“Dadapolis” documentario di Carlo Luglio e Fabio Gargano: sessanta artisti raccontano Napoli
Presentato in anteprima all’81ª Mostra del Cinema di Venezia, “Dadapolis” diretto da Carlo Luglio e Fabio Gargano sarà ancora visibile sul circuito MyMovies per qualche giorno.
“Dadapolis” è stato proposto nella sezione Confronti delle Giornate degli Autori, all’anteprima erano presenti i due registi e Peppe Lanzetta, Cristina Donadio, Christian Leperino, Nero Nelson, Rosaria Iazzetta, Caterina Biasucci, Extrapolo, Guido Lombardi, Emanuele Valenti, Igor Esposito. Il titolo “Dadapolis” è ripreso dall’omonimo libro a cui il film si ispira liberamente intitolato per l’appunto “Dadapolis – Caleidoscopio napoletano” di Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Müller, edito da Einaudi nel 1989. La produzione porta la firma di Bronx Film in co-produzione con Movies Event ed in collaborazione con la Scuola di Cinema, Fotografia, Audiovisivo dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, con il contributo di Regione Campania – Film Commission Regione Campania.
Con i suoi 72 minuti il documentario “Dadapolis” presenta un continuo interagire dove tutto è nulla e viceversa, dove l’uno si annienta con l’altro e si ricrea a nuova vita, una continua rinascita in una realtà statica, effimera dove il caos è principio e fine e tutto è nulla.
Ridare voce alla città attraverso l’arte, un’arte che si fonde in un tutt’uno per poi annullarsi e palesarsi forte e prepotente come un grido di speranza, una narrazione che sceglie come scenario di questa rappresentazione il porto, per un viaggio nel tempo a ritroso alla ricerca di quella concretezza necessaria a collocare il popolo in una città in modo identitario nella realtà contemporanea, dove tutti sono protagonisti e antagonisti o comparse.
Il porto di Napoli che non è solo una scenografia della narrazione, ma un luogo che rappresenta la storia, il passaggio, le invasioni, le fughe, i trasporti leciti e illeciti, ma soprattutto un rifugio, un angolo di pace che dona riparo, non solo dalle mareggiate ma dalle tempeste della vita. E ancora il porto è il ponte di collegamento tra la terra e il mare, come l’immagine iniziale che ci dona la pellicola: una barca a remi, un uomo, la riva e lui che si abbandona sulla spiaggia, sulla terra, per poi riprendere il suo viaggio.
Ma è anche lo scenario scelto dagli artisti del luogo che durante il dialogare ci donano rappresentazioni artistiche, un’arte che abbraccia tutto: dalla canzone alla poesia al teatro alla scrittura alla fotografia al movimento alla musica ai performer alla street art.
Il porto di “Dadapolis” è un luogo dove il tempo si è fermato, che allontana dalla frenesia della quotidianità e crea l’opportunità per contemplare il paesaggio circostante che nel fermarsi del tempo si è arricchito di degrado, un degrado che l’arte può riportare a nuova vita così come un’araba fenice che rinasce dalle proprie ceneri.
Un filo conduttore di questo caleidoscopio napoletano: i quattro elementi che rappresentano la vita nella sua complessa essenza e nella sua fondamentale intersecazione, necessari per l’esistenza e per la personalità individuale. L’aria il respiro, l’acqua sorgente di vita, il fuoco energia che riscalda e purifica e la terra dove affondano le radici.
Se si pensa alle radici il primo riferimento conduce all’immagine di una pianta, che senza di esse non potrebbe attecchire e sopravvivere, perché anche se nascoste nel sottosuolo sono fonte di nutrimento e trasformazione, un po’ come le radici culturali, etniche, geografiche che sono trattate in questo viaggio di immagini e parole che muovono dal porto ogni emozione, che si ricollegano al passato attraverso i ricordi di genitori che lavoravano al porto, di imbarcazioni che sostavano e in questo stato transitorio erano mezzo di scambio commerciale, di popoli, gente che arrivava per restare o per andare o chi cercava una via di fuga in una realtà ostile per poi tornare, perché nel viaggio della ricerca interiore scopre che la sua identità appartiene alla terra delle sue radici, terra che gli ha donato il suo essere e tutto ciò che comporta in quel legame che tutto può, come un amore indissolubile che riconduce sempre a sé.
Radici come trasformazione quindi, che in fasi avverse sono punto di forza e fermezza, che, come quelle di un albero si appropriano di nuovi spazi per attecchire e resistere, in una continua alternanza di stasi e vitalità. Radici tradizioni, territorio, famiglia, un ritorno al passato che non fa paura.
La città che si trasforma e con essa il linguaggio e la comunicazione: ascolto e racconto che assumono una nuova dimensione. La valenza della parola nel suo significato e nella sua musicalità, che si trasforma anch’essa nell’evoluzione dei tempi e delle varie integrazioni.
La parola che può assumere valore di verità e menzogna in quel conflitto atavico che perseguita i tempi, ma la verità è libertà. Una libertà di pensiero che dona identità, stimola interazione quindi crescita perché ci si arricchisce l’uno della vita dell’altro, come la lettura di un buon libro.
Una voce che appartiene alla città e che l’arte gli può restituire, attraverso messaggi forti, una parola che può essere assorbita e diventare così appartenenza di una realtà statica che può mutare e creare movimento, perché la parola nel suo essere è movimento: nasce da un pensiero, si concretizza in un suono e diventa realtà.
“Siamo tutti un’unica tribù in un unico pianeta.” ‒ “Dadapolis”
Written by Simona Trunzo
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