Il Compasso da Navigare #4: la costa delle Marche nel portolano del Mediterraneo del 1250

“Pescara non è porto, ma è terra grossa e forte, con un fiume grande che le passa per le muraglie.”

Il Compasso da Navigare
Il Compasso da Navigare

Il Compasso da Navigare è un portolano del Mediterraneo risalente alla metà del 1200, indagato dal medievalista e filologo sardo Bacchisio Raimondo Motzo (Bolotana, 6 marzo 1883 – Napoli, 14 giugno 1970) negli anni ’30 del ‘900.

Non è nota l’identità dell’autore della prima stesura del testo e della grande carta nautica del Mediterraneo. Tuttavia questo anonimo nocchiero e cartografo, il quale era legato ai mercanti pisani, secondo la tesi del professor Motzo si formò alla scuola di Leonardo Fibonacci.

[…] Solo ulteriori ricerche potranno apportare. Direi che fu un abile nocchiero, il quale aveva appreso, alla scuola di Leonardo Pisano o del suo discepolo Campano da Novara, quanto giovi fare ogni cosa “in numero et in mensura”.  – Bacchisio Raimondo Motzo

Questo testo è stato in uso su navi toscane, liguri, venete, fu trascritto e glossato da amanuensi e marinai genovesi, pisani, veneziani, spagnoli e portoghesi e si pone come la più importante opera della scienza nautica del XIII secolo, offrendo una rappresentazione grafica ed una descrizione sistematica e sistematicamente condotta della vasta regione del bacino Mediterraneo a cui si aggiungono il valore storico per la descrizione delle località costiere in quella determinata epoca e quello linguistico e letterario per la conoscenza della lingua sabìr. Fattori che a buon titolo inseriscono il Compasso da Navigare tra le prime opere della prosa scientifica italiana.

“Aesto si è lo Compasso e la starea de la terra, si como se reguarda, en quante millara per estarea. En primamente, da lo capo de San Vicenzo a venire de ver Espagna, ver levante.” – Anonimo

La descrizione del Mar Mediterraneo del ‘200 fatta ne Il Compasso da Navigare  è ricca di dati e ancora oggi è fonte di curiosità e di riflessioni per il lettore. Numerose le domande che sorgono scorrendo le pagine del portolano: i luoghi descritti sono ancora identificabili? Le linee di costa si son modificate?

Dopo aver visto la nascita dei portolani e come si sono evoluti, ed aver analizzato i tratti di costa della Sardegna, e la traversata sino alla Sicilia, l’arcipelago delle Isole Egadi, le coste della Sicilia, le Isole Pelagie, le Isole Eolie, e l’Isola di Malta, le coste della Calabria e della Campaniala costa del Lazio e le Isole Pontine, la costa della Toscana e le isole dell’Arcipelago Toscano, la costa della Liguria, e l’Isola di Corsica, gli arcipelaghi delle Columbretes e delle Isole Baleari, rispettiva traversata sino alla Sardegna, il Molise, l’Abruzzo e dopo aver presentato “Il Compasso da Navigare” con l’esplorazione della Basilicata, della Puglia e delle isole Tremiti, in questo articolo prenderemo in particolare esame per i lettori di Oubliette la costa delle Marche, per confrontare i dati de “Il Compasso da Navigare” con la mia esperienza di navigazione su queste rotte, attraverso l’analisi comparata con le moderne carte nautiche e coi moderni portolani.

 

“De lo Monte Sancto Angelo entro la città de Fermo CLXXX millara per maestro ver lo ponente.”

Da Vieste a Porto San Giorgio (Fermo) si naviga per 130 miglia verso maestrale (rotta 305°). Volendo considerare come punto di partenza la rada di Porto Mattinata sotto l’abitato di Monte Sant’Angelo e dovendo doppiare il Promontorio del Gargano, la distanza si allunga di 20 miglia portandosi a 150 miglia. Nei documenti medievali Fermo è citata col nome di Portus Sancti Georgi[1] e Portus Firmi.

Lorenzo Tiepolo, podestà a Fermo e futuro doge di Venezia, tra il 1229 e il 1267 (anno in cui lasciò la città) potenziò il porto dotandolo di una piccola fortezza che fu edificata nel 1231 nota col nome di Castel San Giorgio per assicurare protezione contro le incursioni dal mare e aumentare la difesa della città di Fermo, mentre il borgo situato ai piedi del Monte Cacciù venne popolato da pescatori veneti, istriani e dalmati.

Porto San Giorgio - Marche
Porto San Giorgio – Marche

Questo tratto costiero presenta fondali bassi e sabbiosi, che consentono la sosta all’ancora solo con tempo favorevole. Il porto di San Giorgio oggi ospita una piccola flotta peschereccia e ha carattere prettamente di marina turistico.

“De Civita de Fermo a Civeta Nova XX millara per maestro ver ponente.”

Nove miglia separano Porto San Giorgio da Civitanova Marche. L’approdo doveva essere situato probabilmente in prossimità del fiume Chienti ed era legato all’attuale Civitanova Alta, un borgo medievale fortificato sorto intorno all’anno 1000.

La costa, dritta e sabbiosa non offre alcun riparo e consente l’ancoraggio solo con tempo favorevole.
Oggi l’approdo è garantito da un moderno porticciolo che ospita una flotta peschereccia ed una marina turistica.

“De Civeta Nova entro enn’Amcona XXV millara per maestro ver ponente.

La distanza che separa Civitanova Marche da Ancona è di 25 miglia nautiche e prevede un bordo al largo del Monte Conero.

Questo monte a picco sull’Adriatico costituisce un rilievo calcareo sollevatosi dal mare verso la fine del Miocene e successivamente riunitosi alla penisola italiana nel corso del Quaternario.

La morfologia del Monte Conero è dovuta oltre che ai fenomeni tettonici descritti poc’anzi, anche a forze erosive che ne hanno gradualmente modellato le superfici come si può osservare nelle falesie che si possono osservare nella costa tra Porto Novo e Ancona. I fondali marini di questo tratto di costa sono caratterizzati da sedimenti sabbiosi e fangosi e la batimetria dell’area è costituita da un leggero e uniforme pendio dei fondali che raggiungono poco più di 60 metri di profondità nella zona a Nord del Conero e per tutto l’Adriatico sino a Monfalcone e gli 80 metri nell’area ad Est del promontorio. L’isobata dei 10 metri si avvicina a pochi metri di distanza dalla costa del Monte Conero e facilita l’avvicinamento a terra con le imbarcazioni da diporto. Il Monte Conero è soggetto a seconda delle condizioni degli strati termici dell’aria a fenomeni di venti catabatici e favonici.

Il vento catabatico (dal greco καταβατικός – katabatikos = “discendente”) è un vento che spira scendendo da un’inclinazione topografica, come una collina o una montagna. Questo tipo di vento ha origine nel raffreddamento dell’aria sulla sommità delle alture.

Monte Conero
Monte Conero

Poiché la densità dell’aria aumenta quando la temperatura diminuisce, l’aria raffreddatasi in vetta, tenderà a spirare verso il basso per effetto gravitazionale.

Non è raro nel mese di novembre vedere masse di nubi addensarsi sul versante occidentale del Conero e scavallando la vetta, discendere sfrangiandosi in spire d’aria fredda che rapidamente investiranno l’imbarcazione.

In condizioni di ingressi di aria umida da sud sudest, nel periodo estivo si può caratterizzare nel versante settentrionale del Conero (baia di Porto Novo) un altro fenomeno di vento di caduta: il favonio.

Quando la massa d’aria incontra l’ostacolo montuoso tende a salire di quota per effetto dello sbarramento orografico, raffreddando e condensando; si genera a questo punto un “muro di nubi” lungo il crinale (precipitazioni da Stau). Una volta raggiunta la sommità dell’altura, l’aria è costretta a scendere per gravità lungo il versante opposto della montagna, acquistando velocità via via maggiori e generando attrito tra fluido (l’aria) e solido (la terra).

Questo provoca il riscaldamento del vento di caduta per effetto adiabatico, meglio noto come effetto “Stau-Föhn”.

“Ancona è bom porto de molo e copre da tramontana entro a garbino. La Conoscenza di Ancona si è cotale che à una montagna retonda longa per starea III millara sopra mare, e da la dicta montagna si è starea de VI millara fino a la città, e questa starea si è grossa, e mostrase forcata de V monti. En capo de la starea si è uno scollio e sunno scollio è una chiegia, che se appella Sancto Clemento. E sopre la dicta chiegia da ponente si à uno scollio sopre aqua lontano de la dicta chiegia II prodesi. Onorate allo scollio per atendere a lo porto III prodesi. E lo porto è facto de molo, et à fondo de VI passi, e li prodesi se dai a lo molo e l’àncore a garbino. Qualunqua se trovasse de sopre d’Ancona da maestro ne’ XX, ne’ XXX, ne’ L millara, e non avesse vista del porto d’Ancona, vada co lo scandallio per fondo de VII passa, giirà en no dicto porto de Ancona necto senza vista de terra.”

La Repubblica marinara di Ancona ebbe origine nell’XI secolo e la sua indipendenza durò sino al 1532. La sua bandiera fu una croce d’oro su sfondo rosso, secondo la leggenda dono dell’Imperatore Bizantino Manuele Comneno.

Ancona fu una delle più strette alleate alla Repubblica di Ragusa (oggi Dubrovnik), assieme alla quale si dedicava al commercio con l’Oriente in concorrenza con la vicina Repubblica di Venezia. Poco interessata all’espansione territoriale, la sua estensione fu sempre limitata al territorio compreso tra i fiumi Esino e Musone.

Ancona
Ancona

In città erano presenti numerosi fondachi di mercanti stranieri, tra cui quello dei greci e degli schiavoni (ossia dalmati e albanesi), che avevano propri luoghi di culto. A questi si deve aggiungere un’attiva comunità ebraica tutt’oggi esistente e di cui esistono ancora la sinagoga del XVIII secolo e il Campo degli Ebrei, un cimitero israelitico del XV secolo considerato tra i più importanti d’Europa.

In città erano presenti anche fondachi fiorentini, pisani, lucchesi, egiziani, siriani, nordafricani, bizantini e magiari.

Da Ancona partiva infatti una via commerciale alternativa a quella veneziana che principiando nel Medio Oriente e passando per Ragusa, Ancona, Pisa raggiungeva le Fiandre e terminava in Gran Bretagna. La Repubblica di Ancona inviava consoli ed aveva fondachi e colonie in molti porti d’Oriente. A Costantinopoli vi era il fondaco più importante; agli anconetani fu inoltre concesso di edificare una propria chiesa: Santo Stefano. Nel 1261 venne loro accordato l’ulteriore privilegio di avere una cappella nella basilica di Santa Sofia.

Altri fondachi anconetani si registrano in Siria a Laiazzo e a Laodicea, in Romania nel porto di Costanza, ad Alessandria d’Egitto, a Famagosta sull’isola di Cipro, in Palestina a San Giovanni d’Acri, in Grecia, a Trebisonda.

Nel Mediterraneo occidentale, fondachi anconetani erano presenti a Ragusa e a Segna mentre in Sicilia a Siracusa e Messina, in Spagna a Barcellona e a Valenza, in Africa a Tripoli e a Bugia (oggi Béjaïa).

L’attività commerciale era regolata dagli Ordinamenta et consuetudo maris, meglio noti come “statuti anconetani”, un corpus giuridico di leggi e regolamenti originatisi nel XII secolo e giunti a noi nella redazione del 1387. Divisi in ottantasei rubriche, gli statuti trattano delle diverse tipologie di navi e del loro armo, degli ufficiali e delle norme di comportamento, delle norme per il trasporto di passeggeri, del carico e dello scarico delle merci; per ogni capo erano previste anche le pene per i trasgressori.

Gli Statuti del Terzenale (arsenale) con cui spesso vengono confusi, riguardano invece le attività legate alla cantieristica navale. Sono divisi in ventuno rubriche e trattano le norme che regolavano la costruzione navale, il noleggio, l’acquisto, le tariffe per l’ormeggio delle navi.

Gli Statuti della Dogana normavano l’attività di importazione ed esportazione delle merci e sono divisi in centosessanta rubriche. Gli statuti stabilivano che tutte le vertenze relative alla navigazione dovevano essere discusse in un tribunale apposito chiamato Consolato del mare.

Seguendo questo corpus normativo, gli anconetani si dedicavano direttamente ai traffici marittimi mentre lo smistamento via terra delle merci era affidato a mercanti ebrei, lucchesi, pisani e fiorentini.

Monte Conero
Monte Conero

Dall’Oriente giungevano nel porto di Ancona spezie e medicamenti, coloranti, profumi, mastice, seta, cotone, zucchero di canna, allume; dalla Dalmazia arrivavano invece legnami, sale di Pago, metalli da Fiume (oggi Rijeka). Quanto a pellami, cera e miele, questi provenivano invece da Ragusa, Zara, Traù (oggi Trogir) e Sebenico. Questi prodotti venivano poi trasportati via terra come sopra descritto. Sempre via terra giungevano nel porto di Ancona panni pregiati da Firenze e dalle Fiandre; zafferano abruzzese, olio grano e vino marchigiani, carta di Fabriano, diretti verso i mercati dalmati e orientali.

Negli anni in cui fu scritto Il Compasso da Navigare, in particolare nel 1257, la Repubblica di Ancona era alleata con Pisa nella guerra contro Venezia. Si era formata una lega anti veneziana composta da Ancona in alleanza con Pisa, Bologna, Treviso, Verona, Mantova, Ferrara, Cremona.

Venezia riuscì a prevalere in battaglia e ad ottenere un trattato di pace a sé favorevole. Ancona rifiutò tuttavia di siglare il patto e perpetrò una solitaria lotta di resistenza al fine di mantenere la propria libertà di commercio in Oriente: ne andava della sua sopravvivenza come potenza marinara. Venezia per tutta risposta mise in atto contro Ancona un blocco navale e terrestre che ebbe termine nel 1277 quando Ancona riuscì a ottenere vittoria sulla ben più potente rivale. La situazione si ribaltò nuovamente nel 1281, quando era doge Giovanni Dandolo, che abilmente riuscì a ottenere un trattato tra le due repubbliche: il Trattato di Ravenna, totalmente a favore di Venezia. I successivi trattati tra le due repubbliche furono stipulati nel 1345 e nel 1366 e ristabilirono i diritti di Ancona nella navigazione e nel commercio.

Oggi il porto di Ancona è un grande snodo commerciale e cantieristico, ospita una flotta peschereccia ed un grande marina turistico, tuttavia le strutture portuali descritte nel portolano Il Compasso da Navigare sono ancora in parte riconoscibili.

Il molo descritto nel portolano duecentesco offriva la possibilità di ormeggiare con poppa a grecale e ancore a sud. Analizzando la mappa realizzata dal cartografo Georg Braun (Colonia, 1541 – Colonia, 10 marzo 1622) e pubblicata nell’atlante Civitates Orbis Terrarum del 1572, questo molo è bene identificabile e localizzabile in corrispondenza dell’attuale Lungomare Vanvitelli, dove ancora sono visibili l’Arco di Traiano alla radice del molo, l’Arco di Clementino ed una lunga porzione muraria settecentesca, dovuta al restauro portuale attribuito al Vanvitelli, il quale fu progettista anche della Mole Vanvitelliana, un lazzaretto a pianta pentagonale sito nel mandracchio del porto e che in origine era raggiungibile solo tramite imbarcazioni. I lavori di costruzione cominciarono nel 1733 e si conclusero nel 1743. La struttura era in grado di ospitare e garantire la quarantena a 2000 persone e a grandi quantitativi di merci. Le persone venivano ospitate in un anello interno della struttura, mentre l’anello più esterno era destinato ai magazzini per le merci. Nel vertice occidentale del lazzaretto fu costruito anche un rivellino, destinato alla difesa del porto. Al centro della struttura, il Tempietto di San Rocco, anch’esso progettato a pianta pentagonale, ospitava originariamente un altare, oggi non più presente. Rimane, apposto sulla coppia di colonne del vertice settentrionale, un ovale rappresentante la Vergine col Bambino e San Rocco, uno dei santi più invocati in occidente contro la peste.

Riguardo alla Chiesa di San Clemente di cui il nocchiero che ha composto il portolano fa menzione nel ‘200, ci viene in aiuto Vincenzo Pirani, che nel libro Ancona dentro le mura nel 1971 narrava:

“La stradina che parte all’altezza della “Casa del Boja”, sotto San Ciriaco, conduceva sino al mare passando dietro il muro di cinta del Cantiere. Vi era una breve spiaggia sassosa poi una zona di scogli che rapidamente prendeva profondità sentita. Sullo sfondo era il gruppo formato dai tre scogli maggiori: San Clemente, San Clementino e la Volpe. Il nome di San Clemente e di San Clementino sono di facile derivazione: ricordano l’omonima chiesa che nella seconda metà del Cinquecento era ancora in piedi, anche se viene prescritto che doveva essere rinnovato il tetto e si fa presente che per arrivarvi bisogna aspettare la bassa marea. Poi, senza saper precisamente quando, la chiesa sparisce e si formano i tre scogli principali con altri meno voluminosi. La chiesa, secondo la tradizione, era stata eretta sui resti di un tempio dedicato a Diomede, appartenente quindi al periodo pre-romano. Più difficile è trovare la derivazione del nome dello scoglio della Volpe. Secondo uno storico francese il porto principale era chiamato ‘vulpulum’ mentre quello secondario o adibito a cantiere navale era detto Arcina, da cui poi deriverà Arsenale. Escluso quindi ogni riferimento all’animale, è da ritenersi che il nome di Scoglio della Volpe sia quanto rimane della memoria dell’antico porto romano.” – Vincenzo Pirani

Senigallia
Senigallia

In ultimo rimane interessante ed attualissima la soluzione proposta in caso di nebbia dal nocchiero che ha compilato Il Compasso da Navigare: il tratto di mare a nord e a nordovest di Ancona è spesso soggetto a fitti banchi di nebbia (situazione vissuta nel novembre 2008 a bordo dell’imbarcazione Zukabamba).

Ciò che il nocchiero suggeriva consisteva nello scandagliare il fondale sino a trovare la batimetrica dei VII passi, corrispondenti grosso modo alla nostra batimetria dei 5 metri.

Una volta individuata era sufficiente continuare a seguire la linea batimetrica con lo scandaglio e si sarebbe giunti sani e salvi in porto. Questa tecnica è ancora oggi valida per l’atterraggio in caso di nebbia quando il radar non è funzionante o non è presente a bordo, o in caso di avaria ai sistemi di navigazione elettronica.

“De Ancona a Senegallia XXV millara per ponente.”

Senigallia dista 16 miglia da Ancona. La grande differenza di misura deriva, oltre che dall’utilizzo del miglio geometrico nel portolano, anche dalla forte deformazione dell’Adriatico nella Carta Pisana.

Senigallia col suo porto fluviale nel fiume Misa era un centro a vocazione fortemente mercantile che grazie all’istituzione nel XIII secolo della Fiera Franca, poi chiamata Fiera della Maddalena e infine Fiera di Sant’Agostino attirava (una volta l’anno e salvo epidemie) mercanti da ogni parte del Mediterraneo e dell’Europa grazie alle particolari condizioni fiscali che essa offriva, raggiungendo il suo periodo di massimo splendore nel XVIII secolo.

Ancora oggi nel Rione Porto le strade prendono nome dai mercanti che vi avevano sede e troviamo le vie Cattaro, Siria, Samo, Corfù, Smirne, Rodi, a ricordo dei fondachi commerciali che erano presenti in città.

Poco distante dal Rione Porto, la Rocca Roverasca ingloba una preesistente torre medievale a pianta quadrangolare, restaurata nel XIII secolo per volere del cardinale spagnolo Egidio Albornoz, legato papale, il quale diede l’incarico ai Malatesta di riprendere le opere difensive della città.

I lavori ripresero nel 1379, mentre l’aspetto attuale della fortezza è attribuibile a Giovanni Della Rovere, Signore della città dal 1474 al 1501. Il progetto fu affidato a Baccio Pontelli che circondò la residenza signorile con una cinta muraria a pianta quadrata ai cui angoli sono posti quattro bassi torrioni circolari collegati fra loro e con il corpo centrale.

Vallugola
Vallugola

Il porto di Senigallia oggi ospita una flotta peschereccia ed una sezione dedicata al diporto nautico.

“De Senegallia a Fano XV millara per ponente.”

Fano col suo porto fluviale si costituì come Comune nel XIII secolo, per un breve periodo sotto il dominio estense, dopo di che la scena politica della città fu dilaniata dalla lotta tra due famiglie: i del Cassero e i da Carignano, la cui vicenda fu ricordata da Dante Alighieri nella Divina Commedia:

“E fa saper a’ due miglior di Fano/a messer Guido e anco ad Angiolello,/che, se l’antiveder qui non è vano,/gittati saran fuor di lor vasello/e mazzerati presso a la Cattolica/per tradimento d’un tiranno fello.” – Dante – Inferno, 28

Alla fine del XIII secolo la città passò sotto il dominio Malatesta di Rimini, grazie ad un complotto ordito da questi ultimi contro le due famiglie rivali. La famiglia Malatesta compì ampi lavori di restauro e adeguamento delle mura cittadine di età augustea. Un secondo restauro si ebbe nel 1552 sotto Papa Giulio III.

Le mura sono ancora conservate per circa 2/3 ovvero per una lunghezza di circa 2 km e un’altezza di 14 metri con 28 torri cilindriche.

Il porto di Fano, a carattere prettamente peschereccio, ospita anche una darsena turistica.

“De Fano a Pesaro XV millara per ponente ver lo maestro quarta.”

Sei miglia e mezzo separano Fano da Pesaro. Caratterizzata da un importante porto fluviale tutt’oggi fruibile, la storia di Pesaro medievale è assai articolata. La città si costituì comune nel 1182, ma pochi anni dopo, fu annessa nella Marca anconitana, sotto Marquardo di Annweiler, vicario imperiale. Nel XIII secolo, ristabilito il Comune, Pesaro passò per volere del papa Innocenzo III sotto il dominio degli Estensi, dal 1210 al 1216. Sotto il regno di Federico II di Svevia, la città si ribellò al dominio imperiale e aderì alla lega delle città guelfe della Marca che si trovavano in guerra nel 1259 contro Enzo di Hohenstaufen (Cremona, 1220 – Bologna, 14 marzo 1272), dal 1238 Giudice di Torres e di Gallura, re di Sardegna e vicario imperiale nell’Italia centro-settentrionale per conto di Federico II. Nello stesso anno, Pesaro fu costretta all’obbedienza da Manfredi di Sicilia, ma alla sua morte nel 1266 la città tornò sotto il potere papale sotto cui la città vide succedersi diverse signorie: i Malatesta (1285-1445), gli Sforza (1445-1512) il cui dominio fu interrotto da Cesare Borgia dal 1500 al 1503 ed in seguito consegnata da papa Giulio II ai Della Rovere (1513-1631) con i quali era imparentato.

Di queste vicende rimangono a testimonianza il porto canale, oggi profondamente modificato e modernizzato per accogliere la flotta peschereccia e diportistica e la quattrocentesca Rocca Costanza, la cui struttura richiama la Rocca Roverasca di Senigallia con la sua pianta quadrata, rafforzata da torrioni cilindrici e cinta da un ampio fossato.

“De Pesaro a Fugara XXV millara per ponente.”

Lasciata Pesaro e costeggiando il Parco Naturale Monte San Bartolo per circa 6 miglia, si giunge all’antico porto di Fugara, localizzato dall’archeologo Nereo Alfieri[2] nell’odierno Porto di Vallugola. Lo scalo portuale è indicato nei documenti d’archivio datati tra il 1250 e il 1256 come Fugara/Fogara/Focara e l’approdo fungeva da tappa intermedia per il piccolo cabotaggio tra Ancona e Ravenna. La sua decadenza cominciò nel XV secolo.

 

Monte Conero - Vallugola
Monte Conero – Vallugola

Per chi volesse cimentarsi nella ricostruzione del paesaggio costiero dell’area esaminata, o per esigenze di navigazione, si consigliano la Carta nautica n. 922 – Da 922 – Da Vieste a Porto San Giorgio E Isola Lesina, edita dall’Istituto Idrografico della Marina, la Carta nautica n. 923 – Da Porto San Giorgio a Porto Corsini e Zara , edita dall’Istituto Idrografico della Marina, la Carta 111 dei Simboli, abbreviazioni, termini in uso nelle carte nautiche edita dall’Istituto Idrografico della Marina, l’Elenco di Fari e Segnali da Nebbia, edito dall’Istituto Idrografico Militare, il portolano scritto da Mauro Mancini, Navigare Lungo Costa N.6, da Santa Maria di Leuca al delta del Po, edito da Class Editori nella collana Tagliamare, il Portolano P7, da Capo Santa Maria di Leuca a Senigallia, edito dall’Istituto Idrografico Militare, il Portolano P7, da Marotta al confine italo-sloveno, edito dall’Istituto Idrografico Militare.

 

Written by Claudio Fadda

 

Note

[1] Della economia politica del municipio di Mantova a’ tempi in cui si reggeva a repubblica, di Carlo de Arco, Editori Fratelli Negretti, Mantova 1842

[2] Nereo Alfieri, Il promontorio di Focara nei portolani e nelle carte nautiche medievali, in Gabicce. Un paese sull’Adriatico tra Marche e Romagna. Atti del Convegno di storia locale, Gabicce 1986,

 

Info

Rubrica Il Compasso da Navigare

Rubrica Carta di Navigare

Immatricolazione barche a vela ed a motore in Europa

Conseguire la patente nautica in pochi giorni

 

Bibliografia

Bacchisio Raimondo Motzo, Il Compasso da Navigare, opera italiana del secolo XIII, Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Cagliari, Cagliari, 1947

Gerolamo Azurri, Carta di Navigare, Civico Istituto Colombiano, Genova, 1985

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *