“Conferenze brasiliane” di Franco Basaglia: gli interventi tenuti l’anno prima della scomparsa
“Abbiamo dimostrato che l’impossibile diviene possibile…” ‒ Franco Basaglia, Rio de Janeiro, 28 giugno 1979

Perché è importante tornare a leggere e studiare l’opera di Franco Basaglia? Perché ancora non lo abbiamo fatto come avremmo dovuto, e perché è importante che le giovani generazioni possano attingere ad una dimensione etica della cura che affranchi la loro visione dal paradigma tecnicistico e stigmatizzante oggi nuovamente imperante.
Il testo delle Conferenze brasiliane, denso di spunti teorico-pratici, è utile allo scopo, fornendo al lettore la possibilità di esercitare il proprio saper essere nella cura attingendo ad una visione umanistica e fenomenologica della sofferenza umana, visione che ha permesso all’Italia di essere modello di cura nel mondo [OMS. 2003].
Il testo Conferenze brasiliane raccoglie la testimonianza dei tre viaggi compiuti da Basaglia a San Paolo, Rio de Janeiro e Belo Horizonte, tra giugno e novembre del 1979, poco prima della sua scomparsa. Tre viaggi in cui Basaglia incontra persone (operatori e operatrici, attivisti e attiviste, ecc.) impegnate per un cambiamento delle istituzioni, in un paese in cui ancora è al potere il regime dittatoriale.
In Italia è trascorso solo un anno dalla promulgazione della legge 180, inglobata poi nella legge sull’assistenza sanitaria nazionale [legge 833/1978], e i problemi non sono stati ancora risolti del tutto, e la nuova situazione pone degli interrogativi importanti sul da farsi.
L’atteggiamento con cui Basaglia affronta il momento di impasse dopo la promulgazione della nuova legge si mostra innovativo già solo nel modo di articolare il confronto. Basaglia, anziché leggere una relazione, o affrontare le domande in modo accademico, articola un confronto con i suoi interlocutori attraverso la pratica del domandare e del rispondere che ricorda la filosofia antica, procedendo senza far appello ad alcun sapere già noto ma anzi decostruendolo, e rimettendo ogni volta al centro la persona e il suo bisogno.
Il pensiero innovativo di Basaglia e del suo gruppo, dagli anni ’60, era stato accolto da un movimento di operatori, artisti, volontari e intellettuali che si erano spostati dalle loro città per andare a conoscere e a vedere quanto stava accadendo a Gorizia, e nelle altre regioni, per attualizzarlo nelle loro città. Una curiosità che nel ventennio precedente aveva attirato anche le persone di altri paesi, come in America Latina, dove il movimento di deistituzionalizzazione cominciava a prendere forma, e dove ancora oggi Basaglia raffigura una guida. L’opera di Basaglia e del suo movimento aveva permesso una trasformazione della cultura della cura che si sarebbe rivelata di portata epocale, consentendo il progresso della comunità umana nel modo di concepire la sofferenza. Una trasformazione che partiva dallo svelamento dell’erroneità della malattia mentale come malattia del cervello (“mitologia del cervello”) ed esigeva l’eliminazione dell’idea di “pericolosità sociale” e di “incorreggibilità” della persona con disagio insita nella cultura dell’epoca e nella legge precedente [legge 36/1904].
“Noi oggi mettiamo in evidenza che ogni situazione che ci viene portata è una “crisi vitale” e non “schizofrenia”, ovvero una situazione istituzionalizzata, una diagnosi. Allora noi vedevamo che quella schizofrenia era espressione di una crisi, esistenziale, sociale, famigliare, non importa, era comunque una “crisi”. Una cosa è considerare il problema una crisi e una cosa è considerarlo una diagnosi, perché la diagnosi è un oggetto mentre la crisi è una soggettività, soggettività che pone in crisi il medico, creando quella tensione di cui abbiamo parlato prima.” ‒ Franco Basaglia, San Paolo, 18 giugno 1979
Al malato, non più visto come il portatore di una patologia “incurabile” o di sintomi “incomprensibili”, venivano restituiti i diritti e la possibilità di espressione, e questo poneva la psichiatria e la società intera in una situazione diversa da quella precedente.
“Io ho detto che non so che cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia. Invece questa società riconosce la follia come parte della ragione, e la fa diventare ragione attraverso una scienza che si incarica di eliminarla. Il manicomio ha la sua ragione d’essere nel fatto che fa diventare razionale l’irrazionale. Quando uno è folle ed entra in un manicomio smette di essere folle per trasformarsi in malato. Diventa razionale in quanto malato. Il problema è come disfare questo nodo, come andare al di là della “follia istituzionale” e riconoscere la follia là dove essa ha origine, cioè nella vita.” ‒ Franco Basaglia, San Paolo, 19 giugno 1979
Una situazione non facile da sostenere, come mostra il dialogo di Basaglia nelle Conferenze brasiliane, e le domande che i presenti gli rivolgono.
Gli argomenti intorno ai quali Basaglia muove la riflessione emergono come domande che non riguardano la sola psichiatria, ma l’esistenza delle persone, per la qual cosa Basaglia indica come necessario un cambiamento del sistema in cui si pensa. Con il suo modo di riportare l’interlocutore su una nuova domanda, Basaglia affronta l’opera di decostruzione del modello psichiatrico positivista ponendo in luce il problema del pregiudizio insito in esso e nella cultura degli operatori e della società, portando la riflessione anche sull’alienazione vissuta dagli stessi tecnici nel loro lavoro e nella loro vita.
“L’università deve cambiare profondamente, perché se nello studio della medicina noi non portiamo l’aspetto sociale creeremo sempre dei medici che sono totalmente al servizio del denaro e che vedono solo nel guadagno il significato del loro lavoro. Bisognerebbe che lo studente, mentre studia all’università, andasse sul campo, vedesse la gente non nell’ospedale ma nella più ampia società, vedesse come sorge la malattia, come le fabbriche distruggono l’uomo, come la famiglia è fonte di contrasti di contraddizioni assurde, come il tempo libero è un momento di alienazione della persona. Questo è il vero significato della formazione del medico, oltre il sapere quante vertebre abbiamo, quanti polmoni abbiamo, quanti cuori abbiamo. È dalla situazione iniziale che dobbiamo cominciare il lavoro per una formazione diversa, anche della popolazione in riferimento al problema sanitario.” ‒ Franco Basaglia, Belo Horizonte, 21 novembre 1979
Con Basaglia l’aver cura torna ad essere sollecitudine ed esercizio di consapevolezza di sé, degli altri e del mondo [Socrate IV sec a.C.; Foucault, 1984]: una pratica di virtù e di riappropriazione individuale, sociale e comunitaria, in quella dimensione del “noi” in cui gioca un ruolo prioritario la relazione tra chi cura e chi è curato, ma anche la connessione con tessuto sociale. La dimensione della cura si articola intorno all’accettazione incondizionata della sofferenza quale impegno etico e politico irrinunciabile per una società che voglia dirsi civile.
“Avevamo già capito che un individuo ha, come prima necessità, non solo la cura della malattia ma molte altre cose: ha bisogno di un rapporto umano con chi lo cura, ha bisogno di risposte reali per il suo essere, ha bisogno di denaro, di una famiglia, di tutto ciò di cui anche noi medici che lo curiamo abbiamo bisogno. Questa è stata la nostra scoperta. Il malato non è solamente un malato ma un uomo con tutte le sue necessità.” ‒ Franco Basaglia, San Paolo, 18 giugno 1979
Attraverso la lettura delle Conferenze brasiliane è percepibile l’atteggiamento di scelta di Basaglia, di chi incarna un habitus: un modo etico di porsi di fronte ai problemi senza liquidare gli stessi con soluzioni semplici e razionalizzanti, ma anzi richiamando alla responsabilità e all’impegno per ciò che è doveroso. La pratica del pensare insieme diviene quindi la dimensione del possibile a cui richiama l’esercizio filosofico (dialogico) nelle Conferenze brasiliane, il quale esige anche dal lettore lo sforzo e la volontà di modificare il proprio punto di vista.
Il modo di pensare i concetti da parte di Basaglia rievoca la speculazione dei maestri del pensiero filosofico, suoi punti di riferimento, e quella necessità di rimanere nello slargo e nella vertigine del dubbio, trovando da lì un’altra possibilità di procedere. Il suo modo di interloquire ricorda l’atteggiamento socratico, e la speculazione che poi sarà sviluppata più avanti nell’Accademia di Platone e dallo Scetticismo, rappresentando, come afferma Hans G. Gadamer [2019], la base di ogni pratica filosofica. Porre la questione della psichiatrica su un piano filosofico, e dunque pratico, permette a Basaglia, e a chi ascolta e legge, di agire e pensare al tempo stesso, trovandosi insieme ad altri in questo impegno, in una dimensione in cui la cura, proprio come nell’antichità, non è affare solo del medico, ma riguarda la città [Socrate, IV sec. A.C.]. La cura in tal senso diviene democratica, e può attuarsi solo se tutti possono avere la parola in una simmetria di intenti e ruoli, sapendo che presto ci sarà bisogno di riflettere sul medesimo in modo nuovo riprendendo il cammino del pensiero in un’altra direzione [Di Adamo, 2024].
“Quando il malato chiede al medico spiegazioni sulla sua cura, e il medico non sa o non vuole rispondere, o quando il medico pretende che il malato se ne stia a letto, è evidente il carattere oppressivo della medicina. Quando invece il medico accetta la contestazione, quando accetta di essere il polo di una dialettica allora la medicina e la psichiatria diventano strumenti di liberazione.” ‒ Franco Basaglia, San Paolo, 18 giugno 1979
In questo modo di porsi Basaglia rappresenta il pioniere di una nuova visione, senz’altro unica nella sua epoca, che richiama a quella fenomenologia che è prima di tutto assunzione di un impegno costante nel ripensare il medesimo e far emergere i pregiudizi che guidano l’agire.
In qualità di nuovo direttore, Basaglia istituisce, fin dall’inizio a Gorizia, delle assemblee proponendo un nuovo modo di affrontare i problemi, nella forma del confronto quotidiano tra i presenti, prima con i soli operatori e poi allargandole anche agli internati e alle persone esterne, prendendo a modello l’esperienza dalla psichiatria fenomenologica tedesca.
E così fa pure nelle Conferenze brasiliane dove questa opportunità speculativa e operativa permette di non anteporre la verità della scienza al dialogo tra le persone. Il modo di rispondere ai suoi interlocutori, e la maniera di interrogarsi con loro mostrano la qualità del saper essere nella cura che tutti possono esercitare, nel quotidiano e nella loro attività, in quella “terapia delle idee” che, sola, può consentire di fare qualcosa insieme a chi ha bisogno. La cura non si gioca sulla divisione di ruoli, o in base agli specialismi, ma in una dimensione in cui le persone, al di là del loro incarico e della loro condizione, affrontano il problema della sofferenza come un problema che riguarda la loro vita.

La cura, come emerge dal testo, diviene analisi del linguaggio, del costume e della storia; approfondimento delle strutture della pre-comprensione che articolano il sapere; possibilità di riflessione sul già noto, e, nondimeno, accoglienza e ascolto del pensiero dell’altro. La cura in questo modo torna nella vita, uscendo fuori da ogni scuola e da ogni metodo imposto. In tal senso, rappresenta un modello di virtù per il presente e per le generazioni a venire.
Nelle Conferenze brasiliane traspare la cifra di Basaglia quale maestro del pensiero e pioniere di un modo di articolare il pensare e il dialogo che sa tenere insieme psichiatria, pedagogia, filosofia, antropologia e politica [Basaglia, 1953-1980].
“Nella crisi acuta, che cosa si deve fare? Finora si sono sviluppate tecniche di intervento che sono sostanzialmente tecniche repressive. Ma se noi vogliamo affrontare il problema del malato acuto senza l’internamento dobbiamo distruggere il luogo dell’internamento, perché se abbiamo la possibilità di internare un paziente finiremo con l’internarne molti. Noi dobbiamo trovare il sistema perché questo non accada e questo sistema si trova coinvolgendo nel problema il maggior numero possibile di persone.” ‒ Franco Basaglia, Rio de Janeiro, 26 giugno 1979
Mettendo in guardia dalla possibilità di un ritorno al Manicomio, Basaglia lascia un’indicazioni per il futuro: guardare a ciò che è stato fatto da un movimento importante in Italia, e nel mondo, senza dimenticare che è possibile curare le persone in altro modo rispetto alla violenza, all’esclusione e all’internamento.
“Abbiamo ancora molti nemici e ci sono anche molte persone che pensano che il malato dovrebbe stare in manicomio. Il problema è che, giorno per giorno, dobbiamo trovare argomenti per convincere le persone. Io credo che, di fronte a una persona totalmente estranea al problema, se davvero vogliamo cambiare la cultura, noi non dobbiamo vincere bensì convincere.” ‒ Franco Basaglia, San Paolo, 18 giugno 1979
Rilanciare il pensiero e l’opera di Franco Basaglia e del suo gruppo è senz’altro agevole per contrastare l’attuale deriva delle scienze della salute mentale e della società, attingendo alla saggezza e alla storia, e alla possibilità di edificazione di una nuova psicologia.
Titolo: Conferenze brasiliane
Autore: Franco Basaglia
Editore: Il Saggiatore
Numero di pagine: 304
Prezzo di copertina: 26.00 euro
Anno di pubblicazione: 2025
Written by Loredana Di Adamo
Bibliografia
Aristotele, (IV sec. A.C.), Etica Nicomachea, Laterza, Bari-Roma 2010
Platone, (IV sec. A.C.), Alcibiade I. Alcibiade II, Bur, Milano 1995
Basaglia, F., (a cura di), L’istituzione negata, Einaudi, Torino 1968
Basaglia, F., Scritti 1953-1980, Il Saggiatore, Milano 2017
Binswanger, L., Per un’antropologia fenomenologica. Saggi e conferenze psichiatriche, Feltrinelli, Milano 1984
Borgna, E., L’agonia della psichiatria, Feltrinelli, Milano 2022
Cooper, D., G.; Laing, R. D., Ragione e violenza, Armando, Roma 1973
Di Adamo, L., Filosofia e clinica. Un nuovo approccio all’autismo di livello 1 e alla neurodiversità, Negretto, Mantova 2022
Di Adamo, L., Della cura. Studi fenomenologici e salute mentale, Negretto, Mantova 2024
Di Adamo, L., La grammatica del tempo e la vulnerabilità vissuta. Per un rinnovamento dei saperi e delle esperienze di cura nell’ambito della salute mentale, Università di Firenze, in «Iride. Filosofia e discussione pubblica», vol. XXXVII, n. 104, 1-6(2025)
Dottori, R.; Gadamer, H., G., Un secolo di filosofia, La nave di Teseo, Milano 2019
Foucault, M., (1961), Storia della follia nell’età classica, Rizzoli, Milano 2020
Foucault, M., (1984), La cura di sé, Feltrinelli, Milano 2014
Slavich, A., All’ombra dei ciliegi giapponesi. Gorizia 1961, AlphaBeta, Merano 2018
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