“La Solitudine” di Charles Baudelaire: poemetto tratto da “Lo Spleen di Parigi”
“La Solitudine” è il poemetto numero 23 della famosissima raccolta “Lo Spleen di Parigi” di Charles Baudelaire, poeta, saggista e traduttore francese.

Il titolo parlante esplica l’argomento che il poeta parigino tratterà nel suo poemetto: questa solitudine che risulta incomprensibile alla maggioranza della popolazione, questo bisogno di tendere verso l’assoluto e di riflessione che interessa gli animi devoti alla comprensione dell’animale che ha scelto di nominarsi “uomo” ma che ancora oggi non si spinge alla ricerca dell’umanità.
“La Solitudine”
“Un giornalista filantropo mi dice che la solitudine è cattiva per l’uomo; e come tutti gli increduli conferma la sua tesi citando parole dei Padri della Chiesa.
So che il Demonio frequenta volentieri i luoghi aridi, e che lo Spirito d’assassino e di lubricità s’infiamma meravigliosamente nelle solitudini. Ma non è da escludere che codesta solitudine non sia pericolosa che per l’anima oziosa e divagante che la popola con le sue passioni e chimere.
È certo che un chiacchierone, il cui supremo piacere sta nel parlare dall’alto di una cattedra o d’una tribuna, rischierebbe la pazzia furiosa nell’isola di Robinson. Non pretendo che il mio giornalista abbia le animose virtù di Crosuè, ma chiedo che non condanni gli amanti della solitudine e del mistero.
Nelle nostre razze ciarliere ci sono individui che ammetterebbero con minor ripugnanza l’estremo supplizio, se gli fosse concesso di fare dall’alto del patibolo un’abbondante arringa, senza dover temere che i tamburi di Santerre gli vengano a tagliare intempestivamente la parola in bocca.
Non li compiango, perché capisco che dalle loro effusioni oratorie essi ricavano voluttà eguali a quelle che altri dal silenzio e dal raccoglimento; ma li disprezzo.
Soprattutto desidero che il mio maledetto gazzettiere mi lasci divertire a modo mio.
‒ Ma non provate mai, ‒ mi dice con voce molto apostolicamente nasale, ‒ il bisogno di condividere le vostre gioie?
Vedi un po’ che sottile invidioso! Sa che io disdegno le sue, e vorrebbe insinuarsi nelle mie, questo ignobile guastamestieri!
«La grande sventura di non poter essere soli!…», dice in un certo luogo la Bruyère, quasi per svergognare quelli che vanno a dimenticarsi nelle folle, certamente nel timore di non sapersi sopportare.
«Quasi tutte le nostre sciagure derivano dal fatto che non sappiamo rimanere in camera», dice un altro savio, Pascal, mi pare; e così richiama nella cella del raccoglimento tutti i forsennati che cercano la felicità nel movimento e in una prostituzione che potrei chiamare fraternitaria, se volessi parlare la bella lingua del mio secolo.”
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La traduzione ivi presentata del poemetto “La solitudine” è di Piero Bianconi.
Nota: Si narra che Santerre fu il comandante che avrebbe fatto rullare i tamburi quando Luigi XVI fu ghigliottinato.
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Charles Pierre Baudelaire nasce a Parigi il 9 aprile del 1821 ivi muore il 31 agosto del 1867.
Poeta, scrittore, critico letterario, critico d’arte, giornalista, filosofo, aforista, saggista e traduttore francese è ritenuto uno dei più importanti poeti del XIX secolo e non solo perché ancora oggi resta principe indiscusso del verso.
Esponente chiave del simbolismo, affiliato del parnassianesimo e grande innovatore del genere lirico, nonché anticipatore del decadentismo. I fiori del male, la sua opera maggiore, è considerata uno dei classici della letteratura francese e mondiale.
Il pensiero letterario e la vita biografica di Baudelaire hanno influenzato tanti autori che l’hanno succeduto (caso emblematico i cosiddetti “poeti maledetti” come Verlaine, Mallarmé e Rimbaud, ma anche gli scapigliati italiani come Emilio Praga, lo scrittore Marcel Proust, Edmund Wilson, Dino Campana, e, in particolar modo, Paul Valéry), appartenenti a correnti letterarie e vissuti in periodi storici differenti.
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