“L’algoritmo del male” di Ugo Nasi: un thriller che omaggia Girolamo Savonarola
Nella società 2.0 basata sull’immagine, i modelli sono personaggi patinati che dettano le mode del momento. Ma ci sono modelli di segno ben diverso che si tende a ignorare.
“Historia magistra vitae”, recita il detto. La Storia è un baule di insegnamenti, valori e, sì, anche modelli. Coperti dalla polvere dei secoli e per questo dimenticati. Ma forse essi potrebbero avere più forza delle nostre icone social, spesso frivole, troppo spesso meteore.
Nel thriller storico L’algoritmo del male – Il Codice Savonarola (Pubblicazione indipendente, 2022, pp. 361) Ugo Nasi immagina che qualche mente illuminata del XXI secolo estragga dal baule della Storia il proprio mentore, un numen, anche se per fini non certo edificanti.
Lo scioglimento di un ghiacciaio sull’altipiano del Monte Bianco riporta alla luce, insieme a un cadavere vestito con abiti di foggia quattrocentesca, un antico fazzoletto di lino intriso di sangue su cui sono dipinte una scritta enigmatica, Algorithmus Mali, e lettere senza senso.
Scattano le indagini, affidate all’ispettore Valerio Bruno. Poco dopo, a Firenze, l’omicidio di un alto prelato instaura un evidente legame con il caso di Aosta. La vittima esibisce sul polso un singolare tatuaggio: Algorithmus Mali.
La PM fiorentina Viola Borroni si trova a collaborare con Bruno, suo ex compagno. I due inquirenti si mettono sulle tracce di una banda di potenti criminali che inseguono le tre matrici in vetro rosso, gli Specula, che custodiscono le profezie e le parole chiave di Girolamo Savonarola. Il romanzo presenta un altro piano temporale, quello della Firenze di fine ‘400 che vide rifulgere l’astro del monaco ferrarese, braccato dall’acerrimo nemico Cesare Borgia, determinato a sottrargli le matrici per dichiararlo eretico e condannarlo al rogo.
L’algoritmo del male è dunque strutturato come un dialogo serrato tra l’ultimo scorcio del XV e il XXI secolo, due epoche divise da seicento anni. Ma c’è una voce che risuona da lontano; una voce che non ha mai smesso di gridare. E attraversa gli oceani del tempo più potente che mai.
È la voce di Savonarola che, pur nel brulicare di personaggi antichi e moderni che animano il romanzo, è il protagonista indiscusso, un essere il cui carisma è sopravvissuto alla morte.
Appeso al capestro e dato alle fiamme come eretico e apostatico, Savonarola torna, con tutta la sua veemenza, dopo sei secoli. Perché il monaco ferrarese è entrato in modo così prepotente negli annali della Storia? C’è chi lo ritiene un santo, chi un profeta di sventure, ma tutti gli riconoscono una dote: la capacità di convincere e influenzare le masse.
Savonarola è un personaggio dalla doppia anima. Una è l’anima che si spende per pulire il mondo dall’umana nequizia; l’altra è un’anima fosca, quasi maledetta. Ugo Nasi sceglie questo aspetto nero per tracciare il ritratto di un frate che, venuto da Ferrara, è stato comunque, nel bene e nel male, un grande protagonista della storia fiorentina perché come un figlio Firenze lo aveva adottato.
“Il corvo”. Così lo denigrano i nemici per l’espressione torva dell’asceta intransigente perfino con sé stesso, al punto di flagellarsi, per il naso adunco e per la tonaca lorda di sporcizia. Un corvo tacciato di attirare malocchio sulla città del Giglio. Ma, nonostante qualche detrattore, Savonarola può contare su un nutrito seguito che annovera personaggi di ogni ceto sociale, dal popolo minuto al conte Pico della Mirandola, amico fraterno. Una variegata moltitudine di fedeli assetati dei suoi sermoni. Dai palchi allestiti nelle pubbliche piazze, il frate urla parole affilate come coltelli, invettive di fuoco e lancia strali avvelenati. E tanto più feroci sono le sue catilinarie, tanto più la platea è esaltata dal suo stesso furor.
Savonarola è un vero e proprio dux che arringa le sue legioni. È una auctoritas religiosa; cane del Signore – secondo l’etimologia che vede nei domenicani i Domini canes – particolarmente aggressivo contro quelli che ritiene i peccati più esecrabili. La sua intransigenza si spinge fino alla ferocia contro la sodomia, il gioco d’azzardo e il culto dell’arte, una vanitas ispirata dal demonio per distogliere l’uomo dalla contemplazione di Dio. E si infiamma contro il malcostume e la lascivia dilaganti all’interno della Chiesa, di cui auspica un rinnovamento.
Il suo dito indica minaccioso “il Satana”, l’impostore, Rodrigo Borgia, salito al soglio pontificio con il nome di Alessandro VI. Ma Savonarola è anche una auctoritas politica che si batte per la cacciata dei Medici e l’instaurazione della Repubblica. Il talento con cui il monaco irretisce le masse è la parola.
“Che poi le parole erano l’unica arma di cui disponesse, ma erano però più efficaci delle micidiali palle incatenate delle bombarde del re di Francia, o degli eserciti di mercenari di Cesare Borgia. Aveva un talento innato, e lo sapeva. Quello di saper influenzare il popolo. Con i suoi discorsi ed i suoi pensieri, riusciva a entrare nelle menti di uomini e donne dei ceti più disparati […] ed otteneva da loro l’incondizionata adesione alle sue teorie.”
Per questo egli intende preservare e conservare per i posteri le sue parole, quel λόγος che è fulcro delle sue orazioni ma anche testimonianza del Verbo fatto carne. Quel λόγος così inteso deve essere il testamento del frate per gli uomini di buona volontà ma non deve cadere nelle mani di individui senza scrupoli. In questo caso, invece che salvezza, sarebbe la rovina del mondo. Dal sodalizio con Leonardo nascono i tre Specula che custodiscono le parole chiave e le profezie di Savonarola. Questi commissiona l’incarico, Leonardo dà sfogo al suo genio inventando un trompe l’oeil intellettuale che farà arrovellare gli scienziati incaricati di decifrare quelle lettere apparentemente senza senso. Gli Specula sono l’anello di congiunzione tra l’età di Savonarola e il nostro millennio.
L’energia che permetteva al domenicano di tenere in pugno il suo gregge è l’oggetto della brama di una gang che abbraccia gli States e l’Italia passando per Edimburgo. Un magnate americano, un notaio scozzese, uno psicologo fiorentino e un cardinale tedesco sono puntini sparsi nel vasto mondo ma sono uniti dallo stesso disegno criminale: impossessarsi delle matrici per nutrirsi del carisma che ne deriva e manipolare le masse. Nell’epoca dei social, le parole dirompenti di Savonarola, trasformate in algoritmi, sarebbero armi simili a un missile nucleare; chi ne sia padrone potrebbe creare un nuovo ordine mondiale. Questo delirio di onnipotenza è il collante che coagula i membri del gruppo, ognuno dei quali, però, cova in sé un segreto intento individualistico. L’unione fa la forza, sì, ma solo lungo il cammino, quando è necessario sporcarsi le mani di sangue, studiare, pianificare, correggere. Poi, però, l’ego esplode e la banda implode; i complici si sbranano a vicenda – homo homini lupus.
La forsennata ricerca degli Specula si configura come la classica quête dei romanzi cavallereschi in cui gli eroi inseguivano un oggetto del desiderio affrontando una selva di ostacoli e peripezie.
L’algoritmo del male è una apologia della parola, seme in grado di generare alberi maestosi. A Roma l’ars oratoria, strettamente connessa alla retorica, era una disciplina insegnata nelle scuole per istruire sul modo di usare le parole per persuadere. La Storia è stata fatta anche con le parole: grandi guerre sono state mosse grazie alle allocuzioni dei condottieri ai propri milites, da Alessandro Magno a Hitler e Mussolini. Per non parlare della Letteratura che della parola è culla. E, in una prospettiva metaletteraria, alcuni personaggi sono campioni di eloquenza. Lo è frate Cipolla, una delle figure memorabili del Decameron, il quale è in grado di far credere l’incredibile agli attoniti certaldesi che accorrono alle sue orazioni. Per Baudolino, creatura di Umberto Eco, la parola ha addirittura un potere demiurgico.
Ma L’algoritmo del male tocca anche le corde emotive. È il romanzo del ritrovamento. Non solo degli Specula ma anche dei rapporti umani. Viola ritrova Valerio dopo anni di gelo seguito al naufragio della loro relazione nel mare del silenzio. Ritrova il padre, anche lui perduto da troppo tempo e relegato in un angolo della memoria. Ma, soprattutto, Viola ritrova sé stessa. PM rampante, assorbita dal lavoro, ha trascurato le richieste di aiuto lanciate dal proprio Io, non si è ascoltata. E la scintilla che ravviva il fuoco degli affetti è sempre la parola, un fiume che straripa oltre gli argini dei silenzi dietro cui tendiamo a trincerarci. Quando si trova la forza di lasciar fluire quel fiume, i sentimenti trovano il loro nome e gli strappi vengono ricuciti.
Written by Tiziana Topa
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