“Assolo per mia madre” di Maria Pina Ciancio: gesti antichi da lodare a priori
“Entriamo e usciamo dal giorno/ annodando tra le dita/ la storia del nostro viaggio inesplorato”
Quando la madre se ne andò la poetessa trasformò la parola in un tempio nel quale poter pregare con la rievocazione di istanti segnati dalla sospensione temporale.
“Assolo per mia madre” (Edizioni L’Arca felice, 2014) è stato scritto in due momenti diversi: il 2002, l’anno in cui si manifestò la malattia di Carmela, la madre, ed il 2011, l’anno in cui venne a mancare.
Nella prima parte della silloge, Maria Pina Ciancio, con poesie e frammenti in prosa, riporta alla mente la sua infanzia in relazione alla madre, brevi versi che trasmettono cenni, abitudini, consigli, “rituali e gesti antichi da lodare/ a priori”. Nella seconda parte, invece, la figlia esprime la disperazione dell’ormai imminente perdita.
“«I luoghi sono da attraversare con compostezza/ in silenzio ‒ mi dicevi/ da sfiorare appena con le dita/ come i campi di grano a primavera./ Solo dopo tanti ritorni da stringere e afferrare/ assaporare a mani piene»”
Pare di assistere ad una rappresentazione atavica che si ripete incurante della società ormai mutata, la madre insegna alla figlia ‒ e la poetessa al lettore ‒ il ruolo sacro che l’essere umano può impersonare: il rispetto verso i luoghi che si incontrano nel cammino a cui si deve la “compostezza” ed il “silenzio” come se si assistesse alla germinazione del grano, per poi con l’arrivo dell’estate iniziare la raccolta così da “stringere afferrare/ assaporare a piene mani”.
Un invito alla calma, all’osservazione ed all’adorazione di ciò che si presenta agli occhi così da aver poi, al calar del Sole ma con il lampo del focolare “ventre e culla”, la sensazione di aver imparato “da una sosta all’altra/ che per guardare basta un attimo/ per vedere serve tempo”.
“Madre” è il termine che si incontra maggiormente ma non si percepisce abbondanza bensì la sensazione è simile al solco della mancanza, nel quale la ripetizione diviene simbolo del canto scindendosi, al contempo, in inno e lamento.
Mario Fresa, nella nota finale, scrive: “Qui la parola poetica è tutta dedicata a una madre […]: ma è una parola che essa stessa si fa madre, cioè matrice di ogni pensiero, di ogni azione, di ogni desiderio”. Madre come matrice: forse intesa con la radice mâ- che proviene dal sanscrito e ci sussurra il significato di misura ed ordine, facendo riecheggiare in noi quella “compostezza” che Carmela, la madre, raccomandava a Maria Pina, la figlia.
Durante la lettura di “Assolo per mia madre” si incrociano soprattutto paesaggi all’aperto, lunghe camminate intervallate da angoli “in disparte”. Non mancano, però, reminiscenze più dettagliate come, ad esempio, quel Natale in cui la madre rientrò con i regali e la figlia di “appena sei anni” sapeva “già l’ottenebrante vertigine del sogno e l’urgenza del riparo”. Una consapevolezza acerba, come le spighe durante la stagione splendente, presagiva “quel solco del destino” che avrebbe portato alla maturazione dell’arte poetica.
Ed ancora il racconto sulla Seconda guerra mondiale (Carmela nacque nel 1939): “La miseria e la paura. Le fette di pane contate ad una ad una, le scarpe che prendevano acqua da sotto e dai lati. Il passaggio degli aerei e le fughe disordinate dei bambini tra le sedie, sotto i letti. Al buio per non vedere. […]”. Il panico provato dalla madre, e degli altri bambini del borgo, è icasticamente espresso nella breve frase: “Al buio per non vedere”: il buio che, solitamente, intimidisce gli infanti diventa, invece, salvifico perché allontana dalla vista l’eventualità della morte.
“È arrivata la condanna e la paura/ in cui finisco di esserti figlia/ e tu di essermi madre// in questa latitudine di dolore/ non c’è fuga, né abbraccio/ per il mio pianto disperato/ solamente urgenza di imparare/ la grammatica dolorosa/ di un nuovo accoglimento”
“Assolo per mia madre” è un prodotto artigianale di alta qualità lavorato in Italia su carte pregiate su progetto grafico di Ida Borrasi, impreziosito dalle grafiche di Giuseppe Pedota, dalla prefazione di Lucio Zinna e dalla sopracitata nota critica di Mario Fresa.
Maria Pina Ciancio, di origini lucane, è nata a Winterthur in Svizzera nel 1965. Ha lavorato per molti anni come insegnante a Chiaromonte in Basilicata, recentemente si è trasferita a Roma nella zona dei Castelli Romani. Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia alla narrativa e saggistica, vincendo importanti premi letterari. Ha fatto parte di diverse giurie letterarie ed è presente in svariati cataloghi e riviste di settore; dal 2007 è presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo “Il gatto e la falena” (Premio Parola di Donna, 2003), “La ragazza con la valigia” (Ed. LietoColle, 2008), “Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro” (Fara Editore 2009), “Assolo per mia madre” (Edizioni L’Arca Felice, 2014), “Tre fili d’attesa” (Associazione Culturale LucaniArt 2022 con stampa dell’artista Stefania Lubatti), “D’Argilla e neve” (Ladolfi, 2023).
Written by Alessia Mocci
Info
Leggi la recensione “D’argilla e neve”
2 pensieri su ““Assolo per mia madre” di Maria Pina Ciancio: gesti antichi da lodare a priori”