“Tre fili d’attesa” di Maria Pina Ciancio: non fanno rumore i paesi d’inverno

“Il ricorso all’espressione dialettale non è mai ornamento folkloristico, ma è strettamente collegato alla precisione del dire, tensione risolta efficacemente in un dettato poetico nitido, limpido, […]” ‒ dall’introduzione di Anna Maria Curci

Tre fili d'attesa di Maria Pina Ciancio
Tre fili d’attesa di Maria Pina Ciancio

La precisione del dire. È insito nella brevità del verso – e del testo poetico rispetto alla prosa ‒ cercare un incastro tra significato, immagine e suono, amalgamare in tal senso deve anche ripercuotersi necessariamente nell’immediato. Il verso ‒ e le parole che lo compongono ‒ deve osare ma, al contempo, deve personificare un monolito così da poterlo isolare dagli altri versi della lirica mantenendo la propria “precisione del dire”.

Comprendere ed attuare il duplice compito del verso ‒ l’amalgama mercuriale ed il monolito filosofale[1] ‒ è una ricerca che comporta una sorta remissività da parte del poeta che, in raccoglimento, ode e trascrive.

Esplicando il concetto sul piano pratico si può, ad esempio, leggere l’ultima lirica della plaquette “Tre fili d’attesa” di Maria Pina Ciancio: “Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno/ le guance rosse e gli occhi aperti al cielo/ oltraggiati dalla pioggia/ schermaglie di bambini/ senza un grido/ Ho un cielo d’inverno da inseguire/ risvegli e riverberi di resine/ memorie di partenze e di ritorni/ benigne solitudini/ Sulla via che ci incontra/ il vento sale e a te mi riconduce”.

L’esercizio al quale si dovrebbe tendere richiede di soffermarsi su ogni verso, dal primo all’ultimo, con una pausa rilevante così da riuscire a continuare la veduta espressa dalla poetessa lucana con la propria imago.

Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno”. È inverno, la nostra mente vaga nelle tonalità di nero e bianco, c’è un sentiero alberato, qualcuno di noi sta camminando in modo lento, qualcun altro è frettoloso, altri sono fermi in piedi, altri ancora sono seduti su una panchina anche se la temperatura è molto bassa. Gli alberi appaiono spogli, così come accade in inverno, riflettiamo sulla caparbietà del ciclico a cui “tutto” deve sottostare, noi, gli alberi, i pianeti. L’assenza del fogliame mostra un’abile opera che in primavera ed estate non si palesa facilmente ai nostri occhi: i nidi degli uccelli. In inverno, a causa dell’usura, sono sfilacciati, hanno portato a termine il compito della vita, aspettano la stagione successiva per essere riadattati, rinvigoriti. Ed è proprio questo il parallelismo che l’autrice intende esprimere. Noi, gli esseri umani, in inverno, tanto simili a qualsiasi ente, siamo quei nidi sugli alberi in attesa della rinascita che il solstizio annuncia e che l’equinozio espande.

Ed è questa la forza della poesia: trascendere il singolo individuo che scrive e giungere all’altro che legge. Ma per far sì che questo avvenga il lettore deve operare nel medesimo raccoglimento tipico del poeta, così seguendo il verso successivo “le guance rosse e gli occhi aperti al cieloun’altra visione sovviene e ribadisce l’essenza duale dell’amalgama mercuriale e del monolito filosofale. Si è principiato con l’analogia nidi/persone ed ora entra in scena la descrizione del soma (σόμα), della sostanza materica, che, connessa al verso precedente, tratteggia il colorito delle guance e lo sguardo che dall’albero sale verso il cielo, ma che per il concetto che si vuole esprimere garantisce una nuova storia grazie al meccanismo del distacco in un monolito. Ed ancora: “Oltraggiati dalla pioggia”, “Schermaglie di bambini”, ogni verso, come un affluente, converge nel medesimo fiume ma, nel suo percorso, vive una propria geografia.

“Dopo la guerra dell’inverno/ c’è chi parte e c’è chi resta/ (…)/ Gennaro e Vincenzino/ sillabano il tempo/ in anelli di fumo irregolare/ […]”

“Tre fili d’attesa” è una breve silloge suddivisa in due parti, la prima ‒ la più corposa ‒ è stata scritta nel 2006/2007 e la seconda parte consta della sola lirica sopra citata “Siamo nidi sfilacciati sugli alberi d’inverno” scritta nel 2011. L’inverno è il protagonista indiscusso, ogni lirica è un richiamo alla stagione dell’attesa nella quale il gorgogliare della vita riposa.

L’affresco che Maria Pina Ciancio ci dona è un fermo-immagine della Basilicata, un poemetto che rende omaggio agli abitanti di San Severino Lucano ‒ il luogo natìo della sua famiglia ‒ che la poetessa nata in Svizzera guarda con occhio antico per scorgere le caratteristiche della millenaria cultura che ininterrottamente ‒ così come il ciclo delle stagioni ‒ si rinnova nella terra di Lucania.

Incontriamo Gennaro, Vincenzino, zio Pietro, Mariuccia, Giacomino, Antonella, Vituccio, zia Marietta, un figlio nato muto, i vecchi con la schiena stanca, padre e figlio ad una cena, un cane a tre zampe, un gatto nero, bambini, rane e farfalle: ognuno di loro è interprete di un ricordo, di uno spettacolo rievocato affettuosamente in virtù del verso.

Non fanno rumore i paesi d’inverno/ e il giorno e la notte/ passano zitti

 

Maria Pina Ciancio _ poesie _ citazioni
Maria Pina Ciancio _ poesie _ citazioni

Maria Pina Ciancio, di origini lucane, è nata a Winterthur in Svizzera nel 1965. Ha lavorato per molti anni come insegnante a Chiaromonte in Basilicata, recentemente si è trasferita a Roma nella zona dei Castelli Romani. Ha pubblicato testi che spaziano dalla poesia alla narrativa e saggistica, vincendo importanti premi letterari. Ha fatto parte di diverse giurie letterarie ed è presente in svariati cataloghi e riviste di settore; dal 2007 è presidente dell’Associazione Culturale LucaniArt. Tra i suoi lavori più recenti ricordiamo “Il gatto e la falena” (Premio Parola di Donna, 2003), “La ragazza con la valigia” (Ed. LietoColle, 2008), “Storie minime e una poesia per Rocco Scotellaro” (Fara Editore 2009), “Assolo per mia madre” (Edizioni L’Arca Felice, 2014), “Tre fili d’attesa” (Associazione Culturale LucaniArt 2022 con stampa dell’artista Stefania Lubatti), “D’Argilla e neve” (Ladolfi, 2023).

 

Written by Alessia Mocci

 

Note

[1] “L’amalgama mercuriale ed il monolito filosofale” esplica la duplice funzione del verso che in sé è unito ‒ amalgamato ‒ ai versi presenti in una lirica così da poter narrare una storia, un momento, un sentire. L’uso di “mercuriale” insiste sul principio dell’amalgama come insieme di mercurio ed altri metalli che, in questo specifico caso, potremo denominare “parole”. Il “monolito filosofale” accentua l’uso di “mercuriale” esplicando in modo chiaro quella potenza del verso che, anche da singolo (slegato, e dunque monolito), riesce a produrre una riflessione “raccolta in se stessa” (filosofale, contemplativa), e rimanda all’atavico simbolo della pietra filosofale.

 

Info

Sito autrice

Sito LucaniArt

Leggi la recensione di Teresa Armenti della silloge “Tre fili d’attesa”

Leggi la recensione “D’argilla e neve”

Leggi la recensione “Assolo per mia madre”

 

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