Editoria 2023: i libri per l’estate consigliati da Oubliette Magazine
“Certi libri costituiscono un tesoro, un fondamento; letti una volta, vi serviranno per il resto della vita.” – Ezra Pound
Il poeta e saggista statunitense Ezra Pound (1885 – 1972) visse gran parte della sua vita in Europa ed in particolar modo in Italia; è ricordato come protagonista del modernismo ed insieme a Thomas Stearns Eliot (1888 – 1965) portò avanti correnti quali l’imagismo ed il vorticismo.
Circa due millenni prima, un uomo che viveva in una botte soleva ricordare che “Avere dei libri senza leggerli è come avere dei frutti dipinti.”. Quest’uomo era il filosofo Diogene di Sinope detto il Cinico (412 a.C. circa – 323 a.C.).
Se il possesso di libri non è corrispondente alla lettura è necessario rivalutare il rapporto che si intrattiene con questo “oggetto di carta” che dà la possibilità di scavare nel genio di un altro essere umano. Leggere è un atto intimo, di ricerca, di esplorazione.
Per celebrare il solstizio d’estate vi presentiamo una selezione di 21 libri, editi nel 2023, consigliati dalla redazione e da alcuni stimati lettori di Oubliette Magazine.
Se avete il piacere di unirvi a noi per raccomandare un libro che ritenete valido, potete inserire il vostro consiglio a fine articolo nella sezione Commenti indicando il titolo, l’autore, la casa editrice e qualche riga di esplicazione.
I libri del 2023 consigliati da Oubliette Magazine
“La notte di Kate” di Charlotte Link
“A un lungo tavolo apparecchiato sontuosamente erano sedute altre otto persone, quattro uomini e quattro donne. Erano tutti iscritti a un corso di cucina per single cominciato a novembre e che sarebbe terminato la settimana di Natale con una cena di gala”.
Pubblicato da Corbaccio editore nel gennaio 2023, l’ultima fatica letteraria di Charlotte Link, scrittrice tedesca molto affermata, è ancora un romanzo thriller dai risvolti psicologici piuttosto complessi. Il cui titolo, La notte di Kate, porta dentro all’indagine condotta Kate Linville, sergente investigativo presso la North Yorkshire Police, e già protagonista di altre indagini sempre riferite dalla Link in alcuni dei suoi romanzi. Kate Linville, che si trova a indagare su omicidi e vicende oscure legate al passato che si intrecciano a fatti altrettanto scabrosi che si consumano nel presente. Fra cui un cold case, archiviato e sepolto nel tempo; un omicidio avvenuto nove anni prima e archiviato da Caleb Hale, all’epoca superiore di Kate.
E spetta proprio all’investigatrice il compito di riesumare dalle ceneri del passato il fatto e portarne alla luce alcuni aspetti i cui rimandi trovano riscontro in vicende attuali. Ed è fra impedimenti, che sembrano intralciare un’inchiesta di non facile soluzione, e ostacoli portati anche da ostici agenti atmosferici, che Kate deve sbrogliare la matassa di ipotesi e suggestioni che prendono forma nella sua mente. Tenace e ben determinata, Kate è decisa a scavare nel passato della cittadina di Scarborough e a far chiarezza fra misfatti e rancori che affondano le radici in un tempo lontano, scoprendo ferite mai rimarginate.
Le vicende che danno vita a La notte di Kate sono raccontate con un registro altamente coinvolgente, incastrandosi l’un l’altra perfettamente con colpi di scena che si susseguono in un crescendo di tensione. Per completare infine un puzzle di non facile soluzione per Kate Linville. Che, capace come ha dimostrato di essere in altre occasioni, riesce infine a dare un volto e un nome al responsabile degli omicidi.
Ambientato nella brughiera inglese abitata da elementi atmosferici ostili, quali neve, nebbia e gelo, La notte di Kate gode della giusta atmosfera conveniente a un thriller. Racconto mozzafiato, dai rimandi psicologici importanti, La notte di Kate promette personaggi molto ben delineati, inseriti in una trama che porta all’attenzione del lettore problematiche di attualità: il bullismo, la assoluta mancanza di empatia dettata dall’indifferenza fra i vari personaggi, fra questi.
“Sicuramente il capo della scientifica si era immaginato di trascorrere un weekend diverso da quello. Kate lo intuì sentendo la sua voce al telefono. Stanca e irritata”.
(Consigliato da Carolina Colombi)
“Femina. Storia del Medioevo attraverso le donne che sono state cancellate” di Janina Ramirez
Janina Ramirez (Dubai 1980) è storica dell’arte e docente all’università di Oxford, podcaster e conduttrice radiofonica per la Bbc. Ha al suo attivo molti libri tra cui ricordiamo “Divine. 50 storie meravigliode di dee, spiriti e streghe”.
“Femina. Storia del Medioevo attraverso le donne che sono state cancellate” (Il Saggiatore, marzo 2023) è un libro dedicato alla riscoperta delle donne che hanno fatto la storia del Medioevo, al pari degli uomini. Il titolo si ispira alla dicitura che, a partire dalla Riforma, i protestanti usavano per contrassegnare, come marchio di inferiorità, i libri e i manoscritti firmati da donne, questo perché considerati indegni di essere letti e conservati. Grazie ai nuovi indirizzi delle scienze storiche e sociali, supportate dalla tecnologia digitale e dalla mappatura genetica, è ora possibile portare alla luce la presenza e la potenza di figure femminili, volutamente occultate dalla storiografia prettamente maschile e maschilista.
L’esempio più eclatante è quello del cosiddetto guerriero di Birka, le cui ossa, risalenti al 900 dopo Cristo, furono rinvenute nei pressi di Stoccolma nel 1878 con un corredo di lance, frecce, spade. Nessun dubbio che si trattasse di un uomo. Invece nel 2017, grazie all’analisi del DNA, si è compreso che si trattava di una donna.
Incontriamo poi le figure di Ildegarda di Bingen, Giuliana di Norwich, Giovanna d’Arco, ma gli esempi sono innumerevoli e interessano donne condottiere, imprenditrici, teologhe, sacerdotesse, artiste, scienziate, governanti, spie ecc… tutte donne che sono riuscite a cambiare il loro destino in un mondo dominato da maschi. Janina Ramirez ci propone una storia medievale alternativa, che vuole offrirci un altro punto di vista, spesso ignorato, dimenticato o volutamente omesso. L’autrice conduce un’indagine che, attraverso un ricco apparato iconografico, racconta donne che “hanno scelto uno stile di vita alternativo, allontanandosi volutamente dai classici abiti femminili” (p. 37). Quante altre donne sono state cancellate dalla Storia? E quali altre scoperte ci aspettano ancora?
“Siamo tutti responsabili di come i posteri interpreteranno il periodo storico che stiamo vivendo. Ma prima dobbiamo guardarci indietro per capire dove siamo ora e per creare il futuro che vogliamo vedere. Queste donne medievali cambiarono i tempi in cui vissero e lasciarono una traccia della loro vita che abbiamo scoperto secoli dopo. Ciascuno di noi è parte del mutevole passare della storia. È nostro compito riflettere su come vogliamo che sia documentata e ricordata”. (p. 421)
(Consigliato da Giovanna Fracassi)
“Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi” di Michela Murgia
“Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi” (Mondadori, 2023) è una raccolta di dodici racconti correlati, ognuno dei quali collegato all’altro da un unico filo invisibile: la disperata voglia di rimanere dentro la vita, restando se stessi. Ciascuno di essi ha la propria autonomia, ma ci sono tracce, impronte, frammenti che li richiamano, li pongono tra loro in connessione.
Il libro inizia con una vicenda che la stessa autrice definisce autobiografica, un medico le comunica di avere il cancro, e parte da lì per volgere lo sguardo al collettivo, sottolineando che la vita non segue un’unica narrazione estesa (la sua), ma è fatta di un agglomerato frammentario e un disordine caotico di tante narrazioni più piccole.
Volgere lo sguardo intorno a noi, significa rendersi conto che ogni giorno ogni essere umano vive una piccola tragedia, una brusca frattura, uno strappo doloroso e prematuro, un lutto talvolta radicale.
Nei racconti di Michela Murgia i personaggi vivono tutti sull’orlo di una soglia fatta di pietà e di terrore e di fronte a questa angoscia che si allarga, tentano una riorganizzazione della propria esistenza, una forma di sopravvivenza, una via di fuga, qualcosa a cui aggrapparsi “io lo chiamo istinto di conservazione” , dirà il protagonista all’amico nel secondo racconto.
Gesti e rituali, come quello delle tre ciotole, del cartonato Jimin, della disinfestazione/sanificazione maniacale del medico, dei vestiti appesi agli alberi per l’addio alla sorella, possano apparire ammalati di follia ‘rivelatori di fantasie da psicoanalisi’, ma sono pur sempre ciò che riesce a contenere lo straripamento, lo sfacelo psichico e del corpo che crolla.
Il linguaggio è diretto e asciutto, lucido e ironico, sempre in sfida al senso comune. Ci sono tra le pagine i temi cari alla scrittrice, quelli delle sue battaglie di sempre. E non mancano i difficili rapporti familiari, quelli più faticosi da gestire, a cui dar conto delle nostre scelte, a cui nascondere le fughe, le ossessioni, le manie.
Questo di Michela Murgia è un libro difficile da circoscrivere in una nota di lettura, perché è di quelli che apre a nuovi orizzonti, ma soprattutto non lascia soli e non dà colpe. Ognuno di noi, di fronte all’abisso, si salva come può.
(Consigliato da Maria Pina Ciancio)
“Con altre parole” di Lucia Rodler
Nella Premessa di Gian Mario Anselmi leggo che “l’arte della narrazione poi, lo storytelling, come si usa dire, fortemente in debito con la letteratura di ogni tempo, domina la cultura contemporanea”, in “un’infinito narrare’ che è quasi la cifra principe del mondo attuale”. Si cercano delle risposte che hanno delle radici così lontane che assurgono al rango di mito. Non sappiamo più rinvenire in noi il significato della nostra vita. Si confida nell’Altro più che in noi.
Nell’Introduzione de Con altre parole (Marsilio) dell’autrice Lucia Rodler leggo: “Ho cercato di riflettere sul linguaggio culturale e in particolare sul modo in cui esso diventa pubblico, descrivendo alcune forme di divulgazione della letteratura…”. Il primo capitolo parla della “divulgazione”, che è, etimologicamente, un “parlare tra il volgo, rendere pubblico”.
Ogni libro è performativo, in quanto, grazie a esso, varia la performance umanistica.
Nel secondo capitolo si parla della “biografia”, questa altrimenti conosciuta.
“… nel Novecento l’autore scompare insieme con lo psicologismo…” – al suo posto, s’impone una presenza più volgare, ma tetragona: il “lettore, colui che attiva la macchina pigra e compie passeggiate inferenziali dentro le opere aperte davanti a lui…” – colui che è in itinere anche quando l’autore ha girato la coscia al destino: a volte, per l’eternità. A thing of beauty is a joy for…?
Il terzo capitolo parla della “divulgazione per l’infanzia”, qualcosa di più abbordabile di qualsiasi divulgazione televisiva. “Un tempo questo genere di narrazione riguardava prevalentemente la vita di santi e sante, oggi dominano scienziati e scienziate, sportivi e sportive, artisti e artiste, da ultimo, persino qualche scrittore.” “I contributi non analizzano lo scrittore ‘con una lente di ingrandimento’ da entomologi…”, “…ma lo osservano ‘con un cannocchiale, da lontano’…” – ci assicura Gianni Rodari.
L’elenco “aiuta la diffusione culturale perché corrisponde a due esigenze contemporanee…” – sintetizzo: scorrere ovunque e velocemente, perché non manca la curiosità dell’infinito, ma il tempo per percorrerlo tutto. Anche se spazio e tempo sono forse illusori, come insegnano Barbour e Rovelli. Discuto soltanto, ma di passaggio, un’opinione di Eva Cantarella, che “per i greci l’importante era vincere” – e non partecipare come insinuava Pierre de Coubertin. D’accordo, ma se non si partecipa non si vince, se si vince significa che si è partecipato. Il che vale anche per chi scrive. Modelli e pratiche: Mappatura, collegamenti, link, dove il termine inglese significa anello, anello che tiene, almeno finché è servito alla comunicazione: un entanglement, una correlazione fra quelle infinite particelle. Chi scrive e lascia il tutto nel cassetto è destinato all’entropia cosmica. Forse tutti lo siamo!
In Conclusione provvisoria, riporto che “gli umani sono simili ai macachi, cioè possiedono i neuroni specchio…” – quindi anch’io, anche Gino Ruozzi, anche l’inclito Gian Mario Anselmi, il cui ultimo titolo pubblicato è, non a caso, White mirror. Il dono maggiore che mi hai comunciato, cara Lucia? Mi hai mostrato in modo lucido e chiaro in che senso la mia ignoranza possa essere compatibile con la mia cultura; e come i due opposti alla fine convergeranno verso una salvifica armonia. Grazie.
(Consigliato da Stefano Pioli)
“Dipendenza” di Tove Ditlevsen
Terzo e ultimo capitolo della trilogia di Copenhagen. Per nessuno sarà semplice abbandonare Tove, e ancora meno lo sarà per la stessa Ditlevsen, nata nel 1917 e morta suicida nel 1976, dopo anni di depressione.
“Dipendenza” (Fazi Editore, aprile 2023, traduzione di Alessandro Storti), terzo e ultimo capitolo della trilogia di Copenhagen è il preambolo di ciò che accadrà nel futuro di Tove Ditlevsen, poetessa e scrittrice danese di narrativa che amava profondamente essere tale ma che non sempre le riusciva con la serenità che avrebbe desiderato.
In questo terzo volume Tove è sposata con un intellettuale, un editore, molto più grande di lei, sta scrivendo il suo primo romanzo ma le mancano la tenerezza e i gesti di affetto che il marito non sembra essere in grado di darle. Di uomini ne arriveranno altri e con essi delle gravidanze indesiderate, ma uno in particolare riuscirà a rovinarle la vita come nessun altro, spingendola verso il baratro delle dipendenze che pare essere senza via di uscita.
Succederanno diversi uomini sbagliati e solo uno tra loro proverà davvero ad aiutarla a riemergere, tra le mille difficoltà. Sono per lei anni di sofferenza profonda, di disorientamento, di desiderio di scrittura che si perde nei meandri della mente stanca e deviata.
“Dipendenza” è il capitolo più sofferto della trilogia, quello nel quale impariamo a conoscere la Tove adulta che mantiene uno stretto legame con l’infanzia ma che si rende conto di quanto le cose siano cambiate e di quanto si senta quasi costretta dalle circostanze, e da quanto ha sempre visto accadere intorno a sé, a volersi sposata, con figli, a condurre una vita così simile a quella della madre.
Forse il mondo non era pronto per lei o forse era lei, donna artista in un mondo di uomini, a non essere pronta per quel mondo. Di certo non era pronta per le battaglie che avrebbe dovuto combattere, per quegli amori tormentati che avrebbero dovuto arricchirne l’esistenza.
Ancora una volta la Ditlevsen ci trascina in un viaggio in ciò che lei non avrebbe mai voluto, ci sconvolge e ci mostra il suo lato più intimo e crudo tra uomini banali e distruttivi, amicizie importanti, aborti, bambini, disagio mentale e l’abisso dal quale tutte noi tentiamo di stare lontane, non sempre con successo.
(Consigliato da Rebecca Mais)
“Darsi le parole” di MariaElena Leone
“Il teatro rappresenta la metafora della vita, il luogo dove si riscopre il valore generativo delle emozioni, che favoriscono la nascita di relazioni durevoli anziché quelle connessioni fugaci a cui sembrano volerci orientare i nostri tempi.” – Cinzia Migani
“Darsi le parole” curato da MariaElena Leone, edito dalla casa editrice Negretto Editore nel 2023 nella collana Cause e Affetti diretta da Cinzia Migani, è il prodotto dell’incontro con allievi di teatro svoltosi a Taranto dal 2011 ad oggi.
Il volume apre con la prefazione di Cinzia Migani, segue: l’introduzione a più voci curata da MariaElena Leone, Pierluigi Sciapli ed Angelo Miccoli; un capitolo dedicato ai Racconti (di Elisabetta Felicetti, Elvira Cerfino, Carlo Felicetti, Imma Nuzzo, Pierluigi Scialpi, Mariachiara Renò, Luca de Giorgio, Angelo Miccoli, Teresa Albano, Mirko Perosce, Luigi Guida, Roberto Pennetta, Cinzia Loglisci, Massimiliano Albano e Rodolfo Esposito); un capitolo dedicato alle Testimonianze di attori e di autori; due Appendici (Connessioni o legami comunitari? Il ruolo magico del teatro diffuso nel produrre comunità e cultura firmata da Cinzia Migani e La normalità: un caso disperato firmata da MariaElena Leone); chiude la Postfazione intitolata Motivazioni e obiettivi della collana Cause e Affetti di Cinzia Migani.
L’autrice MariaElena Leone scrive nell’introduzione: “Questa raccolta di racconti è il frutto dell’incontro con gli allievi del laboratorio di teatro, conosciuti presso il centro diurno “M. D’Enghien” di Taranto, un dialogo d’amore, iniziato con loro, nella primavera del 2011 e mai più interrotto. La scrittura è arrivata dopo un anno dal laboratorio di teatro, giusto il tempo di aprire un varco nel silenzio della nostra reciproca iniziale diffidenza, un silenzio che la relazione vivente e profonda ha rotto in modo semplice e naturale. E proprio alla luce di questa relazione compresi che non avrei dovuto fare della teatrologia morale in veste terapeutica, ma condividere con i miei compagni di lavoro la stessa aspirazione, quella di cercare una nuova strada per esistere e dare forma al mistero che siamo. Il teatro e la scrittura avrebbero restituito l’assoluta unicità di ogni esistenza, senza mai indulgere in quella normalità disperata e crudele che chiama matti coloro che deviano dal solco tracciato. E così, prima ancora che superare lo stigma della salute mentale, occorreva celebrare la diversità come il linguaggio che ciascuno ha nel leggere il mondo.
In un centro diurno, allora, è possibile recuperare la dimensione antropologica del teatro e della scrittura e da cui far partire una nuova avanguardia culturale per la costruzione di un nuovo umanesimo che rimetta sul trono del senso, la persona ed il suo mondo interiore.
L’ostinazione dei miei compagni a trovare le parole, le proprie, a divenire autori delle proprie idee, ha dato una direzione ed una pienezza etica alla nostra ricerca che attraverso il teatro e la scrittura è diventata una pratica quotidiana di libertà e di comunità.”
(Consigliato da Silvano Negretto)
“I conti che non tornano” di Marco Speciale
Ambientato a Monza e dintorni, il giallo I conti che non tornano di Marco Speciale (Altre voci Edizioni srl) è un buon romanzo. Sfoggia una buona ubicazione geografica, politica e sociale. Scritto con cognizione di causa, interessante, pone l’accento su alcune drammaticità del nostro tempo, come l’infiltrazione mafiosa in ambiti economici, il razzismo, la deriva giornalistica improntata più al sensazionalismo che alla verità.
Scritto con un eloquio forbito e frasi originali: “Un panetto di burro troneggiava sul ripiano superiore, solo, eburneo”.
Forse pecca affibbiando un linguaggio colto a quasi tutti i personaggi, mentre, nella realtà, ciascuno di noi ha un idioma e una cultura diverse l’uno dell’altra. Mentre si immedesima in modo perfetto, ad esempio, nella parlata della portinaia che fa da informatrice. Come stonano le frasi dove soggetto e aggettivo sono invertiti, dando una forma più poetica che tipica della prosa: “anemico sole – furiosa corsa – cristallina solitudine”...
Tolti questi piccoli ostacoli, il libro è comunque un libro che vi consiglio: troviamo Canclini, imprenditore fallito che medita la propria vendetta: “Il suo mondo si andava ormai arrugginendosi, aveva colori deformati, un aranciato innaturale simile a quello di certe vecchie foto istantanee”.
Rapisce Paolo Mapelli, amministratore delegato della banca di Monza, “sotterrandolo” in una buca sotto alla mola di un vecchio mulino: “In un pugno d’ore, uno degli uomini più in vista della città si era trasformato in un fagotto che aveva poco di umano”.
Le indagini, svolte dal vicequestore Matteo Caserta e dalla sua squadra, non sono di così facile soluzione: in realtà Mapelli è ricercato anche da tipi loschi affiliati alla n’drangheta. E i conti non tornano proprio… Proseguendo ci si imbatte poi nell’omicidio del braccio destro di Mapelli, e si scopre che è stata usata la sua pistola.
Allora Mapelli non è stato rapito? Forse ha solo ucciso il suo socio e quindi è fuggito. Le domande sono tante e Caserta, grosso omone impegnato in una dieta drastica, si lascia coinvolgere fino alla soluzione del caso. Quando incontra la moglie di Mapelli questa gli ricorda la protagonista de “La donna che visse due volte” e, nella sua mente, si fanno largo le fantasie legate al film. A un certo punto ci si trova ad elencare i crimini che sono stati commessi: all’inizio l’omicidio di uno psichiatra, quindi il rapimento di Mapelli; poi l’uccisione del suo braccio destro. Ma si arriva a Canclini solo quando, suo fratello, fa presente alla polizia che pure il fratello è scomparso.
Il giallo è ben articolato e si snoda di buon passo fra le varie indagini che, paiono separate, ma finiranno per congiungersi tutte su un’unica via.
(Consigliato da Miriam Ballerini)
“Gentlemind Vol1” di Juan Diaz Canales, Teresa Valero ed Antonio Lapone
“Gentlemind Vol. 1” è un fumetto in due volumi che inizia con le atmosfere dell’America di fine anni ’30 e ripercorre oltre trent’anni di storia. I protagonisti della storia sono la bellissima Navit e il suo fidanzato Arch Parker.
Navit all’inizio è una ballerina che vuole avere successo e soldi e per farlo è disposta a qualsiasi cosa perfino a sposare un uomo ricco anche se non lo ama. Arch Parker è un disegnatore, fa vignette sui giornali e copertine di riviste, in breve emerge grazie al suo talento naturale e la sua costanza nel non mollare i propri ideali e obiettivi. I due nonostante la fine della loro relazione non si dimenticheranno mai veramente l’uno dell’altro come in molte storie d’amore e finiranno per incontrarsi di nuovo grazie a Gentlemind la rivista per uomini che dirige Navit.
Navit diventa nel giro di pochi anni una donna intraprendente, tenace e capace di tenere testa ad un gruppo di uomini giornalisti. In breve è una figura femminile emblematica del cambiamento sociale in un mondo maschilista e misogino, concetto rafforzato dal fatto che il giornale che dirige è rivolto ad un pubblico maschile. La trama risente delle atmosfere noir di Juan Diaz Canales e dei suoi personaggi nostalgici e dinamici, ben noti in Blacksad, mentre i disegni di Antonio Lapone riescono a dare vita alle scene senza tratto realistico, ma tutto personale e ben studiato rispetto al periodo storico, al mood della storia e al ritmo narrativo.
Lapone diventa alter ego di Arch Parker per le copertine della rivista Gentlemind e altri disegni del protagonista che vengono fatti dal disegnatore reale con uno stile diverso da quello del fumetto. Come si può vedere nelle tavole finali a corredo del volume c’è stato uno sforzo artistico notevole sia di ricerca di materiale dell’epoca e suggestioni visive, sia di sintesi per riportare su poche tavole quella ricerca e l’espressività voluta.
Un fumetto che in Francia è uscito qualche anno fa e che fortunatamente è stato pubblicato anche in Italia da Alessandro Editore, il secondo volume previsto a ottobre. Anche se la storia di una rivista del secolo scorso sembra scontata e lontana dai lettori, il fumetto riesce a catturare e c’è un’ottima intesa tra scrittura e disegno che emoziona e coinvolge.
(Consigliato da Gloria Rubino)
“Cieli in fiamme” di Mattia Insolia
Tra i libri da leggere quest’estate consiglio “Cieli in fiamme” di Mattia Insolia (Mondadori Editore, 2023).
Mi colpiscono di quest’opera molti elementi, tra i quali la struttura narrativa che si concretizza nel saliscendi duale dei capitoli, come in un ascensore. Il lettore si trova di fronte all’alternanza delle vicende accadute a Camporotondo nell’estate 2000 e a quelle riconducibili a Paloma nell’inverno 2019.
In sintesi, tutto il libro è l’epica della storia di Teresa e Riccardo e quella del loro figlio Niccolò. Le figure genitoriali qui rappresentate si caratterizzano subito per il loro retroterra familiare e sociale difficile e condizionante. Teresa è cresciuta con una madre violenta e con un padre vile e passivo. Anche Riccardo ha trascorsi familiari oscuri e sicuramente poco edificanti.
La disfunzionalità genitoriale si è riversata sul figlio che viene fotografato nelle pagine come un giovane sfrontato, abituato a frequentare luoghi perversi e personaggi poco raccomandabili.
Ha egli il profilo del ragazzo spavaldo che, facendo uso di sostanze stupefacenti, organizza assieme al branco azioni malevole e talvolta violente. Economicamente vive bene. Il tenore agiato del giovane è finanziato dal compagno accondiscendente della madre Teresa, la quale è descritta come una figura soffocante e ansiosa.
A sua volta Riccardo, il padre effettivo, nella relazione col figlio si qualifica come un personaggio latitante e anaffettivo. Gli sporadici incontri fra padre e figlio avvengono per prassi, senza un minimo contatto partecipato.
Fin dall’inizio il romanzo è parecchio incentrato sul viaggio in macchina preteso ad un certo punto dal padre col figlio per scopi che inizialmente sfuggono. La breve gita, dopo un po’, si rivela problematica, con colpi di scena imprevedibili e situazioni inquietanti.
Nelle tappe estemporanee i numerosi momenti drammatici, quasi surreali, rivelano al ragazzo la reale identità di Riccardo. Il giovane, durante il tragitto, si specchia nel profilo psicologico del padre e si riconosce identico a lui, specie nella comune folle dissolutezza. Si rende conto che il genitore, alla sua stessa maniera, è un individuo allo sbando che si barcamena in una quotidianità dissoluta e trasgressiva.
Il racconto, proseguendo, sprofonda sempre più nelle tinte fosche del dolore, anche per la comparsa di altri personaggi torbidi ed emblematici. Il narrato si inabissa poco a poco in un nichilismo che riguarda quasi tutti i personaggi. Viene a galla fra le righe la vuota filosofia del lasciarsi accadere, una modalità di esistere assai diffusa anche in certi contesti contemporanei.
“Abbandonarsi ad un vivere passivo” sembra essere il mantra più volte ribadito dal padre.
(Consigliato da Antonietta Fragnito)
“Kintsugi” di Selene Calloni Williams
“Nella filosofia spirituale giapponese il kintsugi è l’arte di riparare gli oggetti rotti con l’oro. In senso molto lato essa diviene l’abilità di fare delle nostre ferite fisiche ed emotive un prezioso patrimonio di forza e possibilità.” ‒ Selene Calloni Williams
Sin dall’introduzione del libro “Kintsugi” (Piemme, 2023) l’autrice Selene Calloni Williams presenta la similitudine tra l’antica arte giapponese del recupero di manufatti in ceramica od in vetro con l’utilizzo dell’oro ‒ così da renderne la rottura preziosa ‒ e la guarigione dalle ferite che attanagliano l’anima. Il titolo del libro è la parola nipponica che designa questa abilità, composta da “kint” che ha il significato di “oro” e “sugi” con il significato di riparare/riunire.
Successivamente all’introduzione, l’autrice presenta, in capitoli ben argomentati, le nove leggi del riparare le ferite con l’oro (Aggravare il peso; Infrangere le regole; Amarsi spiritualmente; Kake no Kintsugi rei nei sogni; Yobi Tsugi per curare il passato; Aggiustare l’immagine degli antenati; Trovare i materiali (piacere, entusiasmo, solitudine); Il sincretismo; La realizzazione del vuoto e della vacuità).
Capitoli che, oltre alle nove legge, presentano episodi della vita di Selene Calloni Williams, consigli, ammonimenti, insegnamenti e racconti dell’antica tradizione orientale e di quella occidentale in un mix di gradevole lettura che permette di raggiungere il ricercato raccoglimento interiore.
“Se non siamo consapevoli finisce che subiamo i nostri stati di coscienza e finiamo per rimanere intrappolati e diventiamo vittime dei mondi dove entriamo. Dobbiamo apprendere a viaggiare tra i mondi consapevolmente. A questo fine è necessario realizzare che tutto è sogno, apparizione. Ogni mondo è solo come se fosse vero, in realtà si tratta di immagini che proiettiamo per conoscerci, sciogliere le nostre paure e incamminarci verso la libertà. Il nostro stesso corpo è un veicolo di pura apparizione, simbolo del sacro, della nostra capacità di darci e di amare. Abitiamo mondi simbolici, mondi immaginali.” ‒ Selene Calloni Williams
Selene Calloni Williams è psicologa, documentarista, life coach ed autrice di numerosi libri tradotti in diverse lingue a tema psicologia, ecologia profonda, sciamanismo, alchimia, yoga, filosofia e antropologia. Per svariati anni ha praticato in Oriente, e precisamente in Sri Lanka, la meditazione buddhista Theravada. Tornata in Europa, studia psicologia e ottiene un master in screenwriting presso la Napier University di Edimburgo. In Svizzera incontra il celebre psicoanalista e filosofo James Hillman che la inizia al mondo alchemico della psicologia del profondo e alla visione immaginale. Lo studio delle tradizioni orientali le ha permesso di adeguare gli insegnamenti secondo la tradizione occidentale.
(Consigliato da Alessia Mocci)
“Poesie e Racconti d’amore e di lotta” di Luana Farina Martinelli
Luana Farina Martinelli è una grande donna dotata di immane sensibilità, la cui vocazione poetica è innata.
Il suo libro “Poesie e Racconti d’amore e di lotta” (Catartica Edizioni) è il frutto di un percorso artistico e poetico che giunge a piena maturità.
Pagina dopo pagina ho assaporato e declamato, spesso a voce alta per sentire i versi nel profondo facendoli miei, la libertà dell’essere donna emancipata, che non ha paura di esprimere ciò che la sua mente genera, attraverso i tormenti dell’anima e gli spasimi del cuore.
Luana si rivolge alla società, per dar voce alle anime fragili, che strillano silenziose, utilizzando uno stile unico, anticonformista, diretto, vivo, coraggioso, sincero, profondo e al contempo intensamente doloroso. Il ritmo della sua poesia cambia di volta in volta, a seconda dello stato d’animo o del messaggio che ella vuole divulgare.
Presa dal fervore, Luana compone i suoi versi scegliendo tra lingua sarda e lingua italiana, padroneggiandole divinamente entrambe! Combatte in prima fila, con e per le donne oncologiche, rivendicando il diritto alla salute, senza il quale non esiste il diritto alla vita, ribadendo che non si può essere banalmente un “codice 048”, le persone non sono numeri, sono anime sofferenti rinchiuse in corpi che necessitano di diagnosi e cure immediate. Luana sa bene cosa si prova.
Siamo cresciuti in una società impregnata da paradigmi patriarcali. La donna, ancora in troppe situazioni, non gode degli stessi diritti dell’uomo e viene da esso sommessamente sottomessa.
Ed ecco il grido efferato di colei che vorrebbe non dover più fare la conta dei femminicidi. Elenchi di nomi, nomi di donne. Donne soggiogate, ingannate, illuse e convinte che tutto si sarebbe sistemato e che quel giorno, quel maledetto giorno, non sarebbe arrivato mai.
Luana è una femminista attivista, non si accontenta di osservare e lamentarsi restando immobile, quindi sceglie, si schiera e lotta contro l’indifferenza. Attraverso i suoi versi, avvolge in un materno abbraccio le solitudini, rinforza le fragilità e diventa una guerriera impavida.
La stessa guerriera nelle sue strofe disapprova, combatte e si espone contro i predatori che deturpano e violentano la sua Terra lasciando alle loro spalle solo morte e desolazione.
Nelle poesie emerge infine, ma non per ultimo, l’erotismo. Esso trapela quasi come fosse una sfrontata provocazione, che per taluni non è degna dell’essere “Donna” o meglio “Signora”.
In realtà è una rivendicazione del diritto ad una sessualità libera da giudizi e pregiudizi imposti dalla società che ci ha cresciuto.
Luana è una donna colta, che utilizza la sua intelligenza per fini nobili, affinché i temi roventi che straziano la nostra società non vengano insabbiati e, attraverso i suoi scritti arriva dritta lì: in fondo al cuore.
(Consigliato da Manuela Orrù)
“I versi migliori si sciolgono nell’aria” di Stanislav Bel’skij
“Se comincerò a scrivere versi/ sarà una grandissima menzogna/ davvero non noti nulla?/ Là dove è terminata una risata fanciullesca/ è il territorio particolare della parola.”
Cinque versi icastici abilmente intrecciati a costituire una poesia. Qui, in questo territorio particolare/neutrale, dimora la poetica di Stanislav Bel’skij, uno tra i più importanti e noti poeti ucraini contemporanei, poeta che si distingue e brilla per il suo stile inconfondibile, la prolificità ampia e variegata, l’introduzione della poetica dello haiku nella poetica ucraina e l’utilizzo della lingua russa.
La risata del fanciullino pascoliano o il sussurro del daimon platonico in Bels’kij, nella devastazione del conflitto russo-ucraino, è un apparente ossimoro, una pura contraddizione e anzi la stessa disumanità della guerra sarebbe la consequenziale cagione della perdita di ogni “innocenza” e stupore fanciullesco. Eppure, nonostante tutto, la voce del fanciullino in Bels’kij rimane intatta, alta, chiara consentendogli di comporre versi capaci di un’analisi lucida, distaccata, in tempo reale, della vita quotidiana nel corso del conflitto – istantanee di guerra. Come scrive il poeta “[…] c’è nel vero poeta/ una coscienza, e parla in versi/ qui essa ha torto”.
Ne “I versi migliori si sciolgono nell’aria” (I Quaderni del Bardo edizioni, 2023) la parola poetica in Bels’kij è parola declamata pregna di significato eppure materica, palpabile, olfattiva; “poesia di guerra” condensata, essenziale, razionale, niente orpelli, poche stanze o pochi versi – solo il necessario – ma quello che resta è un “distillato di vite” tant’è che “i versi migliori si sciolgono nell’aria/ senza lasciar traccia sulla carta.” pura “sublimazione” artistica.
I versi migliori si sciolgono nell’aria offre una selezione delle poesie più rappresentative del poeta ucraino raccolte in un volume dalla veste grafica estremamente curata e accattivante. Il curatore della raccolta e traduttore Paolo Galvagni presenta al lettore un volume in cui è tangibile l’eccellente traduzione, l’attenzione filologica, la perizia nella conservazione della prosodia del testo russo e il rispetto della parola poetica del poeta che l’editore propone al lettore suddivisa in quattro percorsi tematici: Versi sulla guerra, Prima della Guerra, Pietruzze, Dal ciclo Conversazioni amichevoli col robot. Un’opera letteraria preziosa – quella proposta dalla casa editrice – se valutata nell’ottica sia della diffusione a un pubblico più vasto, sia della tutela di una delle vittime meno note dell’immane tragedia del conflitto russo-ucraino: la poesia russofona in Ucraina.
(Consigliato da Federico Ielusich)
“Il senso dell’alligatore” di Guido Sgardoli
“Il senso dell’alligatore” è un romanzo thriller scritto da Guido Sgardoli ed edito per Piemme nel 2023. Il titolo mi ha molto incuriosita e mi ha trascinato in un luogo che non ho mai visitato: il Vermont.
Il protagonista, Larry Nowak, è un veterinario che pensava di poter trasferirsi in un una cittadina tranquilla e così riuscire a rifarsi una vita. Larry non voleva più essere l’uomo che si era svegliato da un lungo coma, non voleva essere più chiamato il bell’addormentato.
Un risveglio che ha del miracoloso ma che, al contrario di quello che Larry da a vedere anche a se stesso, non è avvenuto senza un costo. È così che questa storia inizia a Wytago.
In una casa che ha qualcosa da nascondere con un nuovo inquilino che di polvere sotto al tappeto ne ha talmente tanta che nemmeno lui si accorge più di avercela messa. Qualcuno potrebbe dire che la casa rispecchi il proprio padrone, in questo caso si potrebbe aggiungere che si meritano a vicenda. Entrambi hanno bisogno di un restauro ma nessuno dei due può ottenere davvero quello che vuole.
Dall’inizio questo thriller ha qualcosa di particolare: ti costringe a stare all’erta ma allo stesso tempo non ti dà un vero motivo per metterti sul chi vive. Insomma, siete in Vermont, in una cittadina di quelle che si fa fatica a trovare sulle mappe turistiche e dove la popolazione vive alle proprie regole e con i propri confini ben tracciati. Loro sono i nativi e chiunque venga da fuori è “quello nuovo”.
Il lettore, come dicevo non ha un vero motivo per temere. Ma, poi, piano piano, la preoccupazione maggiore e il dubbio più forte viene proprio a concentrarsi sullo stato psico-fisico di Larry. Uno così potrebbe fare di tutto, nessuno lo conosce.
Un giorno come tanti, per la precisione quello in cui Larry arriva a Witago, uno dei ragazzini della comunità viene trovato morto. Poco dopo, quando il nuovo veterinario, sembra aver iniziato ad acquisire confidenza con la popolazione della cittadina, il figlio di uno dei suoi vicini scompare in circostanze che lasciano indizi pronti a puntare il dito verso un’unica direzione.
Le indagini prendono da subito una piega alquanto fumosa fino a che l’FBI non inizia a mettere insieme qualche pezzo del puzzle. Il quadro che ne esce viene quasi subito travisato dalla polizia locale. La comunità di Witago, alla fine dei conti, dietro le palizzate bianche e l’aria di perbenismo provinciale, non è dissimile dalla casa di Larry e dal suo inquilino.
“Il senso dell’alligatore” è qualcosa che ti trascina anche se non si riesce ad identificarne il motivo. Chi crederebbe mai che un alligatore abiti davvero la casa di un veterinario? È difficile persino credere che disegni aeroplani, non credete? Ma, non si dà mai, potrebbe essere l’unico aiuto che rimane per comprendere quello che sta accadendo. Questa è una storia che su note musicali e tracce Kinghiane non potrà far altro che travolgervi.
(Consigliato da Altea Gardini)
“Torna sovente e prendimi, torna e prendimi, amata sensazione” di Costantino Kavafis
Le antologie poetiche possono accompagnarci durante l’estate quando magari è utile mettere in borsa libretti piccoli, facilmente trasportabili, adatti a letture svolte con calma e in pieno relax, ma non per questo meno formative significative.
Presenta tali caratteristiche Torna sovente e prendimi, torna e prendimi, amata sensazione. Si tratta di un’antologia dei componimenti di Costantino Kavafis: i testi sono tratti dalla più ampia raccolta Costantino Kavafis, Le poesie, traduzione e cura di Nicola Crocetti Einaudi 2015 (Titolo originale Τὰ ποιήματα).
Il Corriere della Sera da qualche mese ha lanciato una collana dal titolo La poesia è di tutti, per diffondere il florilegio di autori ormai considerati classici; la cura di questi libelli è affidata a Daniele Piccini e l’edizione al Gruppo Rcs (su licenza di Giulio Einaudi editore s.p.a. per Corriere della Sera).
Nell’introduzione Piccini fornisce una molteplice chiave di lettura dei testi di Kavafis, nato ad Alessandria d’Egitto il 29 aprile 1863 e morto sempre ad Alessandria d’Egitto il 29 aprile 1933.
Lo stesso Kavafis, del resto, non affidò in vita le sue poesie a una pubblicazione organica, che fu redatta invece postuma. Non sappiamo bene i motivi di questo. Conviene leggere i testi: e la selezione di Piccini è senz’altro una prima e importante chiave di accesso per la comprensione del poeta.
Su tutte le scelte poetiche di Kavafis spicca in ogni caso quella della lingua greca, che è un tutt’uno con l’intento di mettere a tema la cultura e la civiltà elleniche: da quella di età più antica (o meglio mitologica) a quella di età ellenistica, romana e cristiana, fino in ancora a quella odierna.
Sono tutte voci che dialogano fra di loro, che si richiamano anche quando non sono trattate tutte insieme in uno stesso testo. Di queste poesie alcune sono sicuramente più rappresentative e più “sintetiche” (nel senso etimologico del termine, ovvero tali da “porre insieme tanti elementi” di altre).
Parlo della notissima Itaca la quale contempera insieme il viaggio di Ulisse e il viaggio di ogni uomo: “E se la trovo povera, Itaca non ti ha illuso./ Sei diventato così esperto e saggio,/ e avrai capito che vuol dire Itaca”.
Sempre sotto il segno di un passato che è ancora una tensione del presente va letta la lirica Aspettando i barbari, un eterno componimento di attesa, utile per tutte le possibili e prossime apocalissi, periodicamente annunciate o temute: “E ora, senza i barbari, che sarà di noi?/ Era una soluzione, quella gente”.
Non manca il tema dell’omoerotismo, anche questo declinato alla greca, ovvero con naturalezza cristallina, divina e umana: Eros è un Dio che si insedia e si annida nei giovani che l’io lirico o, chi per lui, ha avuto modo di incontrare nella propria esperienza di vita.
Buone letture, ad maiora!
(Consigliato da Filomena Gagliardi)
“L’ultimo lettore” di Ricardo Piglia
Non avevo mai letto finora un libro che fosse così denso di consigli di lettura, o meglio, di “rilettura”, come quello dello scrittore argentino Ricardo Piglia: L’ultimo lettore (Edizioni Sur), è questo il suo emblematico titolo, mirabilmente tradotto da Alessandro Gianetti. Parlo di rilettura, perché l’analisi del ruolo che l’atto di leggere riveste in letteratura è talmente accattivante che si è spesso tentati d’interrompere la lettura per aprire immediatamente il libro di cui l’autore sta parlando. A me è accaduto a pagina 59, in corrispondenza di un’acutissima riflessione sul rapporto tra vita e scrittura di quel grande autore di lettere che Kafka è stato. Dopo aver ricordato La lettera al padre laddove Franz riferisce un episodio dell’infanzia, allorché il suo genitore, stanco di sentirlo piagnucolare per avere dell’acqua, lo aveva sollevato dal letto e chiuso nel ballatoio, Ricardo Piglia si sofferma sulla sproporzione tra la colpa e la pena, che il fanciullo accetta senza però capire. È la stessa incomprensione che si ritrova nel racconto “La condanna”, dove il protagonista si getta nel fiume dopo una discussione col padre, che in un eccesso d’ira l’aveva condannato “a morire affogato”.
Ed è a questo punto che ho interrotto la lettura del libro di Piglia per aprire i Racconti di Kafka e recuperare quello appena citato, subito riletto – o letto – qui non saprei quale verbo usare, perché sono entrambi appropriati. Di quel racconto in effetti non conservavo quasi alcun ricordo, ma la sorpresa che mi ha riservata è stata del tutto nuova.
E questo può accadere in molti altri passi de L’ultimo lettore, ma se ci si lasciasse tentare la lettura di questo libro sui libri non avrebbe mai fine. Nel capitolo, ad esempio, in cui si affronta la lettura femminile nella letteratura, con l’analisi di personaggi quali Anna Karenina ed Emma Bovary, entrambe lettrici di romanzi, entrambe fedifraghe, e infine entrambe suicide, la tentazione di sfogliare le opere di Tolstoj e di Flaubert non è meno forte. Per non dire delle suggestioni indotte dal fatto che tali eroine talora leggono in treno, un mezzo di trasporto privilegiato dagli scrittori…
Altra acuta osservazione di Piglia riguarda la prevalenza delle donne, soprattutto nel diciannovesimo secolo, a leggere romanzi. Il romanzo sarebbe il luogo della fantasia femminile, della divagazione, il mondo in cui le donne si rifugiano cercandovi un compenso alle loro vite limitate, chiuse nel ruolo di madri o di angeli delle mura domestiche. Nei romanzi gli uomini non leggono romanzi, tutt’al più leggono libri di storia o saggi di economia e finanza, destinati come essi sono a dirigere le sorti del mondo.
Assai diverso, nella realtà, è invece il caso di donne che dopo averle lette in bozze, partecipano alla realizzazione delle opere, come Sofia moglie di Tolstoj che ricopia nove diverse stesure Guerra e Pace, o Felice Bauer per Amerika di Kafka, dalle quali si distingue Alma, la moglie di Joyce, che rifugge dalle opere del marito, la quale tuttavia, nelle vesti di Molly, consorte traditrice dell’Ulysse, legge libri d’infimo ordine…
(Consigliato da Riccardo Garbetta)
“Memoria di un ragazzo di serie b” di Odeh Amarneh
La striscia di Gaza è perennemente oggetto di un bombardamento. Case distrutte, tra le innumerevoli vittime si contano 10 bambini, paura, la gente chiusa in casa a pregare di non essere il prossimo obiettivo. Questa tragedia del popolo palestinese, che dura da 75 anni, mi ha sempre coinvolta, già da ragazza quando durante i cortei si inneggiava ad Arafat e ad Al Fatah e quindi ho continuato a seguirla anche dal punto di vista letterario.
Casualmente, come spesso mi capita quando posso fermarmi a lungo in libreria, ho trovato il libro “Memoria di un ragazzo di serie b” (Calamus) che ho letto tutto d’un fiato e che ho inserito in quel filone di narrativa araba, nata nel primo Novecento, che ha come tema la prigionia politica che è sempre esclusivamente punitiva e dove le violenze e le torture sono inflitte indiscriminatamente con lo scopo di fiaccare la volontà dei prigionieri spezzandone la dignità e il senso di umanità. L’intento di questi testi è proprio quello di portare all’attenzione di tutti un sistema penitenziario che è considerato l’espressione del regime politico presente, in piena contrapposizione a quella società civile che lotta per i diritti umani, la libertà di parola e di pensiero e di stampa, ma anche per il diritto alla salute, la sanità, il lavoro e la libertà di culto.
L’autore, Odeh Amarneh, nasce nel 1976 a Yabad, paese vicino Jenin nel nord della Palestina ed ora vive e lavora a Roma. Nel 2015 ha conseguito il Dottorato di ricerca presso facoltà di lettere e filosofia dell’università di Roma “la Sapienza” ed è membro dell’Unione generale degli scrittori palestinesi.
È appena un adolescente quando vive in prima persona “la rivolta delle pietre” lanciate contro i carri armati. Questa sua partecipazione attiva all’Intifada lo porta in carcere anche se è ancora minorenne e qui si trova catapultato in un mondo fatto di stenti e torture che gli vengono inflitti per farlo parlare e denunciare i suoi compagni di lotta. In carcere rimane per diversi mesi dove cercano di privarlo anche della sua identità sostituendo il suo nome con un numero, cosa che ci riporta immediatamente in un altro tempo e un altro luogo dove i numeri venivano addirittura tatuati.
Ma Odeh non firma, non confessa e alla fine viene rilasciato.
Amarneh come gli altri autori arabi di libri che parlano di questo tipo di prigionia, utilizza il tema del carcere anche come modo per inviare un messaggio di condanna contro l’occupazione della sua Terra e di forza per la resistenza del suo popolo.
Ma nonostante la crudeltà e le torture subite, comuni a molti Palestinesi della sua generazione e di quelle seguenti, l’animo di Odeh rimane un animo da poeta, di un uomo innamorato del suo Paese che vuole continuare a sognare la pace.
(Consigliato da Beatrice Benet)
“Attraverso il cristallo” di Maria Lidia Petrulli
E poi ci sono incontri che il caso ha deciso per te. E ci sono speranze e amori che nascono, storie che diventano storie e si infrangono sulle falesie come onde dell’oceano. E allora diventano storie tradite, perché non si tradiscono le persone, si tradiscono le storie.
Maria Lidia Petrulli nel suo Attraverso il cristallo (Scatole parlanti 2023) parte con un incontro-scontro di due mondi che non combaciano. E la narrazione si sdoppia; anzi viaggia su due binari.
La telecamera puntata un po’ su uno un po’ sull’altra, li seguiamo di nascosto che si evolvono in parallelo. Si toccano, si allontanano, poi sulla stessa scena, e poi ancora distanti. Forse crescono emotivamente in maniera inversamente proporzionale. Lei, Lucille, in evoluzione per la sua formazione sentimentale; e lui, Yann, in regressione cercando l’enorme coraggio di lasciarsi andare. Lasciarsi andare ubriaco di una vita che non lo ha mai amato.
Parteggiamo un bel po’ per il giovane, paziente di psichiatria, che con i suoi alti e bassi scende in un volo a planare dentro i suoi disagi, i suoi tormenti irrisolvibili. Essere figlio di uno stupro lo vive come una colpa, e come una condanna da scontare. Senza via di scampo.
Mentre Lucille parte dal punto più basso della sua vita, e forse non ha più voglia di imbarcarsi sulle ali di una corrente ascensionale.
I due cercano di appoggiarsi a vicenda al loro rapporto paziente – psicologa per sfuggire ai loro demoni, ma forse senza neppure crederci. Affrontano la loro vita, rosicchiata dal tormento, lottando contro quel male di vivere che… tanto non ne vale la pena. In Attraverso il cristallo si sta in bilico sospesi a mezz’aria senza sapere se si andrà in decollo verticale o si cadrà in picchiata.
Ci si butta senza rete nei sentimenti, facendosi male. Si attraversa rabbia, speranza, delusione, illusione e delusione, senza una guida sicura perché devi essere tu a guardare Attraverso il cristallo della verità e capire chi sei.
Lui, il paziente difficile, che anela la vita ma che la nega. Perché ci vuole molto più coraggio a distruggerla, che a viverla, la vita. E lei, la psicologa, che con quel paziente così complicato rivive una sua esperienza dolorosa. Lucille c’è già passata a stare con chi la vita la voleva buttare via. C’è già passata a transitare dentro anni di tormenti, con un certo ragazzo che l’aveva lasciata per una falesia a picco sull’oceano. Dentro i demoni per sempre. Per pagare tutti i giorni, senza mai espiare.
In quale abisso prende dimora il senso di colpa? Dove nell’anima della psicologa tutta terapia e rimpianti? Dove dell’anima del paziente tutto tormenti e grida silenti di aiuto?
Lidia Petrulli non ci porta verso una tesi preconfezionata. Ci mostra l’anima e il suo rovescio, l’immagine reale, e quella speculare. Riconoscerla sta al lettore. Sta al lettore guardare dentro il cristallo e scoprire la propria anima e la propria strada.
(Consigliato da Pier Bruno Cosso)
“L’incontro: e se la storia di Cappuccetto Rosso ne nascondesse altre?” di Emma Fenu
Come espressione primigenia dell’inconscio collettivo, la fiaba affonda le radici nell’infanzia dell’umanità. Uno dei racconti più diffusi parla di una giovane dalla mantellina rossa che attraversa il bosco per raggiungere la casa della nonna; parla di un lupo famelico e suadente; parla dell’incontro tra la fanciulla e il predatore. Una fiaba narrata per educare le bambine; eppure Cappuccetto Rosso esisteva già prima che esistesse Cappuccetto Rosso.
Emma Fenu ha analizzato il sostrato antropologico ed etnografico di tale fiaba. L’incontro: e se la storia di Cappuccetto Rosso ne nascondesse altre? (Literary Romance Edizioni, 2023, pp. 63) è un saggio che condensa miti e simboli celati fin dalle origini tra le righe del racconto, lungo il sentiero che Cappuccetto percorre, dentro la casa della nonna. Il saggio è introdotto dalla prefazione della psicoterapeuta Tatiana Pagano ed è corredato dalle tavole di Francesca Fiorentino.
La storia di Cappuccetto risale alla notte dei tempi. Veniva narrata prima della versione di Perrault e Grimm, fino ad arrivare al culto della Grande Dea. La protagonista dalla mantellina vermiglia rappresenta, infatti, la fanciulla dopo il menarca; la madre la donna matura e ancora fertile; la nonna la vecchia in menopausa. Nella fiaba si ravvisa anche il progressivo affermarsi del patriarcato, il conflitto generazionale e la scoperta del sesso. E soprattutto, l’incontro con l’Altro sé e da sé.
L’incontro comprende la versione di Cappuccetto Rosso nata dalla penna di Emma. L’incontro è la scoperta dell’Altro nel corpo e nell’anima, dove l’Altro non è soltanto l’altro sesso. È il diverso, lo sconosciuto, non necessariamente un essere umano; soprattutto è l’Altro sé stesso, la propria parte sommersa. L’incontro con il sé poco noto porta il soggetto alla consapevolezza della propria interezza. Il cappuccetto della protagonista è rosso, come il sangue; e il sangue non è solo ma soprattutto femminile. Esso sgorga nella stagione fertile della donna e si asciuga nell’avvizzimento della vecchiaia; Cappuccetto Rosso è una storia di sangue. L’incontro con il lupo adombra la scoperta e la fascinazione dell’universo maschile; Cappuccetto lo riconosce nelle vesti della nonna ma decide di decidere da sé.
Imbocca un sentiero che la porta ad assumere un’identità di genere; si è affacciata a quel mondo taciuto dagli adulti, rinasce nel segno di una sessualità emergente. Le versioni di Cappuccetto Rosso successive all’affermazione del patriarcato rispondono alla finalità pedagogica di formare giovani donne obbedienti; donne che non devono oltrepassare il limen che la società impone loro. Esse devono soffocare i propri slanci vitalistici, pena il disonore. Non si tratta esclusivamente di reprimere la propria sessualità ma, più ampiamente, il diritto all’aberrazione, ovvero a decidere in modo autonomo, anche discostandosi dal pensiero dei più. L’incontro invita a non avere paura di inoltrarsi nel bosco, di guardare il lupo negli occhi, di scorgervi un infinito ignoto. Tra le foglie, tra le ombre, in quello sguardo c’è la chiave per conoscere e per conoscersi.
(Consigliato da Tiziana Topa)
“Cammino in terra sarda” di Elisa Fonnesu
“Il cammino nella mia terra/ è una preghiera di grazia/ dove il fiore delicato del cisto/ si offre al sole e al vento/ nel pendio della montagna/ e nella soleggiata pianura.”
“Cammino in terra sarda” è una silloge di Elisa Fonnesu, edita da Nemapress. Suddivisa in tre parti, è un viaggio nell’isola è un tripudio cromatico che ci collega alla terra al mondo variegato naturalistico dell’isolata amata, cantata in tutta la sua multiforme varietà. Luoghi che prendono un posto nel cuore e restano lì accartocciati, per portarli sempre ovunque si vada. Sempre ricordano dove sei nato e cresciuto, dove hai amato e sei stato amato.
“Sono memoria/ Sono terra nella mia terra/ Custodita nel suo ventre”
Le sue poesie sono messaggi d’amore per la sua terra, messaggi che la natura ricambia e che si rinnovano ad ogni stagione. È un puzzle di colori che descrivono questo “viaggio”.
“Viaggio all’infinito/ posando gli occhi/ tra cielo e terra/ In una tela/ imbrattata di forti tinte.”
Una terra capace di fermare il tempo e l’immagine come è stata capace di fare Elisa Fonnesu con la semplicità e la bellezza dei suoi versi, capaci di rendere questa terra magica e poetica agli occhi di chi legge.
La poetessa ha fermato l’attimo, cogliendo luci, emozioni abbellendola di ogni sfumatura.
“E tra i sentieri e natura/ Terra mia sei cura e ristoro/ Ritrovato ad ogni passo”
Canta ogni sua variante cromatica, anche il grigio e il nero di una piaga sociale che la colpisce al cuore, il colore di cui si ricopre a causa degli incendi di natura dolosa. Scrive:
“E le parole/ saranno cenere/ perché il tempo demente/ dopo tanto può assopire l’orrore/ ma l’uomo ricade/ e inciampa laddove/ è caduto./ Non sempre calamità/ questa./ È un vortice di emozioni.”
Predominante il tema della natura, il vento crea una sua musicalità che accompagna, a volte travolge, invade o culla la tavolozza cromatica dell’isola.
Elisa Fonnesu, nata e cresciuta in terra sarda, vive a Villacidro suo paese d’origine, insegna nella scuola primaria. Ha frequentato il liceo classico e privatamente ha conseguito il diploma magistrale. Ha pubblicato diversi libri: “Dipinto d’arcobaleno”, “A colpi di cuore mi attraversa il mare”, “E sarà luce ritrovare il passo perso” e la sua ultima silloge “Cammino in terra sarda”.
(Consigliato da Giuseppina Carta)
“Il sentiero dei Nubi” di Maria Luisa Sgandurra
Maria Luisa Sgandurra, laureata in Psicologia e Neuroscienze Cognitive presso l’Ateneo messinese, è analista del comportamento non verbale e col romanzo breve “Il sentiero dei Nubi” (Mario Vallone editore, 2023) fa il suo esordio editoriale.
Un libro piccolo, ma intrigante, con quell’immagine ricca di simboli archetipici, semplice e magnetica che pare osservarti e quasi portarti dentro la sua piccola spirale: questo è ciò che ho pensato appena l’ho visto e non ho potuto resistere a inabissarmi nella sua lettura. Ho incontrato diciassette brevi capitoli, tutti titolati, per un totale di 121 pagine, fatte di una scrittura avvincente, precisa e profonda, ricca di parole, dette e non dette, scritte e non scritte, ma frutto di una ricerca che spazia dalla filosofia alla psicologia, dal pensiero religioso alle neuroscienze e alle discipline sociali. Dentro c’è davvero tanto, ma il bello è che le pagine scorrono veloci, la narrazione è avvincente, il senso del mistero è onnipresente e profondo, eppure così familiare!
Cominciamo a seguire la voce narrante lungo il sentiero in cui ogni individuo che si pone domande, che incrocia interrogativi, tenta risposte, intraprende una via, quale che sia, è “archeologo nella grotta dell’ignoto”. Di questa voce sentiamo lo spaesamento, l’insicurezza, la solitudine (anche da sé) e osserviamo la china rapida verso l’annullamento che sembra ineluttabile. Ma v’è un’altra voce che prende a parlare, non per trarre fuori dal Chàos chi si senta smarrito e confuso. Tutt’altro. Chàos è “l’archetipo, alla base della simbologia postera, significa ‘vuoto primordiale che precede l’inizio delle ere’, il preludio della vita. Ognuno ha una voragine nell’anima – Chàos ‒ che aspetta di essere colmata dall’arché dell’esistenza concreta. Dalle crepe fuoriesce la luce che genera Gaia.”
Mentre i più continuano a camminare, scavando il buio come una talpa cieca, e nel frattempo perdono la speranza, la voce protagonista del romanzo continua a procedere nell’antro del mistero finché si trova a “osservare meglio e da vicino” ciò che credeva fossero lucciole. “Erano dei ciottoli, luminosi e suadenti. Fermi come soldati nelle rispettive righe (…) Presi il primo alla portata del mio braccio (…) al tatto era quasi evanescente, non duro come una pietra, ma simile a sbuffi di nuvole (o di consistenza simile), la runa sul dorso che raffigurava una banalissima spirale concentrica era talmente fine e ben eseguita da farlo sembrare un antico cimelio, inoltre quella stessa spirale lasciava passare una luce crepuscolare di un azzurro nottilucente (…)”
Inizia così un cammino esperienziale profondamente coinvolgente dal quale risulta difficile staccarsi e che lascia addosso qualcosa d’importante dopo la fine del libro. Il sentiero dei Nubi, davvero felice esordio letterario, è un testo che si presta a molteplici livelli di lettura e tra questi a me piace proporre la sua visione come viaggio con e nella metacognizione che è – insieme – conquista e dono, come il fuoco rubato da Prometeo agli dei per il vero progresso di un’umanità sempre più sofferente e languente.
(Consigliato da Katia Debora Melis)
“Il volo del cormorano” di Pier Bruno Cosso
“Il mare lo sa chi sono io. Lui lo sa che stamattina potrei naufragare. Lui lo vede che mi sento il cuore stretto dentro una scatola che lo comprime è quasi non lo lascia pulsare. Ma io in lei credevo.”
Il volo del cormorano è un romanzo di Pier Bruno Cosso edito da Marlin nel 2023.
Ho avuto il piacere e l’onore di interagire con l’autore in vari eventi culturali in Italia e in Sardegna, oltre che di leggere con passione e stilare una mia recensione del libro.
Il volo del cormorano è un libro avvincente, in cui viaggi reali e metaforici si rincorrono, e eroi dimezzati e autentici diventano protagonisti di scene d’azione e colpi di scena, maturando dubbi, diffidenza, atteggiamento contraddittorio verso il progresso e il potere immenso detenuto dai social.
Ma Il volo del cormorano è soprattutto un libro che porta a interrogarsi sul senso di esistere, sul mettersi in gioco e tornare a casa cambiati eppur profondamente se stessi, imperfetti, dallo sguardo furbo che cede davanti al fascino conturbante e femminile di un’Isola che è Donna, madre, amante, compagna.
Un romanzo, Il volo del cormorano, che è un invito alla vita, all’avventura, alla ribellione ad una vita di ruoli cuciti sulla carne viva e alla immolazione della comfort zone senza rabbia e acredine.
Perché ci vogliono gli ostacoli, le delusioni e le cadute per volare, per trovare il coraggio di farlo, intrepidi come ragazzi.
Sono entusiasta di continuare a seguire il successo che Pier Bruno Cosso riscuote con il pubblico, affiancandolo in presentazioni e eventi multiculturali: il nostro dialogo spazia sui molti temi di un romanzo che conquista: la libertà, la forza di cambiare, l’evoluzione personale, il coraggio autentico e la seduzione e fusione del sesso che è unione di corpi, sogni e metafore sotto cieli di stelle che segnano un invito a librarsi, perché il destino è figlio del cielo.
“Mi fermo e l’acqua arriva alle ginocchia, e giro la testa indietro verso l’orizzonte: una sottile striscia bianca di costa sabbiosa sembra una frattura fra mare e cielo. Cielo che oggi si sfonda di azzurro estasiato, e riverbera sciabolate di luce accecante. Sole e desolazione, perché settembre è abbandono.”
(Consigliato da Emma Fenu)
“Fa una scelta di buoni autori e contentati di essi per nutrirti del loro genio se vuoi ricavarne insegnamenti che ti rimangano. Voler essere dappertutto e come essere in nessun luogo. Non potendo quindi leggere tutti i libri che puoi avere, contentati di avere quelli che puoi leggere.”
Lucio Anneo Seneca ‒ “Lettere morali a Lucilio”
“Datta, dayadhvam, damyata/ Shantih shantih shantih” [Dai, compatisci, domina/ Pace]
Thomas Stearns Eliot in “The Waste Land”
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