“Storie minime” di Maria Pina Ciancio: la crepa dei calanchi
“Mi abitano i paesi spopolati/ e il vento// la luce che scorre in un istante/ e frana nella crepa dei calanchi// nella carne” ‒ incipit “Storie Minime”
I primi cinque versi di “Storie minime” di Maria Pina Ciancio riassumono l’intera silloge: la frenesia poetica abitata dai paesi spopolati della Lucania in una assenza che si manifesta nella reminiscenza che, simile alla luce, è dimora sia dell’istante sia della crepa originata dalla frana dei calanchi.
“Vento” e “carne” intesi come parola e terra ‒ anima e materia[1] ‒ si equivalgono in una ricerca di appartenenza in lotta costante per la sopravvivenza. La parola ‒ il vento ‒ si incarna nella terra e la terra, innalzata a musa, produce suggestioni.
“Storie Minime” racconta una condizione inarrestabile pari al cedimento delle aride argille che caratterizzano il territorio e che, ostacolando la coltivazione[2], incentivano l’abbandono del luogo natìo.
“Da quando l’emigrazione ha ripreso a mietere e falciare altra gente, i nostri paesi sembra che a volte non hanno più sguardo. Li attraversi di giorno, di notte, al mattino presto, tra le case chiuse, le piazze spopolate, […] Ci siamo dimezzati. […] Le partenze schiacciano chi resta in una realtà precaria e provvisoria, in uno spazio marginale.”
Storie minime, storie ridotte, storie imperfette così come spiega l’autrice nella breve prefazione: “Sono fatti di orme, tracce, echi. Quelli di chi parte e quelli di chi (ancora) resta. Corrono al margine lungo traiettorie secondarie, fuori traccia, a metà strada tra resistenza e fuga, tra rivelazione (bellezza) e disperazione.”; e come esplica Massimo Sannelli nella magistrale postfazione intitolata Lettera sull’intensità: “[…] si mostra nella scrittura di Maria Pina Ciancio: praticare ‒ e dichiarare sùbito ‒ che queste non sono poesie, ma versi e storie minime, nati «oltre la Svizzera» (parla chi è nata a Winterthur, e torna presto in una patria locale e italiana, «fatta di identità e spaesamento»). Non dopo la Svizzera, ma oltre: per dire che il nuovo Paese è stato abbandonato sia ieri ‒ il passato è passato ‒ sia per sempre, e le conseguenze affollano ancora il presente, di una donna e di molti).”
I versi si susseguono in analisi con i motivi che hanno portato allo “spaesamento” inteso sia come abbandono del paese sia come smarrimento dell’identità che produce estraneità.
“Glielo avevo detto a Ciccio di non andare/ perché la protesta ha bisogno di passione/ e una stella danzante dentro gli occhi”
Versi che fanno eco al filosofo Friedrich Nietzsche che in “Così parlò Zarathustra” scrisse: “Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante.”
Il “caos dentro di sé” di cui tratta Nietzsche è paragonabile alla “protesta che ha bisogno di passione”? Che cos’è la protesta se non caos? Quella pulsione che vuole sovvertire l’ordine vigente per la costruzione di un altro ordine che, paragonato ad una stella danzante, vive negli occhi e scalpita per poter fluire nel mondo fisico.
La protesta si palesa con l’opporsi e con la richiesta di chi rimane nella terra: “Per noi che restiamo/ la vita è una guerra senza guerra/ senza elmetti, né bombe/ solo parole ubriache smarrite tra le assenze”. Perché lo spaesamento dimezza gli avversari, è in sé guerra ma tra assenti, e nel conflitto restano le parole dei poeti, di Maria Pina Ciancio ‒ l’autrice di “Storie Minime” ‒ e di Rocco Scotellaro[3] ‒ quel giovane sindaco poeta che morì a trent’anni.
Non a caso il sottotitolo della silloge recita “e una poesia per Rocco Scotellaro” anche se, in realtà, sono due le poesie in cui l’autrice menziona l’eredità che ha lasciato il poeta nato a Tricarico nel 1923 e che, armato di coraggio e giustizia, divenne interprete dei tormenti della Lucania.
“Girano le cose/ e dovevamo saperlo noi/ che un giorno o l’altro/ avremmo fatto i conti/ con le parole già dette di Rocco/ e le speranze prosciugate/ tutte nel nero dell’inchiostro/ Una lotta su due fronti è la nostra/ con il quotidiano e con la storia/ uno spaesamento (senza tempo)/ del cuore e delle mani// vuoto cadenzato di fiato e corpo”
Fare i conti con le parole di Rocco Scotellaro in un “vuoto cadenzato di fiato e corpo” che persiste nella memoria con quell’alito che può trapiantare il seme lontano.
Vento e carne, parola e terra, fiato e corpo in una dualità persistente di anima e materia.
L’autrice, in apertura de “Una poesia per Rocco Scotellaro”, cita il poeta “Io sono un filo d’erba/ un filo d’erba che trema/ e la mia patria è dove l’erba trema./ Un alito può trapiantare/ il mio seme lontano.” così il seme della parola è un alito che travalica le dimensioni di tempo e spazio sino ad arrivare ad un “oggi” perpetuo che si rinnova nel suo scorrere con le stesse dinamiche di disgregazione della civiltà contadina e con lo spopolamento del sud causato dalla fine del mito industriale; tematiche che premono e che si palesano in versi pieni di pathos in una “lotta su due fronti […]/ con il quotidiano e con la storia”.
“[…] era il nostro gioco di bambini/ rincorrerci tra i tronchi fino a sera// adesso ad ogni conta/ manca sempre un legno e un nome// […]” ‒ “La conta”
Maria Pina Ciancio, di origini lucane, è nata a Winterthur in Svizzera nel 1965. Ha lavorato per molti anni come insegnante a Chiaromonte in Basilicata, recentemente si è trasferita a Roma nella zona dei Castelli Romani. Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia alla narrativa e saggistica, vincendo importanti premi letterari. Ha fatto parte di diverse giurie letterarie ed è presente in svariati cataloghi e riviste di settore; dal 2007 è presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt. Tra i suoi lavori ricordiamo “Il gatto e la falena” (Premio Parola di Donna, 2003), “La ragazza con la valigia” (Ed. LietoColle, 2008), “Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro” (Fara Editore 2009), “Assolo per mia madre” (Edizioni L’Arca Felice, 2014), “Tre fili d’attesa” (Associazione Culturale LucaniArt 2022 con stampa dell’artista Stefania Lubatti), “D’Argilla e neve” (Ladolfi, 2023).
Written by Alessia Mocci
Note
[1] Anima, dal greco ἄνεμος, ha il significato di “vento, respiro”. Intendere la materia come terra ha origine dalla contrapposizione con le acque, la parola terra deriva da τερσαίνω, che in greco significa “far asciugare”, e che successivamente in latino è divenuto tersa (con sottointeso materia) dunque materia asciutta.
[2] La coltivazione ‒ l’agricoltura ‒ è presente nei versi successivi con “mietere e falciare” ed in tutta la silloge si respira la comparazione tra l’essere umano e l’atto del curare la terra o dell’identificarsi con essa.
[3] Rocco Scotellaro morì a Portici nel 1953, amò e fu amato dalla poetessa Amelia Rosselli (Parigi, 1930 ‒ Roma, 1996) che, dopo la sua scomparsa, dedicò al poeta lucano numerose brevi poesie. “Rocco morto/ terra straniera, l’avete avvolto male/ i vostri lenzuoli sono senza ricami/ Lo dovevate fare, il merletto della gentilezza!”
Bibliografia
Maria Pina Ciancio, Storie minime, Fara Editore, 2009
Info
Leggi la recensione “D’argilla e neve”
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Un pensiero su ““Storie minime” di Maria Pina Ciancio: la crepa dei calanchi”