Significato dei sogni #20: l’incubo di Jorge Luis Borges
“In questi giorni rileggevo qualche libro di psicologia. E mi sono sentito piuttosto defraudato. In tutti si parlava dei meccanismi o dei contenuti dei sogni (chiarirò questo termine più avanti) e non si diceva, cosa che avrei desiderato, quanto sia stupefacente, quanto sia particolare il fatto stesso di sognare.” ‒ Jorge Luis Borges

Ventesima puntata della rubrica “Significato dei sogni” nella quale si illustra un estratto dalla seconda conferenza intitolata “L’incubo” tratta da “Sette sere” di Jorge Luis Borges (Adelphi Edizioni, 2024). “Sette sere” è un prezioso volume che presenta sette incontri che ebbero luogo presso il Teatro Coliseo di Buenos Aires tra il 1° giugno ed il 3 agosto del 1977; le conferenze furono registrate e successivamente trascritte.
Ne “L’incubo” Borges parla inizialmente del sogno in generale, cita alcuni autori che ne hanno trattato, racconta alcuni dei suoi sogni e successivamente, dopo un brevissimo excursus nei sogni profetici, espone l’incubo nei diversi idiomi e propone una lettura particolare di questo particolare momento della notte. La conferenza non è riportata per intero essendo lunga ed articolata.
La rubrica “Significato dei sogni” ha l’ambizione di presentare la variegata letteratura creatasi nei millenni per l’argomento sogno che, alla fin fine, occupa una parte consistente della nostra quotidianità. Stiamo attraversando un periodo buio dell’umanità nella quale lo scatto fotografico è diventato un equivalente di valenza sociale; si trascorre il tempo in scrolling di fotografie altrui o proprie, si contano i like come se avessero un reale valore.
Espressioni come “ha molti like, è qualcuno, lo ammiro (o lo invidio)” oppure “non ha like, meglio stargli lontano” sono sulla bocca di una massa addormentata, e spiace dover osservare che anche le persone “cosiddette” colte siano entrate sotto il giogo dell’ego.
Alcuni descrivono questa nostra epoca caratterizzata dal dominio dell’ego, dell’apparenza, della superficialità ed Oubliette Magazine concorda con queste dichiarazioni. È allarmante constatare che la fetta di popolazione interessata alla conoscenza del sé profondo, per il miglioramento proprio e sociale, si stia riducendo. Adottare uno stile di vita che pone in rilievo il mondo onirico è già un gran passo verso il ridimensionamento dell’ego, e nel nostro piccolo auguriamo al lettore il beneficio simile a quello di uno strale notturno che illuminando il cielo indica la via.
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Estratto da “L’incubo”
“I sogni sono il genere; l’incubo, la specie. Parlerò dei sogni, e dopo degli incubi.
In questi giorni rileggevo qualche libro di psicologia. E mi sono sentito piuttosto defraudato. In tutti si parlava dei meccanismi o dei contenuti dei sogni (chiarirò questo termine più avanti) e non si diceva, cosa che avrei desiderato, quanto sia stupefacente, quanto sia particolare il fatto stesso di sognare.
Così, in un libro di psicologia che apprezzo molto, The Mind of Man, di Gustav Spiller, si afferma che i sogni rappresentano il livello più basso dell’attività mentale, cosa che ritengo un errore, e si mostravano le incoerenze, le incongruenze delle trame dei sogni. Voglio ricordare Groussac e il suo mirabile saggio Entre sueños. Groussac, concludendo il saggio ‒ incluso in El viaje intelectual, mi sembra nel secondo volume ‒, osserva che è sorprendente che ogni mattina ci svegliamo sani di mente, o abbastanza sani di mente, dopo essere passati attraverso quella zona d’ombra, quei labirinti di sogni.
L’analisi dei sogni presenta una particolare difficoltà. Non possiamo analizzarli direttamente. Possiamo solo parlare del ricordo che ne abbiamo. E non è detto che il ricordo corrisponda esattamente a quanto abbiamo sognato. Un grande scrittore del diciassettesimo secolo, Sir Thomas Browne, riteneva che il nostro ricordo dei sogni fosse più povero della loro splendida realtà. Altri, al contrario, pensano che li arricchiamo: se si considera il sogno un’opera di finzione (e credo che lo sia) è verosimile che al momento del risveglio e, dopo, quando lo raccontiamo, seguitiamo a inventare.
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Passo da un libro a un altro libro, i miei ricordi sono più numerosi dei miei pensieri, voglio ricordare il grande Boezio, De consolatione philosophiae, che Dante senza dubbio lesse e rilesse, così come lesse e rilesse tutta la letteratura del Medioevo. Boezio, soprannominato l’«ultimo romano», il senatore Boezio, immagina lo spettatore di una corsa di cavalli.
Lo spettatore è all’ippodromo e vede, dalla tribuna, i cavalli e la partenza, le fasi della corsa, l’arrivo di uno dei cavalli al traguardo, tutto in successione. Ma Boezio immagina un altro spettatore. Il quale è spettatore dello spettatore e anche della corsa: è come si può intuire, Dio. Dio vede l’intera corsa, vede in un solo istante eterno, in una istantanea eternità, la partenza dei cavalli, le fasi della corsa, l’arrivo. Vede tutto in un solo sguardo, e in questo stesso modo vede l’intera storia universale. Così Boezio salva sia l’idea di libero arbitrio che quella di Provvidenza.
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Dunne è uno scrittore inglese del nostro secolo. Non conosco titolo più interessante di quello del suo Esperimento col tempo. Lì immagina che ciascuno di noi possegga una sorta di modesta eternità personale: di questa modesta eternità entriamo in possesso ogni notte. Stanotte dormiremo, stanotte sogneremo che è mercoledì. Vivremo in sogno questo mercoledì, e il giorno seguente, il giovedì, forse il venerdì, forse il martedì… A ogni uomo è data, attraverso il sogno, una piccola eternità personale che gli permette di vedere il suo passato prossimo e il suo prossimo avvenire.
Il sognatore vede tutto ciò in un unico sguardo, esattamente come Dio, dalla sua vasta eternità, vede l’intero processo cosmico. Cosa accade al risveglio? Accade che, poiché siamo abituati a una vita che si svolge in successione, diamo al nostro sogno una forma narrativa, ma il nostro sogno è stato multiplo, e simultaneo.
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Vi racconterò un ricordo personale. Un mio nipote, allora avrò avuto cinque o sei anni (le mie date sono abbastanza incerte) mi raccontava ogni giorno i suoi sogni. Ricordo che una mattina, era seduto in terra, gli domandai che cosa avesse sognato. Docilmente, sapendo che era un mio hobby, mi rispose: «Stanotte ho sognato che mi ero perso nel bosco, avevo paura, ma sono arrivato in una radura e c’era una casa bianca, di legno, con una scala che girava tutt’intorno alla casa, come un corridoio, e poi una porta, e da quella porta uscivi tu.» Si interruppe bruscamente e aggiunse: «Ma che ci facevi in quella casetta?»
Per lui tutto si svolgeva sullo stesso piano, veglia e sogno. E questo ci porta a un’altra ipotesi, a quella dei mistici, dei metafisici, all’ipotesi opposta, che tuttavia si confonde con questa.
Per il selvaggio o per il bambino i sogni sono un episodio della veglia, per i poeti e i mistici non è impossibile che la veglia sia tutta un sogno. Lo dice, in modo conciso e laconico, Calderón: la vita è sogno. E lo dice, con un’immagine, Shakespeare: «Siamo fatti della stessa materia dei nostri sogni» e, splendidamente, anche il poeta austriaco Walther von der Vogelweide, che si domanda (lo dirò prima nel mio cattivo tedesco e poi, meglio nel mio spagnolo): «Ist es mein Leben geträumt oder ist es wahr?», «la mia vita l’ho sognata o è stata reale?»
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C’è un altro tema che non va eluso: quello dei sogni profetici. È propria di una mentalità avanzata l’idea che i sogni corrispondano alla realtà; oggi infatti teniamo distinti i due piani. C’è un passo nell’Odissea in cui si parla di due porte, una di corno e l’altra di avorio. Da quella di avorio giungono agli uomini sogni fallaci, da quella di corno, quelli veridici e profetici.
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Ora passiamo a parlare della specie, dell’incubo. Non sarà inutile ricordare i diversi termini che lo indicano. Quello spagnolo, pesadilla, non è particolarmente felice. Il diminutivo sembra indebolito. I termini usati in altre lingue sono più efficaci. In greco è ephiáltes: Efialte è il demone che provoca l’incubo. In latino è incubus, il demone che opprime il dormiente e suscita l’incubo. Il tedesco ha una parola molto curiosa, Alp, che significa elfo e l’oppressione dell’elfo. Ancora una volta dunque l’idea di un demone che provoca l’incubo. E c’è un quadro, un quadro che De Quincey, uno dei grandi sognatori d’incubi della letteratura, dovette conoscere, un quadro di Fuseli o Füssli (come davvero si chiama questo pittore svizzero del Settecento) intitolato The Nightmare, l’incubo. Una ragazza è addormentata. Si sveglia inorridita nel vedere, adagiato sul suo ventre, un mostricciattolo nero e malefico. Quel mostro è l’incubo. Quando Füssli dipinse il quadro stava pensando all’Alp, all’oppressione dell’elfo.
Veniamo ora al termine più appropriato e ambiguo per indicare l’incubo, l’inglese the nightmare, ovvero «la giumenta della notte». Così l’intese Shakespeare. C’è un suo verso che recita «I met the night mare», «mi sono imbattuto nella giumenta della notte». Shakespeare concepisce dunque l’incubo come una giumenta. E in un’altra poesia dice chiaramente «the nightmare and her nine foals», «l’incubo e i suoi nove puledri», e anche qui lo vede come una giumenta. Tuttavia, secondo gli etimologi, la radice del termine sarebbe un’altra, cioè niht mare o niht maere, il demone della notte.
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Possiamo trarre due conclusioni, almeno per questa sera; in seguito la nostra opinione cambierà. La prima è che i sogni sono un’opera estetica, forse l’espressione estetica più antica. Assumono una forma stranamente drammatica perché, come ha detto Addison, noi siamo insieme il teatro, lo spettatore, gli attori, la trama. La seconda riguarda l’orrore che l’incubo suscita. La nostra veglia abbonda di momenti terribili; sappiamo tutti che ci sono momenti in cui la realtà ci opprime. È morta una persona cara, una persona amata ci ha lasciato, sono tante le ragioni di tristezza, di disperazione… Eppure non sono paragonabili all’incubo; l’incubo ha un suo peculiare orrore, questo può manifestarsi attraverso una qualsiasi storia, quella del beduino che in Wordsworth è anche don Chisciotte, quella delle forbici e di una tela nera sfilacciata, quella del re del mio sogno, quella dei famosi incubi di Poe.
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Per continuare la lettura in modo proficuo e con attenzione si consiglia di distogliere gli occhi dal computer o dal cellulare e di recarsi nella propria libreria per cercare il libro tra gli scaffali impolverati; se non si possiede il volume in casa si consiglia di acquistarlo (rigorosamente in cartaceo).
Leggere è un compito importante, la carta è di grande ausilio rispetto al formato digitale non solo per la concentrazione necessaria all’atto della riflessione e comprensione ma anche per instaurare un rapporto fisico con l’oggetto-pozzo che conserva amorevolmente le considerazioni degli esseri umani del passato, in questo caso di Jorge Luis Borges.
Un ulteriore consiglio: un bel quaderno (cartaceo) con penna (o matita) posto sul comodino per annotare i sogni al risveglio (con data ed orario). È importante non perdere l’uso della scrittura sia per la manualità delle dita sia per la stimolazione del cervello astratto e creativo.
Inoltre, è possibile partecipare al nostro nuovo studio sulla casistica del sogno in contatto con la tecnologia dei social inviando un’e-mail ad oubliettemagazine@hotmail.it nella quale allegare un file .doc con un sogno connesso alla tecnologia (smartphone, internet, pc, social, intelligenza artificiale, et cetera). Il sogno raccontato sarà salvato in forma anonima e servirà per la compilazione di un testo in comparazione alla letteratura del passato.
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Nella prima puntata della rubrica si è presentato un estratto tratto dal primo capitolo “La letteratura scientifica sui problemi del sogno” del libro “L’interpretazione dei sogni” di Sigmund Freud; nella seconda un estratto tratto dal primo paragrafo intitolato “Il rapporto tra sogno e veglia” dello stesso capitolo; nella terza puntata si è presentato un estratto tratto dal secondo paragrafo intitolato “Il materiale onirico. La memoria nel sogno” dello stesso capitolo; nella quarta si è selezionato un estratto da “Relazione, imago e proiezione” del febbraio 1959, tratto dal capitolo “Attività medica e analitica” del libro “In dialogo con Carl Gustav Jung” di Aniela Jaffé, che mostra il sogno in rapporto con l’ex partner; nella quinta si è ripreso il discorso con Sigmund Freud con un estratto estratto tratto dal quarto paragrafo intitolato “Perché si dimentica il sogno dopo il risveglio” del primo capitolo “La letteratura scientifica sui problemi del sogno”; nella sesta si è selezionato un estratto dal primo capitolo intitolato “Sogni lucidi e la loro impostazione filosofica” del libro “Sogni lucidi” dalla parapsicologia e scrittrice britannica Celia Green; nella settima si è presentato un estratto tratto dal secondo capitolo “L’uomo e l’esperienza” del libro “Sogni, profezie e apparizioni” di Aniela Jaffé affrontando la tematica della precognizione della morte; nell’ottava si è ripreso il libro “L’interpretazione dei sogni” di Sigmund Freud con un estratto tratto dal terzo paragrafo intitolato “Stimoli e fonti del sogno” del primo capitolo “La letteratura scientifica sui problemi del sogno”; nella nona un estratto tratto dall’introduzione del libro “Alchimia” di Marie-Louise von Franz mettendo l’accento sulla trascrizione del sogno; nella decima si è presentato un estratto tratto dal libro “La schizofrenia” di Carl Gustav Jung, dal capitolo “Psicogenesi della schizofrenia”; nell’undicesima si sono mostrate “Le peculiarità psicologiche del sogno” tratto del libro “L’nterpretazione dei sogni” di Sigmund Freud; nella dodicesima si è parlato del libro “Il codice dei sogni” di Charles Maillant finendo nel paragrafo Diventare ciechi; nella tredicesima il capitolo Anatomia di un sogno tratto dal libro “I sogni” di Edgar Cayce e Mark Thurston, nella quattordicesima si è presentato il tema della resposanbilità ed inconscio dal libro “Elogio dell’inconscio” di Massimo Recalcati; nella quindicesima si è parlato dell’assenza di sonno trattata da Simon Monneret; nella sedicesima si è toccato il tema della maternità in carcere con Lella Ravasi Bellocchio; nella diciassettesima I sentimenti morali nel sogno espresso da Sigmund Freud, nella diciottesima Il simbolismo del cibo di Serena Foglia, nella diciannovesima Le discordanze della memoria di Igor Sibaldi.
“La Natura ti sia guida, seguila lieto ad arte:/ Fallirai se non ti sarà compagna di strada;/ La ragione ti sia bastone, fortifichi l’esperienza/ Gli occhi tuoi, che possa tu vedere in lontananza./ La lettura sia una chiara lampa nelle tenebre,/ Perché ti guardi dagli ammassi di parole e cose.” – Epigramma del quarantaduesimo Emblema de Atalanta fugiens
Info
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Bibliografia
Jorge Luis Borges, Sette sere, Adelphi Edizioni, 2024
Michael Maier, Atalanta fugiens, Edizioni Mediterranee