Editoria 2022: i libri per l’inverno consigliati da Oubliette Magazine
“Leggere un libro non significa solo sfogliare le pagine. Significa riflettere, individuare le parti su cui tornare, interrogarsi su come inserirle in un contesto più ampio, sviluppare le idee. Non serve a niente leggere un libro se ci si limita a far scorrere le parole davanti agli occhi dimenticandosene dopo dieci minuti. Leggere un libro è un esercizio intellettuale, che stimola il pensiero, le domande, l’immaginazione.” ‒ Noam Chomsky
Il filosofo e linguista statunitense Noam Chomsky (Filadelfia, dicembre 1928) è uno degli intellettuali più celebri per le aspre critiche mosse sul sistema di propaganda attuato dalle democrazie con l’utilizzo dei mass media.
Per celebrare il solstizio d’inverno vi presentiamo una selezione di 21 libri, editi nel 2022, consigliati dalla redazione e da alcuni stimati lettori di Oubliette Magazine.
Se avete il piacere di unirvi a noi per raccomandare un libro che ritenete valido, potete inserire il vostro consiglio a fine articolo nella sezione Commenti indicando il titolo, l’autore, la casa editrice e qualche riga di esplicazione.
Se il possesso di libri non è corrispondente alla lettura è necessario rivalutare il proprio rapporto con questo “oggetto di carta” che dà la possibilità di scavare nel genio di un altro essere umano. Leggere è un atto intimo, di ricerca, di esplorazione.
“La lettura sia una chiara lampa nelle tenebre,/ Perché ti guardi dagli ammassi di parole e cose.” – Epigramma del quarantaduesimo Emblema dell’“Atalanta fugiens” di Michael Maier
I libri del 2022 consigliati da Oubliette Magazine
“La moglie del serial killer” di Alice Hunter
Alice Hunter è una psicologa che per anni ha collaborato a programmi di riabilitazione nelle carceri. Ovviamente tutto ciò che ha appreso e che ha affrontato, ascoltando storie che spesso appartenevano a persone che avevano commesso crimini violenti, si nota dalla cura psicologica che troviamo nei suoi personaggi d’invenzione.
I capitoli de “La moglie del seriale killer” (Newton Compton Editori, 2022) sono suddivisi fra i due protagonisti che narrano di sé stessi in prima persona: Beth la moglie che si trova ad affrontare l’arresto del marito. Tom, il marito, accusato di essere un serial killer. Non ci sono flashback che riportino al passato, ma viene usato sempre lo stesso sistema del capitolo che riporta il nome, con la dicitura, degli anni precedenti. Ad esempio, troviamo Katie, una delle vittime, otto anni prima e cosa accadde.
Un bel romanzo, ben tratteggiato, dove i protagonisti sono ben descritti, soprattutto condividiamo con essi quanto sentono.
Dal momento dell’arresto per la scomparsa di Katie, Beth si trova sola con la figlia piccola Poppy, ad affrontare quanto sta accadendo. Non solo quanto lei percepisce, ma anche quanto viene percepito dalle persone del paese che la conoscono, ben suddivise fra chi prova una sorta di empatia per ciò che le sta accadendo, e le solite malelingue che sanno solo fare gruppo e parlarle dietro. Ad un certo punto Beth, con l’aiuto di Adam, un vedovo vicino di casa, trova il coraggio di ammettere con la polizia che lei, qualche cosa, la sa.
Non è proprio la moglie ignara: Tom si era confidato con lei, quando lei aveva trovato delle email che il marito inviava a nome di Katie, la sua ex scomparsa, appunto, otto anni prima. Quando Beth chiede spiegazioni, lui le confessa che, per ben due volte, è incappato in “incidenti” dove due delle sue ex sono decedute. Beth, per salvaguardare la famiglia resta con lui, tacendo. Ma è proprio così?
Beth si avvicina sempre più a Adam, assillata dai giornalisti che non credono nella sua buona fede; sospettosi che anche lei abbia avuto a che fare con quei crimini. In fondo “ogni matrimonio nasconde dei segreti”, quello fra Tom e Beth, ne nasconde più di uno.
La Hunter ha un modo di scrivere che fa notare quanto siano state accurate le ricerche a monte, dai metodi usati dai detective, alle descrizioni del sentire di ogni persona che occupa le pagine. Non ci sono personaggi inutili, tutto è un perfetto meccanismo che conduce il lettore fino alla fine, fino a un colpo di scena che, anche alla soglia del momento fatidico, non pareva dovesse arrivare; una sorpresa che coglie i lettori piacevolmente impreparati.
Originale che, per una volta, ci sia il punto di vista di chi sta accanto a un serial killer, e che si ponga il problema che spesso viene a galla: è possibile vivere con una persona del genere e non accorgersi di nulla?
(Consigliato da Miriam Ballerini)
“Filosofia e clinica” di Loredana Di Adamo
“Filosofia e clinica” di Loredana Di Adamo è un saggio nato dall’esperienza professionale dell’autrice nell’ambito dell’autismo di livello 1 e della neurodiversità. Edito dalla Negretto Editore (ottobre 2022) nella collana Cause e affetti diretta da Cinzia Migani, è composto dalla prefazione del medico e psichiatra Ernesto Venturini, dalle Norme di lettura, dall’Introduzione, dal Capitolo I denominato La variabilità neurobiologica e l’autismo. Per una filosofia della neurodiversità, dal Capitolo II denominato Filosofia e clinica. L’approccio esistenziale e fenomenologico alla neurodiversità, dal Capitolo III denominato Il Parent Training Sophia. Un approccio clinico e filosofico all’adulto, alla coppia e alla famiglia nell’ambito dell’autismo di livello 1 e della neurodiversità, dalle Conclusioni, da una vasta Bibliografia e chiude una parte dedicata alla Sitografia.
Perno del libro “Filosofia e clinica” è la sostituzione del termine “diagnosi psichiatrica” con neurodiversità, parola coniata nel 1990 dalla sociologa australiana Judy Singer e successivamente utilizzata dallo psicologo Thomas Armstrong, come soluzione allo stigma di alcune condizioni cliniche così da ampliare la variabilità neurobiologica esistente in natura. Il saggio non è rivolto solo ai professionisti dei vari settori specialistici chiamati in causa ma, essendo di piacevole lettura, è consigliabile anche ai familiari che si trovano in relazione con casi di autismo 1 ed a tutti coloro che si interessano di società e diversità.
“L’errore di una parte della psichiatria e della psicologia è invece, ancora oggi, voler ricondurre la conoscenza della persona alla spiegazione e al rapporto di causa-effetto, seguendo la concezione normale dei comportamenti. Purtroppo, questo modo di avvicinarsi al mondo dell’altro non fa che annullare l’orizzonte di senso del soggetto, indirizzando altrove la cura. Come afferma Eugenio Borgna, quando la psicologia e la psichiatria perdono di vista l’uomo nella sua unicità diventano «scienze umane che hanno dinanzi a sé orizzonti oscuri e talora inafferrabili (irraggiungibili)», non più capaci di arrivare a quelle profondità di senso a cui si può pervenire immergendosi in esse e nella loro singolarità. In questa prospettiva i dati dei test, seppur utili, spesso sono solo il risultato di una procedura che avviene senza una naturalezza di intenti e in un contesto non ecologico, dove il distacco necessario tra chi somministra e chi svolge il test non consente l’emersione di ciò che ha carattere di possibilità, e che si esplica più facilmente nel vivo della relazione.” – Loredana Di Adamo
Il volume è impreziosito da pertinenti citazioni che aprono ogni capitolo e paragrafo e che riflettono l’intento dell’autrice di amalgamare le diverse discipline; si riportano solo alcuni dei nomi degli scrittori, poeti, filosofi e psicologi presenti: Karl Jaspers, Franco Basaglia, Friedrich Nietzsche, Plutarco, Oliver Sacks, Seneca, Ludwig Binswanger, Michel Foucault, Rainer Maria Rilke, Ludwig Wittgenstein, Martin Heidegger.
(Consigliato da Silvano Negretto)
“È giunto il maestrale” di Samuel Fernando Pezzolato
“S’azzurra l’infinito/ e i miei occhi/ andando lontano/ s’inseguono ai miei passi./ Le mie impronte svanite sulla sabbia/ rimarranno qui,/ intrappolate tra la gente./ Passeranno i secoli/ ma dei nostri profumi/ ne narrerà il vento.”
“È giunto il maestrale” (Tomarchio Editore, 2022) del poeta torinese Samuel Fernando Pezzolato è una lunga dichiarazione d’amore in versi per l’isola della Sardegna. Ogni lirica indaga l’antico di questa terra strappata al mare, della sua centralità nel Mar Mediterraneo occidentale, del suo caratteristico isolamento che ha reso possibile la trasmissione dei saperi arcaici e la conservazione della solennità degli elementi. Il poeta, così, ode il maestrale come remoto cantore e trascrive le parole che il vento sussurra a chi sa ascoltare.
“Ti avrei aspettato/ al sorgere dell’alba.// Al posto tuo/ è giunto il maestrale.// Attesa svanita nel vento/ tra gli schizzi di acqua sala/ si sbattono sugli scogli le onde.// Una nave/ approda al porto lontano,/ nulla mi raggiunse,/ mi parve l’arrivo di un pacco vuoto.// Un giorno incompiuto/ come il volo controvento/ di questi mattutini gabbiani.”
Gli elementi – aria, acqua, terra e fuoco – radicati nella realtà materiale diventano vocaboli poetici che, nelle pagine di “È giunto il maestrale”, ora s’innalzano ora si nascondono con moto circolare e costante, come se il verso simulasse l’onda che incontra la terra od il perpetuo fluttuare della fiamma.
“La notte più non mi dà tregua./ L’ardore del fuoco;/ una fiammella di candela/ trapela di poesia.”
La notte, costante della silloge di Samuel Fernando Pezzolato, non dà tregua, è inquieta, assopisce, è stellata, conduce ai sogni, è tenebrosa, è silenziosa, è blu, è nera, è buia. Il cielo senza “un sole che si traveste” diviene calamita per l’occhio del poeta che, non avendo risposte alle perenni domande, alza il volto ed implora quiete simile a quel cigno parigino che, nella pozza asciutta, con il collo proteso verso l’alto supplica qualche goccia d’acqua.
“[…] Ma c’era qualcosa/ in questi tramonti/ che avevo trovato e poi perso/ in attesa delle stelle,/ un destino travisato e predetto.// Qualcosa sulla linea dell’orizzonte,/ che oltre ogni luce continuavo a cercare…/ erano i tuoi occhi.”
(Consigliato da Rosario Tomarchio)
“Flashback” di Cristina Comencini
Il libro che desidero segnalare è Flashback l’ultimo pubblicato dalla scrittrice e regista Cristina Comencini (Roma, 1956). Figlia del regista Luigi e madre del politico Carlo Calenda, ha esordito come autrice nel 1991 con Le pagine strappate (Feltrinelli) a cui sono seguiti numerosi libri tra i quali vanno ricordati Quando la notte (2009) e Lucy (2013).
Innanzitutto qualche informazione preliminare: Flashback è edito dalla Feltrinelli, consta di 240 pagine, genere Narrativa ed il prezzo è di 18 euro.
Colpisce subito e incuriosisce l’incipit con cui si apre il romanzo “Mi è successo quattro volte, la chiamano amnesia globale transitoria. Non ha nessuna causa conosciuta né effetto durevole sulla salute fisica o mentale. È un’interruzione: per qualche minuto non sai chi sei né che ci fai al mondo… per un tempo lunghissimo, qualche minuto ti dicono, sai di essere viva ma non chi sia quella che vive… esperienze di vita, quattro immersioni in storie senza io…” Emergono così quattro figure di donne apparentemente vittime, ma in realtà eroine, donne di diverse epoche storiche, accomunate dallo stesso impegno/sacrificio nella lotta per sé, per i propri cari, per tutte le donne a venire. L’autrice svolge, in tal modo, un’indagine sulla condizione femminile condotta parallelamente ad una riflessione sul proprio vissuto, sul proprio percorso esistenziale.
La prima donna che incontriamo è Eloisa, splendida cocotte desiderata da nobili e intellettuali, la cui esistenza viene sovvertita dalla partecipazione alla Comune parigina del 1871.
È poi la volta di Sofia, una ragazza che vuole diventare attrice ma sulla sua strada incontra due ragazzi straordinari, Sergio – nel cui personaggio riconosciamo Ejzenstejn – e Gregori, ed ecco che i suoi progetti vengono cambiati dall’amore e dalla Rivoluzione d’ottobre.
La terza ragazza che appare alla narratrice è Elda, una giovane operaia friulana ai tempi della Seconda guerra mondiale, nello spietato inverno fra il 1944 e il 1945. Mentre l’ultima è una diciassettenne della Swinging London con cui ripercorriamo la rivoluzione sessuale dei primi anni Sessanta con le sue istanze di libertà e con tutti i problemi e i malintesi conseguenti.
Quattro donne comuni ma allo stesso tempo straordinarie, diversissime fra loro, sanno però “parlarci “della nostra stessa condizione, dei nostri stessi problemi, del nostro stesso interagire con il mondo che ci circonda, con i problemi con cui dobbiamo costantemente confrontarci e con l’universo maschile in tutte le sue sfaccettature. Sono delle eroine che incarnano una metà della Storia a lungo nascosta, ritenuta secondaria e trascurabile, non degna di essere menzionata e tanto meno indagata che in questo romanzo invece Cristina Comencini, narrandola con straordinaria empatia e maestria, fa rivivere perché appartenga a tutti, uomini e donne.
(Consigliato da Giovanna Fracassi)
“Il circolo degli ex” di Massimo Vitali
Questo romanzo di Massimo Vitali (Sperling & Kupfer, 2022) tratta non dell’incomunicabilità ma della comunicazione simulata e fraintesa. Pietro, l’io narrante, che può fare, se non narrare?: “… credo sia stato proprio da quell’istante che ho capito che qualcosa dentro di me si era rotto per sempre…” – quel qualcosa era ex-agerato, uscito dall’argine, per ricrearne uno nuovo (oppure lavato col noto detersivo; è sempre più difficile inventare il quasi nuovo da quel quasi nulla che è l’ordine in cui vivacchiamo). Tutto scorre: questo concetto fu espresso due o tre millenni fa.
Il titolo del romanzo è Il circolo degli ex, degli ex-missi, espulsi, licenziati, abbandonati come dei canidi in autostrada, che ora hanno deciso di riunirsi in branco, la prima volta in occasione della notte di Capodanno, che sempre pare catartica e foriera di nuove pur illusorie speranze. È già tradimento frequentare platonicamente un essere desiderato sessualmente? La risposta di Erica, e anche la mia, è “assolutamente sì.” – chi sta progettando una rapina è potenzialmente un criminale.
Tanto l’amore immacolato (sempre che esista), quanto una violenza carnale può donare al modo un nuovo starnazzante e più che aulente essere.
I capitoli sono smilzi, svelti, concisi e mai sovrabbondanti. Durante la presentazione il tuo avatar disse che tu non passa mai al paragrafo successivo se non ha la contezza che quello appena scritto non sia perfetto. Rimane poi il faticoso lavoro di ri-scrittura, ma per andare oltre occorre fingere di credere che il proprio compito si sia concluso nel migliore dei modi.
Di ogni riunione è indicata l’ora di inizio e di fine, il luogo: sempre l’appartamento di Cesare, il numero dei presenti, quanti sono entrati/usciti nel corso della funzione (come se fosse una messa), il nome del Segretario: sempre tu, Pietro e quello della relatrice, per esempio ora l’ex Anna, che conclude il suo intervento con un’allegoria mica male: “Ho sentito come quella volta che mi è caduto il tappo di ceramica della zuccheriera e si è rotto.” – e di chi è la colpa, se non del secondo principio della termodinamica, che sempre più ex-agera la misura dell’Entropia cosmica?
L’amore è un buco nero che attira tutto ciò che incontra, creando negli esseri che vi precipitano una Singolarità in cui la differenza cessa di esistere, insieme al tempo che la determinava. Pare che quei temibili vortici, prima o poi, evaporeranno… Mah! Una domanda da porre al Padreterno qualora, abbandonato dall’Angelo Ribelle, un giorno si presentasse alle riunioni: chi vincerà, la gravitazione universale o l’Entropia. Chi sa parli!
Alla fine l’io narrante sceglie la tua Ginevra, quella e non l’altra. Una Ginevra si è ricomposta per te, mentre l’altra si è recata altrove, per tentare di ricomporsi. Chi scrive cerca di provocare nel lettore una reazione alla sua azione letteraria. Questo rapporto, diversamente amoroso, può condurre a inganni, fraintendimenti e a nuove, cattive interpretazioni. Ogni lettura in fondo cos’è, se non la il-legittima traduzione dell’ambigua anima altrui?
(Consigliato da Stefano Pioli)
“Da Zalmoxis a Gengis Khan – Studi comparati sulle religioni e il folklore della Dacia e dell’Europa orientale” di Mircea Eliade
Mircea Eliade, sin da giovane, si occupò di ricerca sulle tradizioni spirituali romene e dell’Europa centro-orientale, complice un soggiorno di tre anni, dal 1928 al 1931 in India. E già negli anni Trenta è conosciuto come orientalista, studioso delle religioni, docente universitario e narratore; a Bucarest, nel 1938, fonda una rivista denominata Zalmoxis. Revue des Études Religieuses e nel 1970 pubblica la raccolta di saggi “Da Zalmoxis a Gengis Khan – Studi comparati sulle religioni e il folklore della Dacia e dell’Europa orientale”, proposta con una nuova edizione nel 2022 da Edizioni Mediterranee.
“L’andreon che Zalmoxis si era fatto costruire e dove riceveva i cittadini di nobile condizione per discutere dell’immortalità, ricorda sia la sala di Crotone dove Pitagora insegnava la sua dottrina, sia i locali dove si tenevano i banchetti delle società religiose esoteriche. Del resto, scene raffiguranti banchetti rituali sono largamente testimoniate sui monumenti di epoca posteriore trovati in Tracia e in tutta la regione danubiana.”
Mircea Eliade racconta ai lettori di Zalmoxis e delle numerose leggende che narrano di uno scenario simile sia per la nascita di un dio, l’apparizione di un profeta o l’ascesa al trono di un re. Dall’India all’Iran, dal culto di Mitra (del 1200 a.C.) a Gesù Cristo, la grotta è stata simbolo di nascita e rinascita, la roccia che accoglieva e proteggeva, la pietra grembo che permetteva l’isolamento dalla società per garantire la meditazione profonda.
Si esclude che Zalmoxis fosse considerato una divinità degli inferi raggiunta da coloro che muoiono perché “gli dei e le dee dei morti regnano su tutti i morti indistintamente, mentre le divinità dei Misteri ammettono presso di loro solo gli iniziati”, piuttosto era un vero e proprio Maestro conoscitore di misteri ed esperto di astronomia e di medicina. Platone ne “Carmide” scrive: “Zalmoxis – disse il medico – insegna che, come non è possibile guarire gli occhi senza la testa e la testa senza il corpo, così non è possibile guarire il corpo senza guarire l’anima. Per tale ragione, i medici greci ignorano come curare molte malattie, perché essi non considerano debitamente l’insieme.”
La raccolta è eterogenea e porta in luce altre peculiarità della Romania, fortemente consigliata a tutti coloro che si interessano di mito e di comparazione tra culture europee. Uno dei capitoli più emozionanti è “La Miorița – La pecorella veggente” nel quale si cuce la storia di una antichissima ballata conosciuta in una vasta aera geografica.
“[…] Poi, quando tutto/ sarà preparato,/ metti vicino a me/ un piccolo flauto di faggio,/ che dice molte cose dolcemente,/ un piccolo flauto d’osso,/ che dice molte cose tristemente,/ un piccolo flauto di sambuco,/ che dice molte cose fortemente!/ […]” – “La Miorița”
(Consigliato da Alessia Mocci)
“Lettere a Sofia” di Giovanna Fracassi
“Prendi queste pagine/ sono il collage/ della mia vita/ sono dipinte di parole/ dai colori indelebili…”
Raccolta epistolare sviluppata con un interessante registro elegiaco, il testo Lettere a Sofia dell’autrice Giovanna Fracassi è stato pubblicato da Tomarchio editore nel 2022. A introdurre il testo è un’interessante quanto esplicativa prefazione di Alessia Mocci, editor di ampia professionalità e profonda competenza in vari ambiti culturali. Che è valore aggiunto di un testo ricco di spunti per il lettore, esortato a riflettere sulle argomentazioni presentate dall’autrice. Che, offerte da un punto di vista personale, diventano un bene collettivo.
Lettere a Sofia è una raccolta dal contenuto culturale notevole che raccoglie le riflessioni dell’autrice su fondamentali questioni esistenziali: la vita e la morte, l’amicizia, gli affetti, l’importanza insita nel viaggiare, la gioia che può dare la conoscenza, soprattutto se declinata tramite l’insegnamento volto agli studenti.
Insomma, quelle sviluppate dall’autrice sono le grandi tematiche da sempre fonte di speculazioni filosofiche. Riflessioni, che si prestano a una lettura attenta e del tutto gradevole da parte del lettore, grazie anche alla levità con cui sono trattate. Nonché suggestioni, che danno vita a un testo composito e originale, il cui filo narrativo conduce a Sofia, termine di derivazione greca che significa saggezza.
Arricchito da liriche, già patrimonio poetico della Fracassi, poetessa lucida e attenta, il testo si presta a essere un prodotto culturale di livello che merita di essere letto e apprezzato, anche per l’immediatezza di una scrittura limpida e accessibile ai più.
Lettere a Sofia gode anche di una raccolta di brevi racconti, elaborati sempre per mano della stessa Fracassi, di assoluta gradevolezza. Mentre, a fine libro, che consta di oltre 200 pagine, nella postfazione, l’autrice dichiara l’identità del personaggio Sofia, fittizio, a cui sono rivolte le lettere. Che non è altro se non l’insieme di volti e di voci che hanno popolato l’attività professionale dell’autrice. Il cui apporto ha contribuito alla sua crescita professionale in virtù anche del fatto che coloro i quali hanno potuto godere delle sue opere, sono stati in qualche modo e misura fonte da cui ha attinto per esprimere il proprio pensiero, focalizzandosi su di un percorso letterario elevato.
“Pensiero serale: mi piace leggere e scrivere nel mio terrazzino in versione notturna, con i lumini alla citronella e il lampioncino acceso, sotto la cappottina, in mezzo ai miei fiori, nella frescura serale…”
(Consigliato da Carolina Colombi)
“Come vento cucito alla terra” di Ilaria Tuti
Il mondo sta letteralmente andando a fuoco fra guerre, soprusi, fame, malattie un mondo sempre più ingiusto, dove il benessere è solo per pochi fortunati mentre troppi disperati cercano una possibilità di riscatto lasciando la propria terra, avventurandosi in mezzo al mare con la speranza di arrivare a toccare una terra magari più ospitale. È un mondo dove ancora ci sono tali discriminazioni di genere in cui una ragazza muore per non aver indossato il velo in modo corretto. Un atto che ha innescato una protesta che non si sta spegnendo nonostante la feroce repressione e che sta coinvolgendo le donne, e non solo, in tutto il mondo.
“Come vento cucito alla terra” (Longanesi, 2022) di Ilaria Tuti si riallaccia, in un certo modo, a questo discorso sulla discriminazione, ci fa ricordare, dato che la storia si svolge nel 1914, che non è cambiato molto nel corso degli anni.
“Le mie mani non tremano mai. Sono una chirurga, ma alle donne non è consentito operare. Men che meno a me: madre ma non moglie, sono di origine italiana e pago anche il prezzo dell’indecisione della mia terra natia in questa guerra che miete vite su vite.”
In queste parole della protagonista non solo si trova già l’ingiustizia legata al suo essere donna, ma anche lo stigma per chi ha un figlio senza avere però un marito. Una donna del secolo scorso, ma ci sono posti al mondo dove le donne non hanno il diritto di studiare, di lavorare e di essere curate visto che i medici sono uomini e questo succede ora, ai giorni nostri.
Una sera accade però qualcosa che cambierà il corso del suo destino. Flora e Louisa, due medici coraggiosi che vogliono smettere di sognare solamente l’emancipazione e l’uguaglianza e vogliono renderle reali per dare forza a tutte quelle donne che non intendono rivestire solo i ruoli preconfezionati da una società retrograda e maschilista, le propongono di andare a Parigi per aprire il primo ospedale di guerra gestito interamente da donne.
Un’impresa folle ma necessaria. Un’impresa che porterà cambiamenti, ma anche dolore e separazione. La protagonista lascerà la figlia per poterle dare un futuro di libertà e uguaglianza, si troverà ad affrontare un ambiente dove saranno osteggiate dal senso comune e spesso respinte dagli stessi soldati che vogliono curare. È quindi la loro storia, ma anche quella di quei soldati che varcano la soglia convinti di non avere veramente alcuna speranza e che invece, spesso, trovano proprio in quell’ospedale, un’occasione di riscatto e di cura non solo delle loro ferite, ma anche dei loro preconcetti. Sono storie drammatiche e incredibili, sono soprattutto vicende di donne coraggiose e determinate che la storia l’hanno fatta e poi sono state dimenticate. Ecco, Ilaria Tuti riporta alla luce le vicende di alcune di loro che però racchiudono quelle di molte altre donne di ieri e di oggi.
“… guardo di nuovo le mie mani. Non tremano, ma io, dentro di me, sono vento.”
(Consigliato da Beatrice Benet)
“Il primo caffè della giornata” di Toshikazu Kawaguchi
Torniamo a bere il caffè della serenità con Toshikazu Kawaguchi, il caso editoriale più clamoroso degli ultimi anni. Il primo caffè della giornata (Garzanti, 2022, pp. 197, trad. di Claudia Marseguerra) è il terzo capitolo dedicato alla magica caffetteria giapponese in cui è possibile viaggiare nel tempo. Per vivere questa esperienza unica occorre sedersi e gustare il caffè facendo attenzione che non si raffreddi.
Nell’atmosfera onirica del locale gestito da Nagare Tokita si avvicendano Yayoi, giovane orfana decisa a tornare nel passato per rimproverare i genitori di averla lasciata sola con la loro morte improvvisa; il comico Todoroki, che desidera rendere partecipe del proprio successo la moglie defunta; Reiko, la quale non riesce a elaborare il lutto per la perdita dell’adorata sorella; Reiji, per cui è difficile confessare il suo amore a Nanako, l’amica di sempre. Per tutti vale la regola che, qualunque cosa si dica o faccia nel passato, essa non può cambiare la realtà presente.
Un viaggio inutile, dunque. Niente affatto! Bastano pochi minuti, finché il caffè è caldo, per sciogliere nodi dolorosi e ritrovare la pace interiore. L’importante è avere coraggio di esprimere i propri sentimenti e aprire il cuore: niente cambia eppure tutto cambierà. Il viaggio nel passato è metafora del senso della vita; non si può cambiare ciò che è stato e non sarebbe bene. Quello che conta è prendere coscienza dei propri errori e farne tesoro perché essi sono una ricchezza e aiutano a crescere.
L’arte giapponese del kintsugi, che non nasconde le crepe di un oggetto rotto ma le evidenzia e impreziosisce con polvere d’oro, insegna che le ferite possono diventare bellezza. La vita è un dono che porta con sé la capacità di superare ogni difficoltà; tutti nasciamo con questa energia ma spesso essa è soffocata dalla disperazione. Esiste una forza in grado di riaccendere quell’energia: la speranza che è il potere di credere nel futuro. Davanti alla tazzina fumante si impara che bisogna asciugare le lacrime perché la felicità è un dovere per noi e per chi ci ha voluto bene: la gente nasce per essere felice.
(Consigliato da Tiziana Topa)
“La danza della vita” di Carlo Sorgia
“La danza della vita” di Carlo Sorgia edito da LFA Publisher a ottobre del 2022 è un romanzo biografico che affronta l’esperienza traumatica di due genitori che scoprono di essere in attesa di una bimba affetta da trisomia 21, e che, nonostante la prospettiva di un percorso di vita faticoso e un primo momentaneo disorientamento, decidono di portare avanti la gravidanza.
È un racconto corale, l’autore, attraverso una forma narrativa semplice, racconta difficoltà e gioie di questa famiglia condivise anche dai nonni e dal fratellino della bimba.
Un libro che non scende mai a compromessi in un racconto pietistico, quando descrive la vita quotidiana e tutti i percorsi terapeutici, le emozioni e i sentimenti scaturiti alla famiglia di questa inaspettata e particolare esperienza, ma che aiuta a capire il senso dell’amore e la voglia di vivere. Una vera e propria “Danza della Vita”.
È un libro d’amore per la vita quello di una madre per la propria figlia, Alice, che ancora non conosce, ma che sente dentro di lei crescere e scalciare, quasi a chiedere di uscire e nello stesso tempo di rimanere lì dentro, protetta.
Carlo Sorgia è riuscito a raccontare tutto trasmettendo efficacemente quella voglia di vivere al lettore anche se spesso le difficoltà ce lo impediscono, ci ricorda che la vita è il bene più prezioso che abbiamo e che merita di essere vissuta con gioia e nel migliore dei modi e in fondo come si potrebbe godere la felicità senza superare degli ostacoli?
Dopo averlo letto e riletto consiglio vivamente “La danza della vita” che in maniera scorrevole vi trametterà un senso di gioia e il calore dell’amore in questo imminente inverno.
(Consigliato da Franco Carta)
“Oh, sì che mi ricordo” di Ignazio Marongiu
La parola e quindi la scrittura sono un veicolo di emozioni che trasmettono quella parte di sentimento che vibra in noi. Lasciare scritto su un libro, un respiro di noi, diviene storia della nostra storia. La parola scritta vive e sopravvive, diventa testimonianza, ricordo, dona immortalità. Come il romanzo di Ignazio Marongiu dal titolo: “Oh, sì che mi ricordo” edito da Carlo Delfino editore. Non è solo un racconto passionale, è una storia d’amore talmente “forte” da superare la mortalità. Con questo suo lavoro Ignazio Marongiu ci offre la trasformazione del dolore a causa di una perdita, dal buio del tormento, ci fa capire che la morte stessa non è la fine, ma che si rimane immersi in un’aurea di vita attraverso il quale continua ad occupare i nostri pensieri lasciando un’impronta significativa.
La vita e la morte, l’uomo è consapevole della caducità della vita, ed il tempo vorace ne lacera i ricordi.
La protagonista assoluta del romanzo è Jane Susan, approdata in Sardegna da Cambridge. Si misura con una cultura diversa che impara a conoscere, studiare e amare. Laureata in lingue, donna bellissima e colta, con la passione per la letteratura e per Virginia Woolf. Trasmette ad Ignazio il suo sapere con cui condivide le sue passioni. La narrazione si svolge nello sfondo sociale degli anni Settanta/Ottanta. Anni in cui si sono gettate le basi per un cambiamento economico e sociale, anni di contestazioni giovanili, del trionfo della musica rock, per declinare in forma più melodica agli inizi degli anni Ottanta. Anni dei pantaloni a zampa, del gabbiano Jonathan Livingston che rivendicava la libertà di inseguire il suo sogno. Una generazione quella degli anni Settanta in pieno cambiamento che ricerca modi di vivere alternativi che volevano cambiare il mondo. Anni pieni di sogni quando il futuro era colmo di promesse come la grande storia d’amore tra Jane e Ignazio, uniti per il piacere di stare insieme, uniti dalla voglia di essere presenti, ascoltarsi e arricchirsi l’un l’altro, alimentato dalla forza della condivisione in una quotidianità che li vede diversi ma vicini. Lo scrittore grazie al vissuto trasforma il dolore per la perdita di Jane in un futuro vivibile, trasforma il dolore in rinascita, portando l’anima a livelli superiori della coscienza umana. Attraverso il ricordo di Jane, alla ricchezza culturale che essa gli ha trasmesso, la perdita si identifica nell’altro e sul cuore non resteranno incisi solo i ricordi ma resterà un’impronta.
Ignazio Marongiu sociologo esperto di comunicazione ha al suo attivo altre pubblicazioni: “La bontà apparente. Come orientarsi nella giungla della comunicazione”, “La condizione giovanile”, “Piano di lotta contro la silicosi e malattie da ambienti di lavoro”, di particolare importanza per la Sardegna. “Oh, sì che mi ricordo” è il suo primo romanzo.
(Consigliato da Giuseppina Carta)
“Infanzia” di Tove Ditlevsen
Danimarca. Tove è una bambina che vive con i genitori e il fratello maggiore in un quartiere operaio di Copenaghen. Il padre passa da un impiego all’altro e sdegna il socialismo mentre la madre è piena di rancore e sempre intrattabile con tutti. Per Tove crescere, stare con gli altri, esprimersi, non è semplice e persino con l’amica Ruth non riesce ad essere veramente se stessa. Lei desidera solamente dedicarsi alla poesia ma il padre le ha detto che le donne non possono scrivere e la madre, ne è certa, la riterrebbe un’attività inutile e frivola. Forse suo fratello ha intuito qualcosa ma anche lui è troppo preso dalla sua vita non semplice per pensare a quella della sorella. Tove si rende conto ben presto che quello non è il suo mondo, quelle persone le sono per lo più estranee ed è un po’ come se osservasse dall’esterno ciò che le accade.
“Infanzia” (Fazi Editore, 2022, traduzione di Alessandro Storti) è il primo volume della trilogia di Copenaghen di Tove Ditlevsen, scrittrice e poetessa danese che si tolse la vita nel 1976.
La sua vita tormentata ebbe inizio tra le mura di casa, durante la sua infanzia, ed è questa che viene raccontata nella sua autobiografia, per la prima volta tradotta in Italia e solamente di recente riscoperta e celebrata a livello mondiale come capolavoro.
Ogni parola, ogni pagina ci riportano in luoghi e visioni ben precise, quasi come se in quei luoghi e con quelle persone fossimo presenti anche noi. Con lei riviviamo l’angoscia, il tormento di un’infanzia che Tove non vede l’ora di abbandonare ma che una volta trascorsa non sarà meno dolorosa. Neppure in Danimarca era semplice farsi avanti nel mondo della cultura per una donna e per lei, che di libri e poesia e vita reale voleva nutrirsi, fu sempre così faticoso e desolante.
Quello che troviamo in “Infanzia” è un dolore reale, tangibile, onesto, un grigiore che va dalle battaglie della classe operaia a quello dell’animo della madre e della stessa Tove.
Tove Ditlevse ha saputo raccontare l’essere donne e la femminilità con spietata concretezza e poesia al tempo stesso, come poche altre donne sono riuscite a fare.
Pagine che non si dimenticano facilmente, una donna che ha lasciato di sé un racconto indelebile, una storia fortemente attuale nonostante l’ambientazione.
(Consigliato da Rebecca Mais)
“Un giorno e una donna” di Nicoletta Bortolotti
“Un giorno in cui Parigi era un tempo più che un luogo, e l’anno millequattrocentocinque era un luogo più che un tempo, una donna ha scritto.” Questo incipit denso, prezioso, ricercato eppure immediato fa subito innamorare del libro. Di più: porta in dote l’amore per la lettura. Quell’amore che dà tanto e non si prende niente.
“Un giorno e una donna” (Harper Collins, 2022), è un libro che farà epoca, di cui si parlerà a lungo. È il racconto di una di una donna che ha determinato la storia, più che averla attraversata. E allora ci immergiamo nella affascinante biografia di Cristine de Pizan, la prima scrittrice europea. Di origine italiana, trapiantata a Parigi all’inizio del Quattrocento, lascia una sua scia nel cuore di un Medioevo sanguinario e bisbetico. Lei, senza preoccuparsi delle donne e del loro non avere voce, parla al mondo con voce potente. Lei sussurra, ma quel suo sussurrare è un’onda anomala che travolge. Lei è la donna, la passione, la fragilità, e la forza dei momenti bui. Nelle pagine ci si smarrisce, ci si trova, e si tira di fioretto con le emozioni. Quelle che toccano, che ci attraversano sibilando come frecce. Che ci fanno sbandare nel giorno da buttare via, e in quello dove, santo cielo, si può sopravvivere.
L’autrice ci schiera davanti a noi stessi, con le nostre piccole considerazioni, raccontandoci di una donna di rocce e di petali, in guerra col suo secolo. Voce di donna, voce che urla sottovoce, voce che avvolge il cuore. Voce che prima non c’era. E allora pronti, via, entriamo in un ascensore immaginario che ci porta quattordici piani sotto, in un mondo sepolto, struggente, spesso controluce, ma incantato. Incantato, perché tutto è incanto, sogno, vita che scorre lenta dentro i confini dell’epoca.
Nicoletta Bortolotti ci regala le emozioni, le visioni del mondo visto con gli occhi di donna nel Quattrocento. È vero che abbiamo chiuso gli occhi e siamo scesi quattordici piani sotto, ma l’autrice, lì, accende la luce. Con un linguaggio che scava nell’anima, senza più segreti, illumina quella sensibilità di donna, illumina quella intelligenza, quella risolutezza e quel sottofondo di dolore che è donna. Che vola come solo una donna si può staccare dal suolo.
Ma siamo matti? Una voce di donna così tanti secoli addietro? Ma se fino a pochi decenni fa era utopia! Una rivoluzione, una forza travolgente che la Bortolotti ci regala così, come se fosse semplice, come se fosse scontato. E invece è rivelazione.
La formula scelta per questa narrazione è quanto mai felice: la via epistolare. Un espediente che ci permette di seguire il racconto su un doppio binario. Quello della madre e figlia che scandiscono i giorni come foglie che cadono. Le voci femminili quindi sono due, ma poi è una sola, univoca, con un controcanto che rende tutto più immenso. E in mezzo quel medioevo, dove una donna riesce, a dispetto dei tempi, a gettare il cuore verso un futuro donna.
(Consigliato da Pier Bruno Cosso)
“Le ricette di Gessica” di Gessica Runcio
Gessica Runcio è nata e cresciuta vicino a Milazzo (Messina) dove, già da bambina, ha appreso dalla madre e dalla nonna piccoli e grandi segreti della cucina siciliana verace. Ora vive a Milano. Col tempo la sua passione per le preparazioni culinarie è cresciuta così tanto che ha deciso di condividerla con un numero sempre maggiore di persone, aprendo un blog personale, intitolato proprio come il suo nuovo libro che ho appena letto: Le ricette di Gessica, il suo quaderno digitale delle ricette, accanto a pagina Instagram e Facebook, naturalmente. È arrivata, così, a scalare le classifiche delle blogger e content creator più amate del noto sito Giallo Zafferano.
Così nasce Le ricette di Gessica, in formato sia cartaceo che ebook, recentemente edito da De Agostini: 246 pagine arricchite da un ampio corredo fotografico. Un libro bello, come i ricettari di una volta, da sfogliare e risfogliare, apprezzando le immagini dei piatti finiti, immaginando come potervi aggiungere un tocco personale, magari anche solo nella presentazione. Molte delle preparazioni sono contraddistinte da uno o più simboli posti sotto il titolo e che, come esplicitato nella legenda, indicano se si tratta di cibi senza lattosio, senza glutine, vegetariani o vegani.
Io apprezzo particolarmente questo genere di ricettari, perché è bello seguire le video-ricette su internet o curiosare rapidamente tra gli infiniti consigli culinari della rete, ma ancora più bello poter sempre contare sul libro dalle pagine amiche, sempre pronto ad aprirsi lì, su quella ricettina che avrai consultato chissà quante volte, ma che sempre ti torna utile quando hai un piccolo dubbio sulle quantità degli ingredienti o quando vuoi mostrare al volo a qualcuno il tuo piatto forte!
Un libro bello e utile che unisce la tradizione delle più note ricette siciliane e nazionali a consigli e trucchetti che possono spesso rivelarsi utili per chi si trova a destreggiarsi tra pentole e pietanze, come quello per rendere meno acido il sugo di pomodoro. Così, grazie a questo libro sarà possibile seguire il procedimento per creare ottime sfince, primi piatti come la pasta alla Norma o quella ‘ncasciata o la celebre caponata, ma anche superbi dolci come i cannoli o la cassata. Non mancano poi i grandi classici della cucina italiana, famosi nel mondo come pasta e patate, polpettone al sugo, arrosto, spezzatino, pizza in teglia o tiramisù.
Semplicità, colore, gusto e praticità sono le parole che possono ben delineare i tratti peculiari di questo nuovo manuale di cucina. Un aiuto per preparare dei cibi deliziosi, prendere spunto per qualche confort food adatto alla stagione oppure, perché no, un’idea evergreen per i vostri regali!
(Consigliato da Katia Debora Melis)
“Il Duca” di Matteo Melchiorre
“Le cornacchie erano forse una decina. Sbraitavano. Strepitavano. Svolazzavano. Erano accecate, furiose. Vorticavano in una mischia esasperata accanendosi tra loro. Poi d’un tratto, si sparigliarono, fuggirono via in opposte direzioni e nel cielo sgomberato rimase un viluppo d’ali, un litigio aggrovigliato che roteava e turbinava e che infine, come raggiunto da un colpo di fucile, cadde a picco attraverso il vuoto.”
Comincia così, con questa scena febbrile, lo straordinario romanzo di Matteo Melchiorre, Il duca, pubblicato da Einaudi nel corso di quest’anno. Una scena che non prefigura alcunché di pacifico, e i suoi futuri lettori sono avvisati: il ritmo della narrazione si mantiene costantemente serrato, procedendo, direi, a perdifiato dall’inizio alla fine della narrazione. Nel riprenderlo in mano per stilare questa nota, mi sono accorto di non aver annotato alcunché. A differenza di quello che il più delle volte succede coi libri che leggo, le pagine del Il Duca sono rimaste intatte, nessun segno, nessuno scarabocchio (perché ai margini dei caratteri a stampa io spesso disegno), nessuna sottolineatura, come se non ne avessi avuto il tempo, incalzato oltre che dalla magia della storia, dall’impeto e l’eleganza del linguaggio. E potrebbe essere proprio questo il rischio che corre il romanzo, quello di essere letto troppo in fretta; ed è quel che davvero non merita, giacché le frasi, le descrizioni, le riflessioni dell’autore chiedono invece che le si assapori, che si sosti ad ammirarle, che le si considerino come in genere si fa con gli elementi delle opere d’arte. Forse esagero. C’è tuttavia nella scrittura di Melchiorre una tensione che non cede, che non accenna mai a diminuire, e al tempo stesso la bellezza di un fraseggio colto, ricchissimo, e per di più musicale, col gusto, senza alcuna forzatura, della parola preziosa, rara o desueta, che si rivela nondimeno necessaria, e ogni volta infallibile.
Ma chi è il Duca del titolo? È un uomo di trentacinque anni, e che da dieci, a una svolta decisiva della sua vita, ha scelto di lasciare la città per trasferirsi nella proprietà dei suoi avi. Dove abita in una sontuosa villa ai “piedi della Montagna”, poco distante da Vallorgàna, un paese a valle, modesto e sempre più spopolato. È ricco il Duca, e ben cosciente della propria fortuna. E tuttavia è un equilibrio imperfetto quello della sua vita di castellano, confortata dalla competente solidarietà e l’amicizia di Nelso Tabiona, perspicace valligiano che capisce come pochi le montagne, e non soltanto perché tra di esse egli è nato. Dei vasti possedimenti ereditati, per lo più terreni boschivi, al Duca sembrerebbero però sfuggire le esatte dimensioni. Ed è proprio su questa incertezza che si apre d’un tratto una sfida senza quartiere tra il protagonista narrante e Mario Fastreda, il più irriducibile dei vallorganesi, che all’improvviso si manifesta per contestare i confini delle proprietà nobiliari. Un uomo frustrato, subdolo e manipolatore, che accampa inquietanti e oscure pretese, particolarmente pericoloso “non quando indossa la maschera dell’Antagonista leale, ma quella ancor più temibile dell’Amico”.
(Consigliato da Riccardo Garbetta)
“Il pianto delle troiane” di Pat Barker
“Il pianto delle troiane” è un romanzo scritto da Pat Barker ed è dito per Einaudi nel 2022. Questo è il secondo libro dell’autrice sulla guerra di Troia e racconta le vicende attorno alla morte di Priamo.
Il cadavere del re della città racchiusa dalle mura Scee è la pietra dello scandalo su cui si inciampa in tutte le pagine della narrazione. Nel campo acheo lo scontento e la frustrazione si agitano come serpenti, forse è lo stesso Apollo che li manda a mordere i cuori e le vene di coloro che hanno funestato il suo tempio.
Il vento si è fermato. Non concede alla flotta vittoriosa di lasciare le sponde di quella che una volta era la spiaggia che conduceva alle porte di una città inespugnabile.
Agamennone non ha figlie da sacrificare, Menelao ha ripreso Elena al suo fianco, Achille è morto, Odisseo finge ancora di essere il migliore tra tutti loro ma tra queste pagine non ha nulla da dire, niente di arguto almeno. Non c’è spazio per i sotterfugi e Pat Barker nemmeno li cerca. Come ne “Il silenzio delle ragazze”, edito sempre per Einaudi nel 2021, la prosa è dura anche se ricercata ed evocativa. Ci sono spigoli ovunque tra le parole e, in fondo, che senso avrebbe nascondere le asperità di una guerra che ha portato sangue, dolore, follia e luccicante gloria. Tutti questi elementi, se messi sui piatti della bilancia della giustizia, trovano la gloria carente di valore e di peso. Certo, gli aedi riempiranno pagine di inchiostro e i guerrieri potranno usarla per abbagliare gli astanti ma chiedete a Pirro cosa vede nello specchio, chiedetelo ad Agamennone, chiedetelo a chiunque tra le baracche del campo degli achei.
Quelli che una volta erano troiani vi diranno che la loro sorte è regolata da leggi che loro non possono far altro che accettare, ma gli Achei? Spogliateli, toglietegli i mantelli da eroi e chiedetegli di essere sinceri. Un conflitto non è mai giusto e non ci sono schieramenti indenni dalla distruzione. Una guerra è una guerra, non ha lati bianchi o neri. È buia, fredda, i deboli e i fragili sono ovunque anche sotto le armature.
La voce narrante è ancora quella di Briseide. La condizione delle donne è ancora in primo piano anche se la sua condizione di prigioniera è mutata nel momento in cui Achille l’ha mandata in sposa ad Alcimo. Ma Pat Barker non manca di nascondere sotto la superficie altri sputi di riflessione: ogni persona in un conflitto è parte attiva, subisce colpi e agisce. Non esistono dèi, esistono esseri umani che mentono a se stessi per non dare un nome al loro terrore. “Il pianto delle Troiane” non delude, il suo è un colpo di grazia sulla carcassa di un’epica che giace disarmata e spogliata da corone e allori.
(Consigliato da Altea Gardini)
“Trema la notte” di Nadia Terranova
Siamo nel 1908. Due vite parallele si incontrano per un attimo in quell’immane tragedia costituita dal terremoto che devasta Messina e Reggio Calabria. A causa del sisma (o grazie ad esso, chissà!), la giovane Barbara, messinese, e il piccolo Nicola, reggino, si ritrovano ad assaporare la libertà, proprio quando morte e distruzione li circondano. Non è però come avrebbero immaginato. Soli su una nave che avrebbe dovuto salvarli vivono, in modo diverso, un abuso che avrà conseguenze nelle loro rispettive vite. Barbara troverà più avanti una speranza di riscatto, che le deriverà dalla tenacia con cui non ha del tutto rinunciato alle sue passioni di ragazza desiderosa di vedersi donna istruita, letterata, emancipata, scrittrice. Nicola imparerà pian piano a non aver paura di essere amato da un’altra famiglia rispetto a quella d’origine, in modo sano e rispettoso: e anche lui, solo attraverso la parola terapeutica, si libererà dai sensi di colpa per non aver potuto aiutare la sconosciuta Barbara sulla nave che avrebbe dovuto proteggerli.
Le storie personali dei due co-protagonisti si intrecciano con la storia generale: un’Italia in cui la macchina del soccorso e della ricostruzione, al di là di promesse e annunci, è perennemente ingolfata, affidata alle singole persone, disattesa se non violata dai suoi più alti funzionari; un’Italia anche solidale, un ricco Nord che si fa carico dell’adozione di molti orfani, come Nicola, per garantire loro un futuro ancora recuperabile e possibile.
Ciò che unisce le storie, sono due voci narranti che si alternano: l’io narrante di Barbara e un narratore in terza persona solo apparentemente più distaccato.
Il tessuto della trama è asciutto, scorrevole, crudo, senza ridondanze, ma impreziosito talora da scelte lessicali più ricercate e da un lirismo toccante, che entra nel cuore e commuove il lettore.
La parola recuperata di Nicola e la pratica della parola scritta di Barbara costituiscono un punto di arrivo importante, tanto che alla fine “la notte ha smesso di tremare”.
Con la speranza che questo bel romanzo, “Trema la notte” di Nadia Terranova (Einaudi, 2022), possa avere tutti i riconoscimenti che merita, vi suggerisco intanto di leggerlo. Cento sessantasei pagine dense, impegnative, ma anche magnetiche e avvincenti: una compagnia per i freddi pomeriggi invernali, anche per curiosare sulla raffinata società messinese e reggina dell’epoca, in un’Italia piena di contraddizioni, tra miserie grandissime e rare ricercatezze, tra la l’eleganza di Messina e i profumi calabresi al bergamotto.
(Consigliato da Filomena Gagliardi)
“Ascolta, bellissima Márcia” di Marcello Quintanilha
“Ascolta, bellissima Márcia” di Marcello Quintanilha è un fumetto edito da Coconino Press che trascina nelle vie di Rio de Jainero con i suoi colori accesi e brillanti e ci invita a conoscere la vita di Márcia, una donna coraggiosa, una madre in conflitto con la figlia Jacqueline che vive con il compagno Aloiso, il quale per porre fine ai problemi è disposto a rischiare la vita.
All’inizio è una commedia e divertono le chiacchiere di Márcia con le amiche infermiere, i piccoli battibecchi con Jacqueline e il modo di affrontare le cose con un pizzico di ironia. Poi il fumetto si trasforma e la storia non è solo quella di una famiglia, ma si allarga ai conflitti sociali delle favelas e al degrado umano che la circonda, trasformandosi in un thriller in cui c’è da scoprire che cosa è successo a Jacqueline e quale sarà il suo futuro.
Márcia è un personaggio iconico, una donna che di fronte alle difficoltà cerca di trovare soluzioni a costo di sacrifici, persino quello di lasciare l’uomo che si ama. Una donna che non si abbatte nemmeno di fronte al rifiuto della figlia di farla partecipe della sua vita. Una donna che decide di rimanere in quel luogo anche se difficile. Mi ha ricordato la situazione di tante famiglie di periferia anche in Italia alle prese con la malavita e la strada sbagliata dei figli, un tema che viene trattato spesso con superficialità mentre nelle pagine di questa storia ci sono sfaccettature ed emozioni che rimangono nel tempo grazie allo stile in cui è stato disegnato e colorato e grazie ai dialoghi che sembrano uscire dalle pagine ed entrare nelle nostre case.
Un graphic novel che fa ridere e fa commuovere lasciando a bocca aperta nel finale perché la vita sa sorprenderci sempre, sembra dirci Márcia, basta amare ed amarci per quello che siamo ed insistere per quello che ci sta a cuore.
(Consigliato da Gloria Rubino)
“Verso la luce tra identità e radici” di Franco Carta
Nella raccolta poetica “Verso la luce tra identità e radici” l’autore Franco Carta (edito nel 2022 da LFA Publisher) ci porta in un viaggio apparentemente onirico ma ben piantato sul reale, verso cieli di speranza, ancorati e ben saldi sulla terra.
Le radici di ognuno, la nostra origine il nostro essere radicati l’essere noi: l’identità e le radici spesso vanno a coincidere, altre volte cerchiamo l’identità e ci perdiamo in un mondo di tenebre come avviene nel particolare periodo mondiale che stiamo affrontando.
In questo primo ventennio di secolo, il poeta si trova in una maniera così coinvolta e la sua anima si trova ancor più connessa ed anche a disagio rispetto a quello che dovrebbe essere il sentire di uno scrittore di versi. Quindi dalle tenebre si risale o che succede? Nelle tenebre ci si può nascondere, restare oppure decidere, con un atto di coraggio, di andare verso la luce con la forza poetica, con la forza del verso, con lo sfogo del verso, con l’urlo la spinta della poesia.
“Ho una vocazione per i naufragi./ Lascio che il canto della sirena mi guidi./ Sono il capitano di una nave fantasma/ ancorato in fondo al mare tra sale e alghe.// Un cattivo presagio./ Ho una vocazione per i naufragi,/ salpare per l’isola di Eèa/ al solo scopo di scambiare/ carezze con la maga mitologica/ fare l’amore come se fosse poesia/ spezzare un verso qui,/ una carezza là./ Ho una vocazione al danno,/ perdere la rotta,/ marinaio errante/ alla deriva del destino/ recitare la satira/ con ninfe sfrenate.// Ho una vocazione alla rovina/ ma se la sirena chiama/ lascio tutto e parto./ Mi butto tra le tue braccia mare./ morire così è un privilegio.” – “Odissea”
Franco Carta decide, anche con le sue radici e la sua identità di sardo che lo tengono ancora stabile e in maniera fiera e orgogliosa, affronta questo viaggio per portarci verso la luce, diviene come un guerriero, come un paladino con la penna e la lanterna, affronta le tematiche degli elementi, della natura, dell’essenza di base del cosmo, del sé del noi, del relazionarsi con il tutto. “Verso la luce tra identità e radici” è un viaggio verso e dentro l’universo, ovvero un viaggio dentro ciascuno.
(Consigliato da Alessandra Sorcinelli)
“Nel segno della freccia” di Gian Piero Jacobelli
Nel segno della freccia. San Sebastiano una inesauribile “forma” nel tempo” è un saggio di Gian Piero Iacobelli edito da Meltemi nel 2022.
Ne la Despositio martyrum, risalente al 354 d.C., il 20 gennaio ricorda la morte di San Sebastiano, ma non è possibile definire una data esatta del tragico evento, se non inquadrandolo in un lasso di tempo ampio, fra il III l’esordio del secolo seguente, e incerte sono anche le documentazioni biografiche. Secondo la Passio a lui dedicata, ripresa ne La Leggenda Aurea, il martire si trova in tensione fra due poli: soldato dell’Imperatore e milite e testimone della fede cristiana, proprio durante la terribile persecuzione ad opera di Diocleziano. Fu quest’ultimo a condannarlo a morte facendolo ferire dai suoi stessi commilitoni, arcieri, sul Palatino. Ma San Sebastiano, grazie a Santa Irene, non morì e fu poi sottoposto ad annegamento, pena infamante, per, infine, spirare.
Nelle rappresentazioni in pittura o statua di San Sebastiano il focus è la relazione fra il visibile e il l’invisibile per cui il martirio, l’ispirazione al sacrificio di Cristo, e fra la progressiva scoperta di un corpo seminudo, dai connotati erotici e sensuali. Il suo è un corpo androgino, bellissimo, ancora più seducente perché non totalmente scoperto dall’inizio, ma man mano denudato per ferocia. Non a caso, in tempi molto successivi, il martire è diventato un’icona del movimento omosessuale ed è stato oggetto di riflessioni di carattere psicoanalitico legate alla sessualità connessa alla perversione fin dall’infanzia, in particolar modo in scritti di Freud.
San Sebastiano è una sineddoche e non esisterebbe il suo corpo senza i dardi: è la freccia lui stesso, in un giovane fra il profano, il sacro e il profanato. Il suo essere freccia lo rende liminare fra violenza e bellezza, fra amore e odio, fra terra e cielo, fra scendere e salire, nel passaggio fra il mondo materiale e quello spirituale.
Il saggio Nel segno della freccia è complesso, richiede conoscenze di filosofia, semiotica, agiografia, sociologia, iconografia, psicologia, teologia e il tempo necessario per una lettura articolata nella forma e nei contenuti. Il testo è molto ricco di immagini, essenziali per la comprensione: la scelta della stampa in bianco in nero penalizza, ma è di stimolo per ricercare autonomamente le opere a colori o a ammirarle dal vivo.
(Consigliato da Emma Fenu)
“Il sentiero dei nidi di ragno” di Italo Calvino
Come lettura per questo inverno propongo “Il sentiero dei nidi di ragno”, primo romanzo di Italo Calvino, del quale, peraltro, il prossimo anno ricorre il centenario della nascita, pubblicato da Einaudi nel 1947 e qui riproposto nell’edizione Mondadori del 2022.
È ambientato in Liguria, durante la Seconda Guerra Mondiale e la Resistenza partigiana. Ci si potrà domandare perché io abbia scelto una storia così datata. Semplice: perché Calvino, dal grande classico che è, riesce a catturare istinti cronologicamente universali. E lo fa scegliendo di raccontare la guerra attraverso gli occhi di un bambino, il protagonista Pin, che si barcamena tra la ricerca d’approvazione e complicità di adulti e coetanei, faticando a inserirsi nella schiera degli uni e degli altri.
Ha già a malincuore compreso che violenza e sesso, Eros e Thanatos, sono nodi centrali nelle esistenze mature.
«Pin è un ragazzo che non sa giocare, che non sa prendere parte ai giochi né dei grandi né dei ragazzi».
Un’immagine, richiamante il titolo del libro, evoca la tenerezza che pervade la narrazione, che tuttavia si snoda attraverso un linguaggio e un ritmo briosi che la alleggeriscono, rendendola gustosa e fruibile:
«Un posto c’è, dove fanno il nido i ragni, e solo Pin lo sa, ed è l’unico in tutta la vallata, forse in tutta la regione: mai nessun ragazzo ha saputo di ragni che facciano il Nido, tranne Pin. Forse un giorno Pin troverà un amico, un vero amico, che capisca e che si possa capire, e allora a quello, solo a quello, mostrerà il posto delle tane dei ragni.»
Effettivamente Pin riconoscerà in Cugino un amico leale, vista la corrispondenza tra la sua puerilità adulta e l’adultità bambina di quegli: due anime gemelle, nella costellazione di personaggi variegati, ciascuno proiettante nella propria partecipazione alla guerra il suo furore personale, il suo conto non pareggiato con la vita: dalla sorella prostituta divenuta proverbiale, la “Nera di Carrugio Lungo”, a Lupo Rosso, a Pietromagro, A Pelle, al Dritto, alla Giglia… fino ad arrivare al dedicatario dell’opera, il commissario Kim, che incarna la riflessione dello stesso Calvino sulla guerra, letta attraverso gli occhi consapevoli di chi aspiri a decifrare la natura umana.
Un romanzo, dunque, di inaspettata attualità, come nella riflessione del piccolo, saggio Pin: «Le bestie sono esseri mostruosi e incomprensibili come gli uomini».
(Consigliato da Barbara Orlacchio)
“Fa una scelta di buoni autori e contentati di essi per nutrirti del loro genio se vuoi ricavarne insegnamenti che ti rimangano. Voler essere dappertutto e come essere in nessun luogo. Non potendo quindi leggere tutti i libri che puoi avere, contentati di avere quelli che puoi leggere.”
Lucio Anneo Seneca ‒ “Lettere morali a Lucilio”
“Datta, dayadhvam, damyata/ Shantih shantih shantih” [Dai, compatisci, domina/ Pace]
Thomas Stearns Eliot in “The Waste Land”
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