“Ogni prigione è un’isola” di Daria Bignardi: la lettura imprigiona a vita?

Leggere il romanzo Ogni prigione è un’isola di Daria Bignardi mi fa pensare che ogni umano è un carcerato. Anche se uno abita in una regione che non dà sbocchi sul mare, oppure ai piedi di una montagna alta svariati chilometri, questo è un pianeta terracqueo in cui predomina il mare.

Ogni prigione è un’isola di Daria Bignardi
Ogni prigione è un’isola di Daria Bignardi

Se sali sulle colline della mia provincia, Reggio Emilia, rischi d’imbatterti in una balena simile a quella che è stata battezzata Valentina e il cui fossile, esposto al museo un tempo intitolato a Lazzaro Spallanzani, riceve i visitatori da martedì alla domenica, lunedì chiuso come i parrucchieri. Ignoro invece quali possano essere gli orari di una prigione.

È Ogni prigione è un’isola un romanzo o un reportage? Entrambi. È una serie di racconti o un romanzo? Idem. Ogni autobiografia o racconto di memorie contiene, nella sua scorza, almeno una briciola di finzione.

Il penultimo capitolo, Chiusa dentro, mi ha destato dei dubbi, che non sono né assurdi né immotivati, che non significa probanti. Ogni saggio, anche il recente C’è del marcio in occidente di Piergiorgio Odifreddi, diventare a tratti una forma di autobiografia. Tempo fa formulai una teoria che va bene fino a mezzodì e per fortuna sono solo le cinque e mezza di mattina. Romanzo è quando il personaggio principale, non necessariamente un io narrante, si corica la sera e la mattina dopo si risveglia. Se dura un giorno solo (e qui il pensiero corre, necessariamente, all’Ulisse di James Joyce) è un racconto, che può essere corto o lungo, ma mirato a una sezione ristretta di tempo. Ha forse senso dire che ogni racconto è un’isola, mentre il romanzo è un continente (anche e non solo di tipo insulare, come l’Australia).

A Reggio queste le chiamiamo bâli, palle, o casêdi, e qui non sto a tradurre. A un certo punto, Daria spara l’unica volgarità che ricordo nel suo testo Ogni prigione è un’isola: “testa di cazzo”. Poiché figata significa cosa mirabile, mentre l’analogo maschile vuol dire sciocchezza, mi domando se il linguaggio stia lentamente invertendo il suo senso sessista.

Al contempo sto leggendo Morgana. L’uomo ricco sono io, silloge di saggi-racconti di Michela Murgia e Chiara Tagliaferri, in cui si utilizza normalmente lə schawa (o schwə?), per cui mi chiedo se non si dovrebbe scrivere testə di cazzə. O sarebbe un po’ troppo transgender?

Ma di che stavo parlando? Ah, di Ogni prigione è un’isola di Daria Bignardi. Che mi ha preso molto. Conobbi televisivamente l’autrice ai tempi in cui ancora guardavo quell’antiquato monitor, che tanto seguivo da giovane. Mi pareva simpatica, ma tendevo a cambiare quasi subito canale non solo perché non sopporto i talk show, gli spettacoli discorsivi, perché avevo notato che, a guardarli, inevitabilmente, si finiva per leggere di meno.

A complicare la faccenda è il fatto che subito dopo questo romanzo, ho iniziato I falsari di André Gide, di cui riporto un paio di passi (tratti da un fantomatico diario dell’Autore datato 1919): “Da due giorni penso di far raccontare il mio romanzo da Lafcadio. Dovrebbe essere una narrazione di avvenimenti, da lui scoperti a poco a poco, ai quali prenderebbe parte come curioso, sfaccendato e sovvertitore.” – e di questi tre attributi riconosco in Daria almeno il primo: se non fosse leggermente ficcanaso avrebbe scelto un diverso mestiere; mia mamma, sempre ironica (ho preso da lei), i giornalisti chiamava naşafiē). Secondo riporto: “Non è necessario che vi siano due sorelle. Non è opportuno opporre un personaggio all’altro e fare doppioni simmetrici (deplorevole procedimento dei romantici).” Come per un cast di un film, ogni scrittore deve trovare delle figure uniche, necessarie alla scrittura.

Leggo, in Ogni prigione è un’isola, a pagina 11: “Oggi per me non ha importanza sapere perché da ragazzo mi appassionavo al Conte di Montecristo o alle mie prigioni, o perché a vent’anni ho cominciato a scrivere a un condannato a morte. Non provo più nessuna fascinazione per le galere.” – come la capisco, questa Daria: non attraggono manco me. Anch’io ho sempre amato la letteratura d’evasione reale, del tipo Papillon di Henri Charrière e, soprattutto, uno dei miei libri esistenziali: Il forzato di Felix Milani, che, senza aver mai capito perché, ho sempre visto come un gemello separato alla nascita di Henry Miller, un altro dei miei miti. Un altro mio eroe è Arthur Rimbaud, che fu incarcerato in attesa di giudizio a Mazas e non ricordo se anche altrove. L’accusa, per lui, era di vagabondaggio, anche perché aveva barato sul biglietto del treno. Una sera, tornando a casa in licenza dalla naja, riuscii a beccarmi ben due multe per mancanza di biglietto, nella breve tratta da Piacenza a Reggio Emilia. Chissà quanti ce ne saranno stati di disgraziati come Arthur e me.

“Ogni carcere è un’isola. Ogni isola è una prigione.” – ve ne sono di due tipi, immagino. Quello in cui il carceriere è un altro, e quando lo sei tu. Sto pensando a Silvia Plath e alla sua emula Amelia Rosselli. In tal caso vale il rimbaudiano Je est un autre.

Leggendo il tuo riporto da una rubrica denominata “Al Fresco” – chissà perché questa F maiuscola? – mi pongo il quesito, a cui fatico a rispondere: preferisco Wanna Marchi o Previti? – per motivi di cavalleria, dovrei dire la prima, per motivi d’età dovrei dire il secondo. Sono conscio che ‘sti favoritismi lasciano il tempo che trovano. Se Adolf Hitler fosse stato una donna e se avesse vissuto 104 anni, che avrei pensato di lui?

Una mezza prova che un libro m’interessa è quando mi spinge a cercare un autore in esso citato. In questo caso è Marcello Ghiringhelli. Ho appena chattato con una collaboratrice di Inchiostri e Nuvole. Più tardi contatterò il titolare di Libri risorti. Ovviamente celio un po’, ma non troppo (è un mio difetto/eccesso), ma io li giudico i miei pusher di libri preferiti. Quei due negozi da anni mi pushano fortemente a leggere. Ovvio che ho guardato il profilo di Marcello su Facebook, come hai fatto tu. Amo il titolo del suo libro: La mia cattiva strada. Un altro dei miei romanzi cult è On the road.

Mi piace quanto scrivi: “… Ghiringhelli è uno dei pochissimi detenuti politici non dissociati…” – ammiro la sua coerenza priva di ipocrisia, che è unita al suo cruccio per i dolori che ha causato. È una persona sicuramente da conoscere, almeno letterariamente.

Vorrei proporre alla Treccani di adottare il tuo “Googlando” di pagina 33. anch’io glu-gluggo tutto l’insano dì. Se ci fossero stati motori di ricerca nella mia infanzia, la mia vita sarebbe stata diversa, non so se anche migliore. Avrei potuto sapere in diretta l’esito delle partite del Milan in Coppa dei campioni, a meno che i miei non m’avessero sequestrato il cellulare, come capita al mio brother in law, che risiede in una casa famiglia. La sua è una forma di soft imprisonment di cui una come te potrebbe occuparsi. Secondo me è a volte necessaria ma non si può chiudere il discorso in mezza riga, come per le prigioni. Guai se non ci fossero? Non so che dire. Risposta (assoluta) non c’è, o forse chi lo sa… Forse nemmeno lui, Bob Dylan, e neanche il caro amico Erminio, che la intonava, si fa per dire, tutti i santi giorni.

“Quando sono uscita dalla chiesa, piena di ragazzi in lacrime, sono passato dal Monte Stella, il suo posto preferito: era solo a pochi passi da dove si era celebrato il funerale.”il mio riporto è assurdo, ma serve a far capire al lettore del tuo lettore che nel tuo romanzo-verità Ogni prigione è un’isola i momenti commoventi non sono rari.

“In carcere ci si uccide venti volte più che fuori.” – e chissà se la motivazione è omogenea, probabilmente sì.

Notevole è il ragionamento di Manolo, che dice: “Quel perdono immeritato non l’ho più dimenticato, anche se per anni ne ho combinate ancora.” – sbagliando s’impara, ma la vita è un’eterna scuola; ed è maestra di storia (piolata, cioè freddura; in arşân tésta quêdra si dice: masèda, ammazzata retorica; che sia un criptoreato?).

Cinque sezioni del libro sono intitolate Linosa, amena isoletta presso la quale stai scrivendo il libro. Uno s’intitola Stromboli e uno Lampedusa. Ognuno ha le sedi operative che si merita. Io conosco soltanto le Egadi (così stupende), ma posso sempre recuperare. Grazie per il tuo spronarmi a viaggiare, anche solo con la fantasia.

Una conversazione che hai con il tuo “ex suocero” mi dà da pensare. Al momento non mi va di dire nulla. Dopo, vediamo.

A pagina 63 de Ogni prigione è un’isola citi un’opera di Norman Mailer – anche per cercare di capire quel che intendeva il tuo affine Adriano, mi permetti di suggerirti Il canto del boia del medesimo autore? È lungo solo 1044 pagine, per cui basta una pena detentiva di una settimana e lo si finisce. La lettura imprigiona a vita noi lettori seriali.

“Se non fosse per i tiri, leggerei e scriverei tutto il tempo, ma parte della giornata è impegnata con loro.” – e solo nella riga successiva capisco a cosa ti riferisci (avevo un po’ frainteso): pare che in siculo si dica tiraciatu, in italiano gongilo, in linneiano è Chalcides ocellatus. ‘Ste criaturielle meritano di per sé un viaggio in quell’isoletta. M’intriga il tuo accenno alla “psicologia tiresca”.

Tu hai talvolta un modo di scrivere simpaticamente impertinente.

Quanto leggo alla fine di questo capitolo mi fa pensare che anche le “zanzare, ‘quelle infami’” – hanno diritto a campa’. Come anche chi ruba per sopravvivere?

Daria Bignardi citazioni
Daria Bignardi citazioni

Discutibilmente meravigliosa è la definizione che rinvengo a pagina 76 de Ogni prigione è un’isola: le prigioni intese come “ospedali generali di un tempo: l’auberge des pauvres, il ricovero per ogni categoria di emarginati.” – con delle aristocratiche eccezioni, come vedremo.

C’è anche una cernita di invisibili – e qui mi viene da suggerirti di leggere Gli invisibili di Valerio Varesi – l’umano, ‘sto egoista certificato, tende a sottovalutare, e quasi a non vedere le disgrazie altrui. This is for-sit the problem.

Pino Cantatore, che è un ergastolano – in certi casi, uno rischia di restare ex tutta la vita – “Adesso fa l’imprenditore”. E ti dice la preziosa ovvietà: “Se sei stato carcerato una volta lo rimani per sempre.” – come per tante cose, per esempio se sei stato un getunêr, questa però non te la spiego. È una passione, insomma, che ti fa patire incantandoti: finisci per amare i luoghi dove hai tanti amici: le ultime due parole in corsivo derivano dal sanscrito kam’a, come anche kāma sūtra, e vuol dire passione intensa: che è poi un anti-sinestesia (termine che ho appena inventato, forse equivalente a pleonasmo: tipo fuoco ardente). Pino è quindi un imprenditore, come, da vivo, lo era Silvio, che citi poche pagine dopo, e a cui sono debitore di un mezzo miracolo: grazie a lui la squadra di Milano che ha vinto di meno nella sua cittadina è quella che ha vinto di più all over the world.

A un certo punto scrivi: “… per la prima volta dopo anni di visite in carcere, mi sembra di entrare in un posto che carcere non è.”tutto è relativo, come diceva un ebreo che riuscì per un pelo a evitare il lager. Pino ti dice: “Ma sai cosa? Io quando entro qui dentro mi sento come se fossi libero.” – termine che ha lo stesso etimo di libidine, pensa te. Libro deriva dall’indoeuropeo lap – corteccia, eppure… prova a pensare a un picchio, che ci dà che ci dà, su quella lignea buccia! E la parola legno? Da legēre, scegliere: come pure religio! Le parole s’incatenano le une alle altre, come fanno gli umani: loro le hanno inventate, prendendo spunto, c’è chi dice, dal cinguettio dei pennuti.

Quello che serve per capire un po’ il tuo romanzo-verità, lo trovo a pagina 85, quando definisci Confessione di un pescatore a mosca (in un primo tempo, idiotamente, avevo scritto Mosca) di Raul Montanari: “un piccolo libro così bello che me la sono goduta anch’io che non ho mai pescato.” – anch’io, che non sono mai stato ammesso o costretto in un carcere, ho apprezzato il tuo.

Una volta a Pompei, alla fermata del pullman per Vietri, conobbi un anziano che, dopo aver chiesto la mia provenienza, cominciò a magnificare la mia città. Mi parve subito un po’ strambo. Poi scoprii che era rimasto entusiasta del manicomio criminale che era presso il Santuario della Ghiara. Al che gli dissi che pochi anni prima era stata costruita una specie di cittadella (detta Pulce) fatta apposta per tipi come lui. Mentre stavo salendo sul mezzo, mi urlò con gioia: C’aggio a turna’!

“A tavola si discute anche dell’inutilità del carcere…” – e io ti dico che ho letto il tuo romanzo-verità senza aver alla fine le idee chiare sull’argomento. Non so decidermi. Un laureato in legge che stimo mi disse che, nel calcolo della pena, è compresa una quota (né rosa, né azzurra, diciamo bruna) di mera punizione.

“‘Il carcere è la cosa più stupida che esista’ mi ha detto Michele…”Caro Michele – come soleva dire quell’ansiosa signorina – non so che dirti. Il mondo è retto dalla stupidità, per cui a volte mi chiedo che fine farebbe se dovesse rimanere solo l’intelligenza. Collasserebbe su di sé, facendo la fine di una stella nana, che si comprime fino a diventare la singolarità che tutto attrae e rende uniforme? Una piccola sciocchezza, ogni tanto, for-sit è salvifica. L’importante è non ex-agerare, ché l’acqua tracima e sommerge gli argini e le golene… È Michele che ti suggerisce il titolo al libro: “Si ricordi che ogni istituto è uno Stato a parte, è come un’isola.” – nel senso che in ognuno di essi valgono regolamenti sui generis?

Al detenuto è permesso di giudicare chi incombe, giorno e notte, su di lui?

A pagina 94 de Ogni prigione è un’isola leggo:Un capro espiatorio serve: se poi è una donna, è perfetto.” – nel senso che la completa? È una battuta che potevo evitare, ma sappi che la riga appena citata è quella che ho meno gradita, forse perché mi fa sentire in colpa e ignoro quale possa essere la mia condanna.

A pagina 98 c’è la spiegazione del perché un carcere maltratta di più “la donna detenuta” – forse poiché, quando furono concepite le galere, non si pensava per niente a lei. Al massimo quelle come lei le si ardeva con gioia di fuoco sacro.

Quanto leggo alle pagine 99 e 100 mi fa fremere. Come mi comporterei io se avessi una persona in carcere? Riuscirei a essere almeno un po’ materno?

“Tra i maschi c’è qualche tipo interessante, le donne invece sono tutte delle disgraziate.” – così dicono “gli addetti ai lavori” – e trovo intrigante (ma non so se la vorrei come amica) la detenuta descritta a pagina 101, e nemmeno so se lei mi accetterebbe come solidale. Non ho però una grande simpatia per i personaggi di cui lei si reputa amica.

“Luigi Pagano è stata la prima persona a cui ho sentito dire che il carcere è inutile. Eppure, gli ha dedicato la vita.” – e prima o poi dovrò pure dire la mia sull’argomento.

A pagina 146 egli ti parla de “L’articolo 27” – che mai è stato tolto, dice, e che mai è stato granché applicato, fa capire. L’Italia è un paese che talvolta si distrae (mia antifrasi), cioè disattende a tempo indeterminato talune sentenze della Corte Costituzionale, come per esempio la n. 130/2023. Il Potere può, noi no. È l’anarchia del Potere, che tanto male arrecò a Pier Paolo Pasolini e a tutti noi.

Amabile è quel Luigi, uomo di vera stóppa napulitana, nel senso che è davvero arguto.

A me tu sei pure simpatica, sia per quel tuo bel faccino, che non farebbe pendant col mio, sia perché ogni tanto ti descrivi in situazioni facete, e anche quando scrivi: “Farnetico…” oppure: “Io blatero…” – credimi, io ammiro chi si descrive senz’avere l’intento d’apparire sempre sul pezzo.

Mi rendo conto che anch’io non lo sono sempre, quando scrivo una reazione (non certo una recensione, che ignoro come si possa scrivere) a un libro letto.

“Per un attimo credo persino di capire l’utilità delle telefonate ossessive di mia madre.” – e lo riporto perché vorrei che una mia giovane consanguinea leggesse il tuo libro. Almeno un genitore giunge utile allorché si vive una situazione come quella che hai descritto intorno a pagina 152 e che ha m’ha destato una grandissima ilarità. Aspetta però che ora ho un breve impegno. Torno fra due o tre minuti. Eccomi.

Si parla, a pagina 153 de Ogni prigione è un’isola, della “crudeltà disumana del 41 bis e dell’ergastolo ostativo.” – non so proprio che dire… Quelle tre ore di reclusione forzata “sono state eterne.” – le diciotto o circa che mi sono servite per leggerti sono trascorse come volando. Alla fine, non posso evitare di pormi la domanda: servono le prigioni? L’unica riposta che riesco a dare è: Sì, però… Però ognuno aggiunga al discorso quello che pensa sia giusto.

Non ho scritto una parola su quel che fai per quei poveri Cristi crocifissi per decenni. Sarai tu a comunicarlo a chi ti vorrà un giorno leggere. Al prossimo romanzo-verità, cara…

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Daria Bignardi, Ogni prigione è un’isola, Mondadori, 2024

 

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