“Circe” di Madeline Miller: colei che non accettò di sottostare al giogo delle leggi divine

La figura di Circe impressa nell’immaginario collettivo è quella tràdita da Omero, il quale nell’Odissea la presenta come una maga non troppo tenera che trasforma gli amanti in maiali. Ma Circe non è solo questa. È una creatura divina con una storia che affonda lontano le proprie radici.

Circe di Madeline Miller - Photo by Tiziana Topa
Circe di Madeline Miller – Photo by Tiziana Topa

Nacqui quando ancora non esisteva nome per ciò che ero.”

Così esordisce Madeline Miller nel romanzo mitologico Circe (Marsilio, 2021, pp. 411, trad. di Marinella Magrì), il quale estrae questo personaggio dall’epos per farlo risplendere di luce propria.

Circe nasce dalla ninfa Perseide e dal titano Elios, dio del Sole. Invaghitasi del pescatore Glauco, per amore di costui e per gelosia verso la ninfa Scilla, ella compie il suo primo incantesimo. L’intemperanza di Circe viene punita con l’esilio e la giovane viene relegata sull’isola di Eea dove si dedica alle arti magiche fino a diventare una maga famosa e temuta. Convocata a Cnosso dalla sorella Pasifae, Circe assiste alla nascita del Minotauro e intreccia una relazione con Dedalo.

Tornata a Eea viene visitata da una teoria di personaggi, tra cui la nipote Medea, fino al fatale incontro con Odisseo con il quale, ignaro, genera Telegono che Atena vuole morto. Per anni la maga riesce ad arginare la collera della dea; il primo distacco arriva quando il figlio, ormai adolescente, affronta il mare e si reca a Itaca per conoscere il padre. Per una tragica fatalità Odisseo incontra la morte proprio per mano di un incolpevole Telegono. All’indomani della sventura quest’ultimo fa ritorno a Eea insieme a Penelope e Telemaco i quali suscitano la diffidenza e l’ostilità di Circe. Ma i Fati legheranno indissolubilmente i fili delle loro vite.

Circe, ʻsparvieraʼ; così viene chiamata la nobile figlia di Elios a causa dei suoi occhi gialli e della voce stridula, tipica dei mortali. Una voce sgradevole agli orecchi divini di genitori e fratelli, unita a un aspetto giudicato tutt’altro che avvenente. Fin dalla nascita, dunque, Circe reca in sé quel dualismo che la accompagnerà nella sua millenaria esistenza: sangue di Naiade e il sangue dorato del sempiterno Elios da una parte, un quid di umano dall’altra. Ripudiata dalla madre, ignorata dal padre, schernita dai fratelli Pasifae e Perse, Circe non si trova certo a suo agio nella dimora avita. È in fondo una creatura sola, una creatura bandita dal consesso degli dei anche per il suo temperamento ribelle ed eccentrico. Ma la ribellione della giovane ninfa non è dovuta all’inquietudine adolescenziale, che la accomuna ai mortali, quanto a una ripulsa verso un mondo nel quale non si riconosce e di cui non si sente parte.

Ecco il pensiero: tutta la mia vita non era stata che tenebre e abissi, ma io non ero parte di quelle acque scure. Ero soltanto una delle creature che le abitavano.”

Circe non accetta di sottostare al ferreo giogo delle leggi divine, anzi osa sfidarle apertamente per rivendicare gli ideali in cui crede e che segnano l’insanabile frattura con la propria stirpe. Nella sua perfezione divina è imperfetta perché umana troppo umana in quanto mossa da sentimenti autentici, sinceri, viscerali come quelli che albergano nei cuori dei mortali. Prima che ninfa, prima che maga, ella è una donna che si declina come amante, madre e sposa. In ciascuna di queste vesti ella cova un amore straziante, totalizzante, una passione che brucia e divora ma che fa respirare anche quando sembra che manchi il respiro. Il complesso mondo emotivo che rende Circe una figura ricca di sfaccettature è del tutto estraneo agli dei, quasi appiattiti nel soddisfacimento di istinti elementari. Mentre essi conoscono solo rabbia, dolore, lussuria e brame inappagate, Circe avverte il morso del senso di colpa, il rossore della vergogna, l’amarezza del rimorso e la lacerazione del dubbio. L’immortalità è per lei una condanna e quando Telegono vagheggia di ritrovarsi un giorno con i genitori nel Regno dei morti, la madre, in silenzio, accoglie il pungiglione di un antico rammarico perché sa che Thanatos, implacabile, la farà sopravvivere ai suoi cari lasciandola per sempre in una desolante solitudine.

L’empatia che Circe nutre verso i mortali si esprime anche negli amori, quasi tutti terreni, che ella conosce. Nel novero degli amanti della maga fa eccezione Ermes; ma l’alato personaggio, che pure giace con lei, è l’unico a non lasciare traccia nel cuore di Circe. Inaffidabile, volubile, dio della menzogna, è in fondo disprezzato dalla maga. Di ben altra natura sono gli amori umani. L’umile pescatore Glauco rappresenta l’irruzione della passione nel cuore ancora vergine della ninfa che, ebbra di questo sentimento affatto nuovo, compie il primo incantesimo. L’incontro con Glauco si lega infatti alla scoperta della pharmakeia ed è la causa dell’ostracismo della giovane. Ma è anche, con l’esilio nel rigoglio di Eea, l’inizio di un percorso di maturazione e crescita grazie a un lungo lavoro di introspezione.

“Per tutto questo tempo sono stata una tessitrice senza lana, una nave senza mare. E guarda adesso dove veleggio.”

Circe invidiosa - Painting by John William Waterhouse
Circe invidiosa – Painting by John William Waterhouse

Il legame con Dedalo è suggellato dal sangue versato da Pasifae durante il parto. Sotto la vivida impressione della sciagura che, con l’avvento del Minotauro, si sta per abbattere su Creta e nell’atmosfera cupa del palazzo di Cnosso, Dedalo rappresenta per la maga un balsamo sulla pelle ferita. Nel tumulto di sentimenti che la nascita del mostro ha suscitato in lei, l’uomo rappresenta un porto sicuro, un compagno su cui contare. Il loro amore veleggia su acque tranquille, ma quella nave non può raggiungere Eea. Circe sa che il posto di Dedalo è a Cnosso e proprio la consapevolezza della fugacità di quella relazione ne accresce il godimento. È con Dedalo che la maga avverte per la prima volta il desiderio di maternità.

Poi c’è lui, Odisseo, la più grande passione di Circe cantata e resa immortale da Omero. Il re di Itaca si presenta come un visitatore in cerca di ristoro e non rivela subito la sua vera natura. Eppure Circe, non per magia ma per intuito femminile, capisce che quello è un uomo speciale. Per una volta i ruoli si invertono ed ella, pharmakis, viene stregata da Odisseo.

Due sono gli aspetti che la colpiscono: Odisseo è il primo dei naufraghi a non cercare di usarle violenza ma a trattarla con il rispetto che si deve a un’ospite, soprattutto se donna, soprattutto se donna sola; Circe è attratta altresì dalle parole che l’itacese spende per la moglie lontana. Giacendo insieme, la maga si abbevera ai racconti dell’eroe, che reca sulle spalle il peso di dieci anni di guerra e di lunghe peripezie. Pur soggiogata, Circe coglie nello sguardo di Odisseo un lampo di ferocia ma sceglie di chiudere gli occhi e continua ad amarlo. Ma neanche quest’uomo è destinato a restare con lei; allora ella, con la disperazione di una donna innamorata, reclama per sé un pegno e, all’insaputa del re, concepisce un figlio che le parlerà per sempre di lui.

Telemaco è l’ultimo e definitivo amore di Circe. Se ella ha sempre sentito il peso della propria natura divina, è il giovane a farle avvertire più pungente il desiderio di una vita mortale. Telemaco è figlio di Odisseo ma non è come lui. Tanto il padre è irrequieto, tanto il figlio è pacato; tanto il primo è fraudolento, tanto l’altro è onesto e probo. Non cerca vendetta per l’uccisione del genitore, su di lui le Furie non hanno presa. Telemaco aspira così tanto a un’esistenza semplice, scaldata dagli affetti, da rifiutare l’offerta di Atena che gli prospetta un futuro glorioso. Alla luminosità della Fama egli preferisce una vita oscura, non cantata dagli aedi ma vissuta nella pienezza dei valori in cui crede: la Patria, la Famiglia, l’Amore. E tutto ciò lo trova in Circe.

La maternità, pur fortemente voluta, si rivela per la maga una prova che la coglie impreparata. Ella si cala con difficoltà nel ruolo di madre; si sente come un soldato che affronti il nemico cercando di schivarne i colpi. Telegono ha sangue divino, ma anche una natura mortale ereditata dal padre e rappresenta così per Circe una lente attraverso la quale esplorare quel mondo verso cui ha sempre mostrato curiosità. Unico e più prezioso bene che possiede, ella lo ama in modo viscerale, quasi doloroso. Leonessa tra le leonesse, Circe lo protegge con tutta la ferocia di cui è capace. Lo protegge dall’ira di Atena, dedicandosi con maggiore passione alle arti magiche per preservarlo dalla vendetta della dea dallo sguardo grigio. Lo protegge dal padre, da quel padre mai conosciuto. Alle domande di Telegono su Odisseo, la madre risponde in modo solo parzialmente sincero, dipingendo l’immagine di un eroe valoroso e omettendone le nefandezze per non avvelenare con l’umana nequizia le tenere aspettative del figlio. E lo protegge dai pericoli del mondo fino ad accettare di immolarsi per lui, se necessario. Mossa da quell’amore supremo che ogni madre conosce, ella sfiora il sacrificio di sé scendendo in fondo agli abissi per strappare la coda di Trigone. Vorrebbe tenere per sempre Telegono a Eea, custodire lui, mortale, come quando lo cullava nel suo ventre immortale; ma il mito di Odisseo chiama forte il giovane e Circe, con muto dolore, gli permette di spiccare il volo.

Madeline Miller opta per la soluzione omodiegetica; il suo romanzo si configura così quasi come un lungo monologo di Circe che, con la sua viva voce, ripercorre le tappe della propria esistenza. È, quella voce – e con essa la prosa della Miller –, ricca di modulazioni che vanno da toni di intenso lirismo ad altri crudi o foschi, da accenti accorati ad altri distesi ma sempre vibranti di pathos, come nella migliore tradizione epica greca.

Madeline Miller
Madeline Miller

Coerentemente con la dimensione mitologica in cui la vicenda si inscrive, la Miller sfoggia una scrittura magica, onirica, antica eppure sempre attuale pur nell’universalità dei sentimenti cantati. Facendo di Circe la biografa di se stessa, l’autrice plasma una narrazione che trasuda femminilità. La sua protagonista è una donna dalla complessa personalità, dal potente sentire, dalle tumultuose passioni e dalle mille risorse, frutto dell’astuzia muliebre prudente e saggia. Spartiacque nella struttura del romanzo è lui, Odisseo, al quale sono dedicati tre capitoli mentre nei successivi la sua presenza aleggia attraverso il ricordo dei congiunti. L’Odisseo che nasce dalla penna della Miller riecheggia la tradizione post-omerica che ne fa un eroe nero, reduce da una guerra che non lo ha tanto corrotto quanto piuttosto ne ha portato alla luce la vera natura.

Gli appellativi polymetis e polytropos acquistano qui un’accezione negativa. Tracotante, efferato e assetato di sangue, è un Odisseo furens quello che fa ritorno a Itaca. Con l’abilità di Penelope di intrecciare al telaio i fili dell’ordito e della trama, la Miller fonde sapientemente la propria solida conoscenza delle fonti con una felice invenzione letteraria e ci regala una Circe inedita ma assai vicina a noi.

 

Written by Tiziana Topa

 

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