“Un colpevole quasi perfetto” di Pascal Bruckner: il disaccordo non è più autorizzato

L’Occidente ha tutte le carte in regola per incarnare il colpevole ideale. […] esso ammette i propri crimini. […] Già odiato per il suo passato di dominio, l’Occidente viene ormai disprezzato per il suo declino.”

Un colpevole quasi perfetto di Pascal Bruckner
Un colpevole quasi perfetto di Pascal Bruckner

Dal 1800 gli europei scrivono sulla inesorabile caduta dell’Europa, per esempio troviamo pagine di grande intensità del filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel (Ginevra, 27 settembre 1821 – Ginevra, 11 maggio 1881) che, nel suo Giornale intimo, annotava nel 1851:

“[…] L’utile sostituirà il bello, l’industria l’arte, l’economia politica la religione, l’aritmetica la poesia. Il tempo dei grandi uomini passa; viene l’epoca del formicaio, della vita multipla. Col livellamento e con la divisione del lavoro la società diventerà tutto e l’uomo non sarà più nulla. […] Comprare il benessere universale a prezzo delle più alte facoltà, delle più nobili tendenze della specie umana, non è pagarlo troppo caro? È proprio questa la sorte fatale riservata alle democrazie?[1]

E se nei secoli scorsi questa riflessione è stata portata avanti per cercare soluzioni per salvaguardare la cultura europea e frenarne la caduta, oggi invece esistono due diversi focolai (uno interno ed uno esterno) che lavorano quotidianamente per la sua distruzione identificandola con il male assoluto, come se non ci fossero nel suo perimetro geografico Stati differenti, tradizioni differenti, lingue differenti e saperi differenti.

Pascal Bruckner (Parigi, 15 dicembre 1948) è un filosofo francese che ha mostrato di aver molto coraggio quando ha deciso di pubblicare le sue riflessioni su tre tematiche sulle quali, a quanto pare, non si può argomentare una posizione contraria (o meno superficiale) rispetto a quella vigente.

Un colpevole quasi perfetto (Ugo Guanda Editore, 2021, traduzione di Sergio Levi) è suddiviso in tre parti: “La demonizzazione del maschio”, “L’antirazzismo sterminatore” e “Chiudere gli occhi del vecchio europeo?”. Ciò che si apprezza del saggio è la precisione delle note, per tutti coloro che il filosofo cita è presente una nota con la data del discorso da cui è stata tratta la citazione, oppure l’indicazione del libro da cui è stata estrapolata. Una precisione di grande importanza per il lettore accorto che sa bene quanto un autore possa manipolare una frase, un discorso altrui.

I tre grandi temi analizzati si ricollegano con il sottotitolo del libro: “La costruzione del capro espiatorio bianco” e tutto il discorso si conclude con una domanda alla quale ogni europeo (od occidentale se si includono anche gli Stati Uniti) deve provare a rispondere: il suicidio od il sussulto?

Le difficoltà della lingua francese sono viste da alcuni, per esempio negli anni 1990-1991, come un «insulto all’uguaglianza» per tutte le persone di origine straniera.[2] Per non parlare del razzismo che regnerebbe nell’arte, nella scuola, nella musica classica, troppo bianca e inadatta alla diversità etnica[3], e per finire nella matematica[4]. Se si eccettua la Germania degli anni Trenta, è raro vedere così tante calunnie abbattersi sulla lingua, cultura e le arti in nome della Razza!– tratto da “L’antirazzismo sterminatore”

Il parallelo con gli anni Trenta è più che appropriato, anni in cui (non solo in Germania ma in tutta Europa) una parte della popolazione inneggiava alla propria “razza” per mortificarne un’altra. Ma basta andare indietro nel tempo e troviamo questa “rivalità” non solo per il colore della pelle (come avviene oggi) ma anche all’interno dello stesso Stato, città. La rivalità è insita nell’essere umano, fa parte di noi, piuttosto che ingozzarla sino all’esplosione si dovrebbe cercare di moderarne l’impulso con la conoscenza della storia delle civiltà umane e dei limiti, errori, correzioni a cui è soggetto l’essere umano. Ieri come oggi.

Bruckner mette, infatti, in rilievo, riguardo al discorso sulla colpa degli europei per la schiavitù africana operata durante la conquista delle Americhe, l’ampiezza del fenomeno nei millenni; la schiavitù africana è recente rispetto alla schiavitù operata dai bianchi verso i bianchi (antica Grecia e Roma per esempio). Il concetto è semplice: è l’uomo (inteso come essere umano) che ha volontà di dominio rispetto all’altro, sia esso bianco, nero, giallo, rosso. Il colore della pelle non è determinante, se si guarda la storia nella sua estensione lo si nota chiaramente ma talvolta fa comodo (per ragioni politiche) prendere un dettaglio per recitare la parte della vittima per azioni che non si sono mai vissute in prima persona.

La vittimizzazione di principio implica che ogni persona sia la memoria vivente di tutta l’umanità, che anziché ricominciarla, la prolunghi, la metabolizzi. […] È come dimenticare che la storia ricomincia con ciascuno di noi, a meno che si creda di dover portare sulle spalle il peso dei morti e non aver modo di alleviarlo. […] La colpa si ferma a colui che l’ha commessa e non ricade, come un veleno, sui discendenti, […]– tratto da “L’antirazzismo sterminatore”

Liberia
Liberia

Un esempio fra tutti è legato al ritorno in Africa nel 1821 di alcuni ex schiavi americani che si posero, nei confronti degli autoctoni del luogo (Liberia), come padroni spietati imponendo loro un regime di lavori forzati. No, il colore della pelle non determina l’indole della persona e solo il fatto di doverlo ripetere due volte riporta a quelle astruse teorie di secoli fa sul primato bianco. Fortunatamente non tutti gli europei erano in accordo con quella posizione così che alla lunga fu abbandonata, come accade solitamente nella storia, ciò che è ritenuto “vero” diventa poi “falso”.

Il problema dell’infortunio sociale avviene quando un gruppo accusa un altro gruppo senza voler sentire la risposta, in un società sana più parti contrastanti dovrebbero poter proporre soluzioni; oggi, invece, in questa vecchia Europa (non ci si addentra in quel ginepraio degli Stati Uniti, ma si consiglia di leggere attentamente le riflessioni di Bruckner riguardo all’influenza esercitata dagli States in Francia) si sentono solo due fazioni gridare a gran voce, non c’è ascolto, ma soprattutto le fazioni sono solo due, come se ci fossero solo due modi di vivere ed un muro invisibile.

L’Europa multietnica non esiste dalle ultime migrazioni, il Mediterraneo (considerando i metodi di movimento del passato, più lenti rispetto a quelli odierni) è sempre stato crocevia di popoli, conquistatori, mercanti, filosofi. Non bisogna dimenticare che nel corso del XII secolo le corti europee (cristiane) hanno potuto riacquisire gli antichi saperi della Grecia grazie ai filosofi arabi ed ai traduttori ebrei (esempio: “La turba dei filosofi” di Arisleo). È propriamente questo vivere in un contesto storico, abbracciare la potenza della guerra e la potenza della pace. Oggi possiamo scegliere da che parte stare, ma ciò avviene solo se si combatte all’interno la parte guerriera, quella che ha volontà di dominio sull’altro. Solo allora si potrà costruire l’attitudine all’ascolto ed un concetto di corrispondenza nella differenza culturale.

Per opporsi al «razzismo strutturale e sistemico» gli Stati Uniti hanno inventato un «antirazzismo strutturale e sistemico»: lo stesso fenomeno di segno contrario, con gli stessi effetti. Per esempio, quando nell’estate 2020 alcuni manifestanti che si richiamano al movimento Black Lives Matter apostrofano una donna bianca affacciata al balcone e le chiedono di lasciare il quartiere perché è zona nera, si attengono alla pura logica della segregazione. A ciascuno il suo quartiere.– tratto da “L’antirazzismo sterminatore”

Al movimento Black Lives Matter bisognerebbe sussurrare un All Lives Matter.

È spaventoso che una generazione che non ha vissuto la Seconda guerra mondiale, ma si richiama alla Resistenza, esordisca riproducendo i gesti dei carnefici.” – tratto da “L’antirazzismo sterminatore”

Potrà anche essere spaventoso per Bruckner, ed in effetti lo è perché induce a riflettere sul domani, visto e considerato che si conosce l’effetto dell’odio prolungato, però non è un atteggiamento che dovrebbe sorprendere: che cosa mai avremo dovuto aspettarci dall’istruzione superficiale che si dà ai giovani che, dopo cinque ore scolastiche, rientrano in famiglia? Ci stiamo interrogando sull’indole di ogni essere umano? Sulle sue capacità? Sulle sue doti? Che genere di scuola abbiamo in mente? Una nella quale si “fabbricano” alunni e si promuovono all’anno successivo per liberarne il banco? Una nella quale l’insegnante come braccio alternativo del partito di turno impartisce lezioni sui buoni e sui cattivi?

Una divagazione: Alessandro Magno fu un conquistatore che portò guerra ovunque ma seppe anche fondare la biblioteca di Alessandria nella quale testi di ogni cultura potevano essere consultati ed apprezzati. La domanda si pone nuovamente: come si distingue il buono ed il cattivo? Un essere umano potrà mai svolgere la sua intera esistenza in uno solo dei due poli? (Che comunque resterà – ahinoi! – soggettiva ed è questa la grande sfortuna dei mortali, non il colore della pelle, né la forma di un viso o di un corpo, ma la capacità – e la qualità – di ragionamento.)

Una seconda divagazione: in Italia, recentemente, è apparsa su IlGiornale.it un’intervista al sociologo Luca Ricolfi:Siamo già molto meno liberi anche di solo 20 anni fa. Io noto questa differenza: nell’ultima parte del secolo scorso il politicamente corretto era un modo di affermare la propria superiorità morale, nel XXI secolo sta assumendo tratti intimidatori. È un passaggio sociologicamente molto importante, perché segnala una pericolosa mutazione dell’establishment progressista. Ieri si accontentavano dell’egemonia culturale, oggi aspirano al dominio. Dalla ‘maestrina dalla penna rossa’, al prepotente che umilia chi non si sottomette. Dal pavone al bullo. È per questo che, oggi, io non parlo più di ‘razzismo etico’ (una espressione coniata vent’anni fa da Marcello Veneziani), ma mi sento costretto a parlare di ‘bullismo etico’“.[5]

Dalla terza parte “Chiudere gli occhi del vecchio europeo?”:

La totalità o la gran parte dei mali d’Europa è venuta non dall’eccesso, ma dall’assenza di frontiere, soprattutto nelle aree centrali e orientali, quando le stesse regioni diventavano di volta in volta tedesche, polacche, russe, ucraine, austroungariche, ottomane, quando le popolazioni venivano deportate, i nomi cambiati, le amministrazioni modificate. Proteggere i piccoli Stati dalla cupidigia dei grandi, garantirli all’interno dei loro confini, è stato questo il gesto inaugurale dell’Europa moderna. […] Siamo passati da un sentimento di clausura nazionale alla paura del mare aperto, dalla claustrofobia all’agorafobia, perché l’Unione è incapace di proteggere i suoi cittadini e non è stata finora che un mero spazio economico aperto ai quattro venti.

Pascal Bruckner - Photo by Philip Conrad
Pascal Bruckner – Photo by Philip Conrad
Paris, July 2016

Bruckner si scaglia violentemente – e non a torto – con la politica “assente” dell’Unione Europea verso la migrazione e propone in modo avveduto di distinguere tra l’immigrazione regolare, la tragedia delle persone disperse in mare e l’atteggiamento da tenere nei confronti della migrazione sempre più numerosa.

Stephen Smith, docente di Studi africani alla Duke University espone sul tema una duplice riflessione:L’Europa non potrà trincerarsi, restando indifferente, all’interno di una fortezza che suscita invidia senza dare accesso. E l’Africa dovrà confessare a se stessa di essere soprattutto a corto di speranza e che l’esodo della sua classe media costituisce per essa un grave danno.”

Bisogna anche considerare che ogni Stato europeo non solo porta avanti una politica differente rispetto alla migrazione ma che, per fattori geografici, è maggiormente soggetta agli arrivi. In Italia, Grecia e Spagna si ha un numero di arrivi diverso rispetto a quelli della Germania o della Romania, ed in queste tre grandi regioni del Mediterraneo il concetto di accoglienza non si è ancora scontrato con il “come”. Accogliere non significa “rinchiudere” in un perimetro. Una persona che si accoglie deve essere libera di movimento, di trovare un lavoro e di accedere alle opportunità che hanno i cittadini dello Stato accogliente (rispettandone le leggi), una persona accolta deve poter evolvere e decidere che cosa mangiare a pranzo senza dover aspettare dei pasti preconfezionati. L’Europa dovrebbe ragionare sul significato di accoglienza, talvolta il male si annida proprio nel voler fare il bene in modo superficiale. Abbiamo tutti negli occhi la tragedia costante di Lesbo, l’isola della poetessa Saffo, nella quale giacciono ammassati migliaia e migliaia di profughi, di migranti. Forse non si sta valutando pienamente né “ciò” che ha portato la disperata migrazione né “cosa” potrebbe accadere nei prossimi dieci anni.

La prima parte del saggio, “La demonizzazione del maschio”, è perlopiù incentrata sulla difficoltà odierna di differenziare la sessualità dalla pornografia e sul movimento #Metoo. L’autore riporta episodi di violenza (verbale e fisica) da parte di uomini verso donne, donne verso uomini, uomini verso uomini, donne verso donne, trans verso trans, trans verso femministe, etc. Questo per accentuare che l’odio appartiene ad ognuno di noi. Tra applicazioni di consenso per l’attività sessuale tra “innamorati” e la compilazione di dossier sui partner in caso di lite, Bruckner presenta uno spaccato di mondo che disconosce l’amore, l’impeto e la poesia.

Avvertimento: l’usus scribendi di Bruckner è farcito di ironia. Il saggio è da leggere senza fretta, la mente deve poter analizzare (compiere ragionamenti) i molteplici casi proposti per compararli con la propria vita, con le proprie azioni e con la propria cultura.

Ognuno è chiamato a prendere parte al linciaggio se non vuole essere accusato di complicità con individui abietti.” – tratto da “La demonizzazione del maschio”

Suicidio o sussulto?

Henri-Frédéric Amiel in quel 6 ottobre del 1851 ha risposto alla nostra domanda: “L’ideale dell’umanità è ben altrimenti alto; ma l’animale reclama per primo e bisogna cominciare dal bandire la sofferenza superflua e d’origine sociale, prima di ritornare ai beni dello spirito. Bisogna che tutti vivano, prima di occuparsi di religione.

 

Written by Alessia Mocci

 

Note

[1] Henri-Frédéric Amiel, “Frammenti di un giornale intimo” (Unione Tipografico – Editrice Torinese, 1967, a cura di C. Baseggio), citazione tratta da Aix-les-Bains, 6 ottobre 1851. Clicca QUI per leggere il testo.

[2] Nel libro il concetto è attribuito a Paul Yonnet. Si è deciso di non inserire la nota in completo, il lettore che vorrà approfondire potrà acquistare il libro.

[3] Fonte: Paul May, professore all’Université du Québec di Montréal, 21 giugno 2020.

[4] Secondo il ragionamento di Chaterine Gewertz la matematica sarebbe stata monopolizzata dalla cultura occidentale per giustificare l’oppressione ed il razzismo.

[5] Clicca QUI per leggere l’intervista.

 

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