Editoria 2020: i libri per l’estate consigliati da Oubliette Magazine
“Avere dei libri senza leggerli è come avere dei frutti dipinti.” – Diogene di Sinope
Il filosofo greco Diogene di Sinope (detto il Cinico, Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.) è ricordato per un fatto curioso: ha trascorso parte della sua esistenza vivendo in una botte. Le informazioni che abbiamo su questo pensatore sono state tramandate dallo storico Diogene Laerzio (180 – 240) nell’opera “Vite e dottrine dei filosofi illustri”. Diogene si dedicò interamente nel predicare le virtù dell’autocontrollo e dell’autosufficienza.
Per celebrare il solstizio d’estate vi presentiamo una selezione di 21 libri, editi nella prima metà del 2020, consigliati dalla redazione e da alcuni stimati lettori di Oubliette Magazine.
Si suggerisce, ricordando Diogene, il percepire gioia nel fruire di libri che si possono leggere e che si intendono leggere. Se il possesso fisico di libri non è proporzionale alla lettura è necessario rivalutare il proprio rapporto con questo “oggetto” che ci dà la possibilità di scavare nel genio di un altro essere umano e di comparare il nostro pensiero al suo. Un atto intimo, di ricerca, di esplorazione.
“Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento; letti una volta, vi serviranno per il resto della vita.” – Ezra Pound
Se avete il piacere di unirvi a noi per raccomandare un libro che ritenete valido, a fine articolo, troverete la sezione Commenti nella quale si potrà indicare il titolo, l’autore, la casa editrice e qualche riga di esplicazione.
I libri del 2020 consigliati da Oubliette Magazine
“Miral” di Rula Jebreal
“All’alba del 13 settembre 1994 i quartieri arabi di Gerusalemme furono scossi da un fremito. La notizia della morte di Hind Husseini si diffuse di casa in casa ancor prima che radio Gerusalemme la trasmettesse…”
Realizzato dalla scrittrice e giornalista Rula Jebreal, il romanzo Miral è testo di formazione. Edito da Rizzoli nel 2020, per la sezione BUR narrativa, il contenuto è di quelli importanti.
Brevemente, la trama di Miral, libro che ha riscosso notevole successo di pubblico e di critica. Che non solo contiene spunti autobiografici ma, in una narrazione scorrevole e attraente, tratta di un’argomentazione non facile, come quella della vita di una giovanissima che si svolge in un contesto in cui la violenza è praticata sistematicamente.
Con scrittura incisiva, l’autrice ripercorre fatti ed eventi che hanno attraversato la vita della protagonista; dall’infanzia fino all’età adulta, passando attraverso le vicende che hanno segnato il Medio Oriente.
La piccola Miral, orfana di madre, è una bimba spaventata che vive un’infanzia difficile in un territorio complesso; una zona geografica testimone di perenni conflitti, e focolaio di scontri armati. Sarà Hindi, la persona a cui il padre affida la bimba, a prendersi cura di lei e a indicarle, soprattutto con l’esempio, la strada da intraprendere.
Attraverso la donna, figura importante ai fini narrativi e riferimento coraggioso per Miral, l’autrice partecipa il lettore a un cammino di dolore ma anche di speranza. Prima però di emanciparsi, la giovane dovrà fare una scelta non facile: scegliere da che parte stare. Se far parte di coloro che usano la lotta armata per far prevalere i loro diritti, di cui molti giovani palestinesi fanno una ragione di vita, oppure se raccontare la realtà mediorientale, attraverso il mondo dell’informazione, martoriata da una serie di conflitti che paiono a tutt’oggi senza fine.
Miral non risponderà alle sollecitazioni che la vorrebbero vedere agire sul campo, e mettendo da parte quel sentimento di appartenenza che le è proprio, affronterà l’esilio continuando a farsi strumento di verità e portavoce del suo popolo.
È con una scrittura coinvolgente che l’autrice accompagna il lettore a percorrere i passaggi più importanti della vita del personaggio di Miral. Episodi strettamente connessi alle vicende politiche che hanno visto la Palestina protagonista di faide, le quali hanno segnato la popolazione. Al di là dell’appartenenza di ciascun individuo. Che sia d’origine palestinese o israeliana poco importa.
Perché ciò che si evince dallo scritto è la drammaticità dei fatti legati a un contesto geopolitico complesso, dove l’intifada ha creato uno stato di terrore da determinare nella gente grande instabilità emotiva, oltre che miseria e povertà. Gente che non ha colpa alcuna se non quella di appartenere a un’area geografica segnata da conflitti antichi. Miral è quindi una storia di riscatto, in quanto la protagonista del libro ha poi la forza di emanciparsi dalla difficile realtà in cui è nata e cresciuta.
(Consigliato da Carolina Colombi)
“Percezione imperfetta dei pericoli” di Normanna Albertini
Il limite principale della fisica moderna è l’impossibilità di separare l’osservatore dall’oggetto osservato, per cui non può esservi alcuna determinabilità assoluta di alcunché.
Lo stesso accade al poeta, ma senza che di ciò egli sia crucciato. E non mi pare che Normanna mostri di dispiacersene nei versi di questa raccolta. Il poeta è libero di librare a piacere, e dappertutto, anche oltre la realtà concreta. Questa è la prima reazione che mi dona la lettura di “Percezione imperfetta dei pericoli” di Normanna Albertini (Tralerighe Libri).
Se lei afferma che “sibila il vento tra gli aghi del pino” significa che lei è là, tra quegli aghi, e da ognuno di essi sente sibilare il vento. Magari si trova seduta alla scrivania di casa, e l’avvenimento è occorso in un altro tempo, tanto la sua storia personale entra ed esce che è un piacere, fra un carme e l’altro. Ogni atto descritto è stato vissuto, ieri, oggi e a volte domani, e il tempo ha smarrito il suo senso, come capita alle particelle che compongono la luce, per cui esso risulta nullo.
Non tutti i fatti cantati da Normanna sono belli, forse nessuno lo è in assoluto, perché tutto è relativo a chi concorre alla Vita. E qui si gioca l’apparente contraddizione: se è bello per Normanna, che altrimenti non l’avrebbe inserito nella silloge, e non lo è per me, in che senso la gioia del poeta è assoluta?
Il lettore deve risalire alla consapevolezza del processo che è capitato nell’atto di poetare, della sua genuinità, e deve farlo suo, dimenticando gusti personali e scelte edonistiche. Quel che conta è la sincerità della ricerca della bellezza da parte di quell’Essere, che ha compiuto il sacrificio che l’ha poi condotto a scrivere e a comunicare. L’avverbio poi non deve ingannare: per chi ha scritto è stato un tempo unico; per chi legge è un altro tempo: ormai soltanto un’utile quanto pia illusione.
La nostra esistenza pare governata da un dio illusorio, non per questo meno temibile, che decide le sorti di ognuno, sogghignante da dietro la sua “maschera di plastica e decadenza”.
La frase che disse (e sta ancora dicendo) la mamma alla domanda che le rivolge Normanna, su cosa facesse quand’era disperata: “Alzavo gli occhi, e guardavo le montagne.”
La poesia salva per sempre quest’atto compiuto giornalmente, fissandolo in un solo, eterno attimo.
Per sempre, in Figli per il mostro, il giovane destinato a morire in guerra, lontano da casa, per l’eternità dirà alla madre della necessità del suo sacrificio per amore della patria: quel figlio che “non c’è più” non cesserà mai di salutare la madre alla partenza e d’essere da lei rimpianto.
È un mondo, quello descritto in Percezione imperfetta dei pericoli, in cui si tagliano gli alberi, adducendo timori assurdamente umani, che sconvolgono la natura, a cui si tolgono le risorse che dovrebbero aiutarla a renderci il mondo più vivibile.
In Evoluzione è descritto l’odore moderno, “di benzina e gasolio, di rifiuti in decomposizione” che ci nega gli antichi effluvi che variavano “a seconda delle stagioni” e che resta costante tutto l’anno.
In Nostalgia delle pareti, la poetessa non ci sta e continua a inseguire quel che ancora riesce a disperdersi per tutti, ma non per lei, che ne continua ad aver coscienza imperitura: “I semi danzano e vanno, volano, orientati dal cosmo”.
La pietra e l’albero coglie un altro mio sentimento: quella pietra, ma anche quel ramo, tutto quel che pare immobile, e lo è da prima che lo si scorga, e tale rimarrà per tanti ancora, avrà coscienza del mio fissarlo e nel riconoscere quel che è suo? Avrà il diritto a un’esistenza che per alcuni non ha alcun senso? Egli rimarrà per centinaia di anni, in cui assisterà, non al disprezzo, peggio: all’indifferenza dei morituri, di chi ogni volta gli passeranno accanto, per cui scomparire di lì appresso, senza mai scorgerlo.
La poesia di Normanna sa essere ligia alle regole metriche, con qualche sapiente rima; altre volte è adottato il verso libero, quando la rabbia e l’impeto della condanna non cessa di ribollire nell’intimo.
L’essenziale è che lei sia sempre capace di donare se stessa, in sacrificio, a chi è disposto a continuare dentro di sé, per parecchio tempo, anche lui ora sognando, la propria esistenza.
E ora a te.
(Consigliato da Stefano Pioli)
“La ricamatrice di Winchester” di Tracy Chevalier
“La ricamatrice di Winchester” scritto dalla bravissima scrittrice Tracy Chevalier (già nota per suoi romanzi “La ragazza con l’orecchino di perla” e “La dama e l’unicorno” per citarne solo alcuni) è stato pubblicato nel 2020 per Neri Pozza Editore.
Grazie alla trama coinvolgente e alla scrittura resa particolarmente scorrevole dall’abile stile narrativo di questa autrice, nata nel 1962 negli Stati Uniti, ma trasferitasi in Inghilterra fin dagli anni Ottanta, questo è un romanzo di piacevole e interessante lettura. Tra queste pagine, infatti, emerge una sensibilità tutta femminile che si addentra nell’intimo della protagonista, facendone un ritratto perfetto che mette a nudo sentimenti, emozioni, timori.
Siamo nel 1932 nell’Inghilterra meridionale e Violet è una delle tante donne che non hanno potuto sposarsi a seguito del conflitto mondiale che ha decimato gli uomini. Sono le zitelle degli anni Trenta, donne “in eccedenza”. Violet ha perso in guerra il fratello e il fidanzato e si ritrova a dover vivere con l’anziana madre vedova e monopolizzante.
Finalmente un giorno decide di averne abbastanza e di aver diritto ad una vita sua. Lascia la casa natale e si reca a Winchester in cerca di lavoro. Diventerà in breve una ricamatrice e conquisterà così sia la propria autonomia e indipendenza economica che una vita affettiva ricca di relazioni significative.
Violet è una donna forte, intelligente, volitiva e determinata per affrontare questo suo percorso che non sarà affatto privo di difficoltà e di pericoli, di amarezze, incomprensioni e solitudine. È, in sostanza, il percorso dell’emancipazione femminile, che passa attraverso la realizzazione professionale e il coraggio di disporre di se stesse senza condizionamenti né imposizioni.
Sottolineo infine la grande suggestione creata dalla ricostruzione storica e la notevole descrizione, con grande dovizia di particolari, degli aspetti più ipocriti e dei tanti pregiudizi della società inglese del tempo che rendono questo romanzo molto intrigante e avvincente.
(Consigliato da Giovanna Fracassi)
“Kurdistan, utopia di un popolo tradito” di Marco Gombacci
Marco Gombacci, fondatore del “The European Post”, ha pubblicato con la Salerno Editrice il libro “Kurdistan, utopia di un popolo tradito”.
Dopo aver documentato in loco l’assedio di Mosul del 2016, la riconquista di Raqqa del 2017 e infine la battaglia di Deir Ezzor del 2018, Gombacci ha ripercorso nel suo libro la storia dei popoli curdi.
Contraddistinti da una tradizione nomade volta alla pastorizia, i Curdi erano divisi in tribù iranizzate mescolate con elementi asiatici e semitici e caratterizzate da un notevole spirito d’indipendenza.
La regione del Kurdistan è attualmente suddivisa fra Turchia, Iran, Iraq, Siria e Repubblica di Armenia.
Quella che Gombacci ha ripercorso è una storia fatta di ideologie, sangue, deportazioni, estradizioni, arresti, attentati, guerre, inganni, tradimenti subiti e tradimenti reciproci anche all’interno della stessa etnia curda, unitamente ad una grandissima frammentazione in cui solo una piccola porzione nel Nord della Siria insegue un sogno utopico di stampo occidentale volto al rispetto dell’ambiente, alla parità di genere e alle pari opportunità.
Quella curda è una vicenda ancora socialmente, politicamente, militarmente viva e solo un approccio neutrale, storico, può aiutare a ripercorrerla ponendosi delle domande libere da ideali di qualsiasi tipo.
(Consigliato da Claudio Fadda)
“Vittima numero 2117” di Jussi Adler-Olsen
Premetto che non conoscevo questo autore, cercando un libro edito nel 2020 mi ha colpito il titolo perché mi ha portato alla mente fatti di cronaca che ci hanno segnato in questi ultimi anni.
In questo periodo di “arresti domiciliari” forzati ho trovato Vittima numero 2117 di Jussi Adler-Olsen (edito da Marsilio) una lettura interessante, un giallo particolare che parte dal ritrovamento su una spiaggia di Cipro del corpo di una donna, vittima che viene catalogata come la numero 2117 nel contatore della vergogna di Barcellona, una storia che si snoda in Europa, arrivando a Copenaghen dove un giovane decide di vendicare questa morte avvenuta non per annegamento ma per omicidio.
Ma anche all’interno della squadra investigativa c’è chi ha un crollo nervoso nel riconoscere la vittima, è Assad, un uomo che per anni si è occupato di casi dimenticati senza raccontare a nessuno la sua storia, il suo passato e soprattutto i suoi segreti.
Ci sono tutti gli elementi per un racconto moderno, legato alla nostra attualità: i migranti che cercano scampo affrontando le insidie del mare, l’omicidio di cui non si conoscono le ragioni, la paura di un attentato nel vecchio continente…
Il libro si apre con una toccante poesia di Falah Alsufi, poeta e migrante iracheno, “Le dita degli annegati”, che recita:
“La vita/ delle mani/ degli annegati/ è più lunga/ della nostra storia/ lontani/ e vicinissimi/ vediamo gli annegati/ il loro desiderio/ di vivere in pace…”
e si chiude con una corsa contro il tempo e forse con la possibilità per Assad di vedersi restituire il suo passato.
(Consigliato da Beatrice Benet)
“I colpevoli” di Andrea Pomella
“Trentasette anni, tredicimilacinquecento giorni, trecentoventiquattromila ore”.
Un tempo lunghissimo, giorni di un mancato rapporto tra padre e figlio. Giorni di vuoto, di un doloroso senso d’abbandono, un tempo sospeso in cui un bambino si è sentito tradito da un padre che ha abbandonato lui e la propria famiglia per un’altra donna.
«Non voglio più vederti», grida lo stesso bambino e si rifiuterà d’incontrarlo per trentasette lunghi anni. Giorni di silenzio, di lontananza, nessuna parola, nessun contatto. E all’improvviso il loro incontro.
Un vuoto affettivo lacerante finalmente si interrompe e la possibilità di una riconciliazione si presenta.
Ricostruire un rapporto finora assente non è facile. E per farlo al bambino, ormai adulto che altri non è che l’autore stesso, non resta che ripercorrere la memoria di un passato doloroso e tormentato, affrontare un percorso interiore a ritroso nel tempo, analizzare i suoi sentimenti e capire se è stato solo il padre il colpevole di questa situazione, dare finalmente un senso alla parola perdono.
“Dopo essermi spaccato la testa per tutta la vita, e per tutta la vita essermi sentito difettoso, uno che non aveva un padre dispotico, protettivo, sminuente, ma non lo aveva affatto, o lo aveva per sottrazione, cioè aveva intorno a sé un ologramma silente che col passare degli anni prendeva sempre più spazio, ora invece mi rivolgo a te, a una persona in carne e ossa, un uomo concreto che posso chiamare al telefono quando voglio, a cui posso chiedere consigli per la cura del giardino, e che so che non mi maltratterà, né riderà di me o della mia strana immaginazione. Ora, dopo gli anni del non-amore, ci apprestiamo a vivere questo tempo in cui cercherò di convincermi che, tra un figlio vero e ciò che io rappresento adesso per te, in fondo, c’è poca differenza.”
“I colpevoli” di Andrea Pomella (Giulio Einaudi Editore, 2020) è un romanzo coinvolgente, intenso, in cui lo scrittore ci invita ad entrare in punta di piedi nel suo dolore più intimo, nella sua storia personale, nella sua decisione di andare oltre e recuperare un rapporto padre-figlio non vissuto per molto tempo.
“Il vero perdono è laddove si perdona l’imperdonabile”.
(Consigliato da Alessandra Dalla Gassa)
“Gigi Riva – Rombo di tuono” di Davide Piras
Che ne sapete voi di quando Gigi Riva e Pelé si giocavano in Messico la finale dei mondiali di calcio? Era il 1970. Che ne sapete voi di quando il campo del Cagliari non aveva ancora il prato e i giocatori finivano la partita con le ginocchia sbucciate? Esattamente come le gambe di tutti i ragazzini di una via, una qualunque via di periferia, dove tutti insieme, dai sei ai quindici anni, nelle sere d’estate occupavano una strada per giocarsi la loro finale mondiale. Che ne sapete di quando la palla finiva incastrata sotto la Fiat 128 del maestro in pensione, e bisognava procurarsi velocissimi un ombrello per recuperarla prima che se ne accorgesse? Che ne sapete voi?
Se sapete tradurre tutto questo turbinio in sensazioni forti, non potete perdere l’ultimo libro di Davide Piras, Gigi Riva – Rombo di Tuono (Condaghes 2020).
Il romanzo è uno sguardo innamorato nella storia di ieri. La ricostruzione senza rimpianti di un’epopea calcistica, ma non solo. Tra le pagine ritrovi la freschezza di tutto quello che una volta era emozione, sogni, sogni da poter toccare, slanci di vita. C’è anche il lutto, e l’elaborazione del lutto con la voglia di rinascita. C’è materia viva infine, ma declinata agli anni Sessanta e Settanta. Un amarcord di cose preziose che pacificano con il passato.
Gigi Riva – Rombo di Tuono è una storia appassionante che parte dai campi di calcio. L’autore, che li ha calcati ed è esperto della materia, ci carica di tutte le sensazioni che danno uno slancio empatico al personaggio. Ci fa vivere le partite e le vicende umane come in prima persona.
Davide Piras ci fa capire che Riva era un fenomeno, e che se non lo abbiamo capito e amato, abbiamo perso qualcosa. Ce lo racconta facendoci sentire la sua passione pura, la sua carica di sentimenti onesti, il suo profondo rispetto per la vita, la sua infinita affezione per la maglia, quella affezione vera, che può colpire solo i più grandi campioni. Lui, dal campetto parrocchiale ai grandi stati, e poi tutto il resto.
Non si fanno confronti troppo facili, ma ci si innamora di un’epoca di passaggio, di un’epoca bellissima, luminosa e crepuscolare. Epoca da cui veniamo noi, e che ha molto da insegnarci.
La cifra di scrittura è sempre alta, perfettamente accordata alla struttura lineare: la storia vera, ma romanzata, di un eroe romantico arrivato in Sardegna contro voglia, e che l’ha amata come un sardo. È la storia di un ragazzo umile col sacro fuoco della passione per il calcio che spariglia i giochi di tutti i potenti del calcio. È la storia di un legame che cresce fino a diventare indissolubile con una terra, una storia dove i soldi non sono un valore e contano molto di più dignità e riscatto.
L’autore ci porta dentro l’incanto di un popolo, e di un’isola complicata, che si riscatta. Nelle pagine ci appassioniamo, come in un giallo, a scoprire quanto con lui tutta la Sardegna intera si sia conquistata il rispetto vincendo un campionato di serie A. Di come tutti i sardi nel mondo abbiano sofferto e urlato con coraggio e umiltà per una squadra grande quanto il cuore di tutta l’isola. Di come ognuno, da solo o tutti insieme, abbiano gridato: «Dai Gigiriva!», come fosse una parola sola, col gusto di martellare pesantemente su tutte le consonanti come facciamo noi. Di come tutti gli italiani abbiano pianto e urlato per Gigi Riva quella notte del 1970 quando ai mondiali di calcio in Messico si è disputata la partita del secolo: Italia – Germania 4-3. Dove c’era anche la Sardegna con tanti giocatori del suo Cagliari, e dove tutti quella notte hanno inneggiato a quel “rombo di tuono” che era il rumore roboante delle sue cannonate contro la porta. Un rombo di tuono che non potremo dimenticare mai e che rivive meravigliosamente in queste pagine.
(Consigliato da Pier Bruno Cosso)
“Nel contagio” di Paolo Giordano
Nel contagio è in italiano un complemento di stato in luogo figurato ed è una formula adatta per diventare il titolo, edito da Einaudi, dell’ultimo scritto di Paolo Giordano, che si divide fra fisica e scrittura, già noto al pubblico per aver vinto il Premio Strega nel 2008 con il suo romanzo La solitudine dei numeri primi.
Nel contagio è infatti la condizione in cui lui, come l’Italia, entrava di fatto circa tre mesi fa: “Mentre scrivo è un raro 29 febbraio, un sabato di quest’anno bisestile”. Queste sono le parole-testimonianza poste quasi all’inizio del suo libriccino. In poco più di sessanta pagine lo scrittore offre una stima in chiave matematica del fenomeno che di lì a poco si propagherà in tutto il Paese: infatti la matematica è lo strumento che permette all’uomo di gestire il caos del diffondersi del virus Sars-Cov-2 che Giordano, da specialista, distingue da “Covidi-19”, il nome della malattia. E così è la prima fase che deve essere affrontata in modo aggressivo, quella della crescita esponenziale della malattia durante la quale “sempre più persone vengono contagiate sempre più velocemente”.
La velocità del contagio, prosegue Giordano, “dipende da un numero, che è il cuore nascosto di ogni epidemia. Viene indicato con il simbolo R0, si legge «erre-con- zero» e ogni malattia ha il suo […] Per la Covid-19, R0, è all’incirca due e mezzo[…] Ciò che c’interessa, ora, è che le cose vanno davvero bene solo se R0 è inferiore a uno, se ogni Infetto contagia meno di un’altra persona. In quel caso la diffusione si arresta da sé, la malattia è un fuoco di paglia. Se, al contrario, R0 è maggiore di uno, anche di poco, sta iniziando un’epidemia. La buona notizia è che R0 può cambiare. In un certo senso dipende da noi”.
Quindi Giordano insiste sulla necessità, per un po’, di correggere “i nostri comportamenti”. È quello che l’Italia farà di lì a poco anche per imposizioni legislative, prima solo nelle zone epicentro del contagio, poi in tutto il territorio nazionale. Giordano, con la predittività della scienza, anticipa i risultati di questo sforzo collettivo, ma anche le conseguenze che questo comporterà. Leggere oggi questo libro ci permette certamente di apprezzare le affermazioni del giovane fisico, e ci fa tornare con la mente a soli pochi mesi fa, anche se ci sembra siano passati secoli.
Giordano ci invitava all’epoca non solo a pensare al dopo, ma anche al mentre: “oppure, possiamo sforzarci di attribuire un senso al contagio. Fare un uso migliore di questo tempo, impiegarlo per pensare ciò che la normalità c’impedisce di pensare: come siamo arrivati qui, come vorremo riprendere. Contare i giorni. Acquistare un cuore saggio. Non permettere che tutta questa sofferenza trascorra invano”. Il dopo infatti presuppone come si vive il mentre, ovvero il presente e ciò vale in generale in ogni contesto e non solo nel contagio. Con il senno del poi possiamo e dobbiamo continuare a far nostre le parole di Giordano perché, anche nella fase che ora stiamo vivendo, ― la fase 2 ―, siamo ancora “nel contagio”. Dai comportamenti che adotteremo in questa strana estate di convivenza con il virus dipenderà il nostro futuro, prossimo o remoto che sia.
Durante l’estate rilassatevi dunque, ma leggete pure libri come questo che ci aiutano a comprendere, anche con un linguaggio adatto, la realtà che viviamo. Proprio questi giorni, infatti, in cui sentiamo da uomini pubblici un uso scorretto del termine R0, capiamo l’importanza della conoscenza rigorosa dei fenomeni e della terminologia atta a definirli.
(Consigliato da Filomena Gagliardi)
“Arabpop. Arte e Letteratura in rivolta dai paesi arabi” di Chiara Comito e Silvia Moresi
“E io che sognavo una poesia,/ che terminava in una rivolta di piazza” – Sadallah Wannus
Questo verso – titolo anche del bellissimo contributo di Silvia Moresi presente in “Arabpop. Arte e Letteratura in rivolta dai paesi arabi” di Chiara Comito e Silvia Moresi (edito da Mimesis/Eterotopie) – sottolinea l’intima connessione tra poesia araba e rivoluzioni (come si legge anche nel volume In guerra non mi cercate. Poesia araba delle rivoluzioni e oltre) ampliata dai social network e dalla Piazza trasformata da uno spazio proibito a spazio liberato di autorganizzazione e autodeterminazione come emerge molto bene nei pezzi dedicati al ruolo della street art.
E l’autodeterminazione diventa ben presto auto narrazione: assai interessante è l’analisi dei testi delle canzoni, in particolare quelli di Rami Essam che mette in musica il lessico della rivoluzione e la posizione dell’islam nella sfera pubblica; e la contro-narrazione visiva e visuale attraverso lo schermo del cinema.
E non solo i film che mostrano più esplicitamente la Rivoluzione come “In the last days of the city” in cui lo sguardo si allarga dal Cairo a Beirut e Baghdad (dove Hajj Mahdi, calligrafo quasi novantenne “cerca rifugio in una poesia che è ovunque! Aspetta solo di essere scritta”) ma anche in quelli come “Much Loved” che denunciano la dominazione patriarcale in un sistema in cui tutto si compra e tutto si vende a partire dalla dignità e dal corpo o “Sarah e Saleem” dove le due protagoniste femminili finiscono per incarnare il significato della scritta in arabo sulla locandina (تقارير ) la cui radice “Q-R-R” significa “autodeterminazione”, scegliendo di agire e reagire come le rispettive società di appartenenza non si aspettano.
Dedicato a Lina Ben Mhenni, attivista e rivoluzionaria tunisina morta recentemente, questo libro, ben documentato e con esaurienti bibliografie e sitografie, non si rivolge esclusivamente agli arabisti ma a tutti i lettori curiosi di avvicinarsi o approfondire quel pluriverso ironico che è riuscito a creare “espressioni e fenomeni artistici ibridi nati dal basso che dileggiano e contrastano la cultura del regime”.
(Consigliato da Monica Macchi)
“L’imitazion del vero” di Ezio Sinigaglia
Facciamo finta di credere, anche noi, che esistano romanzi estivi, da ombrellone. Questo che vi propongo è adatto a tutte le stagioni, però immagino che sarà un’esperienza particolarmente feconda leggerlo sullo sfondo colorato e rutilante dell’estate.
Nelle cento pagine di questo L’imitazion del vero, Ezio Sinigaglia, appartato mago della nostra letteratura, da poco riscoperto e riproposto, ordisce una storia d’amore e d’inganni divertita e paradossale.
In un immaginario staterello italiano, in un’epoca imprecisata fra tardo rinascimento ed età barocca, mastro Landone fabbrica macchinari meravigliosi che imitano perfettamente forme e movimenti di madre natura, con legno cuoio metalli ruotismi e pulegge, soprattutto per allietare le feste del Duca.
Accanto ai segreti dell’arte sua, l’ammirato e rispettato mastro Landone ne nasconde un altro ben più profondo e meno confessabile: la passione per i bei giovani, passione proibitissima data l’epoca e l’ambientazione. Quando il cielo, il caso o il diavolo gl’inviano Nerino, un nuovo garzone apprendista ricco d’ingegno e la cui avvenenza gli toglie il sonno, la passione aguzza l’ingegno di mastro Landone, che realizza il suo più riuscito marchingegno: una macchina del piacere, che distribuisce carezze a chi vi entri.
L’accesso alla macchina è proibito, proibitissimo, pena le sanzioni della legge e la dannazione dell’anima, così Mastro Landone spiega a Nerino, aguzzandone con il veto la curiosità finché l’ingenuo fanciullo cede alla tentazione e scopre l’arcana delizia del piacere sensuale dispensato dalla macchina che largisce toccamenti e sollecitazioni voluttuosi senza che chi vi è felicemente imprigionato possa individuarne l’origine.
Dalle carezze indirette della macchina a quelle dirette di Mastro Landone il passo non sarà breve né agevole per un Nerino combattuto da scrupoli e illanguidito dal piacere, né per Mastro Landone a sua volta sarà facile trovare la chiave giusta per condurre la storia a un lieto fine (ma sì, è una storia a lieto fine!)
Di più non voglio svelare, per non compromettere il piacere della sorpresa e della scoperta.
Malizioso, ammiccante e giocato su equivoci sapienti, sul credere, sul far credere e sul voler credere, questo breve romanzo la cui cifra si situa, come da premesse, fra l’angelico e l’indiavolato, scintillante e scoppiettante di narrazione sostenuta che non perde un colpo neppure nei dialoghi, nasconde in seno a una storia d’erotismo, grazia, inganno e amore, una sottile meditazione sul reale e l’illusorio.
Pubblicato da TerraRossa, intraprendente e benemerita casa editrice che privilegia le scritture sperimentali, L’imitazion del vero offre un’ulteriore imitazione, scritto com’è in una lingua sontuosa e allo stesso tempo ammiccante, patinata di arcaismi in cui risplende tutta la maestria stilistica di Sinigaglia.
(Consigliato da Gavino Angius)
“Le spose della Luna” di Emma Fenu
“Io non mi sono mai persa, nemmeno da bambina. Ho ingoiato una bussola con il brodo di pecora: la tengo nel ventre, per orientarmi. Il mio paese ha strade che si intersecano e porte che immettono da casa in casa, da tetto in tetto, da cantina in cantina. Qui siamo in guerra e le urla delle donne sono grida di battaglia. Non serriamo i fucili e non tastiamo il coltello custodito nella tasca dei pantaloni, come gli uomini, ma forti più di loro siamo e, se piangiamo, lo facciamo per i morti del nostro sangue, che diventano figli anche se ci hanno generato. Perché in noi, nelle nostre viscere, c’è la storia di un popolo che non si arrende.”
Nel mondo ci sono confini che non è bene varcare per i mortali. Credetemi, io lo so bene perché per essere una devo essere trina e per svolgere il mio compito devo essere nascita, vita e morte.
Emma Fenu, con il libro “Le spose della Luna” edito da Officina Milena nel 2020, mi ha catapultato nella vera storia della bandita vergine di Orgosolo, Paska Devaddis, che scappò sugli aspri monti per scappare da un’accusa di omicidio. Siamo nel 1911, ed anche se l’accusa era falsa, la donna – com’era abitudine in quelle lande – preferì darsi alla macchia anziché presentarsi in caserma.
L’autrice si è ispirata alla vera storia di una donna in una maniera a me fosse congeniale: al confine tra quello che è stato e quello che è apparso, tra il confine dei vivi e quello delle ancestrali voci dei morti.
“Le spose della Luna” è un viaggio tra faide, amore ed odio, magia bianca e magia nera in una Sardegna di donne forti come pietre nuragiche.
“«Nessuno dovrà dubitare della tua purezza e onestà, sa sposa mea» disse la donna accostandosi alle orecchie della fanciulla. E si vestì dell’armatura invisibile della guerriera, come le donne sanno fare da millenni. È uno strano matriarcato quello sardo: alle spose non è concessa, come agli uomini, la spavalderia di urla e spari, ma quando la tragedia esige il silenzio, allora loro, custodi dell’antico verbo, comandano. Danno ordini a cielo e terra solo muovendo le iridi scure o le mani nodose, perché Vita e Morte non hanno paura dei fucili.”
Emma Fenu si occupa da anni di Storia delle Donne, di Letteratura e di Iconografia di genere; recensisce libri e intervista scrittori per vari siti web; ha fondato e presiede un sito, “Cultura al femminile”, con rispettivo gruppo facebook, “Letteratura al Femminile”; tiene corsi di scrittura creativa e insegna lingua Italiana agli stranieri.
(Consigliato da Altea Gardini)
“Samadhi Pada” di Simone Carbonardi
“Samadhi Pada” di Simone Carbonardi, edito da Turiya Yoga Academy, è un breve commentario agli Yoga Sutra di Patanjali nel quale il maestro si concentra sull’esplorazione dei primi 51 sutra, quelli che descrivono il percorso da seguire per realizzare il Samadhi Pada.
Dopo aver studiato sotto la guida di Vimal Sharma, il maestro Carbonardi ha fondato la Turiya Yoga Academy, una scuola di yoga fedele alla tradizione.
Incentrata sulla meditazione e sull’immobilità (intesa come pace) della mente, la pratica del maestro Carbonardi si fa promotrice di un benessere che vuole restituire all’individuo quella capacità di vedere con chiarezza che può essere acquisita solo tramite una pratica costante.
“Sutra 1. Atha yoganusgasanam.
Atha: ora, auspicio che indica un momento di transizione,
Yoga-: Yoga, anu-: dentro o attraverso una tradizione o lineaggio,
Shasanam: istruzione, disciplina ed insegnamento.”
In questa sua seconda pubblicazione, il maestro spiega nel dettaglio come interpretare i sutra, dando modo allo yogi di iniziare un percorso di studio che va al di là della pratica delle asana e dei vinyasa che oggi vanno così di moda.
Una lettura vivamente consigliata per chi ha sempre voluto avvicinarsi allo yoga.
Simone Carbonardi è nato a Frosinone, fin dalla tenera età di 5 anni comincia il suo approccio alle discipline marziali orientali praticando nell’arco di quindici anni, Judo, Wing Tjun e diventando istruttore di Muay Thai.
(Consigliato da Giulia Mastrantoni)
“La locanda del Gatto nero” di Yokomizo Seishi
Un affascinante giallo che trasporta il lettore a viaggiare nel tempo fino a raggiungere una notte apparentemente tranquilla del 1952 in Giappone.
Mentre il silenzio della notte fa da cornice a una notte quasi perfetta, un ufficiale della polizia che fa il suo rituale giro notturno in bicicletta nei quartieri di periferia di Tokio, la sua tranquilla notte è interrotta da un’oscura presenza nelle vicinanze della locanda del Gatto nero, si tratta di un monaco intento a scavare una buca per nascondere un cadavere di donna con il volto completamente irriconoscibile.
Il mistero si infittisce e, da regola come avviene per quasi tutti i romanzi del genere giallo, interviene un detective privato a fare luce sull’orrendo delitto.
Come è facile intuire le vicende girano intorno alla locanda del Gatto nero. La voce del narratore si contrappone con la voce e la presenza del detective privato Kindaichi Kosuke, proponendo, quasi al lettore un fitto scambio di lettere tra l’autore e il detective.
Non a caso, il romanzo si apre con una lettera indirizzata al Caro Y.
La locanda del Gatto nero di Yokomizo Seishi è stato pubblicato nel mese di maggio 2020 da Sellerio editore con la traduzione in italiano a cura di Francesco Vittucci.
(Consigliato da Rosario Tomarchio)
“Il fuoco della vendetta” di Wilbur Smith
L’autore Wilbur Smith con il nuovo libro: “Il fuoco della vendetta” (HarperCollins Italia) ci porta nel cuore della guerra Franco-Indiana, un conflitto militare iniziato nel 1746 per avere la supremazia delle colonie oltreoceano, chiamata anche guerra dei sette anni.
Theo e sua sorella Costance inseparabili nella loro infanzia fatta di avventure e complicità, cresciuti a Medas nell’India coloniale, provati dalla dolorosa tragedia in cui persero la vita i genitori mentre Francia e Gran Bretagna si affrontavano senza esclusione di colpi. Privati della loro infanzia, costretti a crescere troppo in fretta e divisi dalle cattiverie da chi doveva prendersi cura di loro.
“Il loro mondo era esploso, si era frantumato nel giro di un istante, speranze e sogni ridotti in briciole, i loro cari ridotti in polvere. Quella era l’amara brutale realtà della guerra“.
Le pagine del libro travolgenti ricche di intensità di sentimenti, di odio, di vendette, di tragedie dolorose ma anche di grandi passioni che diventano una forma estrema d’amore. Theo e Costance pagina dopo pagina ci portano dentro una realtà che non avevano scelto ma costretti dalla crudeltà del mondo circostante.
In questo libro ho trovato la crudeltà della guerra e degli uomini in una continua lotta per la supremazia, ma mi sono immersa in un mare di sentimenti, sogni di libertà e grandi passioni.
(Consigliato da Giuseppina Carta)
“Lanterna ribelle” di Roberto Cornice
“Lanterna ribelle” (D’Archivio Gruppo Medico) di Roberto Cornice delinea un confine ben preciso tra i sogni del poeta e la disillusione proposta dalla realtà.
A fare da sfondo ai componimenti poetici è la libertà espressiva innalzata appunto come lanterna dove le parole diventano fiamme ardenti e il libro un focolare davanti al quale attorniarsi.
Scorrendo le pagine si ha come l’impressione che l’autore sia condannato a vivere in un’epoca di oblio e soltanto questa lanterna ricordi a sé stessi e agli altri che da qualche parte c’è ancora speranza.
È il dramma del poeta: con i suoi versi consola, di rado è consolato.
Ciò nonostante Cornice nutre per la poesia un sentimento costante dove lo spazio per l’altalenante è ritagliato soltanto per gli argomenti trattati.
Il libro parte subito con una critica alla politica, poi si lascia accarezzare da un desiderio quasi insaziabile di spiritualità e infine parla d’amore come se fosse un sottofondo perenne, un’utopia che racconta l’attimo e l’eterno.
Si legge nella poesia “Primo appuntamento”:
“Dove niente ti farà capire che stiamo così invecchiando costantemente credendo a una stabile fanciullezza.
Tempo è fiore che digrignerà i denti al primo ostacolo.
Chi non temerà l’ennesimo salto vincerà…”
Il pensiero prevalente è quello che il Cornice continuerà ad essere “croce e delizia” per chi lo legge, anche a distanza di anni e con una poetica più matura (ma è ancora giovane, alle porte dei trent’anni) la sua lanterna ribelle sarà ancora accesa a ricordarci che anche se il soffio dei potenti vorrebbe travolgere l’umanità, la sua poesia sarà sempre sinonimo di libertà.
(Consigliato da Carina Spurio)
“Ferro Corto” di Fortunato Costa
Ovunque quest’estate abbiate voglia di abbandonarvi a una lettura coinvolgente e appassionante, eccovi un’avventura senza tempo alla Corte del Re Sole, Luigi XIV di Francia, capace di snodarsi per mezza Europa portandovi con sé.
Certo un’ambientazione non facile per un romanzo che indubitabilmente verrebbe spontaneo confrontare coi Tre moschettieri di Alexandre Dumas. Ben lo sa Fortunato Costa (Napoli 1955) medico, pittore, autore di testi e musiche per canzoni, nonché scrittore: “Scrivere un libro è farsi degli amici. O dei nemici, nel peggiore dei casi. Se non succede niente vuol dire che il libro è un fallimento”.
Qualcosa leggendo Ferro Corto succede sempre! Il romanzo, recentemente pubblicato da Mario Vallone Editore, prende il titolo dal soprannome del suo protagonista, moschettiere, italiano di nascita, alto e muscoloso, come sempre tutto vestito di nero, Michelangelo Lauro, detto Ferro Corto (…). Abile spadaccino con nomea di ancor più abile amante, scelto senza indugio dal sovrano francese in persona a far parte della compagnia dei moschettieri neri.
Il romanzo, tra storia, leggenda e invenzione, muove il nostro ‘eroe’ tra le vicende legate alle nozze politiche, concordate tra il giovane sovrano di Francia e l’Infanta di Spagna per assicurare un periodo di pace tra i due grandi regni europei. Così, fra piani segreti, spie e traditori, imboscate e attentati, colpi di scena, piacenti donzelle e abili spadaccini, non mancano i momenti per simpatiche e sapide battute.
Attenzione e curiosità restano sempre deste, grazie a un testo di piacevole lettura e una trama avvincente. Non solo un romanzo di cappa e di spada, Improvvisamente l’autore entra tra le pieghe della storia, aprendo spiragli d’umanità e intimità che avvicinano i personaggi al lettore, anche quelli che parrebbero più lontani, cristallizzati dalla Storia e dalla Letteratura. Così avviene per la Regina Madre, Anna d’Asburgo, che soffre, teme e piange: “La gente pensa che un re e una regina siano felici, ricchi, potenti ma niente è più sbagliato. Noi, come aquile, voliamo in alto ma siamo soli, tristemente soli, dannatamente soli!”
Straordinarie avventure ci attendono oltre ogni pagina, incessanti colpi di scena incolleranno il lettore sino all’ultima riga poiché “non è possibile fare tutto alla luce del sole (…)” e se lo dice Luigi XIV, il Re Sole, potete crederci! Avete mai sentito parlare dell’Affare dei Veleni? Che storia… Ferro Corto, ferro e sangue sino alla fine.
(Consigliato da Katia Debora Melis)
“Il silenzio dell’acciuga” di Lorena Spampinato
Questa è la storia di un corpo che cambia. È la storia di Tresa, una bambina di dieci anni che, dopo l’abbandono del padre, si trasferisce assieme al fratello Gero dalla zia Rosa, nella provincia siciliana degli anni Sessanta. Lì, nell’arsura della campagna assolata, Tresa scopre molto presto il peso delle assenze e il silenzio che ad esse oppone, tacendo alla maniera di un’acciuga, che del resto condivide con lei le fattezze longilinee ed il corpo asciutto. Acciuga, “masculina” nel dialetto siciliano: così la chiamano a scuola e non diversamente immagina se stessa Tresa, privata con violenza dal padre di una femminilità vista come condanna e per questo negata. Tuttavia, il corpo di Tresa non tarda a mutare, rivelando in ogni sua piccola parte quella femminilità che le era stata preclusa e con la quale deve imparare a convivere liberamente.
“Non c’entravano – diceva – i modi di fare e di atteggiarsi, i lineamenti dolci, la prudenza dei gesti. Solo una cosa c’entrava, e mentre lo diceva Rosa stringeva entrambi i pugni per darsi più tono, solo una cosa: la libertà. La libertà di essere quello che volevo essere, quando volevo. Ne fui sollevata”.
La protagonista si ritrova così a costruire la propria identità attraverso un processo di iniziazione al mondo femminile – sancito simbolicamente dalla comparsa della prima mestruazione – che la porta a scoprire a poco a poco il proprio corpo e i propri sentimenti non senza vergogna, nell’incertezza di quel limbo che si vive quando non si è né bambini né adolescenti. Non ancora donna né più bambina, Tresa vive nel silenzio il cambiamento che la trafigge e l’attraversa, condividendo con l’universo femminile “un dolore atavico e collettivo – di altre figlie, di altre madri” e sperimentando sulla propria pelle il primo amore e la violenza che dietro ad esso si cela. E nel silenzio Tresa impara a conoscere il suo dolore e a conviverci, incapace di disfarsene, scendendo nella profondità dell’abisso dove terminano le radici degli alberi e con esse quelle degli uomini.
Attraverso una scrittura tagliente e schietta, Lorena Spampinato nel romanzo “Il silenzio dell’acciuga”, edito da Nutrimenti, ricostruisce il doloroso ingresso nel mondo degli adulti e la violenza che questo racchiude al suo interno, mescolando il calore della campagna siciliana a quella di un corpo pulsante che cresce; il primo amore alla più turpe depravazione.
Un romanzo coinvolgente che sa toccare temi delicati con estremo vigore e delicatezza. Da non perdere.
(Consigliato da Roberta Di Domenico)
“Di guerra e di noi” di Marcello Dòmini
Candido e Ricciotti, la storia di due fratelli che crescono all’ombra del fascismo.
La perdita del padre li lascia orfani di guerra e segnerà il loro futuro.
Ricciotti da fratello maggiore studia e diventa membro attivo del partito fascista, senza essere mai convinto sostenitore di Mussolini.
La vicenda narrata in “Di guerra e di noi” (Marsilio Editore) riporta anno per anno l’evoluzione del fascismo nella città di Bologna, luogo dove è ambientato il romanzo.
La vicenda storica segue l’evoluzione dei personaggi che non aderiscono mai a nessuna ideologia e guardano con distacco gli -ismi, cercando prima di tutto di essere dalla parte della verità e dei più bisognosi.
Figure realmente vissute si intrecciano a personaggi di fantasia.
Episodio chiave realmente accaduto è l’attentato a Mussolini in visita nella città, da quel momento sembrano accavallarsi fatti di cronaca sempre più gravi che in un modo o nell’altro coinvolgono i due protagonisti inventati.
Quello che mi ha colpito è il modo in cui l’autore, Marcello Dòmini, coinvolge il lettore e riesce ad emozionare, anche perché la guerra è raccontata dal punto di vista di persone inermi di fronte a ciò che accade.
(Consigliato da Gloria Rubino)
“L’invenzione di noi due” di Matteo Bussola
Di recente pubblicazione “L’invenzione di noi due” (Einaudi, maggio 2020) è l’ultimo romanzo di Matteo Bussola. Una storia d’amore non semplice, ma perfetta per l’estate alle porte.
Quella narrata è la storia di Milo e Nadia, marito e moglie da anni e legati da qualcosa che credevano fosse così forte che avrebbe permesso di non cambiare mai il loro amore. Ma la realtà non è così semplice, lei sembra essersi spenta e lui non sa più cosa fare per riportarla a sé. Fino a quando non gli viene l’idea di scrivere delle lettere alla moglie fingendosi un altro.
Tra le parole che si scambiano ci sono tutte le paure, le speranze e quelle confessioni che mai si erano scambiati prima di allora.
Nadia comincia a ritrovare la voglia di andare avanti, Milo se ne rende conto ma con la consapevolezza di non essere stato lui ad evocare tali emozioni e la gelosia fa capolino per la prima volta nel suo cuore.
Ora gli resta solo decidere se continuare con questa farsa, rassegnarsi oppure raccontare alla moglie tutta la verità.
“L’invenzione di noi due” racconta l’amore puro, quello più complicato da gestire, che varia rapidamente come le persone che ci circondando.
Racconta l’importanza delle parole, dei gesti non sempre desiderati, la difficoltà di gestire anni di relazione con il rischio di giungere ad uno stallo di non semplice risoluzione.
Un romanzo che fa riflettere, che si fa divorare, che colpisce per la sua delicatezza e il suo essere così diretto. Un romanzo necessario da gustare con tranquillità fino all’ultima pagina.
(Consigliato da Rebecca Mais)
“Oriente e Occidente” di Federico Rampini
“Una delle sue imprese più folli, il «Grande balzo in avanti», ha come obiettivo quello di sorpassare la produzione inglese di acciaio (negli anni Cinquanta la Gran Bretagna ha ancora una siderurgia importante). Quel Grande balzo in avanti Mao lo pianifica sulle spalle delle campagne, costringendo i contadini a lasciare i campi per lavorare in una miriade di piccoli altiforni artigianali costruiti nei villaggi. L’esito è un crollo dei raccolti, provoca stenti e carestie tra il 1959 e il 1962, trentasette milioni di morti. Un prezzo elevato che il popolo cinese paga alla rincorsa a tutti i costi di un modello che sta a ovest. Più tardi lo stesso Mao scatena la Rivoluzione culturale anche con l’obiettivo di fare piazza pulita della tradizione cinese: ogni eredità del passato lui la vede come un fardello che impedisce alla sua Cina di spiccare il volo. Ecco le giovanissime guardie rosse maoiste aizzate perché distruggano templi buddhisti e biblioteche confuciane, come nella rivoluzione Taiping.”
“Oriente e Occidente – Massa e Individuo” è il nuovo libro di Federico Rampini edito da Einaudi. Nato a Genova nel 1956 è un giornalista spesso presente nelle trasmissioni politiche italiane, saggista ed accademico italiano naturalizzato statunitense dal 2014.
Con questo saggio Rampini affronta un viaggio tra due culture distanti non solo a livello spaziale ma anche spirituale. Da un lato l’antico Oriente che ha modificato totalmente la propria cultura nel giro di cinquant’anni, dallo spiritualismo millenario all’ideologia della fabbrica e del comunismo così come si può bene intuire dalla citazione riportata sulla rivoluzione di Mao, una rivoluzione che non considera l’uomo come essere umano unico dotato di spirito e carne ma lo vede come una repetitio che non presenta in sé alcun valore. Dall’altro lato l’Occidente con le sue contraddizioni, le sue culture sorelle e rivali, l’individualismo spinto oltre l’eccesso, la bramosia di avere e la dimenticanza dell’essere.
Oriente ed Occidente, dittatura culturale e democrazia senza alcuna guida, il saggio di Federico Rampini è fortemente consigliato non solo per il lavoro di comparazione tra i due mondi ma anche per l’inserimento di dettagli curiosi frutto di ricerca e di cenni di vita privata quali quelli della figlia Costanza, docente di Scienze ambientali in California che “insegna agli studenti americani che le nostre religioni monoteiste ci hanno ispirato un malsano senso di superiorità. Fatti a immagine e somiglianza di Dio, abbiamo ricevuto da lui il diritto-dovere di dominare la natura. La fede biblica o coranica ci ha reso arroganti, prevaricatori. L’induismo della reincarnazione educa a percepire l’essere umano come una tappa di transizione fra diverse forme di vita; impone perciò il rispetto di tutte le altre specie naturali.”
Sento di concordare con l’interpretazione di Costanza e con occhio vigile constato la corruzione della religione se legata al potere temporale, così come sentenziò Martin Lutero. Non è tanto il libro come costrutto di parole a proporre una superiorità quanto l’interpretazione umana. Il monoteismo è presente anche nell’Induismo, in Platone e in Plotino così come il pluralismo di semi-divinità è presente nel pagano quanto nel mondo cristiano con il lungo elenco di Santi. Bhagavad Gītā, Bibbia, Vangeli, Enneadi e Corano parlano della dualità psicologica presente nell’uomo e da antichi libri ci indicano la via.
“Il regno di Dio è dentro di te è tutto intorno a te… non in templi di legno e pietra. Solleva una pietra ed io ci sarò, spezza un legno e mi troverai.” – Vangelo di Tommaso
(Consigliato da Alessia Mocci)
“Solo danni collaterali” di Pier Bruno Cosso
Leggete “Solo danni collaterali”.
Leggetelo e non ve ne pentirete.
Proverete indignazione, commozione, rabbia, desiderio di rivalsa.
Le labbra si incresperanno in un sorriso amaro e si abbandoneranno nell’emissione di un soffio di sollievo.
Ispirato ad una storia vera, il romanzo di Pier Bruno Cosso, “Solo danni collaterali”, edito da Marlin nel 2020, racconta una vicenda di abuso di potere da parte di un giudice disonesto e dell’epopea personale e professionale di un onesto medico di famiglia, divenuto vittima di un sistema che non tutela dall’indegno esercizio della giustizia compiuto da pochi, a scapito dei cittadini e degli onesti colleghi.
Certo, il nostro eroe verrà riconosciuto innocente.
Riporterà solo danni collaterali: la distruzione dell’autostima, l’insinuarsi del dubbio in ambito familiare, il danno economico, l’immagine pubblica, l’arresto della carriera.
Poca roba: solo danni collaterali.
(Consigliato da Emma Fenu)
“Fa una scelta di buoni autori e contentati di essi per nutrirti del loro genio se vuoi ricavarne insegnamenti che ti rimangano. Voler essere dappertutto e come essere in nessun luogo. Non potendo quindi leggere tutti i libri che puoi avere, contentati di avere quelli che puoi leggere.” ‒ Lucio Anneo Seneca ‒ “Lettere morali a Lucilio”
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Editoria 2019: libri consigliati per l’inverno
Editoria 2019: libri consigliati per l’estate
Editoria 2018: libri consigliati dell’anno
Un pensiero su “Editoria 2020: i libri per l’estate consigliati da Oubliette Magazine”