Dalle Enneadi secondo Plotino: i generi dell’Essere II
“Se, però, si prende in considerazione un’anima come una, priva di dimensioni e di grandezza, oltre che assolutamente semplice, come risulterà all’immediato atto di comprensione della ragione, in che modo si può ragionevolmente aspettarsi di trovarvi ancora la molteplicità?” – Plotino

Plotino (Licopoli, 203/205 – Minturno (o Suio), 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi.
Porfirio racconta nella biografia: “Plotino possedeva una straordinaria capacità di scrutare i caratteri, tanto che, quando una volta fu rubata una collana preziosa a Chione, una vedova che insieme ai suoi figli conviveva con lui in modo più che decoroso, gli condussero innanzi tutti gli schiavi ed egli, dopo averli osservati, indicandone uno, esclamò: «Questo è il ladro!».[1] Questi, dopo essere stato frustato e dopo aver negato in un primo momento con insistenza, alla fine confessò e restituì quello che aveva rubato. Prediceva anche quello che sarebbe stato di ognuno dei ragazzi che vivevano con lui; di Polemone, per esempio, predisse che sarebbe stato dissoluto e di breve vita, come poi puntualmente avvenne. E una volta si rese conto che io, Porfirio, stavo meditando di lasciare questa vita; parandosi dinanzi a me all’improvviso, mentre ero in casa, e convincendomi che questo desiderio non proveniva da uno stato ragionevole, ma da un’insana melanconia, mi ordinò di trasferirmi. E, obbedendogli, andai in Sicilia, perché avevo sentito dire che a Lilibeo[2] viveva un uomo molto stimato di nome Probo; pertanto, se da una parte mi liberai da questo mio desiderio di morte, dall’altra fui impedito di restare accanto a Plotino fino alla sua morte.[3]”
Le Enneadi (in greco antico: Ἐννεάδες, Enneádes) sono composte da sei gruppi di nove trattati ciascuno. Porfirio ordinò i trattati in senso ontologico con lo scopo di tracciare un percorso per il lettore per il raggiungimento del superamento della condizione terrena e, dunque, per giungere alla comprensione della filosofia.
Gli scritti di Plotino hanno ispirato teologi, mistici, cristiani, musulmani, ebrei, gnostici e metafisici pagani.
Dal 9 marzo al 4 maggio abbiamo presentato la prima Enneade con alcuni paragrafi tratti dall’edizione Mondadori del 2012. Abbiamo così attraversato gli argomenti “Che cos’è il vivente e chi è l’uomo”, “Le virtù“, “La dialettica”, “La felicità”, “Se l’essere felice aumenta col tempo”, “Il Bello”, “Il primo bene e tutti gli altri“, “Quali siano e da dove vengono i mali” ed “Il suicidio”.
Dall’8 giugno al 3 agosto abbiamo presentato la seconda Enneade ed i suoi nove trattati: “Il Cielo“, “Il moto celeste“, “Se gli astri hanno un influsso“, “La materia“, “Ciò che è in potenza e ciò che è in atto“, “La sostanza e la qualità”, “La commistione totale“, “La vista, perché le cose lontane appaiono piccole“, “Contro gli gnostici“.
Dal 7 settembre al 2 novembre abbiamo presentato la terza Enneade: “Il Destino”, “La provvidenza I”, “La provvidenza II”, “Il demone che ci ha avuto in sorte”, “Eros”, “L’impassibilità degli esseri incorporei”, “Eternità e tempo”, “La natura, la contemplazione e l’Uno”, “Considerazioni varie”.
Dal 7 dicembre al primo febbraio abbiamo presentato la quarta Enneade: “La sostanza dell’Anima I”, “La sostanza dell’Anima II”, “Questioni sull’Anima I”, “Questioni sull’Anima II”; “Questioni sull’Anima III”, “La sensazione e la memoria”, “L’immortalità dell’Anima”, “La discesa dell’Anima nei corpi”, “Se tutte le anime siano una sola”.
Dal 7 marzo al 2 maggio abbiamo presentato la quinta Enneade: “Le tre ipostasi originarie“, “La genesi e l’ordine della realtà che vengono dopo il primo”, “Le ipostasi che conoscono e ciò che è al di là”, “Come dal primo principio derivi ciò che viene dopo il primo. Ricerche sull’Uno”, “Sul fatto che gli intelligibili non sono esterni all’Intelligenza e sul bene”, “Sul fatto che ciò che è al di là dell’essere non pensa e su che cosa siano il primo e il secondo principio pensante”, “Se esistano idee anche degli individui”, “La bellezza intelligibile”, “L’intelligenza, le idee e l’essere”.
Il primo trattato della sesta ed ultima Enneade è intitolato “I generi dell’Essere I” e si sviluppa come critica della dottrina delle categorie di Aristotele e degli Stoici.
Il secondo trattato segue il precedente, “I generi dell’Essere II” ed è il quarantatreesimo redatto da Plotino. Fondato sul Sofista di Platone, il trattato vuole stabilire quali siano i generi supremi del mondo intelligibile dopo aver stabilito il concetto secondo il quale l’essere non è l’Uno. L’analisi fa emergere cinque generi supremi: l’essere, il movimento, la quiete, l’identità e la differenza.
Fu il filosofo Thomas Taylor[4] il primo ad accorgersi che nel Sofista non si elencavano tutti i generi supremi per stessa ammissione di Platone[5] mentre la tradizione filosofica ha sempre ritenuto il contrario.
Dei cinque generi Plotino afferma che ciascuno è in molte cose non come parte, ma come intero, ossia è uno-molti (così come lo è l’essere, unità multiforme che possiede in maniera unificata i molti[6]). Prendendo in considerazione le categorie aristoteliche giunge alla conclusione secondo la quale eccetto la sostanza, che coincide con l’essere, le altre categorie non possono essere considerate genere supremo (quantità, qualità, il dove, il quando, la relazione, l’agire, il patire, avere e giacere non sono generi supremi).
In connessione ai generi supremi, Plotino esamina il bene, il bello, la scienza, l’Intelligenza e l’Anima.
Di seguito sono riportati il primo, il quarto e l’ultimo dei ventidue paragrafi complessivi del trattato, dunque, si invita all’acquisto del volume riportato in bibliografia per potersi dissetare pienamente.
Enneade VI 2, 1
Ora che si è trattato dei dieci cosiddetti generi e si è detto di coloro che unificano in un solo genere tutte e quattro le categorie, riportandole ad esso quasi fossero sue specie, dovremmo far seguire la nostra opinione in proposito, tenendo conto che noi ci sforziamo di riportare il nostro pensiero a quello di Platone.
Ora, se fosse necessario porre l’essere come uno,[7] i seguenti temi di ricerca risulterebbero inutili: se esiste un solo genere per tutti gli esseri; se ci siano generi non inclusi nell’uno; se esistano principi; se i principi si identifichino con i generi e viceversa; se nei due sensi precedenti alcuni principi siano anche generi e alcuni generi principi; infine, se nei principi questo si dia in ogni caso, mentre nei generi solo talvolta.
Dato, però, che noi non sosteniamo che l’essere sia uno – e i motivi di ciò li ha ben espressi Platone[8] insieme ad altri –, è forse necessario occuparci di questi argomenti, innanzitutto ponendo al centro dell’attenzione il problema del numero e della natura dei generi dell’essere.
Siccome la nostra ricerca si incentra sull’essere e sugli esseri, non si può fare a meno in linea preliminare di fare una distinzione,[9] precisando, da un lato, che cosa sia l’essere su cui coerentemente ora dovrebbe vertere l’indagine e, dall’altro lato, quale sia il pensiero dei restanti filosofi su quell’essere a cui noi riserviamo il nome di divenire, e mai di essere che veramente è.[10]
Invero, queste due realtà vanno pensate come fra loro distinte e non come il risultato della divisione del qualcosa, quasi che Platone abbia fatto così. È ridicolo includere in un unico genere l’essere e il non essere, come se qualcuno vi volesse porre Socrate e insieme la sua immagine.
Con il termine distinguere, qui si intende delimitare, porre separato, cioè sostenere che l’oggetto di opinione non è essere, mostrando loro, altresì, per quale motivo il vero essere è ben altro. Inoltre, l’aggiunta del sempre all’essere sta a indicare che quest’ultimo deve essere tale da non tradire mai la sua natura.
Ebbene, noi condurremo la nostra ricerca proprio trattando di questo essere, e intendendolo come se non fosse uno. Solo in un secondo momento, se sembrerà utile, parleremo un poco del divenire, di ciò che ne è soggetto e del cosmo sensibile.[11]
Enneade VI 2, 4

Se volessimo davvero cogliere la natura del corpo e quale essa sia in questo nostro universo, non dovremo forse studiarlo prendendo le mosse da una qualsiasi delle sue parti, per comprendere come potrebbe essere ciò che ne costituisce il sostrato – la pietra, per esempio –, e poi la sua dimensione – la grandezza –, e poi anche il colore?
E non si dovrebbe altresì sostenere, anche nel caso di ogni altro corpo, che nella natura del corpo c’è una parte che corrisponde alla sostanza, una parte alla quantità e un’altra alla qualità, tutte unite assieme, e solo con il ragionamento distinguibili in tre, al punto che il corpo sarebbe tre cose in una?
E se, poi, risultasse che anche il moto del corpo fa parte per natura della sua costituzione, anche questo andrebbe aggiunto agli altri caratteri e allora si avrebbero quattro cose in una, nel senso che il corpo, in quanto unità, va distinto in ciascun suo carattere per dar luogo alla propria unità e natura.
In maniera analoga, poiché il discorso verte sulla sostanza intelligibile e sui generi e principi di lassù, si deve prescindere tanto dal divenire che riguarda i corpi, quanto dalla percezione del sensibile e dalle grandezze, perché in essi si trova l’elemento di separazione e di distinzione delle realtà fra di loro.
Al contrario, si dovrà comprendere quella certa realtà intelligibile che è vero essere e unità di livello superiore. Qui sì che si resta attoniti, nel vedere come un uno siffatto possa essere uno e molteplice a un tempo![12] Invece, nel corporeo non è difficile ammettere che un medesimo corpo possa essere nello stesso tempo uno e molti; infatti, uno stesso corpo è divisibile all’infinito, e un conto è il colore un altro la conformazione nella loro reciproca distinzione.
Se, però, si prende in considerazione un’anima come una, priva di dimensioni e di grandezza, oltre che assolutamente semplice,[13] come risulterà all’immediato atto di comprensione della ragione, in che modo si può ragionevolmente aspettarsi di trovarvi ancora la molteplicità?
Certo, se si dovesse pensare di fermarsi a questo punto – intendo dire alla distinzione del vivente in corpo e anima, alla riduzione del corpo a ciò che è multiforme, composto e vario, e alla salda scoperta dell’anima come ciò che è semplice –, si sarebbe bell’e giunti alla fine del cammino, alla presenza del principio.
E allora, prendiamola finalmente in esame quest’anima che direttamente dal mondo intelligibile – come d’altra parte il corpo dal mondo sensibile – ci è capitata fra le mani, e cerchiamo di comprendere per quale via questa sua unità possa risultare molteplice e come i molti siano uno, non nel senso di un composto di più cose, ma nel senso di un’unica natura per innumerevoli realtà. Una volta che ciò sia ben compreso e chiarito, come già abbiamo detto, risulterà pure evidente la verità sui generi che si trovano nell’essere.
Enneade VI 2, 22
Diceva Platone in maniera enigmatica: “L’intelligenza, dunque, contempla le Idee che sono contenute nel ‘Vivente che è’, quali e quante sono in lui contenute”.[14] Ciò significa che anche l’Anima che viene dopo l’Intelligenza, in quanto ha in sé le Idee, le distingue meglio nell’ipostasi che la precede.
Non diversamente, la nostra Intelligenza umana, che pur’essa possiede le Idee, le vede meglio nella realtà anteriore: e, infatti, quando le guarda in sé le vede e basta, quando invece le guarda nella realtà che precede, oltre a ciò, vede di vederle.
In ogni caso, questa Intelligenza, a cui riconosciamo la facoltà di vedere, non è separata dalla realtà che la precede, perché da essa deriva: ma, giacché deriva dall’Uno, si fa molti e mantiene in sé la natura dell’alterità, divenendo uno-molti. Proprio costretta da questo suo essere uno-molti, l’Intelligenza produce le molteplici intelligenze.
In generale non è possibile cogliere l’uno numerico e indivisibile: quello che tutt’al più si riesce a cogliere è una forma, perché siamo in assenza di materia.
È questo che intendeva dire Platone con la sua espressione enigmatica: “l’essere si particolarizza in parti piccolissime”[15]. Infatti, finché tale partizione procede verso un’altra specie, partendo da un genere, non è ancora indefinita, in quanto le specie generate le delimitano. Però, l’infima specie, che non ammette più ulteriori specificazioni, quella si è indefinita.
Ecco quindi l’espressione: “a questo punto la si lasci andare nell’indefinito e tanti saluti!”[16] Solo in quanto le cose vengono prese in sé sono indefinite, perché se vengono ricomprese nell’uno già rientrano nell’ordine del numero.
L’Intelligenza, pertanto, possiede la sua ipostasi successiva, cioè l’Anima, la quale rientra, anch’essa, nella sfera del numero fino ai suoi limiti estremi, coincidenti proprio con l’indefinito.[17] Certo, è pur sempre Intelligenza una parte di tal genere, e, sebbene l’Intelligenza sia padrona di tutto ed anzi sia il tutto […], l’Anima è parte di una parte, ed è come un’attività che viene dall’Intelligenza. Infatti, quando quest’ultima sviluppa la sua attività al suo interno, l’effetto del suo agire corrisponde ad altre intelligenze; quando, invece, agisce dall’interno all’esterno, l’effetto è l’Anima.
E poi, se l’Anima agisce in funzione di genere o di specie, le altre anime avranno carattere di specie. I loro atti sarebbero quindi duplici: verso l’altro, e allora si ha un’Intelligenza, verso il basso, e si hanno le altre potenze di diverso ordine; quella estrema è ormai a contatto con la materia e la configura. Il fatto che ci sia una parte bassa dell’Anima non impedisce che tutto il resto stia in alto.
In verità, quella che si chiama parte inferiore dell’Anima non è che una raffigurazione e non una parte separata: è simile alle immagini nello specchio, che ci sono solamente finché lì fuori si trova il loro modello.[18] Certo, bisogna ben comprendere che cosa si intende con quel “fuori”.
Il cosmo intelligibile al gran completo, perfetta composizione della tonalità degli intelligibili, corrisponde a tutto ciò che è prima dell’immagine; questo mondo è invece una imitazione di quello, ed esso è vivo solo nella misura e nella maniera in cui riesce a conservare l’immagine del Vivente, come un disegno o un’immagine riflessa sull’acqua assomigliano a ciò che è davanti all’acqua o al disegno.
Tuttavia, la copia che si rappresenta nel disegno e sull’acqua non raffigura insieme il ritrattista e il modello, ma solo quest’ultimo in quanto prodotto dal primo. Così la copia dell’intelligibile rappresenta un’immagine non dell’artefice, ma di ciò che è compreso nell’artefice, come per esempio l’uomo e ogni altro vivente. Dunque, vivente questo e vivente chi li produce, ma l’uno e l’altro stanno all’interno dell’Intelligenza se pure a diverso titolo.
Note
[1] L’episodio del furto della collana alla vedova Chione serve a Porfirio per offrire un esempio di fisiognomica, cioè della capacità di scrutare i caratteri degli uomini a partire dalle sembianze fisiche.
[2] Lilibeo (Lilybaeum per i romani) fu un’antica città fondata dai punici esuli (secondo la testimonianza di Diodoro) e situata all’estremo ovest della Sicilia sotto l’attuale Marsala, verso Capo Boeo originariamente chiamato Capo Lilibeo.
[3] Questo episodio può essere l’origine del trattato plotiniano sul suicidio (Enneadi, I 9) e certamente ha ispirato il Dialogo tra Plotino e Porfirio di Giacomo Leopardi. La depressione melanconica di Porfirio, il suo desiderio di suicidio e la cura siciliana sono narrati in modo parzialmente diverso in “Vita di Porfirio” dal sofista, filosofo e storico greco antico Eunapio (Sardi, 347 – dopo il 414).
[4] Il filosofo britannico Taylor (Londra, 15 maggio 1758 – Londra, 1º novembre 1835) è stato il primo a tradurre in lingua inglese l’opera di Aristotele e Platone nella sua interezza. Tradusse anche i canti orfici, Proclo, Porfirio, Apuleio, Giamblico. Laddove a parer suo si necessitava di correzioni furono inserite e queste sue versioni influenzarono personaggi come William Blake, William Wordsworth e Shelley, nonché in America da G.R.S. Mead, il segretario della fondatrice della Teosofia, Madame Blavatsky. Per maggiori info sulle opere di Taylor: Fondazione Prometheus Trust (http://www.prometheustrust.co.uk/index.html)
[5] Dal Sofista: “Dunque, poiché conveniamo nel ritenere che alcuni generi ammettano una reciproca comunione degli uni fra loro e con gli altri, e invece altri no, e alcuni in modo ristretto e altri in modo ampio, e che niente impedisca che altri ancora, estendendosi attraverso tutti, abbiano comunione con tutti, seguiamo con il ragionamento ciò che ne consegue, conducendo l’esame in questo modo, ossia non riguardo a tutte le Idee, per non confonderci fra molte, bensì scegliendo alcune di quelle che sono considerate grandi. In primo luogo, esaminiamo quale sia ciascuna di esse, poi quale capacità abbiano di comunione fra di loro, affinché, se pur non possiamo cogliere l’essere e il non-essere con tutta chiarezza, il nostro ragionamento non venga a mancare di nulla intorno ad essi, per lo meno per quanto il procedimento della attuale ricerca lo permetta, se mai a noi che diciamo che il non-essere è veramente non-essere, riesca possibile cavarcela senza danno.”
[6] Platone scrive nel Parmenide: “Dunque, l’Uno-che-è è sia uno sia molti, sia tutto sia parti, sia limitato sia quantità infinita”.
[7] Enneade VI 1, 1.
[8] Sofista.
[9] Procedendo secondo il metodo della διαίρεσις (dal verbo διαιρέω, “smonto”, “distinguo”), termine utilizzato nella filosofia platonica e stoica. È precisamente una tecnica divisoria che ricorre nei dialoghi che parte da un concetto più vasto per procedere con concatenazioni di divisioni per arrivare alla definizione di un concetto.
[10] Timeo.
[11] Enneade VI 3, 2.
[12] Platone nel Filebo scrive: “Che i molti siano uno e l’uno sia molti è cosa meravigliosa a dirsi”.
[13] Nel saggio introduttivo del libro si considera che questa affermazione di semplicità dell’anima sia aporetica (impossibilità di dare una risposta precisa ad un problema) per la natura e struttura dell’anima. Ma, ora, si vuole ragionare sul termine usato da Plotino: ἁπλοῦς che ha come significato “semplice, schietto, ingenuo, sincero, non artificiale” e che potrebbe intendere propriamente l’essenza dell’Anima come semplice emanazione dell’Intelligenza. Dall’Uno deriva la Diade indeterminata che viene determinata dall’Uno medesimo ed, in tal modo, si generano le essenze dei numeri. La differenza sostanziale tra Platone e Plotino in questa affermazione è che per Platone l’Uno e la Diade erano principi primi originari, per Plotino invece dall’Uno deriva la Diade, passiamo dunque da una struttura bipolare ad una monopolare (ed anche in questo caso siamo vicini al Vecchio Testamento). L’Uno resta trascendente e produce l’Intelligenza e l’Essere non per scelta o per volontà e non per movimento. L’Uno nella creazione resta immobile, irradia da sé una forza produttiva di infinita potenza. La Diade ha bisogno dell’Uno, ma l’Uno non ha bisogno di essi perché è potenza da cui derivano tutte le cose ma non è nessuna delle cose che da Lui derivano. L’Intelligenza è così immagine dell’Uno e l’Anima è immagine dell’Intelligenza. Ci deve essere una attività di ritorno: il generato deve rivolgersi verso il generante e contemplarlo.
[14] Timeo.
[15] Platone nel Parmenide, 144.
[16] Platone nel Filebo, 16.
[17] Momento finale della creazione della materia.
[18] Anche in questo caso come per la nota 13, nel saggio introduttivo si parla di aporia perché la parte inferiore dell’anima rispecchiando il modello come immagine implica una differenziazione a livello ontologico e dunque una inferiorità gerarchica in antitesi con il sistema. Ma, l’inferiorità della immagine non viene presa in considerazione se si pensa che l’Anima così come l’Intelligenza tende all’Uno (guarda verso l’alto) ma ha anche una tendenza verso il basso, che nel caso dell’Intelligenza genere l’Anima, e nel caso dell’Anima genera la materia. Ne consegue che inferiore/superiore non debbano essere presi come poli negativo/positivo. La materia è l’immagine dell’Anima, ciò che l’Anima ha creato grazie alle ragioni formali. La materia stessa è provvista di questa duplice visione verso il basso e verso l’alto.
Info
Rubrica Dalle Enneadi secondo Plotino
Bibliografia
“Enneadi” di Plotino, Arnoldo Mondadori Edizioni, 2012. Traduzione di Roberto Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di Giovanni Reale.
2 pensieri su “Dalle Enneadi secondo Plotino: i generi dell’Essere II”