lei stessa sottolinea a fine libro, in cui si riportava la notizia della disgrazia. E, bisognosa di dare voce alle vittime di una tragedia non annunciata, ne ha riportato l’accaduto, seppur romanzato.
Ambientato nella Berlino dei nostri giorni, il libro ha il pregio di essere di una struggente veridicità. Con un tratteggio dei fatti e dei personaggi preciso e puntuale, che quasi pare di vederli calati nelle azioni che abitano la loro quotidianità.
C’è Polina, che si occupa del figlioletto di pochi mesi, e lo fa al meglio che la sua giovane età le consente, dopo essere stata costretta dall’evento ad abbandonare la sua aspirazione, che la voleva una ballerina di successo. Bastien, in eterno conflitto con la madre che, amorevole, si preoccupa del futuro del suo unico figlio, il quale, infine, si dimostrerà capace di atti eroici, dei quali la madre non lo credeva capace. Hulya, che in seguito alla tragedia perde qualcosa per lei molto importante, ma allo stesso tempo le viene offerta l’occasione per manifestare un coraggio che non sapeva di possedere. E poi gli altri, Matthias e Alice, giovane coppia innamorata, desiderosa di vivere in completezza la loro prima esperienza d’amore.
I protagonisti, tutti, sono preoccupati di risolvere i conflitti emotivi lasciati in sospeso, e vivere la loro quotidianità a modo proprio, inconsapevoli della tragica sorte che si sta per abbattere sulle loro esistenze.
Scritto con mano leggera, seppur incisiva, Il silenzio delle nostre parole è libro da leggere tutto d’un fiato, in quanto romanzo di formazione. Che mette il lettore in comunicazione con una realtà sperimentata solo attraverso le pagine dei quotidiani. E, si trova, invece, davanti a personaggi, le cui emozioni e sentimenti e le loro fragilità, anche contrastanti, appartengono all’universo emozionale di ciascuno.
“Nella nuova stanza di Hulya, la finestra affaccia sui tetti di Wedding. È ormai mattino inoltrato, e la luce che filtra dai vetri delle finestre sembra irradiarsi sulle pareti azzurrognole e sulle bianche mattonelle del pavimento, quasi con l’intento di animarle…”
(Consigliato da Carolina Colombi)
“Un volgo disperso. Contadini d’Italia nell’Ottocento” di Adriano Prosperi
Un grande libro, scritto da un grande storico, Adriano Prosperi (classe 1939, professore emerito di Storia moderna presso la Scuola Normale Superiore di Pisa), dedicato ai progressi dell’igiene e della salute pubblica nelle campagne italiane dell’Ottocento.
L’opera contribuisce a far conoscere e riportare nel seno della cultura della nostra nazione una folla di personalità benemerite, dedite ad attività scientifiche, mediche e filantropiche del XIX secolo, sino a oggi purtroppo rimaste pressoché ignorate dal canone ufficiale.
Tema centrale del libro è inoltre il contrasto, talora latente, ma in certi casi assai aspro, venutosi a creare nel nostro paese, prima e dopo l’Unità, tra i medici e il clero.
Contrasto che ebbe a risolversi a netto favore dei primi, pur senza implicare alcuna radicale «scristianizzazione» della società italiana contemporanea.
Pur affrontando temi di notevole spessore scientifico, morale e storico religioso, questo libro si raccomanda anche per il suo linguaggio limpido e piano che lo rende facilmente accessibile anche ai lettori non specialisti.
Adriano Prosperi, Un volgo disperso. Contadini d’Italia nell’Ottocento, Torino, Einaudi, 2019, pag. XVIII – 324.
(Consigliato da Giancorrado Barozzi)
“La foresta d’acqua” di Kenzaburō Ōe
L’autore è il Premio Nobel Kenzaburo Ōe, ma l’io narrante è uno scrittore altrettanto celebrato, di nome Kogito Chōkō (quanto meno la “ō” c’è).
Premetto che la frase simbolo del libro è: “Salire su nella foresta”, che, nel gergo di quel luogo sperduto dello Shikoku, significa morire.
Già nelle prime battute dell’opera, Kenzaburo Ōe, oppure Kogito Chōkō, indica la sua non verde età (“che ci faccio io in una foresta se non sono più del colore delle foglie?”); ed anche: “… una realtà ineluttabile: la mia vita di romanziere si avvicinava alla fine”.
L’autore prende ad un certo punto a raccontare un episodio, già narrato altrove e scimmiotta un po’ chi a sua volta lo motteggiasse: “ma guarda te, il povero vecchio scrittore sta plagiando se stesso per l’ennesima volta!”.
Questo romanzo fu concepito quando egli aveva poco più di trent’anni, poi fu sospeso per mancanza di… elementi, diciamo… Per la medesima mancanza per cui è stato scritto poi. È la mancanza di alcune cose il fatto più presente nelle prime pagine. Ed essa è l’enzima che stimola ogni reazione umana narrata nel libro, compresa la mia.
In gran parte, anche se non del tutto, ogni intervento di ciascun personaggio appare come un saggio a sé stante, in cui sono espresse delle considerazioni che, in qualche modo, dovrebbero permettere all’altro, ridotto a semplice uditore, di organizzare una sua replica, al fine di rapportarsi. Se affermo che i dialoghi sono logorroici, questo non rappresenta una critica allo stile (di Chōkō o di Kenzaburō), ma è un’analisi del metodo da lui adottato. Non si tratta di scambi vivaci e diretti, bensì di prolusioni ampie e un po’ prolisse, mirate allo scopo di farsi comprendere. Ma anche d’imporre le proprie ragioni. Sembrano a volte delle arringhe forensi.
Il libro di Kenzaburō-Chōkō è ideale per chi ha del gran tempo da perdere, e che ne vuole ricavare sempre di più. È una di quelle opere che torneranno sempre, ogni tanto, e poi si eclisseranno all’improvviso, nella selva oscura della vita, un po’ come fece, a suo tempo, l’immagine di Kogii.
“La foresta d’acqua” è edito da Garzanti nel 2019.
(Consigliato da Stefano Pioli)
“Alternative” di Sebastiano Zanolli
Sebastiano Zanolli è un esperto di gestione del cambiamento, speaker e autore di numerosi libri fra cui il best seller La grande differenza.
Da oltre trent’anni cerca, sperimenta e struttura risposte al grande quesito della motivazione, adattandole ogni volta alla singola specificità del contesto organizzativo e personale.
In una società che cambia continuamente in modo imprevedibile, il passato non è un maestro affidabile. La capacità di prevedere gli eventi, immaginare scenari e creare alternative, la preveggenza e la lungimiranza assumono quindi un ruolo determinante.
Consiglio “Alternative” perché non è un romanzo, non è nemmeno un saggio, ma piuttosto lo considero una guida, un aiuto per tutti coloro che nella vita o nel lavoro si son trovati spalle al muro e con la necessità di trovare il famoso piano B, delle alternative.
Perché come scrive l’Autore stesso “fallire è un lusso per pochi“. Il termine latino fallere, ingannare, ci suggerisce che quando non vediamo i rischi e non ci mettiamo al riparo da essi, ci stiamo illudendo.
Bisogna armarsi di buon senso, prudenza e onestà nel riconoscere le conseguenze drammatiche del fallimento e la nostra responsabilità nell’evitarlo.
“Mentre la maggior parte delle persone pensa ai piani B come ripieghi, si tratta di tutt’altro, quasi sempre di miglioramenti“.
Edito da Roi Edizioni.
(Consigliato da Alessandra Dalla Gassa)
“L’altra verità. Diario di una diversa” di Alda Merini
Un alternarsi di orrore e solitudine, di incapacità di comprendere e di essere compresi, in una narrazione che nonostante tutto è un inno alla vita e alla forza del “sentire”. Alda Merini ripercorre il suo ricovero decennale in manicomio: il racconto della vita nella clinica psichiatrica, tra elettroshock e autentiche torture, libera lo sguardo della poetessa su questo inferno, come un’onda che alterna la lucidità all’incanto.
Un diario senza traccia di sentimentalismo o di facili condanne, in cui emerge lo “sperdimento”, ma anche la sicurezza di sé e delle proprie emozioni in una sorta di innocenza primaria che tutto osserva e trasforma, senza mai disconoscere la malattia, o la fatica del non sentire i ritmi e i bisogni altrui, in una riflessione che si fa poesia, negli interrogativi e nei dubbi che divengono rime a lacerare il torpore, l’abitudine, l’indifferenza e la paura del mondo che c’è “fuori”.
In questa premessa c’è già tutto quello che può incuriosire il lettore più riflessivo e sensibile, indipendentemente dal fatto che conosca o meno questa grande protagonista della nostra letteratura contemporanea.
Poetessa e scrittrice, Alda Merini, che non ha certo bisogno di essere presentata e spiegata, in questo diario mette a nudo le sue cicatrici, quelle più profonde dell’abbandono subito da parte dei suoi famigliari, dell’allontanamento dal suo mondo, dello sradicamento perpetrato della sua stessa identità. Più che la descrizione cruda delle violenze a cui lei e tutti gli altri degenti furono sottoposti in nome di una sbandierata possibilità di “cura”, colpiscono le descrizioni, talvolta sfocati ritratti, di quelle anime incontrate e poi perdute, in un girotondo quasi infernale in cui il male, la crudeltà, l’indifferenza, l’insensibilità di chi doveva prendersi cura di queste persone in difficoltà, fa da contrappeso a tutto il desiderio, il più delle volte negato, nascosto, di amore e di amicizia, di bellezza e di generosità.
A riprova del fatto che anche in una comunità così particolare come era quella che si veniva a creare in questi luoghi di cura, si ritrovavano esattamente tutte le dinamiche della società e tutte le problematiche dei rapporti fra individui. Si tratta di una lettura “forte” che non lascia spazio a nulla da immaginare in quanto a sofferenza e vere e proprie crudeltà, ma che lascia, in chi legge, un segno indelebile comunicando il messaggio che niente può intaccare l’anima autentica perché le prove più difficili vi fanno sbocciare i bellissimi fiori dell’umanità, della comprensione, dell’empatia, della solidarietà. In una parola dell’amore in tutte le sue declinazioni.
Ottava edizione, gennaio 2019, BUR (Biblioteca Universale Rizzoli).
(Consigliato da Giovanna Fracassi)
“L’Isola di Pasqua, diario di un allievo ufficiale della Flore” di Pierre Loti
“Esiste, in mezzo al Grande Oceano Pacifico, in una regione dove non si va mai, un’isola misteriosa e remota; nessun’altra terra si trova nelle sue vicinanze e, a più di cento leghe da ogni parte, la circondano abissi vuoti e mutevoli. Quest’isola è seminata di statue alte e mostruose, opera di chissà quale razza oggi degenerata o scomparsa, e il suo passato resta un enigma.” – Pierre Loti
Nel 1867, Pierre Loti, pseudonimo di Louis Marie Julien Viaud era un giovane allievo ufficiale della Marina Francese, grazie alla sua abilità nel disegno, viene selezionato per imbarcarsi a bordo della fregata a vela Flore, in partenza verso il Pacifico con una singolare missione: recuperare un Moai dall’Isola di Pasqua, per esporlo a Parigi.
Diciasettenne brillante e curioso, Loti nel suo diario di allievo ufficiale ha raccolto in quattordici fogli manoscritti la sua esplorazione sull’isola di Pasqua e il contatto con gli indigeni.
Molti sono gli interrogativi che si pone Loti nei pochi giorni di permanenza sull’isola. Da dove proviene questa popolazione che parla una lingua Maori?
È possibile che abbiano navigato per mille miglia di bolina sino a giunger là? O son forse discendenti di antichi naufraghi?
Questo diario, debitamente corretto dall’autore, è stato pubblicato per la prima volta in Francia nel 1899, nella Revues de Paris in tre puntate, col titolo L’île de Pâques. Journal d’un aspirant de la Flore, e di questa ne ha curato l’edizione italiana la Bordeaux Edizioni, con il titolo L’Isola di Pasqua, diario di un allievo ufficiale della Flore e la felice traduzione di Paolo Bellomo.
Poche pagine che raccontano una importante testimonianza di un’isola la cui cultura si è ormai persa, e che a buon titolo possiamo affiancare ai resoconti di Cook e Roggeveen.
(Consigliato da Claudio Fadda)
“La vita sociale delle sagome di cartone” di Fulvio Gatti
Fabula Nuova è una casa editrice piccola, ma dignitosa.
Paul Pavese, il suo fondatore, è uno scrittore che ha la disponibilità economica per investire in questo progetto.
I titoli che ha pubblicato in passato sono stati acclamati da critica e pubblico, e anche se ormai Paul non scrive da dieci anni, nell’immaginario collettivo il suo nome è sempre sulla cresta dell’onda.
Quando Paul sparisce durante il Salone di Torino, la sua fidatissima marketing manager si ritrova nei guai. Se non trova Paul, gli appuntamenti del Salone salteranno, così come il suo posto di lavoro.
“La vita sociale delle sagome di cartone” non è un giallo, nonostante dalla trama sia facile pensare che lo sia.
Si tratta, invece, di una storia che vuole scavare in quelle dinamiche editoriali odierne che vengono discusse in modo superficiale da molti.
Un particolare plauso va al modo in cui Fulvio Gatti ha illustrato la differenza tra le Edizioni Essenziali e Fabula Nuova.
“La vita sociale delle sagome di cartone” è stato pubblicato a settembre 2019 dalla casa editrice Las Vegas Edizioni.
Una lettura che consiglio.
(Consigliato da Giulia Mastrantoni)
“Il canto della foglia dorata” di Maria Sabina Coluccia
Oggi riflettevo sul tempo e quanto me ne manca ultimamente. È come se il fatto di non avere tempo mi spingesse a ottimizzare quello che ho. Lo ammetto ultimamente leggo e scrivo poco, ma non potevo fare a meno di leggere un libro particolare e consigliarlo allo stesso tempo.
Si tratta di un romanzo breve edito da Editore Delos Digital: “Il canto della foglia dorata” di Maria Sabina Coluccia. Un viaggio nel più remoto passato di una terra che deve svelare all’intera umanità le sue storie e le sue meraviglie.
Storie ambientate sul pianeta Gurin, che ricordano la storia di Pandora in Avatar e che si mescolano egregiamente con il mito indiano delle “foglie del destino”, che in questo romanzo divengono foglie dorate.
Magda, l’elfo protagonista, dovrà imparare, attraverso il canto delle foglie a sconfiggere le sue paure e finalmente ritroverà l’amore che mai ha abbandonato il suo cuore. All’interno di questo multiforme panorama si colloca un sistema oracolare, unico.
L’inizio del racconto, con la spiegazione dei tre soli, mi ha anche ricordato un po’ l’incipit del “Signore degli anelli” di J.R.R.Tolkien: “Il primo Sole è la Natura che protegge, con le sue Montagne Azzurre, che nascondono l’Opale./ Il secondo Sole è la Natura che si unisce alla volontà./ Il terzo Sole è il cuore della Natura che si fonde nel cuore degli elfi. La foglia si veste di oro e canta.”
Comunque, l’autrice ci regala un ottimo, racconto d’immaginazione: quello che qui conta è l’atmosfera onirica con squarci di visione che si aprono nella sua prosa densa e ben elaborata.
Se nella prima parte della narrazione l’autrice ha espresso una rivolta, contro il mondo prosaico che la circonda, nell’ultima ha raggiunto risultati fantastici che in pochi altri autori è dato riscontrare.
Libro senz’altro imperdibile, che ti avvolge in una nube fitta, di magia, facendoti perdere il contatto con la realtà. I personaggi ispirano simpatia, dolci come il miele e resistenti come le radici di alberi secolari. Li ho immaginati come amici ascoltandone avventure e pensieri.
Un racconto che ho apprezzato, soprattutto per i messaggi educativi che può offrire ai giovani lettori, che di solito si avvicinano al mondo dei libri soprattutto grazie al genere fantasy.
Ogni frase del libro è cesellata con la massima cura e al tempo stesso spogliata di qualsivoglia pesantezza. Così rimane solo il fine piacere della lettura: una lettura che ci rapisce e ci trasporta. Un racconto fantasy che combacia benissimo con l’atmosfera natalizia, da leggere e raccontare sotto l’albero.
(Consigliato da Vito Ditaranto)
“Sguardi che contano. Il cinema al tempo della visibilità lesbica” di Federica Fabbiani
Questo libriccino della giornalista Federica Fabbiani spiega sin dal titolo l’intento, partendo dal presupposto che il lesbismo sia diventato visibile – quando addirittura non iper-visibile – sugli schermi mainstream occidentali.
Basato su una esaustiva filmografia (riportata integralmente in appendice e suddivisa tra film e serie tv) ripercorre le diverse fasi del cinema lesbico: inizialmente relegato ai porno, viene poi rappresentato come legame non erotizzato (“amicizia” o “sorellanza”), poi stereotipato nella figura della butch (una lesbica mascolina con tratti patologizzanti e patologizzati) ed infine, sebbene con una maggiore articolazione, viene fagocitato e digerito dal sistema neoliberista e patriarcale che lo trasforma in una merce controllata e garantita.
Ma ci sono film che superano questo inedito innesto del lesbismo sul modello familiare eterosessista in coppia (con moglie e prole) ed un’aura romantica ed edulcorata.
In particolare, Vida, una serie tv ispirata al concetto di frontiera come strumento di de-costruzione delle ideologie egemoni della scrittrice e attivista femminista e lesbica Gloria Anzaldùa.
Ebbene qui la protagonista è il mestizaje, cioè l’arte di vivere al confine, navigando in e tra culture e lingue, accettando e valorizzando ambivalenze, incertezze ed ibridità in una prospettiva latina queer femminista.
Un libriccino agile e nello stesso tempo denso, che si legge tutto d’un fiato per “ritrovare l’ispirazione dell’essere sempre e comunque dissidenti”.
Edito da Iacobelli editore (anche in e-pub) nel settembre 2019.
(Consigliato da Monica Macchi)
“Il guardiano della collina dei ciliegi” di Franco Faggiano
Questa è la storia reale di Shizo Kanakuri, maratoneta olimpico cresciuto a Tamana, nella Prefettura di Kumamoto, nel sud del Giappone.
Da giovane venne notato per l’abilità nella corsa e venne mandato a disputare le Olimpiadi di Stoccolma nel 1912; dopo una serie di vicissitudini e incredibili avventure, ottenne il tempo eccezionale di gara di 54 anni, 8 mesi, 6 giorni, 5 ore, 32 minuti e 20 secondi.
Non si hanno informazioni precise riguardo ciò che accadde dopo le Olimpiadi ma Franco Faggiani ci racconta, romanzandoli, le vicissitudini di questo uomo che perse tutto e che per ritrovarsi si immerse nella natura, nel tentativo di contrastare la vergogna e il disonore arrecati al suo imperatore per non aver portato a termine l’impresa sportiva.
Ciò lo porterà a diventare il custode di una collina di ciliegi a Rausu, nell’isola di Hokaido, luogo nel quale vivrà, rifletterà, conoscerà persone, cercherà la pace e troverà tante altre emozioni, non sempre positive.
“Il guardiano della collina dei ciliegi” (Fazi Editore, 2019) è un viaggio in un Giappone legato alle tradizioni del passato che cominciava a modernizzarsi, è il commovente cammino di un uomo che deve crearsi una nuova identità ed imparare a conoscere se stesso e il mondo che lo circonda.
Uno degli strumenti è la corsa, diversa da come la conosciamo, una corsa non finalizzata a qualcosa di specifico se non al benessere di sé.
È un viaggio profondo, pregno di attesa di poesia, di natura, di sensazioni e di emozioni al dì là del tempo e dello spazio.
(Consigliato da Rebecca Mais)
“Spinoza e la storia” di Cristina Zaltieri e Nicola Marcucci
Il primo maggio 2019 è stato pubblicato “Spinoza e la storia”, un libro di critica sul filosofo olandese Baruch Spinoza (Amsterdam, 24 novembre 1632 – L’Aia, 21 febbraio 1677) comprendente una ricca selezione di saggi curati da Cristina Zaltieri e Nicola Marcucci, pubblicato nella collana “Il corpo della filosofia” per la casa editrice mantovana Negretto Editore.
Il saggio si apre con l’introduzione “Spinoza. Come pensare altrimenti la storia” di Cristina Zaltieri nella quale sono illustrate le quattro parti che compongono l’ambizioso e ben riuscito progetto corale di nuova rilettura del filosofo olandese seguendo la moderna attenzione riservatagli dai filosofi Gilles Deleuze e François Zourabichvili.
La prima parte, “Alle radici di una storia spinoziana”, inizia con il saggio di Chiara Bottici e Miguel de Beistegui “Il sifone teologico-politico: storia sacra e disciplina idraulica degli affetti”, seguono il saggio di Patrizia Pozzi “Storia nella Scrittura e storia della Scrittura. Historia e toledot nel Trattato teologico-politico di Spinoza”; “Tra natura e storia: il caso degli usi e dei costumi” di Francesco Toto; “Memoria di un segno senza storia ‒ Meraviglia, rivelazione e superstizione secondo Spinoza” di Nicola Marcucci.
La seconda parte, “Una solitudine condivisa. Tra precursori e seguaci”, prende avvio con il saggio di Augusto Illuminati “Il momento machiavelliano in Spinoza”, seguono il saggio di Guillermo Sibilia “Spinoza tra cartesianesimo e spinozismo: sulla temporalità nei Principi della filosofia di Cartesio, nei Cogitata Metaphisica e nella Lettera sull’infinito”; “La comune natura (su Vico e Spinoza)” di Riccardo Caporali; “Nietzsche e Spinoza contro la moderna formazione dell’umano” di Cristina Zaltieri.
La terza parte, “Contro la lettura astorica”, vede come primo saggio “Spinoza e la storia” di Vittorio Morfino, seguono il saggio di Thomas Hippler “L’etica dello storico spinozista”; “La storia, la saggezza, la morte. Spinoza e la destinazione dell’uomo secondo Enrico Maria Forni” di Andrea Cavazzini; “Le regole che gli ebraisti avrebbero potuto dedurre (Natura e istruzione)” di Homero Santiago.
La quarta parte, “Spinoza oltremoderno”, si apre con il saggio di Ezequiel Ipar “Sulla natura e sull’eventualità della democrazia”, seguono il saggio di Manfred Walther “La dottrina spinoziana del conatus come fondamento di una logica evoluzionistica, ovverosia storia della cultura?”; “Spinoza: storia e politica in prospettiva” di Maria de Gainza; “Libertà di Dio, libertà degli uomini. Sulla storia del popolo ebraico nel TTP” di Stefano Visentin.
(Consigliato da Silvano Negretto)
“Poesie” di Alberto Moravia
“Sono capitato/ male/ in un paese/ degradato/ di poveri/ senza dignità/ e di ricchi/ senza cultura”.
Tra le opere librarie meritorie dell’anno che volge ormai al termine, va certamente annoverata la raccolta delle poesie di Alberto Moravia pubblicata da Bompiani a cura di Alessandra Grandelis.
Moravia dovette sentire il bisogno, in età avanzata, di recuperare il suo rapporto con un genere letterario intrapreso molto tempo prima, e poi accantonato in favore della scrittura in prosa.
Il volume ha due pregi: da un lato, infatti, ci permette di scoprire un lato poco noto, se non sconosciuto, del grande scrittore romano, quello lirico; dall’altro l’apparato di note e l’introduzione della Grandelis conferiscono al lavoro un valore filologico di tutto rispetto.
E così il lettore non solo prova piacere nel leggere liriche che spaziano dai temi più impegnati a quelli sentimentali, passando per quelli un po’ più spinti, ma può anche ricostruire la storia della loro composizione.
Si tratta, pertanto, di un prodotto editoriale in grado di coniugare intento divulgativo e scientifico.
Edito da Bompiani nel 2019, a cura di A. Grandelis, 203 pp.
(Consigliato da Filomena Gagliardi)
“Il paese delle croci” Gianfranco Cambosu
“Un professore siciliano, Ercole Cassandra, contraddittorio persino nell’ossimoro del suo nome, va a insegnare in un paesino dell’entroterra sardo. Un paesino qualunque, unico, ma riflesso autentico di tantissimi altri. Lo stesso paesino dove quindici anni prima è stato assassinato suo padre, capitano dei carabinieri. La ricerca ossessiva della soluzione del mistero lo porta in un mondo rarefatto, dove trova un traffico di bronzetti nuragici, la violenza di gruppo, una casa di tolleranza e una seducente quarantenne.”
Lo dico subito: Gianfranco Cambosu è colpevole! Colpevole di aver mischiato i generi letterari. Infatti col suo ultimo libro, “Il paese delle croci” (Emersioni 2019), è rimasto trasversale tra il Noir e la narrativa non di genere.
I confini tra un genere a l’altro dovrebbero essere netti: due cose separate, non amalgamabili, come l’olio e l’acqua. Ma lui no. Colpevole, o prestigiatore letterario, Cambosu ci regala una bella scrittura, densa e ricca, centrale per il genere Mainstream (così detta letteratura d’autore e non di genere), ma restando fedelmente dentro i canoni, il recinto, del Noir.
Una cosa diversa da un giallo ben scritto, come per fortuna spesso se ne trovano. È proprio sulla scrittura che ha “barato” l’autore. Perché tra le sue pagine troviamo quella cifra alta di scrittura con le immagini retoriche, le metafore, che si appoggiano sulla fantasia del lettore, tipiche del romanzo di narrativa pura; perfettamente dentro i canoni del genere. Ma poi la storia scorre su delitti, delitti non risolti, indagini, amori e passioni, amori non convenzionali, traffico di reperti archeologici, e ambienti degradati e malavitosi, perfettamente in stile Noir. Quindi sono proprio due stili che si incrociano, anzi, non si incrociano, perché altrimenti ci sarebbe una pagina di un genere e una dell’altro, mentre nel libro corrono liberi su una strada dove non sono mai stati tracciati confini. Bel risultato.
A questo si aggiunge la cura con coi Cambosu ha disegnato tutti i personaggi. Ne ha tratteggiato le fisionomie e li ha dipinti con tutte le nostre manie. Nostre, perché l’autore parla di noi, in particolare di noi sardi, fuori dai luoghi comuni, ma dentro la nostra tipicità. Così gli atteggiamenti, le frasi dialettali o con la matrice dialettale, ma poi i gesti e le pulsioni, e quell’essere spavaldi ma incantati è preso direttamente dalle nostre strade, dai nostri ambienti tipicamente isolani.
L’autore ha saputo giocare sulle nostre caratterizzazioni comuni, ma non scontate, senza assolvere né condannare. Non è dello scrittore esprimere giudizi; lui deve raccontare. Anche in questo, quindi, rompe gli schemi di genere, come lui è solito fare.
Perché anche nei suoi precedenti libri ha spaziato tra Giallo e narrativa, o tra narrativa e Noir. Ma adesso, con “Il paese delle croci”, arriva a una prova di grande maturità dominando i due generi insieme. E quando gli si fa la domanda diretta, lui risponde che un suo editore una volta gli ha detto che è stato furbo a scrivere un libro di narrativa e poi mettergli sopra il bel vestitino del giallo. Lo racconta, e ride. Vistosi scoperto ride…
(Consigliato da Pier Bruno Cosso)
“Ho sposato un musulmano. Italiane in cerca d’amore tra sogni, conversioni e truffe” di Michela Manetti
“Ho sposato un musulmano. Italiane in cerca d’amore tra sogni, conversioni e truffe” pubblicato nel 2019 da Castelvecchi e scritto da Michela Manetti, insegnante di italiano in Germania da sempre interessata al Medio Oriente e alla lingua e cultura iraniana.
Il volume parte da un interrogativo: perché tante donne italiane sposano un uomo straniero proveniente dal mondo arabo.
L’autrice raccoglie una serie di testimonianze all’interno di forum online frequentati proprio da italiane che hanno convolato a nozze con un uomo arabo e musulmano.
Viene fuori una variegata casistica di “tipi” femminili, più o meno stereotipati: la sognatrice, la convertita, l’amazzone, la vacanziera e la truffata sono le categorie individuate, analizzate nella prima parte del volume, soprattutto attraverso testimonianze dirette che l’autrice si limita a riportare, senza esprimere giudizi.
Nella seconda parte invece il libro verticalizza su aspetti generali, anche di carattere materiale, legati alle storie narrate, come il visto turistico, il servizio militare, l’Islam, le differenze culturali, le tradizioni familiari e sociali.
Aspetti spesso determinanti per le sorti del matrimonio, ma soprattutto aspetti che diventano centrali nei racconti delle donne che cercano nell’esperienza altrui un confronto e un conforto, trovando a volte anche delle amare sorprese.
Il volume si chiude però con un anelito di speranza, con il racconto di storie d’amore vere e sincere, matrimoni che durano, famiglie che resistono anche alle differenze culturali e religiose, che anzi fanno di questa diversità un punto di forza.
Forse sono casi rari, mosche bianche che però gettano una luce di speanza per una società davvero multietnica e multiculturale, dove la pluralità è un valore e non un disvalore.
(Consigliato da Beatrice Tauro)
“Dall’isola nell’isola. Versi dall’Ogliastra” di Vincenzo Moretti
“Tu fosti come l’acqua di Sardegna./ Acqua esigua, ostinata, che s’insinua/ tra ottusi sassi in terra ben confitti./ Acqua che baldanzosa si fa strada/ pur tra le angustie di puntute rocce,/ supera cespi di fibrose erbacce,/ a tratti pare che voglia negarsi/ alla vista di chi cammina o vola,/ quando oscura scorre sottoterra.”
Appena pubblicata da Mario Vallone Editore, segnalo la plaquette Dall’isola nell’isola. Versi dall’Ogliastra di Vincenzo Moretti (1947) autore toscano felicemente trapiantato in Sardegna e, più precisamente, in Ogliastra.
Già allievo e collaboratore di Giorgio Bàrberi Squarotti, autore di studi critici sulla letteratura italiana dell’Ottocento e contemporanea, nonché di sillogi poetiche e narrativa, pubblica ora una raccolta esile, agile, ma robusta di esperienze letterarie e stilistiche, di vita vissuta pienamente lontano dall’Isola e dentro un’isola nell’isola, sempre con acuto sguardo indagatore, pronto a cogliere mutamenti sociali e ambientali, capace di confrontare e scegliere, volgendosi alla ricerca di un meglio possibile, mutando luogo e stile di vita, approccio al reale e, forse, allo stesso tempo al comporre liricamente.
Un percorso esperienziale di primordine, un tour che nella dimensione dell’oggi apre contemporaneamente al passato e al futuro, cercando di cogliere il meglio di modernità e tradizione, additando le distorsioni e i mali che affliggono, ahimè, un po’ tutte le isole, geografiche e umane.
D’impatto e fortemente allusiva l’immagine di copertina, elaborazione grafica di Lucia Sulis, che ben si fonde con lo spirito della bella plaquette.
“Di qui salpò, dopo aver gettato/ nell’onda corta e unta, danni e lutti./ Fu l’isola nell’isola, l’Ogliastra:/ rocce rosse, scogliere, spiagge d’oro/ uno stagno pescoso ove volteggiano/ falchi, aironi, gabbiani e gallinelle./ Fu l’approdo ove l’onda è calma, spesso.”
(Consigliato da Katia Debora Melis)
“Nevernight – Mai dimenticare” di Jay Kristoff
Cosa consigliare questo Natale? Un libro da mettere sotto l’albero, certo, ma quale?
Non è molto semplice, ho un amore viscerale per la storia, per l’archeologia e per i personaggi che hanno vissuto la prima e creato le possibilità per la nascita della seconda. Questo lo sapete già.
Però, ho pensato: perché non mostrare l’altra mia anima, quella che spasima per il mito, per la simbologia, per il fantastico e sfocia, quindi, in un amore passionale per il Fantasy?
Quindi eccomi qui.
Vi auguro un Natale pieno di pagine scritte, qualsiasi essi siano e vi propongo “Nevernight – Mai dimenticare” di Jay Kristoff, edito per Mondadori nel 2019.
Il libro narra la storia di una ragazza. Una famigerata assassina che tale ancora non è.
Mai dimenticare è il motto della sua casata. Della sua famiglia, a seguito di una congiura per un colpo di stato, è stata uccisa o imprigionata.
Mai dimenticare che in piena luce le ombre sono più cupe.
La ragazza entra in addestramento e scoprirà molte cose su se stessa che ancora non sapeva. Certo, può essere spietata ma ha anche un cuore.
Ma non dimenticate, questo libro non è una favola e non ha un lieto fine perché in una gilda come la Chiesa Rossa “assassino uno, assassini tutti”.
(Consigliato da Altea Gardini)
“Democrazia totalitaria” di Alessandro Mulieri
“Democrazia totalitaria”, edito nell’ottobre 2019 da Donzelli Editore, è il racconto di una storia dimenticata della democrazia. Una storia poco nota, che rovescia il nostro abituale modo di guardare a questo regime politico e lo trasforma nel peggiore incubo per la libertà.
“Potente strumento di emancipazione politica o simbolo pericoloso di una sottile forma di dispotismo sull’individuo, la democrazia si è sempre legata alla libertà, mantenendo, di quest’ultima, tutte le più profonde contraddizioni. Se è dunque vero che l’espressione “democrazia totalitaria” è un ossimoro, occorre altresì riconoscere che la definizione di termini come “democrazia” e “libertà” è il frutto di una battaglia politica sul significato di queste parole.”
Le radici del concetto «scandaloso» di democrazia totalitaria affondano nel pensiero di alcuni intellettuali del secondo dopoguerra. Il padre di questo concetto, ma non l’inventore, è lo scrittore e docente israeliano Jacob Talmon (1916 – 1980), che nel 1952 dà alle stampe un testo destinato a scatenare non poche polemiche nel dibattito politico dell’epoca: “The Origins of Totalitarian Democracy”.
“L’idea di un credo che tutto abbraccia e tutto risolve è incompatibile con la libertà […]. Tentar di soddisfare contemporaneamente entrambe le cose significa necessariamente finire, se non proprio in una forma definitiva di tirannia o di schiavitù, perlomeno in quella colossale ipocrisia e illusione che sono insieme presenti nella democrazia totalitaria.” – Jacob Talmon
La tesi dello studioso è che sia il pensiero illuministico sia le fasi più estreme della Rivoluzione francese abbiano dato origine a un modello di democrazia alternativo rispetto a quello della democrazia liberale. Talmon ritiene che la divisione tra le due forme di democrazia, la liberale e la totalitaria, sia all’origine della divisione in blocchi della guerra fredda a lui contemporanea.
La democrazia totalitaria privilegia una concezione diretta del governo popolare, si basa su una visione monolitica del «popolo» e su un’idealizzazione del concetto di sovranità popolare che, in ultima analisi, incarna una sorta di religione messianica della politica.
Partendo dall’analisi della tesi di Talmon, il volume mostra come il tema della democrazia totalitaria abbia sviluppi decisivi nel pensiero di altre figure fondamentali del dibattito anglosassone a cavallo tra gli anni quaranta e sessanta del XX secolo: Karl Popper, Friedrich von Hayek e, soprattutto, Isaiah Berlin e Hannah Arendt.
Con percorsi molto differenti, questi autori propongono un’interpretazione dualistica della tradizione democratica, sviluppando l’antitesi tra un «governo del popolo», una forma di democrazia «aperta», pluralista e rispettosa dell’individuo, e un «governo per il popolo», una forma di democrazia, solo in parte riconducibile alle origini greche di questo regime, «etica», monistica e dunque totalitaria.
(Consigliato da Alessia Mocci)
“Non chiedere parola” di Francesca Innocenzi
Il nuovo libro di Francesca Innocenzi, Non chiedere parola (Progetto Cultura, Roma, 2019), pur nella sua brevità di pagine ed esiguità di componimenti poetici, chiama il lettore a una visione e analisi attenta dei versi.
Il libro contiene poesie scritte nel periodo 2012-2018. Letizia Leone nella presentazione dipinge l’opera quale un diario lirico dell’assenza e in effetti la presentazione e condivisione di momenti del vissuto dell’autrice sembrano essere abbastanza puntuali.
L’assenza-vuoto, che è forse uno dei temi cardine attorno ai quali si dispiega la silloge, ha a che vedere, oltre che con una comunicazione sottaciuta, rimandata, ridotta nelle forme di un pensiero che non riesce a uscire, quanto con interlocutori che, pur presenti nel ricordo e nell’anima della Nostra, hanno lasciato il mondo concreto per abitare, in termini definitivi, lo spazio assoluto.
È un’assenza di cui si percepisce la sofferenza, il pensiero tortuoso e ossessivo, la desolazione – non di rado – degli spazi evocati (preferibilmente montani, caratterizzati da una natura aspra e dai toni scuri), finanche il senso di lontananza dall’amato.
Il volume è arricchito da preziose citazioni in esergo alle varie sezioni (E. Pound, Rumi, Gottfried Benn, Mizuta Masahide), che aprono la strada e, in un certo senso, dettano la linea tematica con le sue prolifiche suggestioni.
(Consigliato da Lorenzo Spurio)
“I mitici anni ’80. Il decennio che ha generato il millennio” – Autori Vari
Gli anni ’80 sono mitici.
Mitici perché sono inizio e fine di epoche, incrocio di storie e rivoluzioni, ponte fra generazioni e ideali, oggetto di riflessione, discussione, a volte rifiuto. Ne siamo tutti figli: alcuni di noi, all’epoca, erano già adulti e consapevoli; altri erano bambini con il sogno del 2000; altri non erano ancora nati, ma sono eredi delle memorie familiari.
A seguito di un concorso letterario indetto dall’associazione culturale “Cultura al Femminile”, è stata edita da “Gli scrittori della porta accanto” un’antologia di racconti intitolata, appunto, “I mitici anni ’80. Il decennio che ha generato il millennio” e contenente le opere finaliste.
Sono storie di vita vissuta, ricordata o immaginata, con lo sfondo di avvenimenti sociali e politici o con il sottofondo di musica disco e sigle di cartoni animati giapponesi.
Sono storie della nostra Italia o del mondo intero, teatro di donne e uomini famosi o destinati all’oblio ma che, tutti, ci hanno reso ciò che siamo oggi. Ed è questo il motivo fondamentale che ci porta a leggere – e a scrivere – di un passato così poco remoto: avere coscienza delle storie e della Storia. Una storia infinita.
Il ricavato dei diritti della vendita dell’antologia sarà devoluto a “Casa Ail Sassari” in onore del giornalista e scrittore Pierpaolo Fadda, precocemente scomparso per la leucemia, a cui il premio letterario è dedicato.
(Consigliato da Emma Fenu)
“The Chain” di Adrian McKinty
Quando si guardano telegiornali, specialmente in questo anno, la domanda più frequente è: per quale motivo tanta cattiveria nel mondo?
Questo libro non lo spiega, non vuole farlo visto che è un thriller, ma fa capire perfettamente che tutti siamo capaci di cose atroci per salvaguardare le nostre vite.
Persone normali che fanno cose cattive, la sintesi estrema di una catena nella quale sono coinvolti genitori che devono fare del male ad altri bambini per poter salvare la propria famiglia.
Un meccanismo psicologico di ricatto che si diffonde senza scampo e al quale i malcapitati devono acconsentire.
Un libro che si legge d’un fiato, non ha la presunzione di essere un capolavoro, ma ha una trama coinvolgente ed emozionante. Immedesimarsi è il minimo che si possa fare e a tratti fa paura.
Edito nel 2019 da Longanesi, genere thriller.
(Consigliato da Gloria Rubino)
“Fa una scelta di buoni autori e contentati di essi per nutrirti del loro genio se vuoi ricavarne insegnamenti che ti rimangano. Voler essere dappertutto e come essere in nessun luogo. Non potendo quindi leggere tutti i libri che puoi avere, contentati di avere quelli che puoi leggere.” ‒ Lucio Anneo Seneca ‒ “Lettere morali a Lucilio”
Info
Editoria 2019: libri consigliati per l’estate
Editoria 2018: libri consigliati dell’anno
Jacob Rohault I giorni di Venezia e Con gli occhi di Arianna
Paolo ti ringraziamo per il tuo suggerimento di lettura :)