“Karl Marx e la letteratura mondiale” di Siegbert S. Prawer: razzolando in quell’opera Capitale

Fin dalle primissime pagine, l’autore sa rendere con immediatezza l’immagine di un Karl Marx diverso dagli stereotipi abituali, che sono quelli di un serioso nonché pedante docente di come sia andato il mondo fino al suo arrivo sulla scena e di come sia opportuno trasformarlo secondo la sua infallibile ottica.

Karl Marx e la letteratura mondiale di Siegbert S. Prawer
Karl Marx e la letteratura mondiale di Siegbert S. Prawer

Secondo il beatnik Gregory Corso tre erano i maestri di pensiero che avevano mal conciato, de-spiritualizzandola, o meglio: materializzandola, la concezione del mondo: Freud, Einstein e, appunto, Marx. Di solito si teme quel che non si conosce.

Freud ci ha insegnato che l’anima di tutti, anche quella del bambino, non esiti mai di manifestarsi e di dire la sua. Einstein ci ha spiegato che lo spazio e il tempo sono connaturati e che senza l’uno non ci sarebbe l’altro, e che tutto è relativo, per cui ognuno vede quel che è esterno a sé a modo suo. E poi aggiunse che il tempo non esisteva, forse. E Marx? Ci fece capire che, se sei in un’isola deserta e hai con te dei libri, prima ti guardi in giro in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti, perché quel che conta è saper gestire la propria economia. Poi, a stomaco pieno, cominci a leggere. La struttura è quella dettata dall’economica. Tutto il resto è sovrastrutturale, nel senso che esiste in quanto ci sta sopra.

Tutti e tre i pensatori concordano sul fatto che ogni assenza conduce a una compensazione; ogni acquisizione necessita di una perdita. La massa è collegata all’energia. L’economia alla cultura. L’egoismo all’Altro. E viceversa. Nulla si crea dal Nulla e Tutto si trasforma col Tutto. La persona umana più eccelsa, quanto la più fastidiosa mosca. Ognuno svolazza come vuole, può e deve.

Al tempo del Liceo, durante una strategica focaccia, un misto di fuga e di focaccia, mi capitò di sfogliare in una libreria cittadina molto ricettiva per noi occasionali transfughi, Conoscete Carlo Marx? di Rius (Eduardo Del Rio), la cui copertina mi spinse al suo acquisto. Nella scenetta rappresentata in alto c’era un anziano che dava del marxista a un giovane, il quale gli lanciava l’epiteto di poliziotto. In quella sotto, un professore discettava pesantemente sul capitale, la lotta di classe, la forza lavoro e del proletariato. Davanti a lui un alunno lo guardava stralunato, lanciando non un punto interrogativo, ma una falce e martello ovviamente rossa. Quel che mi piacque del fumetto è che nel farmi capire il senso della rivoluzione marxista, mi faceva sghignazzare. Da allora per me Karletto Marx è un simpaticone, non meno dei suoi fratelli (lo siamo tutti, no?) Groucho, Chico, Zeppo, Gummo e Harpo. Karl era il sesto fra cotanto senno.

“Svanite le speranze di diventare poeta, Marx pensò per un certo tempo di conciliare letteratura e filosofia.” Ho letto le sue poesie adolescenziali: non sono male, un po’ costruite seconda la moda romantica del tempo. Ma nella vita non si può saper far tutto. Bisogna scegliere i propri carismi, anche se poi sono loro che scelgono te. Sono i presenti che si presentano da sé…

Come per le letture, per esempio. Non si possono leggere due libri alla volta. Anzi, io l’ho fatto, arrivando anche a quattro. Mi capitò con la Tetralogia alessandrina di Durrell, ma era tutta una finta. Ne pigliavo uno e ne scorrevo una decina di pagine. Poi passavo al terzo, poi al secondo, poi ancora al primo, al terzo, al quarto, al secondo. Non sono mai riuscito a leggere due libri davvero contemporaneamente, o l’uno o l’altro. E questo è uno dei tanti sensi della vita. Aut-Aut, devi scegliere. Ieri un’amica mi ha consigliato di leggere Il profumo di Süskind, ma come faccio?! Già da una mia consanguinea, dove vado a pranzare solitamente, ho lasciato a metà Il falcone maltese di Hammett e ora c’ho tra le mani ‘sto sterminato papiello di Prawer! Eh! Tutto deve accadere secondo il suo tempo…

In effetti non l’avrei letta spontaneamente, questa biografia letteraria che ho ricevuto per posta, e se la sto leggendo è un po’ per caso. Ma ora me la sto proprio godendo.

Già nei suoi scritti giovanili, Marx intende evitare la speculazione filosofica fine a se stessa, astratta, se non metafisica. Già per il giovane Karl la filosofia è un mezzo da utilizzare per comprendere la pratica, e se possibile per mutarne le condizioni.

“La tesi di laurea rivela al di là di ogni dubbio che già in questa prima fase Marx non poteva concepire la filosofia come qualcosa appartenente soltanto al dominio della mente.”

I censori prussiani dovevano “impedire la pubblicazione di qualsiasi scritto che potesse corrompere ‘per passione, violenza e presunzione’” – diventando di fatto “arbitri dello stile”, mirando la loro attenzione “contro gli scrittori dell’opposizione” e non contro i filogovernativi. Di tutto questo il giovane Karl si rendeva perfettamente conto.

Egli era, a modo suo, un critico esistenzialista, quando arrivava a dire, citando Goethe, che non si può scrivere di quel che non si è amato. Oppure dico io, odiato: perché anche nel fenomeno odioso c’è una (tua) parte che non puoi non amare.

“Quella che proietta è un’immagine di completezza: l’artista, l’amante, il combattente per la libertà dalle interferenze politiche sono tutti espressi in un’unica persona.”colui che non può fare a meno di descriverli.

Tra “l’irriducibile ricercatore della verità, il battagliero pamphlettista, l’indomito, arguto e appassionato campione della ragione, la cui potenza drammatica si accompagnava alla comprensione delle tensioni sociali e alla capacità d esprimere l’immagine della vita contemporanea nel ritmo stesso del linguaggio contemporaneo” e il professor Gottsched, “un pedante santone ufficiale di regole obsolescenti”, Karl cosa poteva decidere d’amare, se non il primo, il quale non poteva non essere che l’illuminatissimo Lessing?

Friedrich Engels
Friedrich Engels

Scrivono Karl e Friedrich (Engels): “L’ignoranza è un demone, temo, che reciterà ancora qualche tragedia; a ragione i massimi poeti greci nelle tremende tragedie delle case reali di Micene e di Tebe l’hanno rappresentata come destino tragico.” Al destino ci si può e ci si deve ribellare. E l’inevitabile fato non è che una cosmica balla.

“… Marx mostra la vivacità di un’intelligenza che costantemente si applica in molteplici contesti. Sene la necessità di citare e alludere a opere letterarie per far intendere le complesse interrelazioni che egli ravvisa tra le diverse attività degli uomini. E questa abitudine a ricorrere alle citazioni e alle allusioni letterarie contribuisce così a fare della sua filosofia sociale un’autentica antropologia” – e ciò non mi può che indurre a gioire. Un’opera di qualsiasi tipo, non solo letteraria e nemmeno solo artistica, diventa solipsistica se non è confrontabile con una sua precedente ipostasi. Se davvero Nulla si crea dal Nulla, e Tutto dal Tutto, significa che gli ingredienti sono i medesimi, senza eccezione. Cambiano le dosi e la posologia. Ma soprattutto il paziente.

“Immagini di opere teatrali, letterarie, artistiche tragedie magniloquenti, palcoscenici sopraelevati, livello ‘terra terra’, ‘portata reale’, ‘quadri’ di genere, riflesso dello spirito della Dieta – sono usate da Marx per correlare l’esperienza politica a quella letteraria e per suggerire atteggiamenti o valutazioni.”

A proposito dell’alienazione sociale e lavorativa dell’operaio, “antinomie di carattere estetico (‘bellezza’ opposta a ‘deformità’, ‘raffinatezza’ opposta a ‘imbarbarimento’) hanno un carattere molto rilevante.” – essendo lo stile della scrittura facente parte del corpo del testo.

“Nel processo per vincere l’alienazione e costruire una società più giusta (che Marx, a differenza di Schiller, concepisce ora necessariamente come un processo comunista) la letteratura e le arti hanno una funzione di vitale importanza. Esse sono parti del necessario processo di autocreazione dell’uomo, esse creano quegli stessi sensi dai quali sono godute”: panta rei, trasformandosi senza mai cessare di farlo.

Scrivono Karl e Friedrich: “L’animale forma cose solo secondo la misura e il bisogno della specie cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie e dappertutto sa conferire all’oggetto la misura inerente; quindi l’uomo forma anche secondo le leggi della bellezza.”non solo però sa produrre la gioia di Keats, ma anche il sodomitico obbrobrio di Sade e l’universo orrendo di Pasolini.

Le parole dei vari personaggi “cercate e formulate da Goethe e Shakespeare, aiutano Marx a concepire e a esprimere il suo messaggio. Lo aiutano a vedere più chiaramente il suo mondo e inducono gli altri a condividere la sua visione di un disordine incontrollato, una visione alla quale egli può allora contrapporre quella di un futuro stato nel quale Mefistofele non avrebbe di che esultare, in cui Shylock non troverebbe né oppressori né vittime, nel quale la misantropia di Timone sfiorirebbe per mancanza di nutrimento.” Leggendo i massimi scrittori e poeti spesso mi sono chiesto se siamo della stessa specie animale: sì! è l’unica risposta consentita e quella che ci permette sempre di sperare in uno “Stato non alienato” e in un “futuro migliore e più giusto”.

Karl legge I misteri di Parigi di Eugene Sue e ci rivela come quell’autore francese, dopo l’iniziale spregiudicatezza con cui presenta questo personaggio centrale, si presta sempre più rozzamente a fare il mezzano delle convenzioni morale e religiose – ma questo non diminuisce l’interesse che Karl manifesta per il romanzo, proprio per merito della “sua stessa ‘mancanza di misura’, anch’essa così diretta e condizionata socialmente”. Anche Sue, come Dickens, come Karl stesso, nell’osservare il proprio ambiente, contribuiscono a mutarlo. Come predicava Heisenberg, ogni visione “causa la deformazione dell’oggetto dell’informazione, cioè informa deformando, quantisticamente.”

“La critica di Karl a Sue rivela, più chiaramente di ogni altro testo, quei presupposti sulla natura e sullo studio della letteratura che Marx non avrebbe mai smentito nel corso della sua vita. Il primo di essi è la necessità di coordinare molti e diversi generi di conoscenza e di intuizione per poter dare un giudizio complessivo e equo di un’opera di letteratura” – e qui, caro buon vecchio Karl, sfondi un recensore aperto, anzi un reagente assai enzimatico! Diversamente si rischia di finire “con ogni probabile col rendersi ridicolo.” – anche peggio: discreto e banale.

“L’analisi di Marx sui Misteri di Parigi mette in luce un altro tipo di relazione tra significato apparente e recondito. Senza nemmeno saperlo, uno scrittore può parlare di una cosa consciamente e sussurrarne un’altra al subconscio…” la cui terminologia è sconosciuta, ma il cui senso non lo è affatto.

“Marx e Engels prendono le distanze una volta per tutte, dalle teorie mistiche e di ispirazione della letteratura, e nello stesso tempo, da ogni teoria ‘impersonale’ che tenda a distinguere l’opera letteraria dall’essere umano che l’ha scritta.”che si sappia né gli angeli né gli spettri scrivono (se non per tramite dei peccatori vivi).

I due filosofi “non avranno mai niente a che fare con qualsiasi teoria della letteratura che la veda riferita in qualche modo a un irreale e misterioso Al di là.” – ma Al di qua, “da uomini individuali, storicamente e socialmente condizionati. Ed è la loro voce che egli si sforza incessantemente di ascoltare.”

L’esergo del V capitolo è tratto dagli scritti di Karl e Friedrich: “Il problema di scendere dal mondo del pensieri nel mondo reale si trasforma nel problema di scendere dal linguaggio della vita.” Cosa intendono affermare i due solidali? Intuisco: la lingua, dapprima parlata e poi storicamente scritta, ha reso oggetto udibile o visibile il pensiero.

Perché è un problema? Perché è una traduzione e spesso un tradimento. Non solo a volte non vengono le parole, ma anche non vogliono venire. Nel linguaggio parlato i danni non possono essere facilmente aggiustati, una volta detti (e recepiti dall’Altro). In quello scritto, la ri-scrittura, che diventa un’ulteriore traduzione, per altro sempre affaticante. Poi è intervenuta la tecnologia e ha parzialmente mutato il fenomeno: l’autore di un messaggio telefonico sa che, se scrive, pubblicando, e poi cancella in tempo, nessuno (a parte forse il gestore del social) saprà più nulla. Al massimo il suo corrispondente può notare l’avviso: messaggio cancellato. Ma di tutto questo marasma di eventualità né Karl né Friedrich potevano allora sapere nulla.

Karl “tentava di dimostrare come un lettore ignorante di quell’ambiente, accostandosi a Sue (come faceva Szeliga) con un atteggiamento molto diverso da quello del pubblico per il quale l’autore scriveva, avrebbe costruito nella sua mente un romanzo ben diverso da quello costruito da un parigino…”per cui egli affrontava il testo basandosi sui fatti narrati: “Questa attività critica era anche un esempio di prassi” – funzionale non solo per gli altri, ma anche per sé: “… sviluppava, anche, e in un certo senso ricostruiva, se stesso.” La pratica non è altro che l’altra faccia della teoria, l’energia che diventa materia, Śiva che si muta in Visnù, l’inconscio che si rende palese.

Karl Marx
Karl Marx

Scrivono Karl e Friedrich (Engels): “Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali.” Eri polvere e tornerai a esserlo, magari dopo aver svolazzato in alto. L’anima è il corpo, in questo non posso che concordare con i Testimoni di Geova. L’animale grazie all’anima può sbranare, anche se è Unto e si definisce una tigre.

“Non è la coscienza che determina la vita ma è la vita che determina la coscienza.”è la vita, più o meno cosciente, che determina se stessa.

“Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante.” È il potere che tende a gestire l’anima della collettività (ma per fortuna ci sono i ribelli, e i due solidali sono tali).

“E anche quando distorcono la verità, le ideologie assolvono l’importante funzione di ‘valori organizzativi’ ovvero di forza aggregante nella fiducia in valori essenziali per il funzionamento di un dato gruppo o classe sociale.”

Pur bugiardo e fellone, chi è al potere cerca il consenso, che è il collante che gli permette di assicurarsi il dominio sul gregge (da cui è uscito sgomitando e facendo le opportune violenze).

Scrivono i due solidali: “Fin dall’inizio lo ‘spirito’ porta in sé la maledizione di essere ‘infetto’ dalla materia, che si presenta qui sotto forma di strati d’aria agitati, di suoni, e insomma di linguaggio. Il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso, e il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini…”

Scrivono: entrambi? Solo uno e l’altro conferma, magari annuendo? Finora le citazioni sono da MEW, Marx-Engels, Werke.

“Questo brano mette in rilievo un aspetto sempre presente nell’atteggiamento di Marx di fronte alla letteratura: la sua sensibilità al suono e al movimento (al pari della moglie, e dei figli poi, Marx amava declamare e leggere a voce alta), nonché la sua convinzione che le opere letterarie e i prodotto linguistici rispondevano a un preciso bisogno degli uomini, e in questo modo creavano nuovi bisogni, ai quali altre opere d’arte avrebbero dato nuova soddisfazione.”

Mi va di aggiungere: il duo di esuli dà risalto alla funzione dialettica del linguaggio, che però può essere anche non verbale, o fatto di silenzio. Anche un fachiro immobile, il cui cuore è rallentato al massimo, tende la sua anima verso il mondo, esprimendola senza timore alcuno.

MEW: “… egli è esclusivamente un pittore, uno scultore ecc.: nomi che già esprimono a sufficienza la limitatezza del suo sviluppo professionale e la sua dipendenza dalla divisione del lavoro. In una società comunista non esistono pittori, ma tutt’al più uomini che, tra l’altro, dipingono anche.” – evviva! Ma a quando la controprova sperimentale galileiana?

MEW: “Per i filosofi uno dei compiti più difficili è di discendere dal mondo del pensiero nel mondo reale. La realtà immediata del pensiero è il linguaggio. Come hanno reso indipendente il pensiero, così i filosofi hanno dovuto fare del linguaggio un regno proprio indipendente” – da cui tutti, come ci ammoniva, scuotendo la capa, Krishnamurti, ormai dipendiamo quasi completamente.

“Basterebbe che i filosofi risolvessero il loro linguaggio nel linguaggio ordinario, dal quale esso è ricavato per astrazione, per capire che esso è un travisamento del linguaggio del mondo reale, e accorgersi che né il pensiero né il linguaggio formano di per sé un proprio regno, per accorgersi che essi sono soltanto manifestazioni della vita reale”e non sono le uniche cari Karl e Friedrich: tra un fiore colto e l’altro donato l’inesprimibile nulla, che si può però cantare a squarciagola.

Karl rievoca “la letteratura grobiana” nata nell’età “della Riforma” – la più drammatica della nostra civiltà, che vide spezzarsi in due bracci di mare (e poi in mille rivoli) un messaggio che all’inizio era limitato al semplice Amore per il Prossimo, con la A e la P maiuscole. Chi disse che Cristo fu il primo socialista pronunciò una bestemmia che era parente della Verità.

“La rievocazione che fa Marx di un genere letterario scomparso non serve, evidentemente, a uno scopo puramente d’antiquariato” ma “per comprendere il mondo moderno, a combatterne le degenerazioni e in questo modo, alla fine, a modificarlo.”

Quel genere rispolverato serve a rappresentare “la tentazione di confondere la volgare stupidità con la forza e l’intuizione.”

Il mito, a volte, è così mal utilizzato: “Chi vede l’intera società umana nelle vesti di un unico personaggio, sostituisce con un fantasma una realtà frammentaria e complessa, sostituisce le cose con le parole. Il mito prende il posto della teoria e tutta la verità si perde in un profano miscuglio di misticismo e di allegoria. Usati nel modo sbagliato, i miti classici producono, e rafforzano, perniciose illusioni.” – e quel rischio riguarda tutti gli aspetti dell’esistenza. La funzione del mito è di caricare l’immaginazione dell’individuo, per andare dove se ne può sempre discutere.

Esergo MEW del settimo capitolo: “La unilateralità e la ristrettezza nazionale diventano sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali esce una letteratura mondiale.” – occorre però prima definire cosa sia il mondo e quanto reale sia.

“… il Manifesto ci sollecita a considerare la funzione degli scrittori nella società moderna, e conclude che le illusioni romantiche non possono più nascondere la realtà del mercato…” Non hanno più ragione di esistere? Oppure si può dar loro una nuova possibilità di esistere tra di noi?

“Perfino la poesia, dunque, è una merce nel mondo moderno, ed è soggetta alle sue leggi economiche.”

Oggi l’1% della popolazione mondiale ha il doppio della ricchezza del restante 99%.

Qualche giorno fa, il 13 novembre, è morto lo scrittore Wilbur Smith, il signore dell’avventura, che ha venduto nel mondo 140.000.000 di copie, di cui 25.000.000 in Italia. Non l’ho mai letto, però ho in garage due o tre copie dei suoi romanzi, acquistati per curiosità in alcune bancarelle di libri usati. Presumo che solo un italiano su tre o quattro ne abbia almeno un esemplare. Penso anche che se, oltre a lui, prendiamo in considerazione altri dieci o venti autori, per lo più in lingua inglese, questi si accaparrano un buon 30% delle vendite totali (l’ho buttata così). Mi chiedo che percentuale di vendite abbia l’1% degli scrittori maggiormente di successo. Oggi, non ieri o domani: sic transit gloria mundi. Per cui carpe diem!

Giorgio Messori negli anni '80
Giorgio Messori negli anni ’80

Non perdo occasione di reclamizzare l’opera di Giorgio Messori, scrittore delle mie parti, deceduto qualche anno fa che, nonostante il suo valore, risulta sconosciuto ai più. Ignoro un fatto: non ha voluto o saputo vendere la sua immagine, o è morto, purtroppo giovane, prima di riuscire a farlo? Quando ho cercato di acquistarne una copia presso la mia libreria di fiducia, ci sono state difficoltà. Non ve n’erano copie nemmeno in magazzino. Grazie a una mail inviata alla casa editrice, dopo qualche settimana mi è finalmente pervenuta una copia. Quando si dice che la nostra è una società basata sulla domanda e sull’offerta, si sottintende che bisogna essere in gamba sia nel domandare sia, soprattutto, nell’offrire.

Il Manifesto “annuncia l’imminente mutamento adottando e proclamando risolutamente quelle idee che, secondo i loro autori, diventeranno quelle de proletariato, la classe dominante di un futuro in cui ‘il libero sviluppo di ciascuno’ sarà ‘la condizione per il libero sviluppo di tutti’.”illusioni, sogni? Non più che per altre filosofie, per esempio quella cristiana.

MEW: “I prodotti spirituali delle singole nazioni diventano patrimonio comune. La unilateralità e la ristrettezza nazionale diventano sempre più impossibili, e dalle molte letterature nazionali e locali esce una letteratura mondiale.” Esce e rientra, a seconda delle ragioni di mercato, che è ora non di un villaggio, ma del Villaggio Globale, il quale ospita chiunque, purché risponda alle necessità commerciali per cui il prodotto possa essere acquistato da una platea sempre maggiore di utenti.

MEW: “‘Una parte della borghesia’, leggiamo quindi nel Manifesto, ‘passa al proletariato, e segnatamente una parte degli ideologi borghesi che sono giunti a comprendere teoricamente il movimento storico nel suo insieme.’” – ne va da sé che i due solidali tali si reputano.

MEW: “Voi inorridite all’idea che noi vogliamo abolire la proprietà privata. Ma nella vostra società la proprietà privata è abolita per nove decimi dei suoi membri: anzi, essa esiste precisamente in quanto per quei nove decimi non esiste.” – essa esiste qui, perché non esiste là.  Quello che i due ragazzi sembrano ignorare è il residuo negativo che esiste in chi vorrebbe condividere il più possibile la ricchezza della propria illusione esistenziale. Per taluni la propria casa natale è un concetto che va oltre la sua struttura fisica, il suo valore economico, essendo un luogo dell’anima. Nessuno cederebbe tutto quello che ha alla comunità, quando si tratti per esempio di libri, di quadri, di fotografie personali. Esiste sempre un limite, per chiunque, anche per quei due, che sancisce l’incedibile.

“Uno spettro si aggira per l’Europa…” eccetera: “Marx non sempre scriveva con tanta ricercatezza stilistica, ma nelle sue cose migliori rivela una padronanza della prosa dialettica e polemica che assicura alla sua opera un posto nella storia della letteratura tedesca oltre che nella storia delle idee e dell’azione politica.” Similmente letteraria è la sua prosa quando “accusa la borghesia prussiana” definendola “… senza fede in se stessa, senza fede nel popolo, ringhiante verso l’alto, tremante verso il basso, egoista verso ambedue...” – eccetera eccetera, assumendo solo talvolta toni tronfi e un po’ stancanti.

L’operaio “vende a un terzo questa attività vitale per assicurarsi i mezzi di sussistenza necessari…”

Qui la prosa di MEW è sublime, diretta, più sintetica (mai del tutto tale) e miracolosamente mirata.

“La vita comincia per lui dal momento in cui cessa questa attività, a tavola, al banco dell’osteria, nel letto.” – che rappresentano i suoi veri, miserabili fini. Nonché caduti, perché ac-cadono per poi s-cadere puntualmente ogni giorno, sei dì su sette, quando non sette su sette. E anche qui lo stile è singolarmente efficace. Questa critica allo stile di quel MEW, ci tengo a precisarlo, è mia, non di Siegbert.

Marx accusa l’opera di Alphonse (de Lamartine) di personificare “le illusioni romantiche e borghesi”, le cui parole cullavano “gli uomini nell’inattività, di assicurare il consenso all’oppressione e allo sfruttamento di coloro che potevano altrimenti lottare per eliminarli.” – una letteratura consolatoria, si direbbe oggi. Nel senso anche di rammollente, efficace a rendere l’azione umana inefficace, con un’azione neutralizzante.

“… secondo Marx, il destino della letteratura era inevitabilmente legato, stava operando verso la creazione di una letteratura mondiale.” Almeno in questo ci ha preso, Karletto, nonostante che essa non sia del tutto così universale.

Nel mettere a confronto Rembrandt con Raffaello, Shakespeare con Schiller, egli si fa fautore di “un realismo robusto e vitale” che “è contrapposto all’idealizzazione che glorifica (verhimmeln) la realtà umana distorcendola.”

Questo è, in nuce, il realismo socialista che tanti lutti addusse ai sovietici (e non solo a loro).

“L’età attuale non doveva più rivolgersi al passato per ispirare la sua ‘poesia’, doveva abbandonare la ‘superstizione’ che le battaglie attuali potessero essere vinte soltanto con indosso i costumi del passato.”la quale è cosa saggia sempre che l’abbandono non sia anche di tipo culturale: che sia un dimenticare in toto o un ipocrita fingere di farlo. Diversamente il concetto di storia andrebbe a ramengo.

MEW: “La rivoluzione sociale del secolo decimonono non può trarre la propria poesia dal passato, ma solo dell’avvenire. Non può cominciare a essere se stessa prima di aver liquidato ogni fede superstiziosa del passato.” – tutto però dipende da quel verbo: aver liquidato, da cosa esso significhi esattamente.

“… tutti gli uomini di estrazione borghese” hanno la possibilità di scelta, cosa “che non hanno né i lavoratori urbani né i lavoratori agricoli. O qui o là, dovete volete stare, voi che potete volere?”

“Marx era anche convinto che la grande letteratura costituiva il mezzo più sicuro per arrivare alla conoscenza di una lingua straniera, quando non era possibile apprenderla nel paese d’origine.” opinione che condivido qualora si limiti il ragionamento alle lingue simili alla propria. “Non aveva invece simpatia per i dialetti, e Liebknecht ricorda con quanta pazienza Marx cercava di eliminare le inflessioni dialettali dell’alta Assia, da dove Liebknecht proveniva, e di trasformare la lingua da lui parlata nel tedesco alto della gente colta.” Ahi ahi, Karletto. Quando andavo a scuola un cartello firmato dalla Direzione intimava: Vietato parlare in dialetto. Oggi quel Direttore sarebbe censurato, e tu con lui. Storicamente allora avevate abbastanza ragione, oggi avreste assai torto. Il mio maestro spirituale Aldo Bergamaschi, teologo francescano che nelle sue omelie talora ti citava, credeva nella necessità di una lingua unica. Da quando è morta mia madre, io ho invece sentito la necessità di studiare il mio idioma arșân.

Verso l’opera dello scrittore e agitatore politico Ferdinand Lassalle, Karl prova un certo interesse e al contempo mostra una notevole e a volte eccessiva critica. Anche verso di essa, come in genere verso le varie espressioni letterarie, “è interessante e importante rilevare il riconoscimento di Marx che esiste una reazione pre-critica, una reazione immediatamente emotiva, alla letteratura, e che questa reazione dev’essere giudicata ‘un aspetto assai importante’.” Egli utilizza la sua stessa espressività per manifestare il suo dissenso talvolta infastidito, che non favorisce il dialogo.

“Una cosa, però, Marx detestava ancor più di un verso zoppicante, ed era, naturalmente, il Belletrismus, la scrittura epigona, esperta e levigata, che non aveva nulla da dire. Questo gli acconsente di addolcire la pillola a Lassalle, e di assumere perfino un atteggiamento da dilettante (lui non è, dopo tutto, un ‘poeta di professione’), e in questo senso un verso zoppicante può sembrare anche un merito anziché un difetto.”

Agota Kristof
Agota Kristof

Casi egregi, tra i moderni (famosi, come Marquez che ammetteva di essere la croce dei suoi correttori di bozze, poiché ignorava certi meccanismi sintattici; o come la Kristóf che critica aspramente lo stentato, a suo dire, francese; o meno celebrati, come quel mio compaesano che declama poesie estremamente forti e tese, ma che, nello scriverle, rivela delle difficoltà ortografiche, prontamente corrette dai suoi editor), testimoniano che l’arte ha le sue regole, ma non sono principalmente quelle grammaticali. Eco e Bacchelli scrivevano per intanto, ma il resto della loro opera è e sempre rimarrà eccelsa.

Karl però non risparmiò altre e ben più cocenti rampognate, a cui Lassalle replicò con un giustificato tono secco. A sua volta “Marx definisce la risposta di Lassalle ‘un’intera foresta di pagine fitte fitte’, un documento ‘grottesco’, e commenta” in un modo che mi secca riportare, tanto è ignobile. Karl era un passionale, non sempre in grado di controllare la sua veemenza.”

Egli considera “la letteratura insieme con la legge e il governo: ciò che è vero dell’una è vero per gli altri, gli sviluppi dell’una possono illuminare gli sviluppi nell’altro caso. Questa visione complessiva è caratteristica di un uomo come Marx, che cercava sempre leggi fondamentali e generalmente applicabili. Secondariamente, è significativo che per Marx una teoria letteraria, un’opera di letteratura non siano qualcosa di statico, qualcosa che è dato una volta per tutte. Le teorie letterarie, le opere letterarie hanno una loro storia, una storia condizionata dalle necessità artistiche (Kunstbedüfnis) di un dato periodo storico.”

Niente è immutabile, e non bisogna comportarsi come “un semplice antiquario, per quanto competente e informato” che “non potrebbe raggiungere simili risultati”, come Corneille o Lessing che, travisando il pensiero di Aristotele o Sofocle, lo fecero “in modo tale da fecondare la propria opera creativa e quella dei loro contemporanei.” – tutto si trasforma, anche il trasformante.

“‘Come ha ragione Heine,’ si legge in una caratteristica frase di Marx, ‘quando afferma che ‘la vera follia è rara quanto la saggezza’!” – Karl, dimmi cosa intendi per vera. Per noi bipedi implumi potrebbe significare la più grande, fra quelle che abbiamo incontrato, non la massima misura delle cose come Platone intendeva il Dio stesso. Che esistano, la Verità e il Dio, con l’iniziale maiuscola oppure no, rientrano fra le teorie religiose non falsificabili, nel senso che ha conferito quell’altro Karl (Popper).

La più grande delle follie è come la più grande delle saggezze? L’individualità è rara, perché è sepolta chissà dove. Sono combattuto, leggendo questo saggio che Siegbert ha scritto: ogni tanto sento che il tuo amore per l’anima di un uomo è pari a quella che tu provi per tutti gli uomini. Ma non ne sono certo. Può essere che la tua vera follia sia unica come la tua vera saggezza?

“… Marx cerca di vedere fino a che punto è possibile riconoscere uno ‘stile nazionale’ che possa correlare il modo di scrivere e di fare politica in una nazione.” – Karl non può fare a meno di notare “gli aspetti enfatici e magniloquenti” di personaggi politici nazionali rapportandoli con i loro massimi poeti e scrittori. Mazzini, secondo lui, è la prova chelo stile nazionale può nondimeno essere modificato.” – ma questo non significa che debba esserlo per forza e in senso positivo.

“Ora, io non condivido né l’opinione di Ricardo, il quale considera il ‘reddito netto’ come il Moloch al quale intere popolazioni devono essere sacrificate, senza neppure un lamento, né l’opinione di Sismondi che, nella sua ipocondria filantropica, vorrebbe mantenere di forza i metodi antiquari di coltura delle terre e mettere al bando la scienza dell’industria, così come Platone metterebbe al bando i poeti dalla sua ‘Repubblica’.”

Giustamente osserva Siegbert: “Con il suo riferimento iniziale alla cultura ebraica e quello finale alla cultura greca, con il suo interesse per i poeti oltre che per la giustizia sociale e per una corretta azione economica, questo brano è particolarmente caratteristico degli scritti giornalistici di Marx tra il 1852 e il 1862.”

Karl legge e scrive con la medesima passionalità, due aspetti della medesima funzione esistenziale: scrive perché legge e viceversa.

“Nessun’altra opera, nell’intero corpo degli scritti di Marx, rivela anzi il suo interesse per la letteratura mondiale in modo così chiaro come Herr Vogt.” Egli sente “che doveva scrivere con particolare cura il suo pamphlet e amministrarne attentamente gli effetti ‘perché devo trattare il mio piacevole argomento con almeno una certa dose di spirito artistico’”e quell’almeno pare un avverbio cautelativo.

“Si deve ammettere, tuttavia, che in Herr Vogt Marx abusa di questa tecnica di allusioni e citazioni letterarie. Chiamando in causa le più disparate opere letterarie a ogni pie’ sospinto, in un modo che sembra talvolta esasperato e forzato, l’opera tende a stancare il lettore e ad annullare l’effetto desiderato”caro Siegbert, come puoi sapere tu quale sia l’effetto che era necessario all’anima di Karl, che scrivealla figlia Laura, l’11 aprile 1868: ‘Certamente, mia cara bambina, penserai che io amo molto i libri, dato che ti importuno con queste cose in un momento così poco appropriato. Ma sarebbe un grave errore da parte tua. Io sono una macchina, condannata a trangugiare i libri per buttarli fuori in forma diversa sul letamaio della storia.” – che sia un letamaio è un’opinione irriguardosa ma condivisibile; per quanto attiene la macchina cellulosafaga, non so che dire, se non che l’ho sempre desiderata per me.

“… per Marx on è sufficiente considerare lo sviluppo intrinseco dell’arte: l’arte deve essere messa in relazione con la ‘base materiale’ della società…” Inoltre “il poeta dev’essere considerato come ‘produttore’ e l’opera d’arte come ‘prodotto’, anche se di un genere unico e particolare”, cioè “nel contesto delle altre relazioni sociali, e più in particolare nel contesto dei mezzi e delle relazioni della produzione materiale. Stabilito ciò Marx può isolarla e astrarla, può rivolgersi per un attimo al regno dell’arte presa in sé.”

Mi sto domando come avrebbe reagito Karl se si fosse connesso con l’arte pop e con quell’unicum prodotto artistico di Piero Manzoni (col suo fiato e merda d’artista). Chissà cosa ne avrebbe scritto!

Charles Baudelaire, 1865, Photo by Charles Neyt, Brussels
Charles Baudelaire, 1865, Photo by Charles Neyt, Brussels

“Il mondo antico offre quindi un’immagine di completezza e di pieno sviluppo che non può non affascinare coloro che aspirano a uguale completezza, uguale sviluppo nella loro vita, e coloro che si sforzano di creare condizioni future nelle quali questa completezza possa essere nuovamente conosciuta a un più alto livello.” Il cui sempiterno fascino non cesserà mai di agire nell’arte e nella poesia. È una spinta ad andare oltre, guardando (anche, a mo’ di Giano) all’indietro, non fosse altro che per meglio distruggere i perfetti modelli del passato. Baudelaire andò oltre la poesia classica, Rimbaud andò oltre Baudelaire, ma senza quei perfetti (nel senso di completi) modelli, non ne sarebbero potuti uscire, ex-agerando come solo lui era in grado di fare.

Per Marx il lavoro è sempre fatica, sacrificio, utilizzo di energia, appunto, al fine di poter ex-agerare. Il che “non significa affatto che esso sia un puro spasso…”, ma un peso da portare in avanti e da gettare verso il futuro. L’artista, per quel che ho capito, è un operaio finalmente libero, ma non meno straziato dalla stanchezza: “Un lavoro realmente libero, ad esempio il comporre [musica], è al tempo stesso dannatamente serio e comporta uno sforzo intensissimo.” – non meno duro, ma non più alienato.

“Marx definisce il lavoro salariato moderno come perdita di ogni suo carattere artistico, e concepisce la creazione artistica come forma di lavoro al quale tutti gli uomini aspirano, la forma di lavoro nel quale l’individuo può realizzare e sviluppare le sue qualità.” – che nella forma più frequente e un po’ illusoria si chiama, con orrendo senso figurato, passatempo, oppure hobby, termine che mi rammenta l’hobbit.

Anche lo scrivere, soffrendo, può realizzare una pur caduca realizzazione di sé, da parte chi è costretto per decine di ore alla settimana a un lavoro che non sente idoneo alla sua anima, ma necessario alla sopravvivenza del suo corpo. Ne so qualcosa per esperienza patita personalmente.

L’arte, pur senza essere possedere i crismi della scienza, è “uno degli strumenti che consentono all’uomo di acquistare coscienza e di esprimere i conflitti e i processi di mutamento del mondo socio-economico”, producendo però (e perciò) “battaglie o duelli, facendo intendere probabilmente, che l’arte riflette, afferma e conferma interessi e posizioni di classe.”

L’arte per l’arte è dunque un sogno infantile? Sì, ma penso che ognuno debba aver la possibilità di continuare in quell’illusione, non meno sacra delle altre.

“… è necessario guardarci dall’accettare le interpretazioni apparenti delle intenzioni e delle realizzazioni suggerite dagli artisti stessi o dai loro contemporanei, ma dobbiamo soprattutto prendere in considerazione i fattori economici e sociali dei quali gli artisti e i loro critici non necessariamente sono consapevoli, e che nondimeno sono presenti nelle oro opere letterarie e artistiche che essi hanno prodotto o assimilato.” Noi siamo schiavi dei nostri modelli, ma abbiamo tutti i diritti di tentare la fuga. Se non ci riusciamo, abbiamo fallito in un certo senso l’esistenza. Ed è per questo che ho amato fin da adolescente la grande e a tratti demenziale rivoluzione dei beat americani. Allen (Ginsberg) soprattutto mi ha aiutato a dire Howl No, non ci sto più!!! Altri poi, l’hanno sostituito e si sono lasciati succedere da altri autori: ognuno che urlava quel salvifico e sbraitato no!

Karl era certoche la tecnologia distrugge la mitologia e che senza una mitologia viva non è possibile scrivere un autentico poema epico.” – ma qui forse errava. L’uomo non rinuncia mai a edificare quel che gli serve per dare un senso alla vita. In America l’epopea del west e, più recentemente, quella dei supereroi hanno stabilito nuovi ordini mitologici. I secondi, anzi, vivono in un presente che è proiettato nel futuro. La tecnologia sempre rinnovata e miracolosa è la loro necessità principale.

“… il fatto che Milton ricavò soltanto cinque sterline dal Paradiso perduto sta a dimostrare che egli non era un capitalista. Editori e mercanti di libri hanno ricavato ben più di cinque sterline dall’opera di Milton! Alla fine, infatti, il Milton che scrisse il Paradiso perduto si è rivelato molto più ‘produttivo’ per il capitale degli scribacchini di Lipsia…” La figura di Milton oggi potrebbe assimilarsi con quella dell’indipendent production, che con scarsi mezzi produce da sé il proprio oggetto artistico, confidando, ben inteso, di guadagnarci nel piazzarlo nel mercato. Il povero di spirito Milton “scrive quello che ha scrivere e lascia ad altri il compito di convertire la sua poesia in una merce che porta profitto.”

Karl cita Dante quando questi “descrive orrori che sono analoghi a quelli del mondo moderno, se mai peccano di difetto. Le fabbriche di fiammiferi dell’Inghilterra vittoriana, per esempio, con le terribili malattie provocate dal continuo contatto col fosforo, superano di gran lunga l’immaginazione dello scrittore medioevale…”e le cose, anche dai tempi di Karl, peggiorano anziché migliorare, come si deduce dalla lettura del recente Umè di Cosimo Argentina, infetto reportage letterario sulla tragedia dell’Ilva di Taranto in cui convivono miseria, malattia professionale e alienazione prodotta dal lavoro.

“… Marx continua a personificare il capitale e la proprietà terriera” facendo “del suo trattato economico una tragedia recitata da Monsignor Capitale e dal Lavoratore Collettivo, e che con quest’opera egli ha dato al mondo ‘uno dei libri più drammatici del tempo moderno’” – come giustamente riferisce R. C. Tucker.   

Il XIII capitolo ha un nome che dà l’idea dell’uomo e dell’intellettuale Karl Marx: Razzolare tra i libri. Karl era un lettore onnivoro come pochi, il suo più caro poeta era l’amico Heine, ma anche Dante, Shakespeare, Goethe. Conosceva per bene l’Orlando dell’Ariosto, nonché quello meno celebrato del Boiardo, ma anche tutta la frattaglia (espressione che Henry Miller usò in Tropico del capricorno, a proposito della cultura assurda di Giovanni Papini) che s’interponeva tra tutti questi grandi maestri.

“Riempì una cinquantina di quaderni d’appunti con stralci delle opere che leggeva: quasi 30.000 pagine fitte della sua minuscola grafia. Le tonnellate di materiale che consumava e raccoglieva sbalordivano Engels” – come riportano M. Rubel e M. Manale in Marx without myth.

Per quanto riguarda la sua opera maggiore, Il capitale, “il tessuto stilistico e la proporzione delle diverse parti che all’interno dell’intera struttura sono calcolati accuratamente e elaborati tenendo in mente le ‘considerazioni artistiche’”così Karl ci tiene a informare Friedrich. Pur nella ricerca della verità. Anche la bellezza era parte della verità: beauty is truth, truth beauty cantava Keats.  

“Va alla ricerca di libri in olandese e in frisone” ma anche “si propone di affrontare proprio alla ine della sua vita, lo studio del Middle English di Langland; legge per svago Appiano in greco, Dante in italiano, Cervantes e Calderón in spagnolo.”. Tenta anche col russo attratto dall’opera di Puškin.

In un gioco di domanda e risposta organizzato dalle figlie afferma che la sua occupazione preferita è “razzolare tra i libri” e che il suo motto preferito è di Terenzio: Nihil humani a me alieno puto. Come potrei dargli torto.

“Marx riteneva dunque che, se anche molti scrittori sono portavoce della classe dominante, la grande letteratura è capace di sollevarsi al di sopra di una ideologia prevalente. quando ciò accade, essa può costituire un campo di lavoro relativamente non alienato, un terreno in cui uno scrittore può esprimersi, in considerevole misura, come un essere umano totale.” – l’uomo è sempre posto al di sopra della sua stessa idea.

“… il poeta è privilegiato rispetto all’operaio industriale, anche se in una società ‘capitalista’ i prodotti di ambedue sono soggetti alle leggi di mercato, che troppo spesso costringono un autore a scrivere per vivere anziché vivere per scrivere.” – la quale è una forma di alienazione a cui si può reagire solo peccando o fuggendo.

“La letteratura, per Marx, non è semplicemente un mezzo di espressione: è anche, in misura significativa, un mezzo di autorealizzazione”: scribo ergo sum.

“Le opere della letteratura sono prodotti, gli scrittori sono produttori, e la letteratura non può non essere influenzata dai modi di produzione e di consumo prevalenti nella società in cui e per cui essa è prodotta.” – si tratta di un fatto positivo, certo, un sine qua non esisterebbe la società.

Karl s’illudeva dell’importanza “che il lavoro in cooperazione avrebbe avuto nel far realizzare quest’obiettivo: un lavoro che sarebbe tornato a essere fonte di piacere, e non solo di frustrazione, un lavoro che sarebbe stato svolto da esseri umani non più costretti a negarsi il pieno sviluppo delle loro molteplici capacità” – il che non sempre, o forse mai, è storicamente occorso. Oggi gran parte della cooperazione è ispirata dal motto pretesco: Orate per me e per gli altri se ce n’è.

Siegbert S. Prawer - Painting by Benjamin Sullivan
Siegbert S. Prawer – Painting by Benjamin Sullivan

Karl “non si interessa spesso alle questioni della forma. La sua estetica letteraria, come quella di Hegel, riconosce il primato della Gesalt, il contenuto, e la sua massima giovanile secondo cui ‘la orma non ha valore a meno che sia la forma del suo contenuto’.” Non so, Karl cosa tu intenda affermare. Cosa ne pensi di Dada, o delle acrobazie linguistiche (tu che ami tanto le lingue) di un Sanguineti? Può esistere una forma priva di contenuto? Oppure pensi a quelli che, come dice Siegbert, sono “artisti che sapevano usare le briglie ma non avevano cavallo da cavalcare”?

Poi il discorso s’illumina nella mia mente: anche Dada, apparentemente casuale, diviene causale, essendo determinato da una volontà di dar forma a un contenuto e contenuto a una forma, di stringere indissolubilmente due aspetti della stessa essenza: come già riportato, il corpo è l’anima, l’anima è il corpo.

Diverso è il discorso di chi scrive soltanto per ottenere consensi: è l’ambizione commerciale la bestia che su cui ambiscono montare.

“La sua ribadita convinzione, espressa nella teoria e nella pratica, che l’uomo e le sue opere debbano essere viste come un insieme può, nondimeno, essere condivisa anche da coloro che dissentono maggiormente da lui sotto altri aspetti.” – l’uomo è (anche e a volte soprattutto) quel che scrive.

Questo viene affermato per giustificare che Karl non abbia esaminato in modo specifico alcuni aspetti letterari: che è come accusare Christian Barnard di non avere mai svolto studi importanti sulla microbiologia e sull’ematochimica, ma di essersi limitato alla semplice cardiopatia.

“Nella sua vita come nei suoi scritti Marx dimostra come è possibile sentirsi a proprio agio con la letteratura di molti paesi contemporaneamente, trovando piacere nelle loro idiosincrasie e diversità, facendo sì che la conoscenza dell’una arricchisse e approfondisse la comprensione dell’altra.” – difficile non sottoscrivere tutto questo. Ed è l’unico internazionalismo che si è realizzato nel mondo.

Una cosa, Karl, non amo in te ed è la tua abitudine d’irridere le opere di autori mediocri. Tu ti metti sempre in mezzo, anche quando non ne vale la pena. Non è tempo sprecato, ma è utilizzato in maniera che a prima vista mi è parsa sciocca. Tu però sei fatto così, per cui anche la sciocchezza diventa funzionale allo scopo principale, “il sogno di una cosa”, la stessa di Pier Paolo Pasolini, che è la liberazione dell’uomo, e non ci si può far nulla. E si vede che… io non ho mire così alte.

Per il resto, Siegbert ti ha descritto con tanta dovizia di particolari e con tanti riferimenti letterari e non, che ormai credo di conoscerti e di apprezzarti come meriti. Sento per te una specie di ideale fraternità.

Nella Postfazione di Donatello Santarone, la prima cosa che noto è la d eufonetica anche quando apparentemente non serve: ad esempio, per esempio. Nel testo tradotto da Marco Papi avevo notato la sua assenza anche quando è necessaria.

In essa Donatello, già nel titolo: Un tutto artistico – Marx lettore critico scrittore, ribadisce, più sinteticamente ma non meno efficacemente, l’aspetto universale di questo mostro di cultura, il cui spettro forse terrorizza proprio per questo: egli non è né tedesco, né inglese, né altro, è un apolide come il tanto ammirato Dante.

Nel suo italiano, certamente migliore della maggior parte dei suoi italici lettori, egli sa mutare il verso dantesco, tratto dal Purgatorio V, 13, in cui Virgilio ammonisce un titubante Dante “di non distrarsi con le anime negligenti, e di affrettarsi”, dicendogli: “Vien dietro a me, e lascia adir le genti”, che diventa “Segui il tuo corso, e lascia dir le genti.”.

Perché questo cambiamento che s’intuisce geniale ma che non si spiega facilmente? Ipotizzo: non venire dietro né a me né perdere tempo con loro, scegli autonomamente la tua strada e confida che è quella giusta. Secondo Siegbert, Karl non ha un Virgilio da seguire, per cui non cita nessuno. Non ne ha uno, ne ha infiniti e nominarli tutti avrebbe appesantito il verso. Il suo sogno è di trasferirli tutti nel Corso Universale, senza tradurli, ognuno nella sua bellissima lingua originale.

Scrive acutamente Donatello: “Come per tutti gli scrittori a lui cari, anche per Dante l’atteggiamento di Marx non è quello asettico e impersonale del borioso accademico, ma quello di chi ‘usa’ i classici per leggere il presente e cercare in essi una risposta alle domande del mondo contemporaneo.

Come m’ha cambiato, a tal riguardo, quest’essenziale seppur pesante volume?

Karl era riuscito a trasferire alle figlie l’amore per Dante e per Shakespeare. Recentemente ho forzato mia figlia a leggere Delitto e Castigo. Ieri sera la mia ragazzetta l’ha finito e mi ha detto che, pur essendosi affaticata parecchio, alcuni passi le rimarranno per sempre nell’anima. Lessi L’idiota del medesimo autore, di cui non ricordo il nome, ma solo il cognome Dostoevskij, solo perché mio padre mi ossessionava da anni che avrei dovuto leggerlo, e quel romanzo infinito cambio la mia vita. È una ruota che gira, meno letale “di Juggernaut”, citata da Donatello che riporta a sua volta un passo del primo libro dell’opera maggiore di Karl. Anche lui si sta agitando nel mio cervello, non padre, ma fratello assurdamente maggiore.

Leggerò, causa sua, L’Orlando innamorato di Matteo Maria (Boiardo), mentre il più furioso di quell’altro mio concittadino lo divorai per conto mio anni fa. E William (Skakespeare), di cui ho letto soltanto tre tragedie e una commedia drammatica, mi sta fissando dall’alto con due occhi impietositi ma inquieti.

Leggerò Il Manifesto del Partito Comunista, già letto in gran parte nel fumetto di Rius, ma soprattutto, anche se l’idea mi terrorizza, quello che di lui rimarrà di valore più Kapital!

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Siegbert S. Prawer, Karl Marx e la letteratura mondiale, Bordeaux, 2021

 

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