“Scritti corsari” di Pier Paolo Pasolini: la vena polemica di un intellettuale
Recensione de “Scritti corsari” di Pier Paolo Pasolini (Garzanti)
Il mio rapporto con il personaggio di Pier Paolo Pasolini e con le sue opere è stato difficile per molti motivi, non ultimo quello, quando mi guardo allo specchio, di sentirmi quel nemico piccolo borghese da lui tanto odiato e disprezzato. Non sono certamente l’intellettuale illuminato, alternativo, tignoso e combattivo, che lui cercava come compagno e complice, ammesso che tale figura esista ora o sia esistita allora.
Quando Pasolini muore, massacrato in modo atroce, un delitto che la versione ufficiale archivia come una rapina finita male, ma sul quale si sono scritte, si scrivono e si scriveranno ancora migliaia di pagine ipotizzando intrighi e complotti, io ho appena compiuto 14 anni; appartengo infatti a quella generazione confusa e intimidita, arrivata al liceo dopo gli anni del ’68, che si è beccata il disprezzo di coloro che l’hanno preceduta e l’onda restauratrice di insegnanti e genitori.
Sono anni di tensione. Di quella morte ricordo l’orrore, lo scandalo e la malata curiosità della gente; il compiacimento di chi ha sentenziato: “Se lo meritava, non poteva finire che così.”
Solo molto tempo dopo, leggendo i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta, ho scoperto uno scrittore intelligente e appassionato che mi ha emozionato, ma è stata una passione che si è bloccata dopo la visione di Salò o le 120 giornate di Sodoma, film controverso che non sono riuscito ad accettare e fare mio. Probabilmente adesso potrei cogliere meglio allusioni e significati, ma è stata un’esperienza negativa che, al momento, non sono interessato a ripetere.
Salò e Scritti corsari sono entrambi del 1975, l’anno della brutta morte del loro creatore. Molti hanno voluto leggerli come un testamento, come un’ultima sfida lanciata a una società in cui non si riconosceva e da cui si sentiva respinto, ma questa interpretazione non prende in considerazione la vena polemica di un intellettuale che non si ritiene per nulla alla fine della propria esistenza. Se è un testamento, è un testamento rabbioso, indirizzato a un futuro lontano, senza nessun lascito ereditario.
Scritti corsari ha come secondo titolo: Gli interventi più discussi di un testimone provocatorio.
C’è un evidentemente contrasto tra testimone e provocatorio; un testimone è, dovrebbe essere, obiettivo, mentre lo scrittore è ben consapevole che la sua penna è un’arma feroce e graffiante, usata per attaccare e per difendersi; ugualmente è consapevole della frammentarietà degli articoli raccolti, aggressivi, sdegnati e sofferti, che si dipanano guidati da una partecipazione troppo intensa, che sovente rende il ragionamento incoerente, forzato, nevrotico.
Sfuriate, riferimenti di grande cultura, ragionamenti geniali, scontri verbali quasi volgari, colpi bassi, disegnano un Pasolini uomo inquieto, alle prese con i suoi dubbi, i suoi drammi, la sua disperazione. Comincia parlando di un argomento e, di colpo, il discorso sterza su un altro.
Sgorga inarrestabile la sua emarginazione in un contesto politico e culturale, dove attacca a testa bassa il fascismo, il nuovo fascismo che lui riconosce come anima della società dei consumi, sostenuto dal potere democristiano, dalla chiesa cattolica di cui vaticina la dissoluzione e dalla stessa opposizione comunista. Col cuore vorrebbe, ma non riesce a riconoscersi in nessuno dei cento volti della sinistra del periodo. Se cerca di avvicinarsi, lo scontro è subito aspro e deludente; non riesce ad accettare compromessi e a superare le differenze.
Purtroppo i quasi 50 anni che ci separano dai fatti e dai personaggi citati, sono una pesante tara alla lettura.
Molti pensieri sono pesantemente collegati a un passato che non ricordiamo bene o che ci fanno sorridere, come il primo articolo che affronta il fenomeno dei cappelloni. L’analisi che viene fatta di quella moda è originale, caustica, forse un po’ snob, però da questo inizio, come dalle polemiche sui gusti commerciali imposti a una società omologata e senza più individualità, sui jeans Jesus, la mia attenzione si è progressivamente sposata alla tensione nervosa di un pensatore solo, che è disgustato dalla massa prigioniera dell’illusorio benessere economico, del lusso borghese, egoista, priva di valori. Niente Dio, niente patria e niente famiglia, demolita dal referendum sul divorzio e dalle leggi sull’aborto.
Sull’aborto le sue idee scandalizzano le femministe di ieri e di oggi, come quando cerca di rifiutare alla donna il diritto a compiere lei la scelta, ricordando che mentre l’embrione è stato concepito, era comunque sempre presente un uomo; vero, però la scelta dell’aborto è legata al problema che quando il bambino nasce, quell’uomo potrebbe decidere di non essere partecipe. Non vado avanti perché la discussione diventerebbe infinita.
Un brivido freddo lo destano le polemiche con Carlo Casalegno, allora direttore della Stampa. Scrive Pasolini, che pure si dichiara sempre non violento: “Se egli (Casalegno) osa ripetere qualcosa di simile, prendo il treno, salgo a Torino, e passo alle vie di fatto”. Non sarà Pasolini a passare alle vie di fatto ma un gruppo di fuoco delle brigate rosse, che nel 1977 sparerà al giornalista torinese, causandone la morte dopo due settimane di agonia.
Uno dei limiti di Scritti corsari, è il riportare solo la voce di Pasolini, mentre non conosciamo più i commenti e i giudizi a cui risponde. Il tempo non è galantuomo e il lettore dovrebbe lasciare il posto a studiosi ed esperti del periodo di cui io non faccio parte.
L’omosessualità di Pasolini torna spesso, in modi a volte brutali. Scrivendo di un caso di stupro violento avvenuto su un quindicenne nel carcere di San Vittore da parte di due suoi compagni di cella maggiorenni, l’autore cita la frase: “… non c’è disegno di carnefice che non sia suggerito dallo sguardo della vittima”. La frase è introdotta con un inaccettabile: “Tutti sanno bene che …”.
L’articolo sostiene che nelle carceri non vadano tolti i diritti dei reclusi alla sessualità, su questo nulla da eccepire, e che l’amore omosessuale sia il sistema più logico e semplice, una soluzione che va sdrammatizzata. In un altro passo, propone l’uso dell’omosessualità come soluzione per contenere l’eccessivo aumento delle nascite.
Provocazioni, credo e spero, ma le parole restano e sono pesanti.
Alcuni degli articoli sono analisi di libri che Pasolini riscopre dal passato. Non voglio fare la recensione di recensioni, però mi ha piacevolmente colpito “I due compagni” di Giovanni Comisso. Il libro è stato pubblicato nel 1934 e Pasolini sa esprimere pensieri e spunti, pur non riuscendo a fare tacere in numerosi momenti il suo bisogno di provocare, che invitano alla lettura. Non mi ha sorpreso, cercando il volume su internet, trovare il giudizio di un lettore che, lodandolo, scriveva di averlo acquistato proprio dopo avere letto Scritti corsari.
Pagina dopo pagina, ci troviamo a incontrare tanti personaggi del passato analizzati con lo sguardo di un polemista che non sapeva quale sarebbe stato il loro futuro; molti non hanno lasciato traccia, altri sono ancora ben presenti nei miei ricordi anche se forse non in quelli di molti giovani. Ho già citato Casalegno, poi Pannella, il papa Paolo VI, Fanfani, Berlinguer, Maurizio Ferrara, Calvino, Moravia, Fortini… e, per non dimenticare, sono anni di stragi: Milano, Brescia, Bologna.
In questa Italia in divenire, dove non è banale l’analisi che viene dedicata alla differenza tra “sviluppo” e “progresso”, Pasolini si mostra fragile e sofferente poeta, alla ricerca di una società di uomini nuovi, di comprensione, di dialogo, di condivisione. Una creatura malata, sofferente, disperata, esacerbata, ma intelligente e coraggiosa, a cui una mano scellerata ha tolto la possibilità di continuare a sostenere con ogni energia le sue verità.
Written by Marco Salvario
Mi bastano due passaggi della recensione per nutrire forti dubbi sull’obiettività dell’autore, che non conosco.
Un primo passaggio è “Niente Dio, niente patria e niente famiglia, demolita dal referendum sul divorzio e dalle leggi sull’aborto.”
Il secondo riguarda la posizione di Pasolini sull’aborto che, per come sintetizzata, fa comprendere che Marco Salvario non abbia letto bene gli scritti di Pasolini, o non li abbia bene interpretati.
Il terzo passaggio, alla fine.
Sul primo passaggio v’è ben poco da dire; si commenta da solo laddove si sostiene, con lamento, che i referendum su divorzio e aborto abbiano demolito la famiglia. Quella famiglia patriarcale (quella, almeno, sì) dove alle donne era riservato un duplice ruolo: fattrice di figli e serva del marito e dei figli.
Sul secondo argomento, in sintesi, dirò che il senso sacro che Pasolini aveva della famiglia e della maternità lo ha condotto ad una analisi che andava oltre. Rimproverava al fronte abortista di avere affrontato il problema dalla parte sbagliata, cioè dalla fine anziché dall’inizio. A tutela della libera determinazione di una donna di avere o meno figli, non bisognava liberalizzare l’aborto che, in ogni caso, segna la soppressine di una vita concepita. Bisognava agire “al momento del coito”, cioè educare le nuove generazione ai sentimenti, alle relazione e al modo di affrontare le esperienze sessuali. Proponeva una EDUCAZIONE SESSUALE che ancora oggi si vieta di far entrare nelle scuole, per l’opposizione di una classe politica bigotta e appecoronata a posizioni reazionarie e oltranziste che nemmeno in Vaticano ormai coltivano più. E proponeva, Pasolini, una larga diffusione dei metodi contraccettivi, quei medesimi che l'”illuminato” Montini aveva severamente vietato al suo gregge. Al medesimo gregge si era rivolto poi l’ex sant’Uffizio che, con la Dichiarazione del 16 gennaio 1976, aveva fatto calare piombo su tutto ciò che doveva essere oggetto di educazione e informazione libera rivolta alle medesime nuove generazioni.
Il terzo passaggio della recensione mostra una deviata lettura dell’intera vita e produzione di Pasolini. Alla fine, il recensore conclude: “Una creatura malata, sofferente, disperata, esacerbata…”.
MALATA di cosa ? Di omosessualità ? Sofferente per cosa ? Per la ignoranza e la malafede dei suoi interlocutori ?Disperata ? Ma se sprizzava voglia di vivere da tutti i pori!
Angelo Napolitano comincia accusandomi, tanto per non sbagliare, di nutrire forti dubbi sulla mia obiettività. Grazie dell’offesa gratuita, iniziare così sarebbe stato tipico di Pasolini, che però avrebbe portato avanti il suo discorso con argomenti più intelligenti.
Angelo Napolitano continua scrivendo che non ho letto bene Pasolini; dopo questo, assolto il compito denigratorio che si era prefisso, elenca senza citare mai una fonte, cosa secondo lui Pasolini avrebbe avuto intenzione di dire.
Mi limito a ripetere a tutti, con desolazione, che purtroppo questo Pasolini “illuminato” non esiste e non è certamente quello degli “Scritti corsari”.
Non cambio una virgola della mia frase che tanto dispiace a Angelo Napolitano, l’unica che cita, monca e traviata: “Una creatura malata, sofferente, disperata, esacerbata…”.
Chiarisco quello che una lettura obiettiva del mio commento avrebbe dovuto rendere ovvio:
Una creatura malata di solitudine, di insoddisfazione, di incomprensione; una malattia che rende Pasolini sofferente e disperato.
Come si fa a chiosare: “ma se spruzzava voglia di vivere da tutti i pori!”?
Chi ha detto il contrario? Si può essere malati terminali e sprizzare voglia di vivere.
Ringrazio Napolitano del commento fatto forse più di pancia che di testa, nulla di sbagliato in questo, però lo invito a rispettarmi come persona.
Le fonti, asseritamente non citate sono gli articoli afferenti all’aborto pubblicati in “Scritti corsari” e che ho anche sintetizzato la tesi base di Pasolini; una ulteriore dubbio sulla effettiva lettura dei testi o sulla corretta interpretazione di essi da parte di Salvario.
Prendo atto della piccata replica e osservo che, comunque, nulla è detto nel merito. Salvario legga Pasolini e chieda rispetto di sé a se stesso. Nel mio commento ho parlato della recensione e non di lui. Salvario, nel suo commento, ha parlato di me e non di Pasolini.
Anche a lui, a Pasolini, capitava così.
Non mi resta che invitare chi ha letto Scritti corsari a giudicare secondo la propria sensibilità. Con chi mi continua ad accusare di non avere letto il testo che ho commentato, è inutile continuare la polemica.
Concordo.
Io no.. perché la discussione è sempre utile, se è finalizzata a capire e a individuare le “pecche” che, nel mio idioma natio(reggiano), sono gli errori in cui si è scivolati.
Per me PPP è stato un variegato e immenso artista, non il più geniale del suo tempo anche se non so chi saprei dire chi possa esserlo (Borges?, boh), ma PPP è stato un artista che ha tanto aiutato noi italiani a capire il nostro strambo paese, per cui io non posso esimermi dal ringraziarlo.
Lessi Scritti corsari poche settimane dopo la sua morte, probabilmente per onoraria, e vidi Salò per la medesima ragione. La prima opera mi stimolò un casino di sinapsi, mentre la seconda un po’ me le bloccò. Decenni dopo lessi il libro di De Sade che aveva ispirato il film (come allegoria, non come storia). Fui ulteriormente e anche maggiormente orripilato. Ancora oggi non posso che gioire (mezza antifrasi) all’idea che essa doveva alla fine risultare molto più ampia, anche se faccio fatica a “perdonare”, si fa per dire, non sono mica un prete, l’autore.
Tutte e tre le opere ormai fanno parte del mio vissuto a prescindere da quanto ho detto. Sono tutte e tre una parte di me.
Amen e così sia!, come dice sempre il vecchio Kit Carson.
Dipende dall’interlocutore (considerazione che, ovviamente, vale per tutti) , sicché ben volentieri riprendo il discorso su PPP anzi, sulle sue opere, giacché non è l’uomo da sottoporre a moralistico giudizio, bensì ciò che egli ha lasciato in eredità. E dice bene, lei, nel ricordare che PPP ci aiutati tutti a capire il nostro Paese e anche noi stessi; ma ci aiuta anche ad individuare le varie tipologie di personaggi che fanno parte del nostro quotidiano.
Di recente ho letto i romanzi brevi che hanno preceduto “Ragazzi di vita”, cioè “Atti impuri”, “Amado mio” e “Il sogno di una cosa”; introvabili se non in una “Feltrinelli” di Firenze. Hanno aggiunto ulteriori tasselli al vasto mosaico (interminabile) delle sue tematiche e della sua poetica.
Lei dice anche di “Salò”, esprimendo un giudizio severo. Può starci; il film è, in effetti, un pugno allo stomaco (peggio ancora il testo di De Sade, che ha tutt’altri fini). Ma il film doveva e voleva essere un pugno nello stomaco! Pasolini, evidentemente, voleva che si uscisse dalla sala “così come si esce da un pantano” (cito Momigliano a proposito di ciò che disse a proposito di “Nana” o di “Teresa Raquin”, entrambi di Zola).
Certo, tutti -quasi cinquant’anni fa- uscimmo dalle sale cinematografiche disgustati, perché ancora non avevamo visto come il corpo maschile e soprattutto quello femminile sono stati totalmente mercificati e ridotti a feticci di pornografia palese e occulta. Dalla prima, volendo, si può stare alla larga (salvo l’inquietante fenomeno del porno in rete a disposizione di adolescenti sprovvisti di strumenti critici); dalla seconda, no. Ce la troviamo da decenni in migliaia di film, spot e cartelloni pubblicitari e in programmi televisivi, a cominciare dai programmi “popolari” del sabato sera degli anni ’60 (con metri di gambe femminili esposti), fino al becero “Colpo grosso”, del 1987″ e poi a seguire; l’abbiamo intravista nelle canzonette dagli anni ’60/70 in poi. Ce la siamo trovata anche in apprezzamenti, battute e barzellette di un presidenti del consiglio, fautore di quel “Colpo grosso” appena citato e fautore ed assertore e “princeps” della pornocrazia.
“Salò” ha reso in maniera platica e violenta ciò che era già in atto: cioè la “mutazione antropologica” (cito Lui, PPP) determinata dal consumismo che ha annientato la bellezza e la sacralità del corpo umano, strumento di trasmissione di emozioni, sentimenti e passioni. I ragazzi e le ragazze di “Salò”, erano stati ridotti/e a mero strumento di consumo non meno che i medesimi ragazzi e ragazze delle varie porte accanto. I collaboratori dei quattro protagonisti [quattro Signori, rappresentanti dei poteri della Repubblica Sociale Italiana, il Duca (potere di casta), il Vescovo (potere ecclesiastico), il Presidente della Corte d’Appello (potere giudiziario), e il Presidente della Banca Centrale (potere economico)] si sono resi complici nel mettere in atto la scellerata dittatura sessuale che piega la dignità ancor prima dei corpi, così come si sono resi complici tutti coloro che hanno collaborato (a volte, forse, anche inconsapevolmente) con i poteri, non tanto occulti, che hanno distrutto la dignità del corpo umano. E ci strappiamo, ora, le vesti di fronte ai femminicidi!!!
Se lei ricorda il finale, esso è più amaro che mai: mentre la carneficina è in corso, due giovani guardie, sulle note d’una canzonetta trasmessa dalla radio, accennano timidamente qualche passo di valzer, a segno della indifferenza e della assuefazione delle nuove generazioni di fronte al consumo più che cannibalesco di corpi umani.
Questo è “Salò”.
Se vuole, alla prossima. Magari con qualche opera di PPP.
Sono d’accordo con lei per tutto o quasi quel che ha scritto.
Anche se, lo confesso, a me non dispiaceva la trasmissione di Smaila. Non la trovavo peccaminosa (non ero più credente, ma un baldo “ignorante di dio”, o di “Dio” , a seconda dei gusti. La trovavo un po’ stupidina ma non rigettavo tanta “spogliata bellezza”. Era l’età, immagino…ed era una novità televisiva, pure.
Tornando a PPP, che tanto ammiro, uno delle conseguenze dell’articolo è che ho deciso di leggere Ragazzivdi vita, che da un decennio mi guardava speranzoso allorché gli passavo accanto.
Grazie a entrambi voi “discutanti”.
Alla prossima, cari!
P.s. essendo un vanaglorioso, ora allego al post dell’articolo alcuni miei interventi su PPP e su chi lo studiò, assai meglio di me.
https://oubliettemagazine.com/2021/08/03/pasolini-luomo-che-conosceva-il-futuro-di-marco-trevisan-il-genio-che-crea-distruggendo/
https://oubliettemagazine.com/2022/06/14/laltro-pasolini-di-andrea-zannini-la-tragedia-del-porzus/
https://oubliettemagazine.com/2023/10/03/le-ceneri-di-gramsci-di-pier-paolo-pasolini-il-significato-di-un-infinito-irregolare-regolatissimo-dibattito/
Ho letto le tue (possiamo darci del “tu”? Per ora lo do per concesso; eventualmente torniamo al “lei”). Ho letto recensioni. Sapessi come avrei voluto farlo anche io, non solo per le opere di PPP ma anche per le centinaia di libri letti in passato. Ma ho troppa voglia di leggere e di scrivere altro. Tieni conto che ho quasi 72 anni e leggo dagli anni delle medie; quindi, almeno 60 anni. Hai scritto benissimo su di lui pur avendo letto solo “Scritti corsari”, qualche poesia, e visto qualche suo film. Io li ho visti tutti, e più volte, i suoi film; i romanzi letti, anche quelli giovanili, che precedono “Ragazzi di vita”; letto “Petrolio” (pugni nello stomaco a raffica).
Anni fa ho imbastito qualcosa su uno studio sinottico tra le opere di Pasolini, Caravaggio e De André, cogliendo la simiglianza di temi, poetiche e vite vissute… sulla “Cattiva strada”.
Leggi le sue opere e, ti suggerirei, prima dei romanzi, “Lettere luterane”, simile nell’impostazione e nei contenuti a “Scritti corsari”. Contiene “Gennariello”, un incompiuto epistolario, indirizzato ad un ipotetico adolescente napoletano, nel quale leggerai: “Sappi che negli insegnamenti che ti impartirò -non c’è il minimo dubbio- io ti sospingerò a tutte le sconsacrazioni possibili, alla mancanza di ogni rispetto per ogni sentimento istituito. Tuttavia, il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini, trasformandoli in brutti e stupidi automi, adoratori di feticci.”.