“A piccole dosi” di Piergiorgio Odifreddi: contro la crisi di astinenza della matematica
Recensione del libro “A piccole dosi”. Ho sempre avuto il sospetto che potrei diventare un matematico di nome, cognome e codice fiscale (in ambito provinciale, almeno nel quartiere di Santa Croce, dove vivo).

Leggendo Introduzione alla filosofia matematica di Bertrand Russell, a pagina 71, nel capitolo intitolato Tipi di relazioni, mi vennero in mente, come per incanto (come se fossi stato ipnotizzato da Mefisto), varie serie di numeri:
1,2,3,4,5,6,7,8,9,10
1,4,9,16,25,36,49,64,81,100
3,5,7,9,11,13,15,17,19
2,2,2,2,2,2,2,2
La logica non la spiego, perché è self-evident.
2 era dunque la volontà di potenza del numero 2!
Il discorso valeva anche per 1
1,2,3,4,5,6,7,8,9,10
1,2,3,4,5,6,7,8,9,10
1,1,1,1,1,1,1,1,1
1 era la volontà di potenza di 1! Ma s’era fatto un giro in meno!
E per il 3, numero perfetto, vuoi che non…?
1,2,3,4,5,6,7,8,9,10
1,8,27,64,125,1216,343,512,729,1000
7,19,37,61,91,127,169,217,271
12,18,24,30,36,42,48,54
6,6,6,6,6,6,6
Che sia una mefistofelica teoria?
Un giorno incontrai su un treno un professore di matematica che insegnava in un ateneo abruzzese, e gliene parlai. Il Prof. Baddressed (pseudonimo che non è altro che la traduzione in inglese del cognome) mi fece i suoi complimenti, dicendomi che avevo (ri)scoperto una cosa conosciuta da anni (o forse disse da secoli?): i numeri fattoriali.
Dôp acsè tânta ganasêda (leggasi: dopo così tanta smargiassata), mi chiedo: perché ho preferito per anni cazzeggiare su migliaia di libri scombinati fra loro, anziché dedicarmi a studi seri di algebra, geometria e compagnia bella? La risposta è facile: tót i cajòun a gh ân la só pasiòun, a ognuno la sua! Quella di Piergiorgio Odifreddi è sicuramente quella di studiare le scienze più o meno esatte (mentre il sottoscritto odiava l’idea stessa di svegliarsi la mattina per andare a scuola, dove c’era chi lo comandava a bacchetta!), e poi di divulgare tutto quello che riesce, dando talvolta l’impressione di ex-agerare, di uscire dagli argini, tanto grande è il suo spirito altruista. Egli intende donare agli altri un’ingente parte di quel che sa.
Ignoro se egli sia egoista in altri aspetti della sua esistenza, ma di certo è uno che sa sia ricevere che donare. A piccole dosi, ostinatamente.
Egli cura da un ventennio una rubrica su Le Scienze, e questo saggio, come il precedente Pillole matematiche, ne utilizza, ignoro in quale misura, gli articoli.
L’opera “A piccole dosi” è compresa in due parti: Oggetti, parte divisa in sei capitoli; e Concetti, parte divisa in altrettanti capitoli. Ogni capitolo offre al lettore 10 capitoletti (numero tondo che Odifreddi non manca mai di far notare quanto non dispiacesse a Georges Perec).
Mi fa sorridere quanto è scritto nella Prefazione – Pillole e Supposte: “… per sottolineare la complementarità delle due cure. Infatti, come le pillole vanno giù, così le supposte vanno ‘indorate’, per una più agevole introiezione…” – perciò egli avrebbe “voluto intitolare questo volume Supposte matematiche…” – il che la dice lunga di quanto salvifico sia l’autore e di quanto saggio sia stato chi magari gli ha detto: Piergiorgio, con quel titolo nessuno comprerà il volume… Io di certo no, poiché fin dalla prima infanzia avevo tante difficoltà anche nell’ingerire le pillole, ma odiavo ancor di più le supposte, poiché non riuscivo a rigettarle.
Per onestà (ma non mi esce l’ernia nell’ammetterlo): di ogni capitolo non ho capito tutto, a volte poco o nulla, a volte abbastanza, senza però essere sicuro di aver compreso il senso generale del discorso. Il secondo libro che leggo di questo autore è notevolmente più arduo da decifrare del primo. Ecco: ecco, il verbo giusto è decifrare. Talvolta sono arrivato a pensare: questo è il capitoletto che ho introdotto (nella mia cervice, intendo!) meno degli altri. Salvo poi essere sbugiardato, assaporando (con bocca un po’ torta) uno dei capitoletti successivi.
Perché consiglio caldamente di leggerlo? Perché è bello, anzi meraviglioso, anche per le numerose e stupende illustrazioni. Alla fine chiunque (o quasi) riuscirà ad avere l’illusione di aver colto quel quid che non servirà mai nella vita pratica, ma in quella immaginativa forse sì. Per anni ho ammirato i capolavori di Piero della Francesca, l’artista forse più matematico di sempre, insieme a Giovan Battista Alberti, ma è stato solo scorrendo (leggi: divorando) il saggio L’enigma di Piero di Silvia Ronchey che ho avuto la prova algebrica che non avevo fino ad allora colto quasi nulla del suo genio. Ora posso finalmente affermare che qualcosa del pittore aretino è mio per sempre (anche se è poco e confuso, ma per sempre mio).
Colgo a pagina 3 una stramba rivelazione: “la verità” anagrammata diventa “rivelata”, “rilevata”, evitarla” e “vietarla”: quattro parole che le conferiscono sensi divergenti, ugualmente possibili. God in inglese si può anagrammare in dog. Se ci aggiungi una o diventa good. Se a Dio accosti una o, diventa odio. Il che significa quel poco o nulla che intende voler dire.
Il matematico britannico Godfrey Hardey scriveva, tra l’altro: “… Ovviamente, una delle ragioni (benché, forse, non la più importante) è l’estrema specializzazione di questi enunciati e delle loro dimostrazioni, che non ammettono alcuna generalizzazione significativa.”: ognuno ha il significato che si merita. Finora ogni capitoletto ne presenta almeno uno che pare più sfizioso del precedente e apparentemente a sé stante.
“… Amleto contrapponeva lo spazio infinito al guscio di noce della scatola cranica. Ebbene, anche il cervello contiene circa 100 miliardi di neuroni: tanti quante le stelle di una galassia media, o le galassie dell’universo…” – e io m’aspetto, da un anno all’altro, il centomiliardesimo saggio di Odifreddi, a cui necessariamente seguirà la mia centomiliardesima reazione. A pagina 32 sono descritti altre 2 o 3 (o 4) ingegnosi utilizzi del valore di 100.000.000.000, uno più inquietante dell’altro. Poi vien detto qualcosa di ironico a proposito di Frank Tipler, che un po’ mi sommuove. Per cui ne approfitto per citare la sua mistica opera La fisica dell’immortalità, che tanta speranza addusse a noi maniaci della sempiterna sopravvivenza.
A pagina 62 scopro che Napoleone non era per nulla a digiuno di matematica. Oh! Se fosse diventato un docente di seni e coseni, e di numeri fattoriali!, quante morti sarebbero state evitate!
Già prima m’imbattei in quanto sto ora segnalando, ma feci finta di niente. Odifreddi non scrive 45 a.C. bensì “-45”. In effetti pare che il Messia sia nato 6 o 7 anni prima della propria venuta… Egli nacque prima del suo tempo!
Mi domando cosa pensi Odifreddi della teoria della Intelligent Design, secondo cui la perfezione della natura non può che seguire delle direttive dall’alto. Però a me questa “tartaruga stellata indiana, che ha il carapace appuntito e le scaglie a gobbe” – così, se si rovescia può rimettersi “in piedi”, mi fa proprio gioire.
I riferimenti che l’autore fa a opere come la Divina Commedia di Dante Alighieri, o la Crocifissione di Gesù Cristo di Dalì, fanno parte della bellezza insita in quest’opera.
A pagina 90 colgo una frase quasi shakespeariana: “… ci sono più cose dodecaedriche in cielo e in terra, di quante ne sognasse Platone nei suoi dialoghi.”
Una notizia che può sempre venir buona: le olimpiadi greche durarono dal “-776” al “393”, data della “soppressione cristiana delle gare” – in effetti non ha mai saputo di un papa che facesse jogging.
Il fisico e quasi tuttologo inglese Robert Hooke, “secondo la paranoica moda dell’epoca…” – diciassettesimo secolo – “… nascose la soluzione dietro un anagramma in latino, di cui fornì soltanto le lettere in ordine alfabetico…” – (segnalo il fatto che, ovviamente, c’erano più e e i che v e x). La frase misteriosa, ricostruita, diveniva: “Ut pendet conti uum flecisle, sic stabit contiguum rigidum inversum” – e cosa in verità significhi lo si può leggere e capire a stento a pagina 111.
Tra pagina 124 e 125 è descritta un’altra mostruosità geometrica presente in natura, nella forma delle “celle dell’arnia” di un alveare, per cui questa faccenda dell’Intelligent Design a me non pare vera, ma un po’ comincio a crederci.
Nicola D’Oresme “si accorse, a metà del Trecento, che esiste un solido illimitato, ma di volume pari a due mattoni…” – e a me ‘sta storia dell’illimitatezza del cosmo desta alcune perplessità. L’universo è in continua espansione e perciò i suoi limiti sono continuamente violati. Però gradirei che tu, Odifreddi, mi spiegassi cosa vi sia nel limite inferiore, dotto spazio di Planck, dove la fisica ammette la sua incapacità di formulare teorie falsificabili. Per quanto attiene alla matematica, non m’è pure dato sapere: quanto fa 1 +1 laggiù?
Leggo ancora, a pagina 132: “… i matematici trovano più cose nel cielo della matematica di quanto si sognano in terra gli epigoni moderni dei filosofi antichi”: Amleto si era limitato a dire: Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia.
Frase d’indubbia onestà intellettuale: “… dovremmo smettere di attribuire a europei come Fibonacci e Leibniz risultati largamente anticipati altrove, e riscrivere la storia della matematica in maniera molto meno eurocentrica.” – prossimo libro, Piergiorgio!
I Greci erano dei maestri nel capire il mondo, pur senza tanti mezzi: “Poiché le osservazioni sui due mari mostravano una notevole diversità delle lor maree, Ipparco ne dedusse che l’oceano a ovest di Gibilterra non poteva essere lo stesso che stava a est dell’India. Invece, le due masse d’acqua dovevano essere divise da un immenso continente, che le separasse completamente.” – per cui ha senso la frase che premetti al discorso “… a scoprire l’America non sono stati Colombo o i Vichinghi…” – ma quel misconosciuto genio greco. Per la mia crassa ignoranza, questa è Magia!
Meno digeribile è la frase che riscontro a pagina 165, e che forse potevi evitare, in quanto alludi anche a Italo Calvino, autore che tanto amo (anche tu, immagino): “… i letterati, con buona pace della legge Casati, sanno scrivere ma non far di conto.” – anche fra loro ci sono le eccezioni, tipo quel Georges Perec (nonché l’ingegner Carlo Emilio Gadda). En passant, a mio padre un giorno dissi che il mio mestiere sarebbe stato di ingegnere del Nulla. Non mi disse nulla, ma si limito a scuotere la testa.
A leggere il tuo saggio si scoprono cose che noi umani… per esempio che di Guerra e pace ce ne fu una versione iniziale che uscì su una rivista russa, lunga circa la metà del testo definitivo e che “solo nel 1983 ci si accorse che si trattava in realtà di due romanzi diversi: non solo in lunghezza, ma anche nella trama e nello stile.” – come per Fermo e Lucia, se lo si paragona a I Promessi sposi. Il tutto serve a presentare “una mappa disegnata nel 1869” da un certo “Charles Minard” – in cui “in una sola pagina egli riuscì a condensare tutta la storia della campagna napoleonica del 1812” – il discorso è angosciante, se si pensa che su “420.000 uomini”, “solo 10.000 francesi riuscirono a uscire dalla Russia.” – e che, mentre scappavano o erano uccisi erano uomini; tornando in patria ridivennero francesi. A parte l’ignobile battuta, ripeto la questione già posta: perché Napoleone non ha scelto di fare il matematico?
Citi La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano, bel romanzo che lessi un decennio fa, di cui riporti alcune frasi: “I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per sé stessi…”. E poi quanto scrive ancora “… tra i numeri primi ce ne sono alcuni ancora più speciali. I matematici li chiamano primi gemelli: sono coppie di numeri primi che stanno vicini, anzi quasi vicini, perché fra di loro vi è sempre un numero pari che gli impedisce di toccarsi per davvero. Numeri come l’11 e il 13, come il 17 e il 19, il 41 e il 43…”. Poiché mi sto montando la testa, io dichiaro che non è vero, mi correggo, che non è giusto ritenere che 1 non sia un numero primo, perché ha due divisori che hanno l’occorrenza di coincidere: 1 e 1. La matematica ha una vera mania delle soluzioni coincidenti, e non vedo perché in questa faccenda si faccia un’eccezione. Per me 1, 2 e 3 non sono solo numeri primi gemelli, ma addirittura siamesi! Punto! E a capo!
Sono commosso dalla tua citazione di Gadda, che ben s’accosta a quella di Turing. Da essa deduco che non ha senso affermare che si può tornare nel passato (accadde però al Capitano Kirk e a Spock), perché in tal modo cambierebbe il futuro. Anche se… fisici come Majorana e Dirac discettavano su neutrini che venivano da tempi diversi dall’attuale. In quel Startrek, ricordo che Spock impedì al suo capitano di salvare la vita a una ragazza, perché col suo pacifismo avrebbe impedito l’entrata in guerra degli U.S.A. Entrambi sembravano ignorare che poi ci pensò l’attacco a Pearl Harbour a convincere l’opinione pubblica americana; disastro la cui previsione fu strategicamente ignorata, almeno così so io (dopo aver visto una puntata di Quark).
In teoria, se ho ben capito, e dando ascolto alla Teoria dell’IMM di Hugh Everett III, basta un nonnulla nella traiettoria di una particella per determinare la formazione di un nuovo cosmo. Ergo, quella ragazza doveva essere salvata. Sarebbe sorto in ogni caso un altro cosmo, chissà se meno necrofilo del nostro attuale.
Inizio a esaminare la seconda parte: Concetti. Dubito che il tuo stile cambi granché. Ma mi sento armato e pronto a tutto. En passant, a pagina 189 citi Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon. Avendolo a padire (in arşân, padîr vuol dire fermentare) in biblioteca, grazie a te ho deciso di leggerlo al più presto. Vedi che quando vuoi anche tu a qualcosa servi?
A pagina 207 parli dei “numeri complessi”. A me bastano quelli senza il prefisso iper, per andare in paranoia. La meccanica quantistica (lo spieghi anche tu) necessità di questa folle unione di numeri reali e di quelli immaginari (dati per esempio dalla radice quadrata di -2). Ed è questo che mi sconvolge: che siano dei dati non esistenti ad aiutare a comprendere l’esistenza reale. A volte ho l’atroce sospetto che in quello spazio di Planck (nonché appresso a quelle particelle virtuali che pullulano nel vuoto, e forse lo gestiscono), se non sei un po’ complesso non sei così tanto gradito.
Leggo di varie congetture, fra cui quella “di Goldbach: cioè, se ogni numero pari maggiore di 2 è uguale alla somma di due numeri primi.” – amo queste ipotesi basate su certezze non comprovate, né falsificate. Prima o poi, forse, lo saranno. Anche se un’ombra d’indicibile dubbio resterà sempre.
A pagina 232 leggo della “‘normalizzazione’ canonica” dei vari infiniti. C’è quella degli elettroni, ma tutto ciò non è di mio gradimento. La rinormalizzazione mi sa tanto di lobotomia. A me parrebbe più eticamente corretto affermare: rinormalizziamo pure, ma solo a fini operativi, senza scordare mai che c’è qualcosa che prima o poi dev’essere risolto logicamente.
“E comunque Gauss se la tenne per sé, come tante altre sue scoperte…” – si parla di scoperte e di teorizzazioni: giuste o errate che siano, tenerle celate al mondo mi pare un atto immorale.
“Una delle caratteristiche più sorprendenti della matematica è la sua capacità di procedere in maniera cumulativa, attraverso successive generalizzazioni dei propri concetti e delle proprie teorie.” – infatti! A volte il mistero da svelare non è dietro l’angolo, ma ai piedi dell’apotema.
“Ci sono cose al mondo sulle quali pensiamo di sapere tutto da sempre. Fino a quando non ci mettiamo a esaminarle, e scopriamo che nascondono sorprese inaspettate.” – che bello!
Non commento più di tanto il capitoletto Quadricomia, limitandomi a spiegare “che per colorare una mappa in modo che paesi confinanti siano colorati diversamente, sembra che quattro colori siano sufficienti.” – sto pensando alla Francia (con Monaco e coi suoi territori d’oltremare) e alla stessa Italia (con le sue due minuscoli enclavi). Per cui, essendo anche tarda sera, mi propongo di andar a nanna. Dopo di cui accetto il mio tenero invito.
Carina è, nella foto di pagina 290 “Maryna Viazovska, medaglia Fields nel 2022” – forse stanotte la sognerò.
Alle pagine 315 e 316 leggo di Grigori Perel’man, il matematico russo che vinse e rifiutò il premio di un milione di dollari, nonché “la medaglia Fields” – entrambi meritati per aver dimostrato la “congettura di Poincaré”. La sua foto che vedo a pagina 316 lo fa assomigliare un po’ a Diego Abatantuono, per cui mi getto su zia wiki. E la storia che leggo è sconvolgente. Egli s’è ritirato dalle competizioni, studiando, immagino, per i fatti suoi. Mi piace un sacco, ma non gli affiderei la bicicletta, ché forse la donerebbe a uno ancora più barbuto di lui. Ora pare che viva grazie alla pensione della mamma. Provo a immaginare un incontro fra Srinavasa Ramanujan, il genialissimo matematico indiano (lessi la sua biografia romanzata da David Leavitt), Carl Friedrich Gauss e il testé citato Perel’man. Immagino che i tre si fisserebbero senza proferir parola. Oppure talvolta piglierebbero a parlare ognuno per conto suo, magari montando talvolta sulle parole altrui. Lo sento: sono troppo malizioso per fare il matematico.
Accenno alle tue note a fondo pagina (del tipo che amo, mentre aborro, come direbbe quel tale, quelle poste a fine volume): le tue sono del tipo: “Vedi pp. 193-196, 214-217, 226-228, 271-273 e 323-325.”, oppure: “Vedi pp. 220-222. E Pillole matematiche, pp. 131-135 e 149-152.” – e mi chiedo in quanti osservino i tuoi senz’altro giustificatissimi inviti a leggere/rileggere.

Qualcosa che leggo a pagina 326, nel capitoletto Oscuri segreti dei geni, mi esorta a compiere un’audacia: formulare la Congettura di Pioli. 1, 5 e 6 e tutti i loro multipli finiscono sempre, rispettivamente, per 1, 5 e 6. Mi auguro di essere tutt’al più il 10.729esimo (dilettantissimo) matematico che ha formulato tutto ciò. Dopo qualche ora, mi viene in mente che questo vale anche per i numeri con decimali che finiscono con tali cifre. E poi… che un numero qualsiasi, quindi anche 5 e 6, elevato alla zero, dà come risultato 1. Con una certa rassegnazione prendo la risoluzione d’accontentarmi del numero 1 intero, senza andar oltre. Non è una gran cosa, ma per questo pomeriggio m’accontento.
Accenno ora a una funzione scoperta da Ramanujan, che non fu capita affatto da un docente inglese, che gli dice che “non capisce le precauzioni che bisogna prendere con le serie divergenti”.
Devo dire che anch’io non ho compreso granché il ragionamento del matematico indiano, nonostante la spiegazione che tu fornisci, ma confido che quel genio fosse nel giusto.
Lo stesso “Ramanujan osservava: “a dire che 11+2+3+4+… è uguale a -1/12 si rischia di essere mandati direttamente in manicomio”. – dopo di cui tu puntualizzi che “in manicomio ci dovrebbero andare anche molti fisici, che usano il valore di -1/12 di…” – meglio non dire di che, perché non so se nel mio programma di scrittura esista quel carattere credo greco – “per calcolare l’energia del vuoto nella teoria bosonica delle stringhe…” – mamma mia!
E poi sardonicamente aggiungi: “Il che significa che è il mondo stesso a essere pazzo! E i matematici e i fisici si limitano ad accorgersene.” – questa è la tua scrittura, molto espressiva e mai banale (e quest’ultimo è il tuo quasi impalpabile difetto).
L’Apologo Teologico che conclude il saggio ha un enorme pregio: è lungo poco più di un paio di pagine. A me non interessano troppo i conati logici di Gödel intesi a definire Dio, mentre mi piacerebbe tanto conoscerli, sia Dio che Gödel, e un bel giorno ingollare insieme a loro una pinta di birra in quel Ceruleo Bistrot, di cui talvolta favoleggio.
Nel tavolino accanto al nostro ci saranno forse i tre fisici ciarlieri su cui ho celiato poc’anzi: tre ore (una intera a testa) che sono lì seduti e ancora non hanno ordinato. Che stiano congetturando?
Written by Stefano Pioli
Bibliografia
Piergiorgio Odifreddi, A piccole dosi, Raffaello Cortina Editore, 2023
Un pensiero su ““A piccole dosi” di Piergiorgio Odifreddi: contro la crisi di astinenza della matematica”