“A un papa” poesia di Pier Paolo Pasolini: non fare il bene significa peccare
Di seguito si potrà leggere la poesia intitolata “A un papa” di Pier Paolo Pasolini ed una breve biografia dello scrittore, regista, saggista e poeta italiano.
“A un papa”

Pochi giorni prima che tu morissi, la morte
aveva messo gli occhi su un tuo coetaneo:
a vent’anni, tu eri studente, lui manovale,
tu nobile, ricco, lui un ragazzaccio plebeo:
ma gli stessi giorni hanno dorato su voi
la vecchia Roma che stava tornando così nuova.
Ho veduto le sue spoglie, povero Zucchetto.
Girava di notte ubriaco intorno ai Mercati,
e un tram che veniva da San Paolo, l’ha travolto
e trascinato un pezzo pei binari tra i platani:
per qualche ora restò li, sotto le ruote:
un po’ di gente si radunò intorno a guardarlo,
in silenzio: era tardi, c’erano pochi passanti.
Uno degli uomini che esistono perché esisti tu,
un vecchio poliziotto sbracato come un guappo,
a chi s’accostava troppo gridava: «Fuori dai coglioni».
Poi venne l’automobile d’un ospedale a caricarlo:
la gente se ne andò, restò qualche brandello qua e là,
e la padrona di un bar notturno, più avanti,
che lo conosceva, disse a un nuovo venuto
che Zucchetto era andato sotto un tram, era finito.
Pochi giorni dopo finivi tu: Zucchetto era uno
della tua grande greggia romana ed umana,
un povero ubriacone, senza famiglia e senza letto,
che girava di notte, vivendo chissà come.
Tu non ne sapevi niente: come non sapevi niente
di altri mille e mille cristi come lui.
Forse io sono feroce a chiedermi per che ragione
la gente come Zucchetto fosse indegna del tuo amore.
Ci sono posti infami, dove madri e bambini
vivono in una polvere antica, in un fango d’altre epoche.
Proprio non lontano da dove tu sei vissuto,
in vista della bella cupola di San Pietro,
c’è uno di questi posti, il Gelsomino…
Un monte tagliato a metà da una cava, e sotto,
tra una marana e una fila di nuovi palazzi,
un mucchio di misere costruzioni, non case ma porcili.
Bastava soltanto un tuo gesto, una tua parola,
perché quei tuoi figli avessero una casa:
tu non hai fatto un gesto, non hai detto una parola.
Non ti si chiedeva di perdonare Marx! Un’onda
immensa che si rifrange da millenni di vita
ti separava da lui, dalla sua religione:
ma nella tua religione non si parla di pietà?
Migliaia di uomini sotto il tuo pontificato,
davanti ai tuoi occhi, son vissuti in stabbi e porcili.
Lo sapevi, peccare non significa fare il male:
non fare il bene, questo significa peccare.
Quanto bene tu potevi fare! E non l’hai fatto:
non c’è stato un peccatore più grande di te.
“A un Papa” appartiene alla sezione “Umiliato e offeso – Epigrammi (1958)”, “La religione del mio tempo”.
Il papa di cui si tratta ne “A un papa” è Pio XII.
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo del 1922 e muore a Roma il 2 novembre del 1975.
Poeta, giornalista, regista, sceneggiatore, attore, paroliere e scrittore italiano, Pier Paolo Pasolini è considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo perché dotato di un’eccezionale versatilità culturale.
Distinguendosi in numerosi campi artistici ha lasciato contributi come poeta, romanziere, drammaturgo, linguista, giornalista e cineasta.
Pier Paolo Pasolini è stato un attento osservatore della trasformazione della società dal dopoguerra sino alla metà degli anni Settanta. Il suo nome è legato forti polemiche e accesi dibattiti per la radicalità dei suoi giudizi, assai critici nei riguardi delle abitudini borghe e della nascente società dei consumi italiana, ma anche nei confronti del Sessantotto e dei suoi protagonisti.
Marco Salvario in una recensione de “Scritti corsari” scrive: “Quando Pasolini muore, massacrato in modo atroce, un delitto che la versione ufficiale archivia come una rapina finita male, ma sul quale si sono scritte, si scrivono e si scriveranno ancora migliaia di pagine ipotizzando intrighi e complotti, io ho appena compiuto 14 anni; appartengo infatti a quella generazione confusa e intimidita, arrivata al liceo dopo gli anni del ’68, che si è beccata il disprezzo di coloro che l’hanno preceduta e l’onda restauratrice di insegnanti e genitori. Sono anni di tensione. Di quella morte ricordo l’orrore, lo scandalo e la malata curiosità della gente; il compiacimento di chi ha sentenziato: ‘Se lo meritava, non poteva finire che così.'”
Filomena Gagliardi in una recensione de “Il mio calcio” scrive: “Pasolini analizza il fenomeno del calcio da un punto di vista culturale, sociale, ma anche quotidiano, immaginando una realtà totalmente dominata dal pallone, come una religione. Certo Pasolini non poteva prevedere il “calcio spezzatino” dei nostri giorni, eppure è stato lungimirante. Solo una cosa non posso perdonargli e nemmeno la Storia, del resto, può dargli ragione, ed è il passo in cui egli afferma: “Che le donne giochino a pallone è uno sgradevole mimetismo un po’ scimmiesco. Esse sono negate al calcio come Benvenuti o Monzon”. Queste righe, poste alla fine del volumetto, tanto inattese quanto poco eleganti, hanno compromesso un po’ sulle prime il mio giudizio sull’intera raccolta.”
Timothy Dissegna in un articolo commemorativo scrive: “Chiunque ami la letteratura, il cinema, la gioia di amare e vivere appieno deve fare conoscenza di questo straordinario intellettuale: scoprirà una persona completamente diversa dai canoni classici di scrittore, regista, poeta a cui siamo abituati. Come in una partita di calcio, sarà attratto dai suoi tocchi di fino sull’anima dei suoi personaggi e si perderà negli occhi di quest’uomo, narratore che ha sconfitto la morte dell’anima.”
Il regista David Greco per il film “La macchinazione” in una intervista di Irene Gianeselli dichiara: “La realtà è che il primo giorno che sono arrivato sul set io sono ricaduto in quegli anni. L’ho girato come fosse stato il presente e questo è stato percepito da tutti e anche chi non era ancora nato in quegli anni è entrato in questa specie di bolla. Si vede emotivamente che ho voluto fare questo film come se l’avessi girato un mese dopo la morte di Pasolini, perché sentivo anche il senso di colpa per non averci pensato prima a fare questo film e soprattutto il senso di colpa di tutto il cinema italiano che non ci ha pensato.”
Stefano Pioli in una recensione de “Le ceneri di Gramsci” scrive: “Non t’occorre, come poeta, come uomo, la necessità di farti intendere, quanto quella di farti udire, sentire gemere, morire. Questa è la comunicazione che tu non hai scelto: è lei, materna femmina, che ha scelto te. Tu rifiuti il moderno, il verso libero e improvvisato, tu mediti su ogni sillaba, su ogni parola, fino a spezzarla.”
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A un Papa appartiene alla sezione “Umiliato e offeso – Epigrammi (1958)”, La religione del mio tempo. Il papa è Pio XII.