Vincitori e finalisti del Contest di poesia e racconto breve “Oltre il muro Gaza”
“Uomo/ quando ami/ non avere fretta,/ ascolta la tempesta nel tuo cuore/ mentre guardi la tua donna,/ tocchi il suo corpo con dita delicate,/ baci la sua pelle/ e senti il suo odore/ riempendo l’anima di nuove emozioni,/ abbracciala,/ sii paziente mentre la prepari al piacere/ e quando sarete un corpo solo/ potrai chiudere gli occhi e diventare/ fiume.” ‒ poesia tratta da “Oltre il muro Gaza”

Si è conclusa il 16 febbraio 2025, a mezzanotte, la possibilità di partecipare al Contest letterario di poesia e racconto breve “Oltre il muro Gaza” promosso da Oubliette Magazine, dall’autrice Beatrice Benet e dal fotografo palestinese Shadi AlQarra.
La giuria del contest “Oltre il muro Gaza” (Alessia Mocci, Beatrice Benet, Carolina Colombi, Franco Carta, Giovanna Fracassi, Simona Trunzo, e Rosario Tomarchio) ha decretato i 14 finalisti dai quali sono stati selezionati due vincitori per ognuna delle categorie in gara.
Il premio per ciascuno dei vincitori consiste nell’invio di una copia del libro “Oltre il muro Gaza” di Beatrice Benet e Shadi AlQarra e con prefazione di Moni Ovadia.
Oggi, vi presentiamo tutti i finalisti ed i quattro vincitori ex aequo del Contest “Oltre il muro Gaza”(due per ogni sezione), ma non solo infatti l’autrice Beatrice Benet ha deciso di conferire uno speciale premio a due finalisti consistente nella pubblicazione delle due opere (una poesia ed un racconto breve) nella seconda edizione del libro “Oltre il muro Gaza”.
Tutte le opere partecipanti al Contest letterario “Oltre il muro Gaza” possono essere lette cliccando QUI.
FINALISTI
Sezione A ‒ Poesia
“Dalla foto s’irradia e mi avvolge” di Marcello Comitini
“Non era niente” di Antonio Blunda
“Fuori nevica” di Manuela Orrù
“Il segnale per i parti delle locuste” di Milena Musu
“La culla vuota” di Giuseppina Carta
“Dolce fata” di Melissa Biasin
“Ode alla donna” di Antonio Stasolla
Sezione B ‒ Racconto breve
“Aspettando l’alba” di Luisella Grondona
“Obulaguzi” di Mattia Airoldi
“Le bolle di sapone” di Maria Carmela Dettori
“Sarà vera pace?” di Chiara Sardelli
“Fuori dal pentagramma” di Marcella Donagemma
“L’uomo e il suo cane” di Marco Mastromauro
“Le cicatrici del cigno” di Rita Coda Deiana
OPERE VINCITRICI Contest “Oltre il muro Gaza”
Sezione A ‒ Poesia – “Oltre il muro Gaza”
“Dalla foto s’irradia e mi avvolge” di Marcello Comitini
Dalla foto s’irradia e mi avvolge
il calore del tuo sguardo sognante
la rosea aurora delle tue labbra
i tuoi capelli come raggi di sole
nelle ore insonni dei miei ricordi.
Sei bella e immobile
nella bellezza
nel tuo sorriso di amante
nei tuoi occhi misteriosi
che ancora scrutano il mio pensiero.
E le tue mani. Le tue mani
che posavi sul mio corpo lievi
come ali di lunghe orchidee
come fiori di corallo in grotte marine.
La mia vita riposava in balia
delle tue dita
come sull’argine di un fiume
una barca
cullata dai tuoi sospiri.
Ah! Le tue mani si nascondono
nel buio dell’assenza
senza che io possa sfiorarle
pur nell’inganno della foto.
Ogni tua carezza il mio amore
innalzava a immagine eterna.
Invano.
Ebbro delle tue mani
dimenticavo
il loro profumo di frutti perduti.
“Il segnale per i parti delle locuste” di Milena Musu
Troppo lunga notte
rigida di buio inverno
bestiale da nascondersi
sotto un sasso scuro di muschio,
unghie viola
bagnate di brina
intirizziti i piedi
come questo freddo sasso
che non copre.
Lunghissima tenebra
mai alba, solo notte,
dateci un tetto
almeno un muro di sassi:
i parti delle cavallette
inascoltabili schiudono,
sono locuste.
Buio conficcato
dentro questa notte,
densa tenebra
blu di livido
glassa di veleno.
Sfamandoci di sacrifici morimmo,
fermo buio di notte
e silenzio sillabato nero, ne-ro.
Le locuste arrivano,
gli orecchi sanguinano.
Non eravamo pronti,
neanche oggi.
Sezione B ‒ Racconto breve – “Oltre il muro Gaza”
“Le bolle di sapone” di Maria Carmela Dettori
Un giorno d’inverno, gennaio ancora freddo, ma il cielo sopra casa mia era terso, e silenzioso, un cielo di pace, dove i sogni più belli potevano trovare un rifugio sicuro prima di volare sui cuori in attesa laggiù. Si, loro non hanno preferenze, anzi, sarebbero felici di poter svolazzare intorno a quei cuori aridi e colmi di odio e rancore che, invece, preferiscono sogni oscuri, senza alcun barlume di luce, come il cielo tenebroso che li nasconde.
Sfogliavo delle foto su internet, quando una mi colpì e mi fermai: una bambina appoggiata al muro faceva delle bolle di sapone, dietro e intorno polvere e rumori di guerra.
Cominciai a parlarle:
– Ciao, bambina, sei sola? Come stai? Ti ho vista giocare con le bolle di sapone –
Gli occhi accennavano un sorriso nella polvere acre di rovine di case e sangue rappreso.
– Sono sola. Ho paura –
– Affianco a te ci sono soldati col fucile imbracciato, in attesa. Sai? Vorrei sentire i battiti dei loro cuori, leggerne i pensieri, convincermi che quell’odio gli è estraneo, come a te è estraneo, lo guardi, lo vivi e non comprendi, aspetti solo che si riprenda il gioco con i tuoi compagni. Molti di loro sono morti, le scarpette volate qua e là, il pianto straziante e inascoltato, da lontano ci si consola pensando che sono angeli, ma le madri e i padri rimasti vivi (e avrebbero voluto morire loro, te lo assicuro), non possono accettare che ci sia un paradiso dove un Dio sta a guardare, aspettando solo anime da santificare…ora, sai, è dura la rassegnazione, è dura ogni comunione laddove c’è odio, i fili sono spinati e i cieli squarciati dalle bombe. –
– Perché ci uccidono? –
– Sai, bambina, fanno credere che proprio in nome di quel Dio scenda pioggia infuocata a rubare vite e terre, ma nessun Dio vuole uccidere, nessun Dio è complice dell’odio che l’uomo sparge nel mondo. “Non uccidere, Non rubare, Ama il prossimo tuo come te stesso. Mi renderete conto”. Ma è sempre tardi ormai per gli innocenti che non possono aspettare un giudizio universale. –
Lei continuava a guardarmi, con la sua solitudine e tristezza, mi ascoltava ma forse nemmeno mi capiva, continuava a fare bolle di sapone e le guardava volare libere nel cielo. Il soldato di là dal muro continuava a sparare.
– Ho paura. La mia casa non c’è più, mamma, papà… –
Vidi nettamente le lacrime scendere silenziose sul suo viso.
– Vorrei tanto abbracciarti, bambina, stringerti forte e portarti via, lontana da ogni violenza e da tanto orrore. –
Il soldato girò un attimo lo sguardo, come a dirle “Vattene, corri lontana, salvati, ragazzina, questa maledetta guerra non ti appartiene”.
Vedevo in quella foto tutta la stoltezza umana, la brutalità, la bramosia di potere, sentivo il fragore delle rovine, le urla disperate dei morenti, il colore denso delle lacrime degli innocenti, gli occhi spenti delle migliaia di bambini, il dolore e la pietà che non conoscono più discordie, l’amore che indomito sorge dalle rovine e implora una fine a ogni sterminio, ogni cattiveria, ogni sopruso, voluti solo e soltanto dai peggiori governanti che non amano il loro popolo, non amano altri che se stessi, da qualunque parte stiano.
Sentivo nel mio cuore affollarsi un miscuglio di sentimenti, turbinare, ribellarsi: angoscia, rabbia, compassione, paura, e un’impotenza infinita, ma anche un’idea di speranza e di fiducia che mi scaldava l’anima. Sorrisi a quella bimba e la implorai guardandola:
– Allontanati, bambina, si, nasconditi in un posto sicuro, perché continueranno a piovere bombe, continuerete a morire, a Gaza, in Ucraina, in ogni terra in tensione di guerra… ora e anche dopo… dove i potenti daranno ascolto all’unico Dio da loro conosciuto e idolatrato: il denaro, facendo tacere il cuore. –
Ovunque si alzi la mano su un fratello, ovunque la voce divenga più alta di un grido di giustizia, ovunque la prepotenza prevalga sul dialogo, ovunque il denaro riesca a comprare la fiducia dell’uomo, ovunque si accenni a una guerra… la violenza e l’impero delle armi trionfano, in ogni nazione, in ogni angolo della terra, e sarà sempre genocidio, tragedia che si rinnova nei secoli.
– Bambina, scappa, nasconditi, cresci … so quanto soffri e quanto soffrirai ancora, ma non serbare rancore dentro di te, ti prego, non insegnare MAI ai tuoi figli la vendetta né i giochi delle armi… trasforma la tua rabbia in speranza e coltiva la Pace, per favore, su ogni cosa, coltivala sempre, come una figlia che da sempre è in te e gioca con i suoi fratelli, portando amore, armonia e gioia. –
Nuove generazioni crescano senza odio, con rispetto, tolleranza e coscienza dell’appartenenza di tutti gli Uomini allo stesso Universo, di cui NULLA è solo di uno o di pochi.
– Mandale in alto quelle bolle di sapone, bambina dagli occhi tristi e un timido accenno di sorriso, impaurito, disorientato, che chiede e non ha risposte, mandale in alto e urla l’angoscia di non capire la crudeltà di quei padri assassini. –
Solo allora mi accorsi che il soldato era caduto. La bambina non si era accorta di nulla, continuava a far volare le bolle di sapone da un inesauribile contenitore.
Mi avvicinai al soldato… era morto, mi chinai su di lui, avrà avuto 25 anni al massimo.
– Perché sei rimasto qui, da solo, sotto il fuoco del nemico? –
– Non volevo che uccidessero la bambina, che colpa ha lei di tutto questo scempio? –
– E tu, che colpa avevi? –
– Nessuna, o forse quella di non aver saputo dire di no. Non amo la guerra, non amo i mostruosi giochi politici che mietono solo vittime… in guerra o nella società. Non ho avuto il coraggio di dire di no -.
– Se avessi detto di no, è possibile che ti avrebbero condannato a morte, ma sei morto lo stesso… per la causa sbagliata. –
Sollevai gli occhi, la bambina era scomparsa, una grande bolla di sapone volteggiava lenta nella stanza, dentro, quasi impercettibili, le sfumature di una parola che ancora cercava una ragione: Amore.
Era tardi, spensi il PC e andai a dormire. Come sempre lasciai aperta la finestra.
“Fuori dal pentagramma” di Marcella Donagemma
Ed ora? Perché sono qui?
Come una goccia d’acqua, essenza del mio passato, cado senza arrivare.
Chi sono? Per tanto tempo ho cercato la forza di vivere. Quando ti ho perso ho pianto, nel buio, da sola, in quello spazio in cui nessuno può entrare. Mi dicevano, sei coraggiosa, sei forte. NO. Sento la tua risata. Perché te ne sei dovuto andare? Eri l’uomo più forte che io avessi mai conosciuto.
Andrà via mai questo vuoto? Diventerà più grande? Come posso capire il presente se non ho superato il passato?
Il buio mi terrorizzava ed ora sono buio.
Un’altra onda mi sommerge, dolce come un Assolo di Bach. Sono nei tasti, sono bianca e nera, sono nelle corde, tese e vibranti, nel nulla. Sono nulla. Cosa resta dunque? Sensazioni? Ricordi?
Meraviglia.
Lo stupore innocente, senza filtri, il vibrare per l’emozione, per il dolore o la paura, per l’amore.
Sto provando qualcosa, sto reagendo a tutto questo, forse ora avverto il suono cristallino, penetrante, della vita.
Sta piovendo. Sto piovendo, sono gocce in caduta dall’alto, pioggia.
Ogni volta che tocco qualcosa divento una nota, sono miliardi di note. Melodia e caos, fragore e armonia. Scivolo dalle grondaie piene di guano, dai muri delle case, fino al selciato, tra i ciottoli, nei buchi dell’asfalto, sui marciapiedi lucidi. Scivolo dalla schiena del mio amore, fino all’orlo del giaccone per poi cadere. No! Aspetta! Ma il tempo non aspetta. Sono io che aspetto, io che non ho tempo, né spazio.
Un nuovo palcoscenico in cui sono protagonista. Sono protagonista? Ho avuto un passato, sto percependo un presente. Avrò un futuro?
Fai tacere questa mente.
Sono musica, voglio essere musica.
Musica. Ancora. Flash come corti circuiti in cui rivedo le scene di un’opera. I costumi e quei suoni così acuti da far rabbrividire, suoni che escono da bocche deformate, melodie che disegnano pannelli simili alle albe boreali. Drappi colorati e trasparenti che fluttuano intorno a me e attraverso me. Tanta gente seduta sugli spalti, emozionata.
Non capisco, la gente si emoziona per le cose più strane mentre io ho sempre visto la bellezza nelle regole, quelle che regolano il caos, dietro l’ordine. E un giorno realizzi che più vai avanti, più il cibo non è così buono, che la tua macchina non deve essere la più bella, il tuo lavoro non deve essere il più prestigioso e vorresti solo andare a dormire, senza il pensiero di cosa fare il giorno dopo, di dove andare.
Quindi, qual è la differenza tra pensiero e realtà? C’è un mondo visibile ed uno invisibile? Avrei potuto evitarlo? O, in fondo, molto in fondo a me stessa, sapevo di meritarmi questo. Non saprei a chi dare la colpa.
É una colpa?
Allora quello che chiamo memoria, quello che riaffiora brutalmente, come fossero tante stanze chiuse che mi conducono non solo nel mio passato, ma al principio di ogni cosa, è ciò che mi sta bloccando, intrappolando, né di qua, né di là.
Sto cercando una soglia da varcare, una direzione da seguire, un luogo senza tempo.
Non esisto.
Si possono misurare il dolore, la sofferenza? Quella fisica certamente, ma quella che ti fascia il cuore e lo soffoca lentamente? Esistono bonus per chi ha provato a resistere o rientriamo tutti nel settore dei difettosi?
L’immagine di uova schiuse su un rullo, pulcini gialli sani, altri no, qualcuno nero. Mani, mani con guanti azzurri che gettano via i gusci e i pulcini malati o neri, lanciati dentro un tritatutto, perché difettosi.
Sono invisibile?
Forse è solo la mia coscienza che si sta spurgando. La mia mente che fa un defrag?
Incrocio la sguardo di Gwenda, ECCO come si chiamava! È un attimo, almeno così mi sembra, e tutta la sua vita mi travolge. Un bambino, ha perso un bambino, ed io ero lì, lo so. L’ospedale, il sangue, il frastuono delle ruote della barella e i suoi lamenti. La sua mano che stritola la mia. Una flebo che rimane incastrata nella porta e si spacca, perdendo a terra il liquido bianco e leggermente vischioso in cui lascio una mia impronta.
E mi mischio alla piccola pozzanghera, calpestata da altri piedi, trasportata da suole sconosciute un po’ ovunque. Sono davanti a un letto di morte, la riconosco la morte. La signora sdraiata di colpo si siede e mi fissa. Ma come? Poi, si sdraia e piange. Sua figlia le tiene la mano e le sussurra: “Ti voglio bene mamma, ti voglio bene:”
Poi, solo vuoto.
Vuoto.
Vita e morte mischiate, connesse.
Alcune esperienze nella vita sono inevitabili? Paura, rabbia, desiderio, amore, ho fermato le emozioni, ho deciso di non volerle provare più.
Questa mia decisione è stata un inizio o un termine?
Come una nuvola striata dal vento, mi separo, mi allungo. Come una stoffa lisa dal tempo, che si lacera, senza strappi, lasciando larghe aperture, buchi sfrangiati.
Io, stoffa intrisa di lacrime, sono nella mano di qualcuno che non riesco a mettere a fuoco. Si gira lentamente e riconosco gli occhi, sono i miei. Ma sono più vecchia. Le mani rugose stanno recidendo rose. Amo le rose. Mai avuto il pollice verde, ma adoro i fiori e, spesso, li lascio al loro destino, fiorire e morire sulla pianta.
Quegli occhi mi stanno fissando senza vedermi, quegli occhi sono i miei.
Sarebbe stato il mio futuro? Sto dando una sbirciatina al futuro? Non mi pare gran cosa.
Ora sono al cimitero e sto mettendo le rose al mio amore, la sua foto, così giovane, accarezzata dalle mie mani rugose.
Dolore. Profondo, continuo, incessante senso di solitudine.
Quello che sto provando non è niente al confronto. La stoffa si strappa, bagnata, pesante, copre i miei occhi.
Dove sei? Dove sono? Ci siamo persi, ti ho perso, mi sono persa. Lasciami andare mente, lasciami. Ho attraversato il confine.
Lasciami.
SPECIALE PREMIO CONFERITO DALL’AUTRICE – “Oltre il muro Gaza”
“Non era niente” di Antonio Blunda
Figlio mio, torna a dormire.
Non era la pietra, ma il letto scomodo.
Non era il sangue, ma il cinabro, e la stella marina.
Non era il freddo, ma un vento,
innocuo tra I sogni.
Non era il pianto,
ma cicale, perdute tra i campi.
Non era il boato,
ma gli angeli giusti del creato.
Non era niente, niente di niente.
Niente, quel che ti ha svegliato.
Niente che non fosse niente,
nient’altro che un brutto sogno,
niente che non può svanire.
Figlio mio, non era niente.
Ritorna a dormire.
“Obulaguzi” di Mattia Airoldi
Da due mesi Baal e altri del gruppo stavano agli ordini di Alrays Sadek, il padrone.
Lo avevano visto una sola volta, da lontano, scendere da una macchina lunga e bianca, circondato da alcune guardie dihib, che si muovevano come formiche al suo fianco. Baal passava le giornate sotto il sole a cuocere mattoni e a costruire un grande casolare. Era stato assegnato alla squadra dei carpentieri. Molti degli altri dell’accampamento, non li aveva più rivisti.
Ogni giorno però, rivedeva Miriam e il suo kanga rosso, che aveva imparato ad amare.
Era bella Miriam. L’avevano messa assieme alle donne più forti a raccogliere i datteri dalla piantagione di padron Sadek. Il raccolto andava poi disteso, mondato ed essiccato.
Era un lavoro lungo e ripetitivo. Anche Baal piaceva a Miriam. Gli piacevano i suoi modi gentili, la sua forza. Sebbene uomini e donne dimorassero divisi nel campo, i due si erano incontrati le notti ed erano giaciuti insieme. Furtivamente, per attimi brevi e intensi, rischiando molto. In quella condizione assurda, avevano persino trovato lo spazio per corteggiarsi. Si parlavano e si ascoltavano e si facevano sorridere. Si usavano piccole gentilezze. Una volta Miriam aveva lasciato a Baal il suo kanga.
Per tradizione, ogni kanga, nella sua parte centrale, reca una stampa con una frase di buon auspicio.
Un giorno Alrays Sadek si era presentato ai suoi schiavi. Aveva fatto un discorso con aria tranquilla e calcolatrice. C’era solo una maniera di andarsene dal campo, aveva detto.
In ogni direzione c’erano centinaia di miglia di nulla ed era quindi impossibile scappare.
Se fossero morti, sarebbero stati bruciati e sarebbero diventati istantaneamente parte del deserto.
Pagargli il debito del viaggio: quella era l’unica maniera di andarsene. Il problema era che il debito ammontava, per ciascuna persona, a una cifra molto elevata.
Solo se avessero lavorato tanto e bene, sarebbero stati liberi di arrivare al mare e di avere un passaggio sicuro. Miriam e Baal in quel momento si erano guardati tra le fila dei plotoni, colti da un’illuminazione. Una prospettiva.
Per tredici lunghi mesi Baal e Miriam lavorarono instancabilmente per Alrays Sadek, pagando il loro riscatto e altre settimane erano poi servite per raggiungere la costa.
Avevano preso il largo assieme ad altri cento in una notte squarciata dalle saette.
Il rollio della nave non dava tregua e il mare rombava.
Il gommone di legno e plastica imbarcava acqua da tutte le parti.
Lo scafo si stava squartando in più punti e i passeggeri, ululanti, dovevano levarsi i vestiti per coprire le falle. I lampi illuminavano il cielo e i corpi dei disperati in balìa del mare, facendoli rassomigliare a statue di sale pronte a sciogliersi e disgregarsi.
Miriam non stava bene da giorni. Era arrivata all’approdo stremata e Baal stesso l’aveva dovuta caricare a braccio sul barcone. Aveva molte nausee e le gambe si paralizzavano spesso.
Il suo ventre era cresciuto in quelle settimane.
L’imbarcazione era ormai ridotta a un colabrodo e i marosi la sferzavano.
Bastò un altro frangente per demolire definitivamente la zattera.
Dappertutto i corpi urlavano. E il mare latrava. Baal batteva ferocemente l’acqua e si guardava intorno, febbrile. La gente annaspava tra la schiuma e le onde.
In un lampo aveva rivisto Miriam, distante poche bracciate.
Le aveva percorse con fatica immane mentre attraversava un muro denso e respingente.
Gli occhi di lei erano chiusi, le labbra pallidissime.
Stava scivolando verso il fondo del mare nero.
Il braccio di Baal però si era messo in mezzo, come giudice tra due mondi.
L’acqua e l’aria, la morte e la vita.
Aveva riacciuffato Miriam e se la stringeva al petto, provando a tenerla a galla con tutte le sue forze.
Miriam aveva riaperto gli occhi e tossiva. «Baal…»
Nel cielo era comparsa una stella.
Con una lunga striscia arancione che attraversava il cielo e illuminava le acque.
Tutti stavano guardando in alto. Un bagliore che andava a morire dietro a un cavallone.
Ma l’attimo dopo compariva un’altra stella e poi un’altra ancora e così di nuovo.
I razzi fosforescenti partivano dal ponte di una lunga nave bianca, attraversata da una striscia rossa.
Una pesca miracolosa di uomo su uomo, donna su donna. E poi coperte dorate. Regali.
L’equipaggio della nave recuperò i sopravvissuti.
Quattordici anime più pesanti dei loro sfiniti corpi.
Mentre Baal tremava e stringeva a sé Miriam sotto la foglia dorata, una dottoressa con una mascherina sul volto e un paio di occhi concentrati avvicinò una torcia elettrica al volto della ragazza.
«Ha dentro un bambino!» urlava Baal nella sua lingua, mimando un arco lungo il suo stesso ventre.
La dottoressa intese la situazione immediatamente e fece intervenire un paio di barellieri.
Sembrava come nel racconto di Suor Elise, al catechismo del villaggio.
Davanti alla culla, i maghi d’oriente onoravano il figlio di Dio con oro e profumi.
Alle prime luci della mattina seguente, erano infine sbarcati. Le coste e la prima alba di un mondo nuovo. Il cielo era limpido, solcato dal volo a tutto campo dei gabbiani.
L’aria balsamica e salina.I sopravvissuti erano stati accompagnati verso un edificio.
Lì fuori c’era un bar con dei tavolini all’aperto da dove arrivava un buon aroma di caffè e di pane caldo Baal guardò Miriam, sfinita, che gli rivolse il più dolce dei sorrisi.
Afferrò il suo kanga rosso. Lesse la scritta sul dorso.
Sisi Sote Abiria Dereva Ni Mungu “In questo mondo tutti sono passeggeri, Dio è il guidatore.”
***
I vincitori del volume “Oltre il muro Gaza” saranno contattati via e-mail per l’invio del premio.
Complimenti ai vincitori, finalisti e partecipanti del Contest “Oltre il muro Gaza”
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Partecipa al Contest di poesia e racconto breve “Poetesse e Scrittrici d’Italia” cliccando QUI.
Info
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Felicissima del premio, ringrazio tutta la giuria e complimenti agli altri vincitori.
Complimenti ai Vincitori e i Finalisti!