Carmilla e le altre femme fatale che hanno celebrato il vampirismo
“… così si tirò un poco su dal letto/ e sul gomito si reclinò/ per guardare la dama Geraldine” ‒ “Christabel” ‒ Samuel Taylor Coleridge

Se nel 1886 lo psichiata Richard von Krafft-Ebing nel suo “Psychopathia Sexualis” definisce alcuni casi di vampirismo sessualizzandone la figura, caratterizzata da fascino ipnotizzante e profonda lascivia, e l’anno dopo (quello di “Dracula” di Bram Stoker) l’artista londinese Philip Burne-Jones immortala su tela una donna vampiresca, raffigurandola intenta a succhiare l’energia vitale di un uomo (dipinto che inspirò l’omonima poesia di Rudyard Kipling, nonché la peccaminosa Vampire Dance, ballo seduttivo eseguito con grande scandalo nel 1909 all’Ippodromo di Londra da Alice Eis e Bert French, e più volte rappresentata da Joseph C. Smith e Violet Dale, con grande scandalo dei benpensanti), è all’alba del Novecento che l’identità vamp levita dalle brume della scena vittoriana per entrare nell’iconografia condivisa; e lo fa grazie e attraverso il clamoroso successo popolare del cinema.
E nell’anno delle Scream Queen, le regine urlanti, come sono state definite da un’inchiesta di Empire le attrici protagoniste di film horror in questo 2024 (dalla Demi Moore di “Ssubstance” alla Maika Moore di “Longlegs”), consentiteci un breve excursus sulla vamp la femme fatale, dominatrice dell’uomo, bella e lussuriosa, immancabilmente mortifera fin dalla notte dei tempi (come Empusa, una delle cagne di Ecate nella mitologia greca, capace di assumere l’aspetto lascivo di una pericolosa seduttrice, succhiando agli uomini le forze vitali fino a portarli alla morte).
L’attrice americana del muto Alice Hollister è la prima donna a trasferire su celluloide l’immagine della femmina crudele e distruttrice in “The Vampire” (1913), di Robert G. Vignola, cortometraggio in cui viene riproposta l’oltraggiosa Vampire Dance, ma è indiscutibilmente Theodosia Goodman a decretare ufficialmente la nascita della “Vamp”, interpretando due anni dopo il ruolo della vampira nella pellicola “A fool there was” (adattamento dell’omonimo spettacolo teatrale) in cui, per la prima volta nella storia del cinema, un’attrice bacia sulla bocca il suo compagno di scena, con una sensualità così feroce da evocare il bacio-morso con cui i vampiri aspirano la forza vitale dalle loro vittime, e incarnando quel senso dark, oscuro per l’avventatezza e l’audacia, come la provocazione delle tenebre.
Con i suoi capelli nero corvino, la pelle eburnea e il trucco molto carico e intenso, Theodosia Goodman affascina con una forza di attrazione che sembra mesmerizzare tutti gli uomini che vengono in contatto con lei, ammaliati dalla sua prorompente sensualità e spregiudicatezza. Una seduttrice esotica, che fa perdere il senno della ragione e che lascia credere di essere figlia di un artista francese e di una principessa mediorientale, di essere stata allattata con sangue di serpente e di essere cresciuta tra scheletri e ragnatele. Il suo pseudonimo è Theda Bara, anagramma di “arabh death”, morte araba.
Siamo in un’èra cinematografica pleistocenica, ma dalle parti degli studios già nascono le prime rivalità e contrapposizioni. La risposta alla Goodman è Louise Glaum, la Mademoiselle Poppea di “The Toast of Death” (1915), e in seguito femme fatale in numerose pellicole. E non possono mancare all’appello le vamp europee, come Musidora (alias Jeanne Roques, ex-soubrette alle Folies Bergères e musa dei surrealisti), protagonista nel 1915 del film “Les Vampires”, dall’atmosfera onirica e perturbante; o come Pola Negri, pseudonimo dell’attrice polacca Barbara Apolonia Chałupiec, la Carmen di “Sangue gitano” (1918), del regista tedesco Ernst Lubitsch. È questo il momento in cui l’immagine della vamp si cristallizza nell’archivio visivo.
Da allora, le femmine vampiresche si riproducono per gemminazione, non solo nel mondo del cinema, ma anche della letteratura e, in seguito, della cultura pop. La Fosca di Iginio Ugo Trachetti, alcune eroine che troviamo nei romanzi di Gabriele D’Annunzio, la Salomè di Oscar Wilde (magistralmente interpretata a teatro da Lydia Borrelli, poi protagonista nel 1917 di “Rapsodia satanica”, di Nino Oxilia), la Lulù di Wedekind fino ad arrivare alla Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch, fino ad arrivare alla bambina vampira dal corpo androgino Eli, nel romanzo del 2004 di John Ajvide Lindquist “Lasciami entrare”, sono solo alcune delle donne avvenenti, appariscenti ed eccentriche, dalla pelle diafana e gli occhi grandi, che compaiono su carta, ognuna, però, con un debito da scontare con la vampira per eccellenza, la contessa Mircalla Karnstein, protagonista della novella “Carmilla” (1872) di Joseph Sheridan Le Fanu (considerato ai tempi l’Edgar Allan Poe irlandese), la principale vampira della letteratura, a sua volta debitrice nei confronti di Geraldine, la malvagia protagonista del poema “Christabel” di Samuel Taylor Coleridge, pubblicato nel 1816, che sconvolge pubblico e critica per i suoi temi lesbici e orridi, e i cui versi sono recitati da Lord Byron agli ospiti di Villa Diodati, in quella stessa estate ginevrina in cui il suo medico personale John William Polidori dà alla luce il racconto “The Vampyre”, e la futura Mary Shelley concepisce “Frankenstein”.
Carmilla, quindi, sì Carmilla. Insieme al citato The Vampyre e a Dracula, il testo seminale che, percorrendo tutto l’Ottocento e levitando nel corso del Novecento, fonda l’immaginario vampiresco come oggi lo conosciamo.
Pubblicato a puntate sulla rivista culturale preraffaellita “The Dark Blue” nel 1871, e poi inserito da Le Fanu nella sua raccolta di racconti in tre volumi “In a Glass Darkly” (a evocare la criptica locuzione di San Paolo “Per speculum in aenigmate”), Le Fanu ambienta la sua novella in un castello della Stiria, un luogo remoto sul confine tra Austria e Slovenia.
Come per altri scrittori, anche per Le Fanu il riferimento principale è stato “Dissertation sur les revenants en corp, les Excommuniés, les Vampires, Brucolaques etc”, pubblicato da Dom Augustin Calmet nel 1751. Non è escluso che per la creazione della sua vampira Le Fanu possa essersi ispirato a personaggi storici come Elizabeth Bathory, la nobile ungherese che, agli albori del Seicento, faceva bagni nel sangue di giovani fanciulle per mantenere la propria bellezza e giovinezza; o come la regina Barbara di Cilli, vissuta in Boemia a cavallo fra Trecento e Quattrocento, la “Messalina tedesca”, secondo lo storico Enea Silvio Piccolomini (futuro Papa Pio II), che nel suo “Historica Bohemica” la definì dedita alle pratiche magiche e bevitrice di sangue umano.
Se Aurelia di E.T.A. Hoffmann (1819) e Clarimonde di Theophile Gautier (1836) hanno anticipato su pagina l’arrivo di Carmilla, la vampiressa di Le Fanu è la prima che rifiuta il proprio ruolo sessuale e orienta il desiderio erotico verso ragazze come lei, che prima seduce poi vampirizza, senza altri fini che non siano quelli del desiderio e del piacere. Le ragazze vampirizzate da Carmilla, infatti, non si trasformano a loro volta in vampiri, ma muoiono. L’amicizia omoerotica fra Carmilla e Laura, sfidando le regole patriarcali, oltre a diventare un’icona del movimento lesbico novecentesco, si presta a letture psicoanalitiche; in tal senso, la dimensione onirica (Carmilla appare a Laura come un incubo, e tutto il racconto dello scrittore di Dublino è imperniato sul sogno), la pulsione di morte, l’ambivalenza e l’ambiguità dell’adolescenza (Laura ha 19 anni, come Bertha, l’altra vittima di Carmilla), in cui si comincia a scoprire la sessualità, sono altrettanti temi sensibili per freudiani e lacaniani.
Non si contano le eredi letterarie, cinematografiche, teatrali, e a fumetti che hanno raccolto il lascito della loro capostipite. Da Lucy Westenra (1897), vampirizzata da Dracula nell’omonimo romanzo, a Rena Mandel, nei panni di Giséle nel film di Carl Theodor Dreyer “The Vampyr” (1932); dalle strisce dei fumetti di Charles Addams, vanto del New Yorker negli anni Quaranta e Cinquanta, al look gotico dell’incomparabile Maila Nurmi in ”Plan 9 from Outer Space” (1959), la Vampira dello stralunato film di Ed Wood, che si guadagna lo status di peggior film mai realizzato a Hollywood, e in seguito celebre presentatrice di film horror trasmessi in tv a tarda notte; dalla Vampirella dell’omonimo fumetto, alla vampiressa Jacula, entrambe apparse in edicola nel 1969 (con le colleghe Zora e Sukia pronte a calcarne le orme da lì a pochi anni); dall’attrice francese Delphine Seyrig, che a vestire i panni della baronessa Elizabeth Bathory in “Daughters of Darkness”(1971), con l’acconciatura dentellata anni Trenta, l’outfit in lamé e l’algido charme a evocare quella che è considerata la più sanguinosa serial killer della storia, alla Claudia del romanzo di Anna Rice “Intervista col vampiro” (1976), successivamente trasposto in fumetto e su grande schermo.
Nel 1983 spetta a Catherine Deneuve il ruolo di una vampira dominatrice in “Miriam si sveglia a Mezzanotte”, di Tony Scott, tratto dal romanzo “The Hunger”, di Whitley Strieber, con un algido e quasi ultraterreno David Bowie, in una delle numerose contaminazioni fra letteratura e cinema: nella prima scena del film, la goth band dei Bauhaus si esibisce nel singolo “Bela Lugosi’s Dead”, plastica fusione fra moda, cinema e musica. Tre anni dopo Grace Jones è la vampira Katrina nella black comedy ”Vamp”, anticipatrice di un dress code vampirico che comincia a fare tendenza e che influenzerà la moda negli anni Novanta, perfettamente incarnato nel look gotico della bassista dei Sisters of Mercy Patricia Morrison, uno stile che in seguito non smetterà più di intrigare, come testimoniano le sfilate dress vamp delle maison durante le fashion week.
E oggi, chi è che intercetta la moderna coolness vampiresca?
L’omonima protagonista bisex del videogioco Metal Gear, ideato da Hideo Kojima? O la ibrida eroina del videogioco Blooddrayne? O magari l’app Vamp, creatrice di contenuti social e di community?
La modella eterea dalla pelle diafana che pubblicizza l’ultima linea di mascara e eyeliner per uno sguardo intenso e provocante? Oppure il glamour della drag queen Ivana Vamp, star del cooking show “Una vampata di gusto”, in onda su Food Network? Chissà.
Vamp: femme fatale che conquista il centro dell’inquadratura e occupa la scena, con l’impulso a non subire, a porsi come tessitrice di un rapporto erotico dai tratti sinistri; creatrice di un proprio equilibrio, in cui al ricevere non corrisponde quasi mai il dare; dark lady che guarda dalla riva opposta del fiume della vita le donna fragile, angelo del focolare domestico; femmina ribelle e concupiscente, moderna Lilith, (il cui nome in alcune traduzioni del Talmud viene tradotto come vampiro, e secondo i cabalisti medievali prima moglie di Adamo, in perenne contrasto col marito, perché rifiutava di obbedirgli e infine scappata dal Paradiso terrestre preferendo vivere con i demoni piuttosto che tornare con Adamo), che si oppone alla verginale madonna Maria.
Vamp, simbolo del femminile che non soccombe al maschile, e non una calunniosa caricatura vittima della società, una donna di successo mancata, le cui energie sono state nevroticamente deviate verso i salotti benpensanti, secondo certa retorica femminista; piuttosto, come sostiene Camille Paglia in “Sexual Personae: arte e decadenza da Nefertiti a Emily Dickinson”, «una persona sessuale dotata di grandissima forza ipnotica che, laddove ogni rapporto sessuale è un rapporto di potere, un gioco di equilibri instabili, operando una sorta di drenaggio di energia maschile, afferma la sua naturalità femminile contrapposta all’ordine simbolico rappresentato dall’uomo.»
Written by Maurizio Fierro
Bibliografia
Joseph Sheridan Le Fanu, Carmilla la vampira, Edizioni Stampa Alternativa
Nick Groom, Vampiri, Il Saggiatore