Intervista ad Igor Sibaldi: l’autore racconta il romanzo “La Russia non esiste”
“I romanzi sono sempre più intelligenti di chi li scrive; o possiamo dire così: quando scriviamo narrativa, lasciamo agire una nostra mente più grande, altre aree della psiche, che tornano a riposarsi non appena ci alziamo dalla scrivania.” ‒ Igor Sibaldi

Studioso di teologia, filologia, filosofia, storia delle religioni, Igor Sibaldi (Milano, 1957) nel 2023 pubblica con la Mondadori un romanzo di 1000 pagine intitolato “La Russia non esiste” nel quale, percorrendo la vita del protagonista Nil, presenta al lettore il periodo storico che va dal 1919 al 1945.
Conosciuto per la trilogia “I Maestri Invisibili”, “Il frutto proibito della conoscenza”, “L’arca dei nuovi Maestri”, per il “Libro degli Angeli”, per il “Il codice segreto del Vangelo”, per il “Libro della Creazione”, per “Il coraggio di essere idiota. La felicità secondo Dostoevskij”, per i numerosi e variegati corsi online e per oltre un migliaio di conferenze realizzate in Italia ed all’estero, Igor Sibaldi con “La Russia non esiste” amalgama storia, immaginazione, spiritualità, filosofia, preveggenza e poesia come vero e proprio “atto di ribellione culturale”.
Un romanzo che valica i confini letterari e che invita il lettore ad un incontro con le “voci” del pensiero.
“«A tutti piace perdere» disse Kalità. «L’anima gode se perdi. Se vinci a carte la testa è contenta, ma l’anima è triste.» Nil imparava. «C’è la testa, c’è l’anima e ci sono le cose che uno fa» spiegava Kalità, il mento sul petto, la testa poggiata al fianco di Nil, le braccia conserte, le caviglie una sopra l’altra.” ‒ tratto da “La Russia non esiste”
A.M.: Salve Igor, la ringrazio per aver accettato questa intervista per presentare ai nostri lettori il suo romanzo “La Russia non esiste”. Partiamo, come di consueto dal titolo: in che senso “La Russia non esiste” in Russia ma esiste all’estero?
Igor Sibaldi: Grazie a lei, Alessia. La Russia esiste, da un secolo, negli incubi e nelle speranze dell’Occidente e nelle nostalgie dei russi. Incubi: la Russia comunista (dal 1918 al 1993), la Russia imperialista (dal 1993) e così via. Speranze: la Russia comunista (dal 1918 al 1980, per le sinistre). Nostalgie: “c’era una volta la Russia, quella degli zar, quella dei contadini, quella di Tolstòj e di Dostoevskij”. Ma, naturalmente, queste non sono forme di esistenza solide: in questi modi, la Russia esiste come esistono i dogmi, le divinità, gli angeli e i diavoli – cioè solo per chi ci crede. “Nella Russia si può soltanto credere”, scriveva già nel 1866 un grande poeta, Fëdor Tjutčev: un po’ come gli ebrei con la loro Terra Promessa – con la differenza che gli ebrei hanno sempre saputo distinguere tra realtà e mitologia, e i russi molto meno. La non-esistenza oggettiva della Russia (cioè di uno stato che fosse espressione delle popolazioni che vi abitano) è evidente a partire dalla rivoluzione d’ottobre, in particolar modo da quando fu fondata l’URSS, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, con il suo rifiuto di qualsiasi ideologia nazionalista; ma ha radici antiche: fino al X secolo non c’era, in quei territori, il concetto di stato; dal 1200 alla fine del 1400 i russi furono sudditi dei tartari; poi fu l’epoca degli zar, che uscivano di rado da Mosca… Si sapeva chi comandava, ma non perché e come. Niente di paragonabile all’Inghilterra, alla Francia, alla Spagna, agli stati italiani o tedeschi, e tanto meno agli Stati Uniti d’America. Nel romanzo, “la Russia non esiste” è una frase luminosa degli esuli russi, e il senso è: “non esiste ancora, la faremo noi, quando avremo eliminato Stalin e la sua cricca”. Ma ha anche un altro senso, per il protagonista, e precisamente: “non me ne importa niente di ciò che mi vuole inglobare, non credo e non voglio credere in nessuno stato, io sono nato libero e voglio continuare a essere libero, a essere solo me stesso e non un suddito di qualcosa”. Solo che il protagonista è troppo ingenuo per ragionarci su, lo sente e basta, e si comporta di conseguenza.
A.M.: Perché ha scelto il nome di suo bisnonno, Nil, come nome del personaggio principale del romanzo “La Russia non esiste”? È una biografia romanzata?
Igor Sibaldi: Nil è un antico nome russo, e il protagonista del romanzo non ha nulla in comune con il mio bisnonno materno Nil, vissuto in un’epoca relativamente tranquilla. Il Nil del romanzo attraversa decenni spaventosi, la guerra civile, lo stalinismo, la prima guerra d’Ucraina, le sistematiche stragi degli anni Trenta, la Seconda guerra mondiale, la Germania nazista. Fa carriera dappertutto, e sempre nelle professioni peggiori: mendicante, ladro, organizzatore di bordelli, informatore, membro della polizia politica, collaborazionista. Non è la biografia di un mio parente, né un’autobiografia; ma somiglia molto alla vita di alcuni individui di quegli anni, più o meno noti. Uno di costoro compare nel romanzo, è l’affascinante generale Zhìlenkov, un russo hitleriano: anche lui ex mendicante, ex ladro, ex carrierista sovietico (di cui tutti gli storici di quel periodo parlano malissimo). È un grande amico del protagonista, ma, a differenza di lui, all’ultimo momento non ha la forza di salvarsi.
A.M.: Chi sono i bambini “randagi”?
Igor Sibaldi: Milioni di bambini orfani che dal 1918 al 1930 vagabondavano in URSS: vivevano tra le rovine o nelle stazioni, viaggiavano sui tetti dei treni, elemosinavano, rubavano, rapinavano, si prostituivano, uccidevano. Sono descritti come ripugnanti e selvaggi, e a me risulta che fossero di un’intelligenza meravigliosa, tremendamente saggi e coraggiosi. Negli anni che il protagonista trascorre con loro ci sono molti momenti di felicità.
A.M.: Oltre al protagonista, quali personaggi ricoprono un ruolo importante?
Igor Sibaldi: Nel romanzo ci sono circa duecento personaggi realmente esistiti e almeno altrettanti “immaginari”. Personalmente, sono affezionato a tutti, per tante ragioni: ai bambini “randagi”, che sono i primi maestri di Nil, al suo gatto Murr, ai commissari della polizia politica, che gli vogliono bene, alle contesse che tramano con organizzazioni terroristiche contro Stalin, alle numerose amanti di Nil, al suo amante tedesco, alla vecchia zia Dona che conosce fiabe profetiche, alle sciamane siberiane, ai funzionari del servizio segreto tedesco che vogliono assassinare Hitler e così via. Ciascuno di questi personaggi è coprotagonista.
A.M.: L’arco temporale del romanzo va dal 1919 al 1945. Qual è la percentuale di storia documentata e quale quella di invenzione letteraria?
Igor Sibaldi: Ogni scena del romanzo è, come si dice, “presa dal vero” – i bombardamenti e le battaglie (di tre guerre), gli uffici e le carceri della polizia politica sovietica, le vie di Mosca negli anni Venti, Trenta, Quaranta, il Cremlino (fuori e dentro), i lager, la Berlino di Hitler, la Polonia, Praga, la Baviera, l’Austria. La documentazione è stata enorme. Non ho calcolato la proporzione, ma suppergiù è settanta per cento di storia “reale” e trenta per cento di “invenzione”.
A.M.: Che cos’è la ROA e come si è sviluppata?
Igor Sibaldi: Nel 1941 in Germania c’erano quattro milioni di prigionieri di guerra sovietici: troppi perché li si potesse mantenere nel rispetto della Convenzione di Ginevra (alla quale l’URSS, d’altronde, non aveva aderito); li si era avviati, perciò, ai campi di sterminio. Tra loro, c’era il generale Vlasov, il primo che, nel ’41, avesse sconfitto i tedeschi in battaglia; e Vlasov si offrì di organizzare divisioni di prigionieri di guerra che combattessero contro Stalin – dato che, di quei quattro milioni, più della metà odiavano Stalin più di quanto odiassero Hitler. Hitler rifiutò, Goebbels accettò, il servizio segreto tedesco aiutò Vlasov, nonostante Hitler. Dal 1942 al 1944 Vlasov e una ventina di russi ex-sovietici (tra i quali il protagonista, Nil) si diedero da fare: fondarono un Comitato di liberazione della Russia, addestrarono squadre di propaganda da inviare sul fronte orientale (e quelle squadre ebbero grandi successi), progettarono un’Armata di Liberazione russa (la sigla russa era ROA) e soprattutto stilarono le leggi di una nuova Russia, incredibilmente democratica, con libertà di religione (!), di stampa (!), di riunione (!), di commercio (!). Il servizio segreto tedesco lo permetteva, essendo costituito in gran parte di cospiratori anti-hitleriani. Questo Comitato di liberazione della Russia divenne tanto famoso che, alla fine del 1944, Himmler permise a Vlasov di formare un’armata russa antistaliniana. Nel 1945 tre divisioni di questa armata partirono verso il fronte, che allora era già in Polonia; da subito si verificò l’imprevedibile: alle tre divisioni si unirono migliaia di deportati russi, utilizzati come schiavi nelle fattorie e nelle fabbriche della Germania. Il comando tedesco era disorientato; lo fu ancor di più quando, al fronte, le divisioni russe si rifiutarono di obbedire e si diressero verso la Yugoslavia, per formare là, con i cosacchi e i serbi, una coalizione antistaliniana e antihitleriana. A Praga, quelle divisioni attaccarono i tedeschi e liberarono la città. Nel maggio del 1945 si consegnarono al comando statunitense e inglese: speravano di ottenere protezione, asilo politico, e si sbagliarono. Gli Alleati li diedero all’URSS, che ne fucilarono molti immediatamente, ne impiccarono altri (tra cui Vlasov) nel 1946, e mandarono in Siberia i rimanenti. Pochissimi si salvarono; mia madre, infermiera della ROA, era tra questi, e qualche anno dopo sposò un partigiano comunista italiano, mio padre.
A.M.: A fine 2021 ha presentato in anteprima la prima parte del romanzo alla Mondadori quando ancora non c’era alcun indizio della successiva guerra in Ucraina. La considera una precognizione?
Igor Sibaldi: Sì. Capitano precognizioni, nei romanzi. E le precognizioni non sono merito di coloro a cui capitano. Prova ne sia che quindici giorni prima dell’attacco russo all’Ucraina, in un’intervista su Rai 3, alla domanda: «Lei pensa che Putin farà la guerra?» ho risposto: «Sicuramente no». Eppure, nel romanzo avevo narrato le atrocità perpetrate dalle truppe di Stalin in Ucraina nel 1930, e la resistenza dei contadini ucraini. I romanzi sono sempre più intelligenti di chi li scrive; o possiamo dire così: quando scriviamo narrativa, lasciamo agire una nostra mente più grande, altre aree della psiche, che tornano a riposarsi non appena ci alziamo dalla scrivania.
A.M.: In una sua presentazione del luglio del 2023, rispondendo ad una domanda, ha parlato di una possibile fine della guerra Ucraina-Russia per maggio 2024. Ormai ci siamo quasi: lascia o raddoppia?

Igor Sibaldi: Sbaglio spesso le mie previsioni, soprattutto politiche, come ben sanno i miei amici. Ma rimango ancora (oggi 23 aprile 2024) legato all’idea di cui parlavo l’anno scorso, e che era la seguente: a partire da maggio 2024 sembrerà che la guerra russo-ucraina si avvii alla conclusione, ma sarà solo un’illusione; la frattura tra Mosca e l’Ucraina non è sanabile, non lo sarà per generazioni, e qualsiasi pacificazione sarà fragile.
A.M.: In che senso la Russia è un “dinosauro in perfetta salute”?
Igor Sibaldi: È una splendida frase di un matematico e narratore russo, Aleksàndr Zinov’ev (pubblicato in Italia da Adelphi) e si riferiva all’URSS degli anni Ottanta. Certo, l’URSS era un dinosauro: dagli anni Venti era isolata dall’Occidente, i coetanei dei miei genitori e i miei coetanei non sapevano niente di Freud, Jung, esistenzialismo, Marcuse, Picasso, Joyce, Adorno, Greta Garbo, Marlon Brando, Topolino, Paperino, Charlie Brown, democrazia, Sessantotto ecc. Culturalmente, la mentalità sovietica era in un profondo lago di Lochness. Ma era in perfetta salute, pronta a durare ancora per secoli. Questa battuta di Zinov’ev era, ovviamente, di un’ironia feroce e precisa. Con Putin, l’ex-URSS ha subito una interessante e paradossale mutazione: si è sforzata di diventare più antica, ha riscoperto il tricolore zarista, ha sostituito la falce e martello con l’aquila imperiale bicefala, ha cambiato nomi di città (Leningrado è ridiventata San Pietroburgo) e, per ordine governativo, da atea che era è ridiventata tutt’a un tratto bigotta. Per sedare il suo problema di identità, l’ex-URSS è arretrata di 110 anni. Secondo me, si è mossa nella direzione sbagliata, ancora più dinosauresca, ma più sconclusionata di prima.
A.M.: Quanto ha inciso il tipico umorismo russo nella cultura yiddish?
Igor Sibaldi: L’umorismo è uno dei grandi talenti russi, lo è stato anche nei periodi peggiori e lo è ancora. E ovunque agisca, l’umorismo è cosmopolita: nei russi lo è a tal punto da non poter distinguere l’origine delle battute migliori. Per esempio questa: l’ottimista dice che peggio di così non può andare, il pessimista gli dà torto. È russa o ebraica?
A.M.: Un lettore potrebbe spaventarsi meno riguardo all’impegno di circa 1000 pagine se lo si rassicura della presenza delle 288 note a piè di pagina e non in una parte apposita a fine libro?
Igor Sibaldi: Un romanzo di 1000 pagine è un lussuoso appartamento in cui si svolge una storia d’amore tra chi l’ha scritto e chi lo legge. Le note sono tenerezze momentanee che i due amanti si scambiano: non c’era ragione di sussurrarle tutte in fondo al libro, che è come dire in un armadio del bagno. Quando capitano, capitano. A fine libro, nell’armadio cioè, c’è già l’indice dei nomi, delle canzoni e dei film citati.
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Igor Sibaldi: Volentieri. “Quando si è felici – pensa Nil da bambino – si sta bene dappertutto. E Nil, in questo, ha ragione.”
A.M.: Igor, ringrazio nuovamente per la disponibilità e saluto con le parole di Eraclito: “Pólemos di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re: e gli uni rivela dèi, gli altri umani, gli uni rende schiavi, gli altri liberi.”
Written by Alessia Mocci
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