Le métier de la critique: l’Inverno tra neve e casa, un excursus nella lirica greca
“Tra un bicchiere di neve e un caffè come si deve, quest’inverno passerà” – Fiorella Mannoia
All’arrivo del solstizio invernale non possiamo non guardare all’inverno dei Greci e alla loro poesia.
Come sempre dobbiamo tener conto delle differenze che ci separano da loro. Così, ad esempio, l’inverno poteva dirsi in tanti modi. Nel clima assolato e arido della Grecia esso poteva essere innanzitutto il periodo delle tempeste.
E così troviamo Anacreonte che in un frammento dice: “è iniziato il mese di Poseidone; ci sono nubi e acqua, e temporali furiosi vengono giù pesantemente”; questo frammento l’ho tradotto liberamente, dato che in alcuni punti risulta lacunoso; comunque il senso globale è chiaro; mi voglio soffermare sulla parola “temporali” che traduce il greco χειμῶνες, nominativo plurale di χειμών, ‘inverno’, imparentato con molti altri sostantivi greci dal valore simile come χεῖμα, ‘tempo invernale’, o χιών, ‘neve’, tutti riconducibili ad una radice indoeuropea portatrice dell’idea del freddo e del ghiaccio.
Inoltre i Greci, per i quali il mondo è pieno di dèi, vedevano in Poseidone, il dio del mare, anche il dio delle tempeste e dei temporali.
Ma l’inverno è la stagione in cui, chiusa fuori dalla porta la Natura con i suoi capricci, è bello passare del tempo stando dentro, accanto al fuoco, a scambiare parole con gli amici più cari.
Così, infatti, ci dice Senofane: “Nella stagione dell’inverno è necessario dire tali cose rimanendo accanto al fuoco, giacendo in un letto morbido, dopo aver mangiato, bevendo dolce vino, mangiando ceci: «Carissimo di dove sei? Quanti anni hai? Quanti anni avevi, quando arrivò il Medo?».
In questo frammento è concentrata l’essenza dell’uomo, consistente nella socialità, anche minima, risultante dalla condivisione di cibo, vino e storie.
Sì, l’uomo ha sempre avuto l’esigenza di raccontare, di raccontarsi, esigenza per cui serve tempo: per questo il momento del pasto è, da sempre, quello in cui le famiglie si ritrovano per parlarsi.
Faccio solo notare che anche in questo frammento inverno è detto con la parola “χειμών”, indicante in questo caso il tempo freddo. In realtà non esiste vera forma di convivialità che non parta innanzitutto da noi stessi.
Così Alceo, poeta simposiale per eccellenza ci ammonisce infatti: “Zeus fa piovere, dal cielo viene una grande tempesta, le correnti dei fiumi si sono gelate. Lascia perdere il brutto tempo fuori, aggiungendo fuoco, mescolando vino dolce senza parsimonia, e getta intorno alla testa della morbida lana”.
Questi versi saranno poi ripresi da Orazio all’interno di un’ode più lunga e più articolata, molto famosa dal noto incipit “Vides ut alta stet nive candidum/ Soracte…”
Ma è ancora più bello per l’uomo bere insieme agli altri. Del resto simposio significa proprio questo, ‘bere insieme’ (da σύν, ‘insieme’ + radice del verbo πίνω, ‘io bevo’).
E ancora, pertanto, ci invita Alceo: “Beviamo; perché dobbiamo aspettare le lucerne? Il giorno è breve; prendi grande coppe lavorate, o mio caro; Semele e Dioniso infatti diedero vino agli uomini come strumento utile per dimenticare i dolori; versa, mescolando una misura d’acqua e due di vino, in coppe piene di fino all’orlo, e un coppa spinga via l’altra”.
Spesso ci sentiamo, sempre come dice Alceo, “a metà strada tra la terra e un cielo coperto di neve”.
Per i Greci l’acqua, in tutte le sue forme, è fonte di vita anche quando è neve trasparente. Trasparente è anche il vino che sempre Alceo, in un altro frammento, definisce come “strumento di riconoscimento dell’uomo”: il termine usato è δίοπτρον, composto da διά e da una della radici del verbo ὁράω, ‘io vedo.’ Per questo, sempre Orazio, dirà In vino veritas.
Ma la verità è anche nella natura, piena di dèi, personificazioni stesse delle stagioni, come abbiamo visto esserlo Poseidone dell’inverno e delle tempeste, tantoché ancora Senofane scrive: “il mare è fonte dell’acqua, è origine del vento, né infatti ci sarebbe la forza del vento che soffia da fuori tra le nubi senza il grande mare, né le correnti dei fiumi, né l’acqua piovosa del cielo, ma un grande mare è origine di nubi, di venti e di fiumi”.
Alla fonte di ogni descrizione invernale ci sarà stato certamente quello che può essere senz’altro considerato il primo poeta storicamente riconosciuto della letteratura greca e quindi occidentale, Esiodo.
Egli nel poema Le opere e i giorni dedica una sezione alla trattazione delle stagioni anche in relazione ai vari lavori nei campi da svolgere di volta in volta. Particolarmente significativa è la descrizione dell’inverno, soprattutto in alcuni punti:
“Μῆνα δὲ Ληναιῶνα, κάκ’ ἤματα, Βουδόρα πάντα,/ τοῦτον ἀλεύασθαι καὶ πηγάδας, αἵ τ’ ἐπὶ γαιᾶν/ πνεύσαντος Βορέαο δυσηλεγέες τελέθουσιν”
“Mese di Leneone, le giornate cattive, tutte da scorticare buoi, da questo difènditi e dalle gelate che vanno a finire sulla terra, crudeli, al soffio di Borea”.
Leneone era un mese greco, che doveva coprire il periodo fra gennaio e febbraio, ovvero quello che ancora oggi è considerato il cuore dell’inverno, durante il quale si trovano le gelate, termine espresso nel resto da πηγάδας, accusativo plurale di πηγάς, ‘brina’, ‘ghiaccio’ da πήγνυμι, ‘conficcare’, ‘rendere solido, gelato’, ‘far gelare’; Borea è etimologicamente ‘un vento del Nord’, quindi freddo per definizione.
A questa situazione esterna, a cui fa seguito una focalizzazione su tutta la natura in genere, si oppone il calore di una casa: “E non soffia (il vento) attraverso le tenere membra della fanciulla che dentro casa rimane con la cara madre… dentro casa giace nel giorno invernale” (invernale è detto con il dativo di χειμερίος, α, ον aggettivo imparentato con χειμών); oppure il desiderio di trovarne una: “a tutti nel cuore è caro questo, un luogo dove, cervcando, possano trovare folti giacigli e una profonda grotta”.
Τutti gli uomini, infatti, “vanno in giro fuggendo la bianca neve”. Da notare che neve in greco è “νίφα λευκήν”: νίφα è accusativo dal raro e anzi ricostruito *νίψ, lat. nix; λευκήν è accusativo dell’aggettivo λευκός, ή, όν, famosissimo attributo recante la nozione del bianco inteso grecamente come splendente, luminoso, chiaro, etimologicamente legato al verbo λεύσσω, ‘guardo’, ‘fisso lo sguardo’, come se fissare verso un punto illuminasse e abbagliasse lo sguardo; del resto la parentela con il latino luceo, ‘brillo’, ‘risplendo’, ‘sono chiaro’ conferma evidentemente ciò.
Anche se durante quest’inverno non possiamo (e non dobbiamo!) banchettare assembrati causa Covid, Buon Natale di letture greche a tutti e ad maiora!
Written by Filomena Gagliardi
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