“C’è del marcio in Occidente” di Piergiorgio Odifreddi: sopra tutti, über alles!
C’è del marcio in Occidente di Piergiorgio Odifreddi mi fa pensare che l’eclettismo culturale, oggigiorno, non sia una qualità diffusa, ma soltanto esibita nei mass media, da chi vuole influenzare il pensiero, vagante oltre che debole, della gente.

Il lettore si chiede come questo autore sia riuscito a trovare il tempo per leggere tutte le opere citate in C’è del marcio in Occidente. Una sola risposta pare possibile: egli non tende, forse mai, o quasi mai, a cazzeggiare, come talvolta capita a me. Dentro di me mi auguro che quel quasi, almeno in maniera residuale, esista. Diversamente potremmo essere indicati come appartenenti a due specie animali differenti.
Quando perdo un po’ di tempo nel fare quello che non mi servirà quasi a nulla, mi dico che questo è un modo di onorare quell’anima che, sempre che esista, non può che alloggiare al di sotto dello spazio di Planck, dove le cose o non hanno regole o sono relative a un altro, imperscrutabile mondo. Ogni re-ligione è composta da legami che si possono scegliere o rinnegare. Io leggo al fine di poterli allentare o stringere, a seconda del caso e della necessità.
Il titolo del saggio, C’è del marcio in Occidente, fa riferimento alla “citazione originaria” di Shakespeare – che era rivolta alla Danimarca – e qui Odifreddi dice la prima, intrigante banalità: quell’“insignificante staterello”, in realtà, “a proposito di colonialismo”, “possiede ancor oggi la Groenlandia, insieme alla quale ha un’estensione pari a Italia, Francia, Germania, Spagna, Portogallo e Regno Unito messi insieme” – per poi enumerare altri suoi possedimenti del passato, quali “la Norvegia, la Svezia, la Finlandia e l’Islanda, oltre alla Groenlandia” – in tal modo assurgendo a “metafora dell’intero Occidente: la parte per il tutto.” – questa serie di riporti serve a indicare due cose. Come suggerisce Salvatore Patriarca nel suo Elogio della banalità, occorre dire le cose come stanno, senza finzioni, puntando in primo luogo a ciò che pare assodato al punto d’essere dato per scontato, e perciò scordato, dimenticato, dis-membrato.
Inoltre, Piergiorgio Odifreddi non è uno che te la manda a dire. Egli ti spiattella in faccia il suo giudizio al fine che tu reagisca o rifiutando o accettando, magari con riserva: Enten-Eller, Aut-Aut. Molte delle questioni da lui proposte non sono per nulla scontate, e per falsificarle o attestarle, occorre quel tempo che si destina normalmente al suddetto cazzeggio, per cui sorge nell’animo di chi legge l’esigenza di una sfida: riuscirò mai a comprovare la mia doxa su quell’argomento? O la inserirò nel marasma delle cose da fare, prima o poi?
“Uno sguardo soggettivo non ha di per sé alcun interesse oggettivo. Offrendo il mio come introduzione a questo libro, ho soltanto fornito una parziale giustificazione psicologica delle mie opinioni, che però non interessano altri all’infuori di me.” – e di me, caro Piergiorgio, diversamente non ti leggerei. Rispetto ad altre tue opere che ho letto (A piccole dosi e Pillole matematiche), questa pare più legata alla tua psiche, alla tua anima, sconfinando talvolta, inevitabilmente, nel romanzo, anche se i riferimenti culturali sono ogni volta indicati con precisione.
Ti faccio un, appunto, banale esempio: a pagina 128-129 de C’è del marcio in Occidente citi due brani da Mein Kampf di Adolf Hitler che non trovo immediatamente, faticando a seguire i tuoi riferimenti (“Parte II, Capitoli 2 e 3”) nell’edizione che sonnecchia da un decennio in corridoio, su uno scaffale. Poi, consultando il motore di ricerca a cui ormai non posso fare a meno (come se fosse la droga prediletta da Sherlock Holmes), scopro che i quindici capitoli del mio volume non sono che una parte dell’opera di quell’austriaco naturalizzato tedesco. Ergo, non posso al momento attestare le tue parole, né falsificarle. So che lo farò: promesso.
“La mia tesi, più malevola, è che i nazisti non erano troppo diversi da noi, e hanno semplicemente perso una guerra intestina combattuta tra simili.” – dopo questo tuo saggio narrativo (non so quanto apprezzerai questa mia arrischiata definizione) sto leggendo il romanzo saggistico M – Gli ultimi giorni dell’Europa di Antonio Scurati, che pare confermare la tua tesi. Tutti gli umani sono, nell’anima, imperialisti. Tranne allorché anelano all’indipendenza: in tal caso si definiscono patrioti, che poco cambia la loro condizione esistenziale.
Cosa ne avrebbe pensato di tutto ciò Giuseppe Garibaldi che, per unificare un paese, non esita a conquistarne un altro? E che, secondo quanto illustra il saggio Napoli sfregiata di Luigi Iroso, giunto a Napoli, arriva a utilizzare delle forze criminali al fine di zittire ogni forma di opposizione? Eppure egli era stato un mazziniano, un idealista.
Quando a Palermo mi capitò di visitare il Palazzo Conte Federico udii l’ultimo erede dello Stupor Mundi, Federico II, affermare che, al tempo dell’arrivo dei Mille, la sua famiglia ricevette un telegramma dalla Massoneria inglese che conteneva l’ordine di accogliere i piemontesi come liberatori. Era sempre tutta Italia, è vero. Come il nostro pianeta è sempre la Terra. Ogni tanto immagino che qualche ET, nel mirare il nostro pianeta dica, fra sé e sé: ma vedi un po’ ‘sti nativi come si stanno scannando!
Non ricordo dove né quando, ma una volta lessi che per Winston Churchill una guerra anglo-tedesca rappresentava la peggiore delle prospettive, a cui avrebbe senz’altro fatto a meno. Eppure, pur di vincerla, promise al suo popolo sangue, fatica, lacrime e sudore.
Non mi interessa citare le tue tesi, né i dati che esibisci, in quanto essi devono restare nella tua opera, che è a disposizione di chiunque voglia consultarla. Preferisco porre all’eventuale lettore del tuo lettore alcuni interrogativi.
Perché il papa “si fa chiamare ‘pontefice’”? – cosa ricorda il costume che “indossa”? – qual è il “dialetto” che usa? (pagina 79); qual è la percentuale del “PIL” che è stata “richiesta dalla NATO” per essere destinata “a un ulteriore riarmo dei Paesi europei?” (pagina 102) – quasi fosse un lasciapassare per accedere a una sorta di Champions League; quali sono i tre paesi presso i quali lo stato degli Usa non “è stato militarmente coinvolto”? (pagina 115); quale è “la soluzione più semplice” per donare al mondo la pace? (pagina 131); quale due statue greche, passando immediatamente “al Museo del Louvre” testimoniano “del legame tra ellenismo e colonialismo”? (pagina 142); quale fu l’unica vera “innovazione greca” rispetto alla “matematica egizia”? (pagina 143: e qui i tuoi oppositori faticherebbero non poco a contrastare la tua doxa);
Intendo riportare alcune tue locuzioni, a cui abbino delle mie considerazioni: “Spesso la guerra è il terrorismo dei potenti, e il terrorismo la guerra dei deboli.” (pagina 114) – ti chiedo: non è che hai messo nella frase un avverbio di tempo di troppo?; “… il potere della finzione deriva soltanto dalla sua verosimiglianza, ed è indipendente dalla sua verità”: pensa che io non so immaginare un mondo in cui Tex Willer e Kit Carson, pur volendosi bene, non cessano di baccagliare con la loro arguta ironia (pagina 153); “Questa fuga collettiva dalla realtà non fa che riprodurre socialmente e universalmente un percorso che in precedenza era stato soltanto individuale e circoscritto. E che aveva seguito molti pensieri alternativi, oggi diventati autostrade…” – che recano ovunque non vi sia la consapevolezza di chi sa di esistere Qui e non Altrove. (pagina 164); mi frastorna il concetto di “percolazione” – da te giustamente inviso: “… se i ricchi si arricchiscono, anche i poveri stanno meglio, perché raccolgono le briciole che cadono dalla tavola dove i primi gozzovigliano.” – generosamente elargite per donarci la colazione? (pagina 171) – il ricco Epulone è sempre fra noi, vispo e vegeto! Lazzaro decisamente meno…; “l’1 per cento della popolazione mondiale possiede il 60 per cento della ricchezza del pianeta; e il 10 per cento ne possiede il 90 per cento.” (pagina 172) – 1 Epulone ogni 10 Lazzari, alcuni dei quali creperanno di fame; “… in Occidente contano i valori economici, e non i valori etici.” – (pagina 195) e questo taglierebbe la testa al Minotauro; “Benché le democrazie moderne accettino in teoria la separazione dei tre poteri, in pratica la disattendono spesso.” (pagina 199) – per quanto riguarda la nostra nazione, si pensi alla Sentenza (con la S maiuscola?) della Corte Costituzionale n. 34 del 1981, ignorata dal potere esecutivo e parlamentare; confermata poi dalla sentenza, sempre della C. C., n. 495 del 1993, risolta soltanto dalla legge n. 1662 del 23 dicembre 1996, con cui lo Stato, fu costretto ad accettare di restituire in sei annualità le spettanze dei pensionati a cui avevano diritto dal 4 aprile 1952; e nessuno sa ancora rispondere all’angosciante quesito di quando si darà il giusto esito alla sentenza n. 130 del 2003, che giudica anticostituzionale un comma di un articolo di una legge del 2010 e di un’altra del 1997. Sic transit, in Italia, gloria Constitutionis.
Non riporto ma invito a leggere la narrazione di quanto accadde a Ezra Pound, mentre dal canto mio cercherò di rinvenire l’intervista che gli fece, interrompendo, come per magia, il suo ostinato silenzio, “Pasolini nel 1968” (pagina 209).
Intrigante è il confronto fra George Orwell e Aldous Huxley (pagine 210 e 211 de C’è del marcio in Occidente).
Mi fai sorridere col tuo citare l’esistenza “dei nullologi e dei tuttologi, che vengono troppo spesso inutilmente amplificati dai media” (pagina 212) – gli echi dei quali raggiungono anche chi, come me, da anni non guarda la televisione, perché fatalmente finiscono per insinuarsi nella miriade di notizie che paiono adornare quel motore di ricerca, a cui non posso più rinunciare (sapessi come sarei stato contento di averlo, nella mia infanzia!).
Per quanto riguarda il tuo pensiero sullo “schwa o scevà”, detto anche “schwə o scevə. O, in maniera politicamente scorretta, schwastika o scema.” (pagina 213) – io prendo le distanze sia da te che da quel ə, che non m’interessa né meno né più di ogni altro simbolo umano. Altri sono i veri problemi, o no? Similmente io non credo né nella transustanziazione né nella consustanziazione: ma mi auguro che a ognuno sia consentito di decidere da sé. Dopo averci pensato su, però!
A proposito, ma non troppo: molti immigrati nel nostro paese mi paiono se non felici, sereni. Di loro invidio tanto la sapienza linguistica. Mentre li vedi che passano, non capisci un acca del loro barbaro balbettio. Eppure, loro s’intendono che è una meraviglia. Non solo: capiscono anche noi italiani quando ci rivolgiamo a loro o parliamo tra di noi. Passeggiando per via Eritrea (!) a Reggio, presso la stazione, una volta mi capitò di assistere a un’aspra diatrìba (o diàtriba?) fra un africano e un cinese di una certa età: colsi nell’invettiva del secondo una parola assai arşâna: nèsi, da latino nesciens. La cosa mi rallegrò per l’intero weekend (o fine settimana)! Uno delle opere che ho più amato è La lingua salvata di Elias Canetti, un genio che trascorse da transfuga gran parte della sua esistenza.
Mi disturba ma sono lieto di accettare come possibile l’accostamento che fai tra Dante e Kissinger (pagina 213), perché in quello specifico contesto ha un suo, pur assurdo, senso.
Leggendo il tuo riporto della Lettera all’America di Bin Laden (pagina 222 e 223) non posso che condividere la sua disamina del mondo occidentale, ma ripugno la soluzione che egli propugna (poiché quel vile pugno fa sempre a pugni con la mia psiche): immagino che non garbi manco a te.

Concordo col tuo pensiero: “Nell’Occidente democratico, infatti, non si perseguono i codardi che compiono i crimini di guerra, ma si perseguitano i coraggiosi che li denunciano.” (lo scrivi a pagina 230, dopo aver citato e riportato un testo di Julian Assange) – anche le stragi di stato restano in gran parte dei casi non risolti nemmeno dai governi sedicenti di sinistra.
Noi appartenenti al ceppo umano, sapiens o ignarus che sia, fummo, periodicamente, sia barbari balbettanti che classici forbiti.
Se ti vuoi fa’ ‘na mezza risata, t’invito a dire, come feci io, al mio benzinaio di fiducia: beh, voi albanesi siete mezzo greci! Al che lui di certo ti risponderà, come fece a me: No! Sono i greci mezzo albanesi! Citando una canzone che non so se conosci, ma spero di sì, La notte di Arisa, mi auguro un pianeta terracqueo dove i suoi abitanti non siano Né vincitori né vinti, per cui, inevitabilmente si esce sconfitti a metà – senza la metà formata dal nostro egoismo, e se La vita può allontanarci/ L’amore poi continuerà… Oppure avverrà il contrario: L’amore può allontanarci/ La vita poi continuerà. Che è la stessa cosa, seppure vista dall’altra parte del caleidoscopio.
Se ho perso un po’ del mio tempo a leggerti, in cambio ne ho guadagnato una buona fetta del tuo. Esigo, anzi, ti chiedo umilmente di sacrificare ancora una parte del tuo, leggendo le omelie del mio teologo Aldo Bergamaschi, che seppe trasformare l’ateo che sonnecchiava in me in un più desto e consapevole ignorante di dio. Nonostante questa specie di miracolo, per anni la curia reggiana non gli permise di officiare la messa in pubblico: recava troppo scandalo! Egli sognava un’Ecclesia dove potesse realizzarsi la divisione delle etiche, dove ognuno poteva nutrirsi col cibo che preferiva, nonché dipingere o scolpire quel che sentiva come urgente, e usare le particelle linguistiche che più sentiva sue (anche se lui sognava una lingua universale), eccetera… purché ognuno rispettasse il medesimo diritto per il suo prossimo, il suo coniuge, il suo operaio. Semplice, no? O irrealizzabile come un sogno, stante la Storia che ci ha finora martoriati? Questa mirabile e un po’ folle idea vale a tutte le latitudini e longitudini. Non è di destra né di sinistra; né di est né di ovest, né di nord, né di sud: è semplicemente universale e razionale. Non mi fido a imprestare libri dopo che alcuni non mi sono stati restituiti. Nel caso di Aldo però te li regalerei: non essendo miei, ma di quel miracoloso sapiens-ignarus.
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Piergiorgio Odifreddi, C’è del marcio in Occidente, Raffaello Cortina Editore, 2024
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