“Gli spettri del Congo” di Adam Hochschild: la storia di un genocidio dimenticato
“Questa storia comincia molto tempo fa e continua ancora oggi a far sentire la sua eco. A mio parere, il momento cruciale e illuminante, che fa luce su molti dei decenni precedenti e successivi, è tuttavia quello in cui un giovane ebbe un lampo d’intuizione morale…”

Non è certo edificante il profilo di Leopoldo II tratteggiato dallo storico e giornalista Adam Hochschild nel suo saggio Gli spettri del Congo. La storia di un genocidio dimenticato pubblicato da Garzanti in un’edizione del 2022.
D’altra parte, quella toccata in sorte allo stato del Congo, sottoposto a una forma di colonialismo spietata, è cosa nota.
“La fase più cruenta del massacro congolese fu tra il 1890 e il 1910, ma il fenomeno affonda le sue radici in un’epoca assai più remota…”
Ma veniamo ai fatti, così come sono arrivati fino a noi e come l’autore, in una fedele quanto dettagliata ricostruzione, li ha riportati.
È il 1865 quando Leopoldo II saliva al trono, re di una monarchia di stampo costituzionale che prevedeva fossero gli elettori ad appoggiare le scelte del sovrano.
Ma chi era in realtà, nelle profondità del suo animo, Leopoldo II, monarca di un piccolo regno chiamato Belgio?
Ed è l’autore a delinearne il ritratto come uno dei carnefici del Novecento, che trova posto accanto a Hitler, a Stalin e ad altri la cui memoria non è andata perduta dai crimini perpetrati da loro. Semmai, soltanto sepolta dalla polvere del tempo.
Perché Leopoldo II non si è accontentato di ricoprire il suo ruolo istituzionale: divorato da una esagerata quanto deleteria megalomania voleva un dominio da gestire a modo proprio.
È il 1865 quando saliva al trono di un paese dalle esigue dimensioni, con prospettive morali altrettanto esigue, con la mira di conquistare territori, al fine di esercitare un potere al di fuori di ogni controllo. Con l’unico scopo di colonizzare un paese, a costo anche di un ampio spargimento di sangue. Che così avverrà, in seguito al suo operato.
Dunque, quale luogo migliore per placare la sua sete di potere se non il Congo?
Prima della presenza di Leopoldo sul territorio africano, negli anni intorno alla fine del 1400, i primi colonizzatori furono portoghesi. Con l’intenzione, quanto mai dubbia, di evangelizzare quel pezzo di mondo costruendo chiese e scuole in nome di una ipotetica civiltà.
Ma ben presto i missionari laici, presi dall’ingordigia, schiavizzavano la popolazione reclutando anche abitanti dei villaggi più isolati, che partivano dalle coste occidentali del continente con un numero di circa 5000 schiavi l’anno.
Fatti gravi, che in qualche misura davano il via a una serie di esplorazioni dell’Africa. In seguito alle quali nasceva il mito del fiume Congo, imponente e dispensatore di fertilità dei territori attraversati lungo il suo corso, di cui allora non si conosceva la fonte originaria.
Arrivando poi all’Ottocento, secolo durante il quale prendeva il via la ‘moda’ dei viaggi esplorativi.
Che vedeva avventurieri e uomini ambiziosi cimentarsi in viaggi anche difficoltosi, con il solo scopo al loro ritorno in patria di conquistare fama.
Fra questi figurava Henry Morton Stanley, i cui riferimenti biografici danno inizio alla narrazione de Gli spettri del Congo.
Considerato un giovane accorto e attento, incaricato dal giornale presso cui era impiegato, Stanley partiva alla ricerca del dottor David Livingstone, altra figura proverbiale, di cui da tempo non si avevano notizie.

Il quale Livingstone, medico e missionario, in qualche modo ha anticipato la scoperta del continente africano e di alcune delle sue peculiarità geografiche. Per circa trent’anni, a partire dagli anni Quaranta dell’Ottocento, ha esplorato l’Africa cercando la sorgente del Nilo e scoprendo infine le Cascate Vittoria.
A un certo punto, partito per l’Africa, Stanley incontrava il dottor Livingstone. Rimasta famosa è la frase che Stanley rivolse a Livingstone, nel momento in cui le strade dei due si incrociavano: “Doctor Livingstone, I presume”.
Dopo di che i due esploratori si separarono, e Stanley tornò in patria. Per fare però ritorno in Africa poco dopo, e proseguire nel suo percorso esplorativo.
Se le strade di Livingstone e di Stanley si erano separate, così non sarà per Leopoldo II e Stanley, che stabilivano un patto di collaborazione, in nome di un supposto benessere per lo stato del Congo.
Benessere supposto, come si poteva immaginare, visto poi l’esito delle trattative intraprese dai due.
In quanto, le azioni messe in atto da Leopoldo e dai suoi sostenitori saranno di altra portata. Anzi, tutt’altra cosa rispetto alle sue pubbliche dichiarazioni di un interesse filantropico da parte del re.
Perché a spingerlo in questa direzione saranno soltanto scopi predatori, a cui seguirà un ritorno economico finalizzato a proventi personali.
Visto che del vastissimo territorio ne fece un suo possedimento privato.
Mentre Stanley continuava la sua esplorazione del continente africano, gettando le basi per sfruttarne le risorse naturali, il re lo sollecitava a intervenire presso i capi villaggi. Al fine di ottenerne i favori, in primis la raccolta di caucciù e di avorio, beni preziosi di un territorio di difficile penetrazione. E abitato da una popolazione ancora primitiva, e perciò di nessuna accortezza commerciale, che non conosceva il valore dei beni della propria terra scambiati con merce irrisoria e inutile per i nativi.
E ricavati con un lavoro massacrante, che costava loro uno sforzo immane: è risaputo, infatti, che estrarre la gomma dagli alberi è faticosissimo. Come pure estrarre l’avorio dalle zanne degli elefanti, di cui Lepoldo II fa incetta, e che stravolgeva non solo l’identità del territorio ma deturpava l’ambiente togliendo ad esso le sue peculiarità.
Quello messo in atto in Congo in quegli anni è stato un saccheggio delle ricchezze naturali senza precedenti, che ha lasciato sul terreno un considerevole numero di vittime fiaccate dalla fatica e dalle malattie.
Ed è stato così, che Leopoldo II, re del piccolo Belgio, tramite una delle più brutali colonizzazioni della storia, è diventato possessore di un immenso territorio.
Sostenuto in seguito dalle grandi potenze, venute a un certo punto a conoscenza dei fatti, che decidevano di partecipare al ‘business’ a danno dell’Africa, fino a spartirsi porzioni del continente.
E, semmai i soprusi subiti da tribù del tutto sprovvedute e per nulla dedite ai commerci, avessero ridotto in schiavitù la popolazione, gli altri paesi avrebbero chiuso un occhio, se non tutti e due, sulle malefatte del re. Che, nella Conferenza di Berlino del 1884, ribadisce i suoi interessi umanitari nei confronti del Congo.
Dunque, un olocausto o genocidio che dir si voglia, la colonizzazione del Congo. Comunque lo si voglia definire, i brutali fatti hanno determinato la violazione di ogni diritto umano. Con un costo dei caduti altissimo: prossimo ai 10milioni di persone, vittime di una pianificazione accurata.
È stato dunque uno sterminio di massa quello che va sotto il nome di colonizzazione del Congo, depredato delle proprie ricchezze naturali.
Ma, a un certo punto delle tragiche vicende, uno spiraglio di luce si apriva grazie alla presenza di uomini audaci che denunciavano quei fatti raccapriccianti.
I loro nomi, solo per ricordarne il coraggio, sono George Williams, pastore battista che arrivato in Africa si trovava di fronte ‘alla Siberia del continente africano’, come lo stesso definisce la situazione a cui assiste.
Edmund Morel, giovane britannico che porterà avanti la battaglia intrapresa da Williams.
Infine, l’afroamericano William Shepard e il console irlandese Roger Casement che davano vita a una campagna di sensibilizzazione, coinvolgendo anche gli scrittori Mark Twain e Arthur Conan Doyle. Denuncia, che piantava il seme di quello che sarebbe stato in seguito il movimento a favore dei diritti dell’uomo.
“Nel 1913 sir Roger Casement. Andò in pensione, abbandonando il servizio consolare britannico, e fu finalmente libero di dedicarsi alla causa che ora lo consumava: la libertà della sua patria…”

Con l’abilità e la competenza che appartengono al giornalista e allo storico, Adam Hochschild ha dato alle stampe un saggio assolutamente illuminante. Nonostante i fatti, venuti alla luce fin dagli anni ’60 del Novecento, già si conoscessero.
Quella esercitata nello stato del Congo è stata una colonizzazione che ha avuto poi ripercussioni negative, ritorsioni messe in atto dalla popolazione, che stanca dei torti subiti ha rivendicato i propri diritti in modo indiscriminato.
È un fatto, eclatante più di altri, rimasto nella memoria degli italiani delle scorse generazioni, a ricordare la violenza di cui anche l’Italia è stata vittima.
Accadde, che un gruppo di aviatori italiani venivano barbaramente trucidati, quale sintomo del malessere che covava nella popolazione in seguito ai soprusi sofferti.
“In base all’accordo, il Belgio accettò anche di pagare quarantacinque milioni e mezzo di franchi per il completamento di alcuni dei progetti edilizi avviati dal re…”
Con un testo, basato anche su ricerche precedenti di alcuni addetti ai lavori, Adam Hochschild ha raccontato con estrema versatilità eventi per nulla edificanti, solo per usare un eufemismo, che qualificano i protagonisti della tristissima vicenda indegni di appartenere al genere umano. E neppure al mondo animale.
Gente che ha messo in atto un progetto ambizioso quanto deleterio, a scapito di una popolazione che nulla chiedeva se non continuare a vivere secondo riti tribali e tradizioni antiche.
Grazie, quindi, ad Adam Hochschild per Gli spettri del Congo, che non è solo un saggio molto ben articolato, ma un volume di storia che a tutt’oggi scava nelle coscienze del genere umano.
“Alcuni decenni dopo la sua morte di Leopoldo, in Congo si diffuse una curiosa leggenda. Il re, si diceva, non era affatto morto, ma era andato a vivere nella sua ex colonia…”
Written by Carolina Colombi
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