Dalle Enneadi secondo Plotino: sul fatto che ciò che è al di là dell’essere non pensa e su che cosa siano il primo e il secondo principio pensante
“Un conto è il pensiero di qualcos’altro, un altro conto è il pensiero di sé, il quale evita in maggior misura il carattere della dualità. Anche il primo pensiero desidererebbe questo, ma ci riesce in minor misura, perché, pur avendo in sé l’oggetto della sua visione, si differenzia da questo.” – Plotino

Plotino (Licopoli, 203/205 – Minturno (o Suio), 270) è considerato l’erede di Platone e padre del neoplatonismo, le informazioni che abbiamo su questo importante filosofo greco provengono dalla Vita di Plotino ad opera dell’allievo Porfirio, inserita come prefazione alle Enneadi.
Porfirio racconta nella biografia: “Plotino, di certo, possedeva sin dalla nascita qualcosa in più rispetto agli altri. Difatti, un sacerdote egiziano giunto a Roma, che lo aveva conosciuto tramite un amico e che voleva fare sfoggio della sua sapienza, portò Plotino a contemplare l’evocazione del suo proprio demone che lo custodiva. Dopo che questi accettò, l’evocazione avvenne nel tempio di Iside: l’egiziano, infatti, sosteneva che a Roma soltanto quel luogo fosse puro. Il demone fu evocato sotto i loro occhi, ma comparve un dio che non apparteneva al genere dei demoni; allora l’egiziano esclamò: Beato te, che hai un dio per demone e non un custode di grado inferiore. Non fu tuttavia possibile interrogarlo né guardarlo di presenza più a lungo, giacché un amico, che assisteva, strangolò gli uccelli che teneva in custodia, forse per invidia o forse per paura. Plotino, quindi, stava sempre in presenza di uno dei demoni più divini e teneva orientato verso di lui il suo sguardo divino.”
Le Enneadi (in greco antico: Ἐννεάδες, Enneádes) sono composte da sei gruppi di nove trattati ciascuno. Porfirio ordinò i trattati in senso ontologico con lo scopo di tracciare un percorso per il lettore per il raggiungimento del superamento della condizione terrena e, dunque, per giungere alla comprensione della filosofia.
Gli scritti di Plotino hanno ispirato teologi, mistici, cristiani, musulmani, ebrei, gnostici e metafisici pagani.
Dal 9 marzo al 4 maggio abbiamo presentato la prima Enneade con alcuni paragrafi tratti dall’edizione Mondadori del 2012. Abbiamo così attraversato gli argomenti “Che cos’è il vivente e chi è l’uomo”, “Le virtù“, “La dialettica”, “La felicità”, “Se l’essere felice aumenta col tempo”, “Il Bello”, “Il primo bene e tutti gli altri“, “Quali siano e da dove vengono i mali” ed “Il suicidio”.
Dall’8 giugno al 3 agosto abbiamo presentato la seconda Enneade ed i suoi nove trattati: “Il Cielo“, “Il moto celeste“, “Se gli astri hanno un influsso“, “La materia“, “Ciò che è in potenza e ciò che è in atto“, “La sostanza e la qualità”, “La commistione totale“, “La vista, perché le cose lontane appaiono piccole“, “Contro gli gnostici“.
Dal 7 settembre al 2 novembre abbiamo presentato la terza Enneade: “Il Destino”, “La provvidenza I”, “La provvidenza II”, “Il demone che ci ha avuto in sorte”, “Eros”, “L’impassibilità degli esseri incorporei”, “Eternità e tempo”, “La natura, la contemplazione e l’Uno”, “Considerazioni varie”.
Dal 7 dicembre al primo febbraio abbiamo presentato la quarta Enneade: “La sostanza dell’Anima I”, “La sostanza dell’Anima II”, “Questioni sull’Anima I”, “Questioni sull’Anima II”; “Questioni sull’Anima III”, “La sensazione e la memoria”, “L’immortalità dell’Anima”, “La discesa dell’Anima nei corpi”, “Se tutte le anime siano una sola”.
Il primo trattato della quinta Enneade è intitolato “Le tre ipostasi originarie” e come da titolo si presentano le tre ipostasi: Uno, Intelligenza ed Anima. Per questa sorta di Trinità i padri della Chiesa hanno sempre interpretato Plotino vicino alla loro dottrina sebbene le tre ipostasi siano differenti dalle tre Persone della Trinità.
Il secondo si intitola “La genesi e l’ordine della realtà che vengono dopo il primo” ed in ordine temporale è l’undicesimo scritto da Plotino. In questo breve trattato Plotino riprende in modo più marcato un concetto già espresso: l’Uno non è nulla di ciò che da lui deriva, e proprio perché nulla di ciò che da lui deriva è in lui, tutto può derivare da lui.
Il terzo trattato della quinta Enneade si intitola “Le ipostasi che conoscono e ciò che è al di là” ed incentrato sul problema dell’autoconoscenza e dell’esperienza dell’Uno. Plotino riprende, in questo modo, concetti di Parmenide, di Platone e di Aristotele. Basato su concetti metafisici, l’uomo può conoscere se stesso solo comprendendo la struttura dell’intero, ossia delle realtà a tutti i livelli.
Il quarto trattato si intitola “Come dal primo principio derivi ciò che viene dopo il primo. Ricerche sull’Uno” e continua, come abbiam visto nel primo trattato della quinta Enneade, la netta differenza del neoplatonico nella rappresentazione dell’Uno.
Il quinto trattato si intitola “Sul fatto che gli intelligibili non sono esterni all’Intelligenza e sul bene” e ruota attorno alle ipostasi dell’Intelligenza e dell’Uno con la dimostrazione dell’impossibilità di separare l’Intelligenza dall’intelligibile.
Il sesto trattato si intitola “Sul fatto che ciò che è al di là dell’essere non pensa e su che cosa siano il primo e il secondo principio pensante” ed è il ventiquattresimo in ordine di stesura.
Si riprendono concetti già espressi nella quarta Enneade (trattati 4 e 5), cioè la dimostrazione sul come l’Intelligenza, per poter pensare, non possa essere un uno in senso assoluto perché è scissa in pensante e pensato. Dunque l’Intelligenza deve essere ad un tempo semplice e non-semplice.
Plotino riprende anche la concezione secondo la quale l’Uno non pensa e non può pensare, questo perché implicherebbe diventare Intelligenza così da aver pensante e pensato.
Per comprenderci l’Uno è paragonabile alla luce, l’Intelligenza al Sole e l’Anima alla Luna che riceve luce dal Sole.
Di seguito sono riportati il primo paragrafo ed il quinto dei sei complessivi del trattato, dunque, si invita all’acquisto del volume riportato in bibliografia per potersi dissetare pienamente.
Enneade V 6, 1

Un conto è il pensiero di qualcos’altro, un altro conto è il pensiero di sé,[1] il quale evita in maggior misura il carattere della dualità. Anche il primo pensiero desidererebbe questo, ma ci riesce in minor misura, perché, pur avendo in sé l’oggetto della sua visione, si differenzia da questo.
Il pensiero di sé invece non si distingue nella sostanza, ma restando in sé guarda sé: così, benché sia uno, diviene l’una cosa e l’altra. Il suo pensiero è poi più profondo, perché possiede quello che pensa; ed è anche pensiero primo, perché ciò che pensa non può che essere a un tempo uno e due.
Poniamo, a questo punto, che non sia uno; allora una cosa sarà il soggetto pensante, un’altra l’oggetto pensato. Non sarà, allora, un pensante in senso primario, perché il fatto di ricevere la conoscenza di qualcos’altro gli toglie la possibilità d’essere, appunto, un pensante in senso primario: in tal caso, non possiede il suo pensato come parte di sé e quindi neppure possiede se stesso.
Se, invece, si possedesse il pensato come se stesso, in modo da pensare nel senso autentico, allora la sua dualità diverrebbe unità, sicché necessariamente ambedue i termini si unificherebbero.
Ammettiamo ora che sia uno, e non anche due; in tal caso, non avrà un oggetto da pensare, e così neppure sarà una realtà pensante.
Di conseguenza dovrà essere semplice e non semplice nello stesso tempo.
Forse riuscirebbe più facile comprendere tale principio, partendo dall’Anima, perché da questa prospettiva non è difficile procedere alla distinzione e metterne ancor meglio a fuoco la duplicità.
Immaginiamoci una luce doppia, quella dell’Anima di minor intensità e quella del suo oggetto intelligibile di maggior purezza; poniamo, poi, che il contemplante sia della stessa luce del contemplato: allora, non avendo la possibilità di tenerli distinti per via di differenza, decideremo che quelle due luci sono una sola, da un lato pensando che erano due, ma dall’altro vedendone una unica.
Così si coglierà tanto il soggetto quanto l’oggetto del pensiero.
Tuttavia, nel ragionamento, partendo dal due abbiamo tratto l’uno, mentre, in verità, avviene l’esatto contrario, perché è dall’uno che scaturisce il due, per il fatto che pensa; o meglio, in quanto pensa è due, ma in quanto pensa se stesso è uno.
Enneade V 6, 5
Inoltre, il molteplice potrebbe mettersi in cerca di sé, piegarsi su se stesso allo scopo di avere una percezione di sé.
Ma ciò che è assolutamente uno in quale modo dovrà procedere per volgersi a se stesso? Che necessità avrebbe di essere cosciente?
In verità, è sempre lo stesso, e va oltre la coscienza e in generale oltre la conoscenza.
Il pensiero non è il primo né dal punto di vista dell’essere né da quello del valore, ma è secondo e frutto di generazione; il Bene lo fece essere, e, dopo di ciò, lo rivolse verso di sé: e questo si mosse e vide.
D’altra parte, proprio in ciò consiste il pensiero: in un moto verso il Bene per desiderio di esso; infatti, è il desiderio che produsse l’atto della conoscenza, associandola alla sua esistenza, perché il desiderare di vedere è già un vedere.
Dunque, il Bene in sé, necessariamente, non pensa nulla, dato che non è altro da sé.
De resto, quando qualcos’altro pensa il Bene in sé, lo pensa grazie al fatto d’essere simile al Bene e di avere un’analogia col Bene, e poi perché lo pensa come cosa buona e desiderabile, così da averne una specie di rappresentazione.
E se pensa questo per sempre, così è per sempre.
De resto, anche nella conoscenza del Bene, l’altro dal Bene riconosce accidentalmente se stesso; infatti, guardando il Bene, conosce se stesso mentre è in atto, ma l’atto di ogni cosa è rivolto al Bene.
Note
[1] Tutto il trattato è una polemica contro la concezione di quei filosofi che considerano il pensiero come principio supremo (ponendo dunque il pensiero al di sopra dell’essere). Il primo avversario è Aristotele che in Metafisica sostiene: “L’Intelligenza divina è ciò che vi è di più eccellente, pensa se stessa e il suo pensiero è pensiero di pensiero” ed anche “L’Intelligenza divina pensa se medesima per tutta l’eternità”. Plotino va anche contro il medioplatonico Alcinoo (filosofo greco vissuto probabilmente nel II sec d.C.; è autore del compendio per insegnanti “Epitome della dottrina di Platone”).
Info
Rubrica Dalle Enneadi secondo Plotino
Bibliografia
“Enneadi” di Plotino, Arnoldo Mondadori Edizioni, 2012. Traduzione di Roberto Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di Giovanni Reale.