“Il vulcano malato” di Charles Baudelaire: la lettera a Richard Wagner
L’epistolario, come ben sappiamo, è l’insieme delle raccolte di lettere, pubbliche o private di un autore, che rivela il più delle volte il profondo intimo dell’essere umano aldilà dei libri pubblicati.
Non tutti possono permettersi di leggere gli epistolari, talune volte sono letture che destano noia se non le si intraprende per studio o per vocazione, altre volte, invece, provocano un forte rifiuto dell’autore amato.
“Il vulcano malato ‒ Lettere 1832-1866” (560 pagine) è l’ultima raccolta pubblicata in Italia delle lettere del poeta francese Charles Baudelaire, correva l’anno 2007, la casa editrice fu Fazi Editore e curatrice e traduttrice fu Cinzia Bigliosi Franck. Precede nel 1999 “La conquista della solitudine. Lettere 1832-1866” (400 pagine) edito da Lampi di Stampa e curato da Sir Michael Andrew Bridge Morpurgo come riproduzione della pubblicazione del 1988 di Archinto Editore. In realtà esiste anche una pubblicazione del 2009 ad opera di SE ma è una selezione delle sole lettere alla madre (“Lettere alla madre”, 126 pagine) dunque se ne sconsiglia la lettura perché è di forte rilievo intraprendere il viaggio nell’intimo baudelairiano avendo a disposizione anche le lettere ai vari personaggi culturali del periodo.
“Il vulcano malato”, oltre ad un titolo che illustra perfettamente l’amato parigino, ci mostra anno dopo anno un epistolario remoto, straniero che sa portare alla luce l’intimità dell’uomo, la sua ruvidità, il profondo rancore e l’amarezza. Un lettore attento delle opere di Baudelaire ha annusato il malessere della vita ma la lettura delle lettere palesa le angosce debitorie, i problemi con l’editoria, la necessità di esser benvisto da taluni ed odiato da altri, il duplice rapporto sentimentale con la madre.
Oggi, nella giornata dell’anniversario della sua morte (Parigi, 31 agosto 1867), si è scelto di pubblicare una lettera indirizzata al compositore, filosofo e saggista tedesco Richard Wagner (Lipsia, 22 maggio 1813 – Venezia, 13 febbraio 1883). Amico del filosofo Friedrich Nietzsche che lo definisce il massimo esempio dello spirito dionisiaco per il carattere istintuale della sua opera e, dunque, rappresentante di una rinascita dell’arte tragica in Europa; questo prima della rottura fra i due.
Charles Baudelaire, come si andrà leggendo, in un venerdì di febbraio del 1860 decide di scrivergli una lettera. Una scelta difficile perché considera per davvero Wagner un grandissimo compositore ed il suo animo è inebriato dalle note che “l’hanno riportato a se stesso”. Talvolta, è vero, Baudelaire ha scritto lettere a personaggi noti del tempo per richiedere consenso o qualche favore (per esempio la lettera a George Sand) ma la spinta che lo porta a scrivere a Wagner è sincera.
Il compositore tedesco, dopo aver ricevuto la lettera, chiese allo scrittore francese Champfleury (Jules François Félix Husson, detto Fleury – Laon, 1821 – Sèvres, 1889), capofila del realismo francese, di ringraziare personalmente Baudelaire. Questo è l’episodio che portò alla stesura di un saggio critico su Wagner. Nell’epistolario troviamo anche una lettera di Wagner a Baudelaire del 1861 nella quale si stabilisce la fratellanza fra i due e la reciproca stima.
La premessa è una sorta di “Ἀγεωμέτρητος μηδεὶς εἰσίτω” (“Non entri nessuno che non conosca la geometria”), un avvertimento per i lettori ed amanti di Baudelaire. In questa lettera (ed in tutte quelle presente ne “Il vulcano malato”) conoscerete l’uomo e questo potrebbe farvi rigettare l’astrazione che avete cibato durante gli anni con i versi de “I fiori del male”, i poemetti de “Lo Spleen di Parigi” o con le prose de “L’Arte Romantica”.
A Richard Wagner
[Parigi] Venerdì 17 febbraio 1860
Signore,
ho sempre immaginato che, per quanto abituato alla gloria, un grande artista non fosse insensibile a un complimento sincero, quando il complimento era come un grido di riconoscenza e, infine, che quel grido potesse avere un valore d’un genere particolare quando veniva da un francese, ossia da un uomo poco portato all’entusiasmo e nato in un paese in cui non ci si intende più di musica che di poesia e pittura. Prima di tutto voglio dirvi che vi devo il più grande godimento musicale che abbia mai provato.
Ho un’età in cui non ci si diverte più a scrivere agli uomini celebri e avrei esitato ancora a lungo a testimoniarvi per lettera tutta la mia ammirazione, se ogni giorno i miei occhi non fossero più caduti su articoli indegni, ridicoli, in cui si compiono tutti gli sforzi possibili per diffamare il vostro genio. Voi non siete il primo uomo, signore, per il quale io abbia dovuto soffrire e arrossire del mio paese. Alla fine l’indignazione mi ha spinto a testimoniarvi la mia riconoscenza. Mi sono detto: voglio distinguermi da tutti questi imbecilli.
La prima volta che sono andato agli Italiens[1] per ascoltare le vostre opere, ero abbastanza mal disposto e persino, lo confesso, pieno di cattivi pregiudizi, ma sono scusabile: sono stato così spesso vittima di raggiri, ho ascoltato tanta musica di ciarlatani di grandi pretese.
Da voi sono stato subito conquistato.
Ciò che ho provato è indescrivibile e se aveste la bontà di non ridere, tenterei di tradurlo. All’inizio mi è parso di conoscere quella musica, e più tardi, riflettendovi, ho capito da dove mi giungeva quel miraggio. Mi pareva che quella musica fosse la mia e che la conoscessi come ogni uomo riconosce le cose che è destinato ad amare.[2]
Per chi non è uomo di spirito, questa frase sarebbe immensamente ridicola, soprattutto se scritta da qualcuno, come me, che non conosce la musica e la cui educazione si limita ad avere ascoltato (con gran piacere, è vero) alcuni dei brani di Weber e di Beethoven.
In seguito, l’aspetto che mi ha colpito di più è stato la grandezza. Questa rappresenta il grande e spinge al grande. Ovunque nelle vostre opere ho ritrovato la solennità dei grandi rumori, delle grandi visioni della Natura e la solennità delle grandi passioni dell’uomo. Ci si sente immediatamente rapiti e soggiogati.
Uno dei pezzi più strani e che mi hanno dato una sensazione musicale nuova è quello che evoca un’estasi religiosa. L’effetto prodotto dall’ingresso degli invitati e dalla festa nuziale è immenso. Ho sentito tutta la maestà di una vita superiore alla nostra.
Un’altra cosa ancora: ho provato spesso un sentimento di una natura piuttosto strana, è l’orgoglio e il godimento di capire, di lasciarmi penetrare, invadere, voluttà veramente sensuale, e che assomiglia a quella di salire in cielo o di scivolare sul mare. E, allo stesso tempo, la musica emanava a tratti l’orgoglio della vita.
Generalmente queste profonde armonie mi parevano somigliare a quegli eccitanti che accelerano il polso dell’immaginazione. Infine ho provato anche, e vi supplico di non ridere, sensazioni che derivano probabilmente dalla fattezza del mio spirito e dalle mie frequenti inquietudini.
Ovunque vi è qualcosa di esaltato e di esaltante, qualcosa che aspira a salire più in alto, qualcosa di eccessivo e di superlativo. Ad esempio, per servirmi di paragoni presi a prestito dalla pittura, immagino davanti ai miei occhi una vasta distesa di un rosso scuro. Se questo rosso rappresenta la passione, lo vedo arrivare gradualmente, attraverso tutte le transizioni del rosso e del rosa, all’incandescenza della fornace.
Sembrerebbe difficile, persino impossibile, giungere a qualcosa di più ardente, e ciononostante un ultimo razzo arriva a tracciare un solco più bianco sul bianco che egli serve da sfondo. Sarà questo, se volete, il grido supremo dell’anima giunta al suo parossismo.
Avevo cominciato a scrivere alcune riflessioni sui brani del Tannhäuser e del Lohengrin che abbiamo ascoltato, ma riconosco l’impossibilità di dire tutto.
Così potrei continuare questa lettera all’infinito. Se potete leggermi, vi ringrazio. Dal giorno in cui ho ascoltato la vostra musica, mi dico di continuo, soprattutto nelle ore più brutte: Se almeno questa sera potessi ascoltare un po’ di Wagner![3]
Vi sono di certo altri uomini come me. Insomma, dovreste esser soddisfatto del pubblico il cui istinto è stato ben superiore alla cattiva scienza dei giornalisti. Perché non date altri concerti aggiungendovi brani nuovi? Ci avete fatto conoscere un assaggio di nuovi godimenti, avete diritto di privarci del resto?
– Una volta ancora, signore, vi ringrazio. Mi avete ricordato a me stesso e a ciò che vi è di grande, in ore buie.
Ch. Baudelaire
Non aggiungo il io indirizzo, perché potreste credere che abbia qualcosa da chiedervi.
Lettera di Richard Wagner
Parigi, 15 aprile 1861
Mio caro signor Baudelaire,
sono venuto diverse volte a casa vostra senza trovarvi.
Sappiate che sono desideroso di dirvi quale immensa soddisfazione mi ha dato il vostro articolo che mi onora e mi incoraggia più di tutto ciò che non sia mai stato detto del mio povero talento.
Non sarebbe possibile dirvi presto, di persona, come mi sia sentito inebriato leggendo le vostre belle pagine che mi raccontavano – come lo fa la miglior poesia – le impressioni che devo vantarmi di aver prodotto su un’intelligenza superiore come la vostra?
Grazie mille del favore che mi avete fatto e spero di potervi chiamare amico.
A presto, non è vero?
Vostro,
Richard Wagner
Note
[1] Il boulevard des Italiens è uno dei Grands Boulevards di Parigi e fa parte della catena costituita ad ovest verso est dai boulevard de la Madeleine, des Capucines, des Italiens e Montmartre. Prende il nome dal Théâtre des Italiens costruito nel 1783 poco prima della rivoluzione.
[2] Questa descrizione è molto simile all’emozione vissuta da Baudelaire quando per la prima volta lesse Edgar Allan Poe (lettera a Fraisse e lettera a Thoré del giugno del 1864).
[3] Il trasporto di Baudelaire potrebbe essere sincero perché negli ultimi mesi di vita, ormai quasi in agonia, chiese che quando possibile, gli fosse suonata della musica di Wagner.
Bibliografia
“Il vulcano malato ‒ Lettere 1832-1866” di Charles Baudelaire, a cura di Cinzia Bigliosi Franck, Fazi Editore, 2007
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