“Nella città del pane e dei postini” di Giorgio Messori: un emiliano disperso in Uzbekistan

Il curatore dice che questo esordio letterario di Giorgio Messoriracconta l’approccio a persone e luogo all’inizio remoti, estranei, che mano a mano diventano famigliari”, in un luogo, l’Uzbekistan, che, per un nativo della dolce e collinare Castellarano, più Altrove non potrebbe essere.

Nella città del pane e dei postini di Giorgio Messori
Nella città del pane e dei postini di Giorgio Messori

O forse no, dopotutto anche colà vi sono pianure, colline, montagne, seppure estreme. Sarà interessante osservare le reazioni di questo turista-lavoratore, del turista mentre è lavoratore, per essere più precisi.

Avevo già letto di Messori Storie invisibili e altri racconti, e colto la capacità di dire tanto con poco e di saper creare un’atmosfera non troppo definita, ma miracolosamente chiara. Gli oggetti si vedono nitidi, ma la loro espressione, l’impressione che arriva al lettore, è inquietante, come le muse di De Chirico.

L’arrivo, la casa e il teatro, il primo viaggio: Un’avvertenza: “… scrittura e birre e sigarette sono da tempo un complemento necessario al trascorrere della mia vita, una sorta di protezione. Come un sospiro, in mezzo a tanti affanni. E poi c’è anche la stanchezza, che serve a calmare l’ansia.”

Particolare curioso e da salvare: “… molti commessi e soprattutto commesse avevano una mascherina bianca sul volto a coprire naso e bocca. Pensavo stupidamente a un’usanza islamica, mentre Dima mi ha spiegato che era solo una protezione contro l’influenza che sta girando da queste parti.”

Giorgio si pone una domanda: “Oggi ho incontrato l’ambasciatrice, che anche se è donna si deve chiamare ambasciatore (l’ambasciatrice è solo la moglie dell’ambasciatore: e allora come si può chiamare il marito di una donna ambasciatore?).” Sono domande difficili e da evitare, a cui propongo una risposta: ambasciatricio? Ma forse sarebbe meglio che non si sposasse.

Una curiosità non meno rilevante: chiamai ostetrico la levatrice uomo che favorì la nascita di mia figlia, non il levatore!, e il tipo, dolcemente effeminato e finemente reattivo, mi corresse all’istante.

Mentre l’io narrante si perde in cotanti pensieri, cercando d’ambientarsi, io costì, lui colà, quando ha un po’ di tempo libero rilegge, tanti anni dopo, America di Kafka.

Grazie a lui scopro, o l’avevo dimenticato?, che il titolo previsto originariamente era “Il disperso, che mi sembrava consono all’esperienza che andavo a fare. E in effetti ci sono momenti in cui mi riconosco, come quando Karl Rossman all’arrivo a New York…”

Lo divorai trent’anni fa e mi piacque più degli altri. Se tu leggi un libro triste di un autore comico, o vedi un film serio di Woody Allen, tipo Interiors, lo vivi in modo leggermente trepido, perché cerchi di capire perché sia stato scritto e, al contempo, temi che sotto vi sia tanta sofferenza. Giunsi ad America dopo aver gioito della bellezza drammatica dei racconti e quella affannosa dei due altri romanzi, per cui quel terzo mi parve una passeggiata defaticante.

Allora, per continuare il mio gioco d’identificazioni, ho trovato che in tutto il romanzo, nonostante le mille disavventure persiste comunque la promessa di un nuovo inizio, che è anche ciò che mi ha spinto qui.”

Dici poco? Nel tuo luogo natio, al cospetto del tuo genitore vecchiereddu e patutu, ti sentivi disperso. Qui no. Stai in un punto del cosmo che hai scelto, o che ha scelto te, che potrai abbandonare quando vorrai.

“… c’è qualcosa che Kafka sa cogliere molto bene, cioè quella particolare attenzione che è connaturata all’esperienza dell’Estero…”, che potrebbe essere anche giù, nel cortile di casa, dove rischi sempre d’incontrare la vicina pettegola e il condomino petulante; “… che favorisce una contemplazione stupita per l’evidenza plastica dei gesti, per la teatralità stessa della vita umana…”

Quando sei all’estero hai sempre la fortuna di non conoscere nessuno, che però va scemando di giorno in giorno, vedrai… Non ricordo nulla che giustifica l’ultima tua osservazione, magari giusta: “È poi evidente la stretta parentela di Karl Rossmann coi volenterosi ma incantati servitori di Walser, e che da loro siano nati tanti personaggi di Beckett, estraniati dal loro stesso corpo.”

Se Dio esiste, ha compiuto una serie infinita di ingiustizie, fra cui il non permettere di rivivere dormendo i romanzi già letti, obbligandoci quindi a una seconda o terza lettura, quando c’è fuori tutto un mondo di creature di cellulosa che brama d’incontrarti!

Per inciso: oggi ho iniziato L’idiota, solo le prime pagine, quando il principe Myškin ritorna dopo qualche anno a Pietroburgo viaggiando su un vagone di terza classe.”

Un altro esempio della caducità di ogni esperienza umana, o di taluni suoi aspetti. Nessun libro mi ha sconvolto tanto quanto questo, eppure tutti quei particolari non me li ricordavo!

L’io narra dibaretti che offrono bibite e spiedini di carne…” e, tra le altre figure che incontra, ci sono “i ritrattisti estemporanei che in pochi minuti schizzano volti sempre un po’ ebeti e malinconici.” Ti paiono in grado di catturare l’anima del passante ritratto, timore che avevano i pellerossa quando si cercava di fotografarli.

Anni fa, nella piazzetta antistante gli Uffizi uno di questi artisti da strada quasi fotografò l’immagine di mio figlio come sarebbe stato due o tre anni dopo. A otto anni era sorridente e vivace e qualche anno dopo sarebbe stato leggermente più cupo, come nel ritratto disegnato da quello.

Raggiunto l’accordo per l’appartamento in cui vivere, “… dovrei essere contento della casa, ma il raffreddore e la stanchezza mi fanno sentire spompato e ottusamente triste.” Lo so per esperienza. Marina Campagna, Cilento, può diventare un luogo dell’anima, dove, quando stai bene, stai meglio, ma quando patisci di qualche malessere, esso pare ingigantirsi dentro di te.

L’io narrante guardale facce, contento a un certo punto di riconoscere nel conferenziere la fisionomia del mio medico di Reggio.” Potrebbe capitare anche a me, anche se non sono fisionomista. Per anni credo di conoscere una persona, e poi un bel dì scopro, scorgendoli accoppiati, che si tratta di due esseri diversi; o, al contrario, due persone magicamente si uniscono in una consustanziazione che ha del miracoloso.

“… mi pare che le mamme russe abbiano fama di essere mamme all’ennesima potenza…”.

Primo Levi
Primo Levi

Leggendo La tregua di Primo Levi colsi un aspetto emotivo nella gente russa, che poco si spiega col gelido clima in cui sono nati. Sono quasi peggio di noi latini.

Irinasembrava uscita da un quadro di Modigliani per il bel naso molto pronunciato”, “una bocca sottile e ben fatta e anche gli occhi non sono certo grandi, ma molto scuri e profondi”, anche se, più tardi, rivelerà una mancanza di ieraticità, anzi, “un’emotività prorompente”, dissimile da quelle statue dipinte che sono le donne di Modigliani.

Esci finalmente in strada da solo e ti senti un po’ perso, sensazione che provo anch’io quando sono distante da casa, o che forse provocano quasi tutti.

Sulle mura ho trovato ossa umane come teschi, o femori, e altre di animali che sono andati lì a morire oppure li hanno portati a tener compagnia ai loro cari o agli avi più remoti. In un certo senso un cimitero molto democratico…

Un monumentum, una memoria che ammonisce, non si sa più cosa. La fisica insegna che tutto è incerto. Si ricerca la massima accuratezza, e nulla più. “La città si è spopolata del tutto per mostrare il suo volto più spettrale.”

A chi appartengono questi residui d’umanità? Forse “a martiri che avevano tentato di resistere all’assedio di Gengis Khan”. L’oblio ha reso vana la loro testimonianza, non ci rimane che re-inventarli nel nostro ricordo.

“A tavola i brindisi si sono sprecati, con del vino locale ma per lo più a vodka, e ognuno a turno ha fatto un discorsetto per inaugurarli…” furbata valida a tutte le latitudini e longitudini, un motivo per brindare non si nega a nessuno. “I brindisi non sono comunque finiti a casa del professore karakalpako…”, che qualunque motivo val bene sottolinearlo con una bevuta.

Il tuo nome sono cinque lettere: “… nel maldestro tentativo di ricopiare un file sul dischetto, ho cancellato quasi due settimane di diario.”

Tranquillo, capitò anche a Dino Campana che consegnò il suo manoscritto a qualcuno che lo smarrì, che fu costretto a ricreare il suo capolavoro.

“In effetti mi accorgo che la forma del diario non è quella del racconto, che forse ci può essere un racconto scritto in forma di diario ma non viceversa. Nel senso che un diario può coincidere solo parzialmente con una narrazione.” – vedi?

Pensi molto a questa timida studentessa, tu che sei emozionato, quasi eccitato, ma non irruente. Una strana coppia fate.

“… è paradossale come dopo l’invito a casa mia l’abbia osservata meglio trovandole perfino dei difetti di cui prima non m’ero accorto, come dei nei che ha in faccia che finora non avevo così notato.”

Quei nei possono rappresentare l’inizio della fine di un rapporto, oppure dei punti fermi su cui fondarne uno duraturo.

“… un piccolo dettaglio, ma che la dice lunga sulle mie fantasie: non so nemmeno come si chiama. Sono curioso di saperlo.”

Ascoltare Tom Waits, come fai ora, in Uzbekistan, non è come sentire il canto di pastori erranti dell’Asia a Mondovì. Tom è Tom ovunque.

“… i suoi occhi chiarissimi e così vivi che mi facevano sentire una nullità.” – una nullità che ha il suo perché.

“… camminavo a gambe larghe, perché l’intenerimento così forte che sentivo per lei mi aveva portato a un’erezione che sono riuscito a calmare dopo un bel po’…”.

Di solito si quieta da sé. Con termine tecnico si direbbe che sei infigato. Che significa che tutto te stesso ha assunto ormai la forma del suo organo riproduttivo. Magia della passione amorosa! Lei ti paragona a Roxana, che non vede da tempo, ma dentro di te tu pensi: “… rimane il fatto che io sono un uomo e non posso essere l’amica del cuore”.

Ottimo paragone: “… per gli invaghimenti amorosi si finisce sempre per rinunciare a tante occasioni d’amore che potrebbero essere così semplici, e sane, da cogliere con l’appetito con cui si mangia il pane.” – si muore d’inedia e si dice che quello lì è morto per amore. Amare significa spesso distruggere il resto del cosmo, dimenticandolo. Sei in un supermercato fitto di gente e vorresti che sparissero d’incanto in modo da permetterti di vedere se per caso ci sia anche Lei. Una delle tante forme di idiozie, una delle meno brutte però.

“… non so neanche di che umore dover essere, e non mi va neanche di parlarne più di tanto.” – sei fritto, caro.

“Quasi una specie d’indifferenza che è però appunto soprattutto stanchezza per qualcosa già visto, già vissuto.”

Arthur Rimbaud in una foto di Étienne Carjat - dicembre 1871
Arthur Rimbaud in una foto di Étienne Carjat – dicembre 1871

Depart di Rimbaud: « Mon poème préféré!/ Assez vu./ Assez eu./ Assez connu./ Départ dans l’affection et le bruit neus! »

Ma a n l ē mai assê…  direbbe zio Mario, la passione ha questo di tragico, che non basta mai.

“… in questi giorni era sempre nervosa ma si calmava solo quando mi vedeva, che cosa voleva dire questo nella testa di una donna?” Se tu lo sapessi non t’interesserebbe più.

“… non è che questo diario sia solo un comodo rifugio in cui buttare dentro le cose che…”: sì.

Vi date baci sulle labbra, come se foste quel che non siete ancora. È una vostra rispettabilissima e casta abitudine. Casta soprattutto per lei.

Una volta però: “… per la prima volta ci siamo scambiati dei vero baci, anche se poi dopo un po’ si è ancora irrigidita dicendo che con me voleva soprattutto parlare e allora io mi sono…” potrebbe essere l’inizio di una lunga conversazione. Cos’è il matrimonio se non un estenuante dialogo di un dramma di Beckett?

Vorresti “ringraziare di quel che ho, a cominciare da questo maggio soleggiato ma ancora fresco, ventilato, e poi i frutti del giardino, e naturalmente l’infinita dolcezza e femminilità di Ljuda” – così si chiama la think of beauty che, per te, is a joy for ever!

“… mi scuso col diario se lo tradisco per cercare una felicità che mi sembrava vicina, a portata di mano. Non è che Ljuda sia diventata tutto, e il resto non c’è più, ma ora mi trovo in quella sospensione che non mi fa più sentire spettatore dei miei eventi.” Secondo me quel libricino ti ha perdonato, come fa un genitore col figlio più caro.

“Ecco, forse una differenza sta proprio qua: ora che sto consolidando delle abitudini posso permettermi di coltivare pure dei ricordi.” – che saranno i miei, te lo giuro.

La città del Pane e dei Postini:Nel librino c’era un breve scritto di Alberto Giacometti” – autore di cui ami parlare, lo so – “dal titolo Je ne sais ce que je vois qu’en travaillant, cioè non so quel che vedo se non lavorando.” Frase che accomuna la consapevolezza del vedere a quella del fare. Reale illusione? O illusoria realtà?

Decidi di non scrivere un diario, ma diaristicamente, così sintetizzo il tuo pensiero. Non ti senti abbastanza nomade per fare cronistorie di esperienze. Ti intriga di più “strappare all’apatia schegge che possano anche ferirmi, ma farmi sentire vivo.”

Pugni che non ti facciano vomitare, ma che ti rinforzino i muscoli della pancia, adatto una frase che colsi anni fa leggendo.

Pescecani e guerre sono creature che non necessitano di evoluzioni, dici. Non so: una volta c’era l’onore (pensa ad Achille, pensa a quanto ne scriveva Pirsig), di fatto non si è evoluta la causa, che è l’egoismo violento. Forse ho capito cosa intendi.

Ci sono luoghi in cui “non c’è niente da vedere” ma rappresentano “una grande lezione di umiltà, e una salutare uscita dalla storia…– lo dice un professore tedesco sorseggiando un liquore, in vodka veritas. E la Storia è una pietosa bugia, l’unica che ci possiamo permettere

Alle donne viene richiesta compostezza, agli uomini la virilità del dolore”, per cui solo questi vanno ai funerali, le altre aspettano a casa, trepide rammendatrici di calzette. Il mondo è uno sterminato e civilissimo manicomio.

Penso a tua nonna mezza teutonica che consola il soldato tedescodicendogli che tanto prima o poi le guerre finiscono sempre e lui era così giovane d’avere tutta la vita davanti.” – anche quelli della Wehrmacht in fondo sono ominidi come noi.

Se c’è un valore che va salvato è invece proprio la tristezza.” – la maggior causa della creazione. Forse anche Dio, quando creò ‘sta frittata cosmica si era alzato col piede sinistro, quel primo fatidico giorno.

“Perché la pazienza si sa che è complemento naturale alla tristezza: bisogna ascoltare e aspettare, aspettare il proprio turno, il momento adatto, l’era propizia”, per fare altro. Scrivere è una necessità, ma diventa stancante come tutto ciò che ti fa piegare la schiena, solo che in quel caso a inclinarsi è l’anima.

E inoltre sono proprio le cose che non fanno notizia che rendono una storia via” – perché solo tu le sai ascoltare e riprodurre col tuo registratore Geloso, te lo ricordi?

“… la vita è sempre più vasta di ciascuna notizia…” – anche per ché non finisce mica oggi, e manco domani.

“… un mio amico che doveva arrivare dall’Italia mi aveva chiesto se il pane qui era buono, perché per lui il pane era la cartina di tornasole di…” – per me è il dolcetto, ma ti capisco.

La tua città “era stata persino soprannominata la Città del Pane, perché durante l’ultima guerra mondiale chi non andava al fronte ha continuato a sfornare pane per tutti.”

Dai alla gente, panem et circenses, sed primo deum (aggiunta del sottoscritto): “La chiamano fayz ed è la giustificazione teologica all’arte di arrangiarsi ed è anche la promessa di una ricompensa futura, ma comunque terrena…” – a Napoli la chiamerebbero fayz uè uè “… se nelle azioni ci si fa guidare dal cuore e non dagli interessi più egoistici.”‘o core mio!

Amo il tuo parlare schietto: “Adesso anche per andare a pisciare devo attraversare una passerella appoggiata sulla colata di cemento dove…” – mingere non avrebbe reso la medesima urgenza di spostamento. La farai spesso, la pipi, narrando.

Se ascolti “vecchie canzoni” non ti intristisci. “… sono uscito pure dalla mia biografia; neppure se chiudessi gli occhi potrei immaginarmi dove avrei previsto di essere se non fossi qui. Ciononostante mi è difficile, pressoché impossibile dire dove sono.”

Giorgio Messori negli anni '80
Giorgio Messori negli anni ’80

Dove sei ora? Spero che tu non l’abbia ancora scoperto del tutto. “E chissà, forse la Città del Pane o la città dei Postini non sono neppure mai esistite, però riuscire a raccontarle, immaginarle, è l’unica strada che conosco per scongiurare le apocalissi già raccontate dai giornali e la tivù.

Perché dei Postini? “… capita spesso anche alle genti di qua, di perdersi per strada, e se poi ha bisogno di qualche informazione è sempre complicato perché le strade hanno tutte cambiato nome dopo che è cambiata l’epoca, però tutti continuano a ricordare ancora i vecchi nome e ignorare i nuovi. Forse per questo i postini hanno smesso di girare, perché gli indirizzi postali non servono quasi mai a rintracciare il luogo che si vorrebbe raggiungere.” – basterebbe scrivere a mio figlio a Napoli e forse arriverebbe.

Una conseguenza di questa situazione è che il possesso di una macchina e un buon senso dell’orientamento sono diventati un’inestimabile risorsa.” – per cui un po’ tutti sono anche tassisti, basta “contrattare il prezzo”, come a Mergellina. E la città diventa anche “dei tassisti”.

E c’è la targhetta dedicata al valente poeta Valentin Oviečkin che “nessuno probabilmente lo ricorderà mai in nessuna antologia, rimarrà un fantasma con un nome ancora disponibile all’attenzione dei viventi solo finché la casa in cui viveva rimarrà in piedi”, parli della “targa in memoria”, di questo “scrittore-mattone”.

Il nonno di Saida fu dimesso dalle autorità dalla carica di “presidente dell’assegnazione dei cineasti” perché credeva che una volta “molte cose andavano meglio di adesso”.

E “… i suoi occhi e la sua memoria non servono a nessuno…”, molto meglio “non vedere e ricordare– non sempre il monumentum serve alle istituzioni.

“… solo nelle parole dei più vecchi riprende vita la città dei fantasmi…” – spettri non sempre benevoli. “… quelli che vengono definiti i cambiamenti epocali non sono poi tanto di più che passare da una tivù in bianco e nero a una a colori.” Poi scopri che quel nonnino fu scapestrato e gaudente da giovane, come i tuoi nonni non furono mai!

“… uno dei vantaggi del tempo è anche quello di potersi creare un proprio album di famiglia immaginario.”

Quell’avo, che si può paragonare a un arzillo proteo, fossile vivente, capisce che “l’elettronica è davvero una gran cosa”, e lo dice con “intatta la voglia di scoprire quello che ancora dovrà succedere.”

Come lo invidi!,che vorrebbe vivere per sempre perché la realtà continua ad essere per lui un miracolo stupefacente.”

Invece:per me il futuro è sempre opaco, nebbioso: è solo dal passato che possono arrivarmi bagliori improvvisi.” Non vedo differenze fra voi due, anche se non lo comprendi troppo: lui vive del passato e progetta un roseo futuro che mi sento di augurargli, nonostante le sue 90 primavere. Chissà che starà combinando ora?

“… quello che mi arriva del presente è solo fumo negli occhi…” – non sapevo che esistesse quest’illusione. Ne sei sicuro? Mi piace quando dici che rivivere il medesimo giorno, ti appare sempre con una sua tinta diversa, è la luce che è in te che ne muta la forma.

“… si è sempre concentrati in un altrove che ti fa sfuggire tutto quello che ti capita…” – sia tu che il tuo tempo scappate ‘uno dall’altro. Tutto è relativo, disse una volta qualcuno.

Devi sempre tornare “per verificare, controllare”. Vai avanti tu, che a me mi viene da sognare.

“… i bambini hanno una formidabile memoria che man mano si perde diventando grande…” – quindi cosa ci conviene?

“Cerco soprattutto queste palpabili malinconie, che allora erano così vive e lancinanti da ficcarsi nella carne viva, senza neppure aver bisogno di passare dal cervello o di cercare parole per esprimersi.” – finalmente lo posso dire: ôgni cujòun a gh à la só pasiòun.

“… il paradiso è la possibilità di rimanere solo in mezzo agli altri senza avere l’ossessione di capirli…” – per me invece è sgranocchiare una nettarina senza lavarla e gettare allegramente il guscio alle mie spalle.

“… non ho mai associato la morte al nulla, la mia paura è se mai sempre di qualcosa.” mors tua vita mea?

Dopo morto cambia un po’ tutto, per cui rinunci al “gesto di farla finita una volta per tutte.” Infatti, “non avrei più potuto farlo perché mi sarei ficcato in un circolo vizioso in cui non potevo decidere più niente.” – nemmeno di non decidere più.

Ami la musica che definisci “terrestre come il “Requiem di Mozart” e lo “Stabat Mater di Pergolesi”, in quanto in grado di farsi capire ai cucci sordi come me. Poco personali, in quanto universali. Bisogna sempre scegliere. Tu sei molto personale. Poco universale nell’immediato. Richiedi tempo, forse due o tre decenni ancora.

“Quando ero un bambino non sapevo di essere un bambino– ora?

“… c’è ancora un’alleanza fra chi vorrebbe distruggere questo mondo e chi lo sta invece amministrando.” dura lex sed lex.

“… così vivono gli uomini, con l’agenda in mano e l’altra mano nel cuore sperando non succedano cattivi imprevisti.” – basta un invece di traverso e ci s’inquieta come scimmiette.

“Io e Ljuda” – che coppia siete! – “ci siamo conosciuti all’ospedale…” – entrambi ricoverati, a migliaia di chilometri di distanza, senza ancora essere consapevoli l’uno dell’altra.

Interessante: parli di un Dio, non astratto perché ne cogliqualche segnale” qui e là, e ci si può immaginare di tutto, anche che il destino preveda, facendo calcoli astrusi, la nostra quotidianità futura e “le coincidenze che capitano nella vita.

So per esperienza che quando mostri la tua città a qualche donna casualmente sposata, scopri delle cose che manco sapevi che esistevano. Di solito sono la parte estrema degli edifici, come quelli in

fondo a via Roma, o il Battesimo del Cristo del Caprioli. Girando mano nella mano con l’Ospite, guardi in tutte le direzioni, soprattutto in alto.

“… per entrare nei labirinti della memoria bisogna sempre perdersi” perché, diceva Borges, la memoria è fatta di oblio.

Ai tempi della Città dei Postini significa ai tempi che ora stai/sto immaginando, e che vive dentro di te/me.

Padre Giuseppe è un savio furbacchione, che ovunque vada impara a ridere come la gente del posto. “… farei invece fatica a dire come ride la gente di qua…”  – per scoprirlo non hai che da usare il tuo umorismo, oppure cadere in una pozzanghera.

“… mi sento spiato da un silenzio a cui non ero più abituato. E nel silenzio quelli che camminano nel viottolo di fronte…” – come si dice dalle tue parti? …e fân ‘n armòur da l’ostia? Un rumore che ha del divino.

“In fondo la bellezza dell’inverno è proprio questa grande natura morta che ci circonda.” – la morte che ri-crea la vita.

“… il nonno di Ljuda una strada può già indicarla, cioè trasformare le idee in comportamenti, che è l’unico modo perché le idee non vengano sconfitte.” – non sono sicuro del concetto, ma talvolta verrà utile pensarlo.

“… il passato si ripulisce di tante incongruenze e allora diventa il tempo mitico della Città del Pane, di quando i postini attraversavano la città e portavano giornali e riviste per vecchi e bambini.” – Amen.

Il giardino: “… per addormentarmi ho pianto un po’” – tutto può servire per raggiungere quel briciolo di felicità che talvolta regala Oniro.

“… ci sono dei titoli che sono già un’indicazione molto precisa e diventa persino irrilevante il testo che li accompagnava.” – un amico comune una volta scrisse che un titolo era una limitazione, un voler costringere un testo. Ne riparleremo quando c’incontreremo. Sono “gli amici un appoggio indispensabile per crescere.” Stavo per mettere il punto di domanda, poi mi son detto che tale incertezza non vale più delle altre.

“Gli amici rimangono lontani nello spazio come nel tempo, e spazio e tempo fatalmente si confondono.” – si tratta delle due più certe fandonie che il cosmo ci ha raccontato: la finzione borgesiana più dubbia. Se non ci fossero?

“I ricordi somigliano sempre ai sogni…” e i sogni di Ljuda diventano i tuoi ricordi, i nostri.

“E credo non ci sia niente di meglio del buio per rinfrancare un’amicizia”: unisce perché l’Altro è l’unico contatto con quel Nulla esistente.

“È settembre, il mese più timido dell’anno. Perché ricomincia un po’ tutto e allora ci si vergogna di cercare ancora il languore dell’estate. Così si va avanti in punta di…” – scusa se t’interrompo, per dirti che voi/noi scrittori (chi non ha mai vergato una sillaba getti il primo avverbio!) siamo non solo creatori di realtà illusorie, ma anche d’intuite psicologie e a volte di eticità. In altre parole: ci deifichiamo.

E ci reifichiamo, termine che non ho mai capito bene cosa significhi, però noi abbiamo un’idea che è soltanto un elenco aggrovigliato di messaggio chimici ed elettrici, e cominciamo a battere come delle puttane su una tastiera oscura con dei simboli bianchi che non si sa che origine abbiano e crediamo di essere onnipotenti (anche a me capita).

Per me il più ansioso dei giorni era il primo dopo la fine della scuola, perché, mi pare fosse ieri che me lo dicevo nel cortile del mio amico T. che stava in via Cassala, oh, cavolo, ho già nove ore di vacanza in meno! Come passa il tempo! Lo stesso mi capitava durante i quarantotto della naja, le due giornate di pausa che avvenivano nel weekend, dei giorni di ferie, e così via.

La mia reificazione non fa a calci con la tua, ognuna coesiste nella sua sperduta e poi ritrovata solitudine.

Padre Aldo Bergamaschi
Padre Aldo Bergamaschi

Decidesti di non andare a messa e te ne andavi a zonzo. Idem. Ma nel mio caso non c’era papà mio che mi seguiva, come capitava a te, io mica l’avevo detto in casa, non so tu. Poi capitò che lui mi chiese se volessi andare a messa ai Cappuccini con lui e in quell’occasione ascoltai la prima omelia di Padre Aldo Bergamaschi. Mi convertii, non tanto a quella religione, quanto all’immensa dialettica/logica di Aldino. A te questo sant’uomo è mancato. La tua vita sarebbe cambiata di certo. Alla messa partecipava mio cugino Daniele che poi diventò Don Simonazzi. Io non fui da meno, perché diventai ignorante di dio: non so nemmeno se so se Lui esista. Nel dubbio gli appioppo la maiuscola. Non so perché te l’ho raccontato, forse perché anch’io ho il male della scrittura.

“Quasi tutte le mie relazioni sono iniziate in autunno…” – beato te che sapevi da dove ma soprattutto quando incominciare.

“… perché l’amore era una fantasia notturna e allora le notti dovevano allungarsi, coprirsi di mistero.” – ecco perché, quando m’innamoravo quasi perdutamente, quel quasi mi salvava, e l’unica speranza era andare a letto e assopirmi come se niente fosse.

La tua russa detesta l’idea che tu narri i vostri caldi primi approcci. Beh, è normale.

“Io cerco di spiegarle che con lei è diverso, che fra l’altro si può nominare solo la donna che ami, con cui vuoi dividere la vita. Con le altre sarebbe ingiusto.” – fin qui il ragionamento non fa una grinza.

“… in quel diario lei diventa un tu indispensabile a definire un io, cosa che con le altre non mi era successo, e questa è una cosa che credo somigli all’amore.” – provo a tradurre: siete due stelle doppie che si scambiano continuamente massa ed energia: al peggio, siete una specie di Duo di Piadena.

Un prof ti chiamava “mummia” perché parevi un corpo avvolto dalle “mie bende da morto”, Premio Montessori per quell’idiota di docente. Lo facevi per evitare “molte botte e punizioni”. Prezzolini ti avrebbe chiamato apote, colui che non beve la verità di regime, ma forse invece fingevi di bere e poi sputavi quando andavi al cesso.

I libri “si leggono in solitudine, per quanto non riesco a reggere troppo a lungo l’intensità di un libro. Coi film invece è diverso perché basta ci siano altri occhi, in quel momento, a fissare quelle stesse immagini.” – io leggo e scrivo da solo, pur porgendo al mondo una parte minima di attenzione (non vado in trance). Film e partite di calci li devo condividere perché, senza l’amore e l’amicizia (sempre la vecchia e cara kam’a) m’annoierei. Sono fatto così. O tenermi o ammazzarmi.

“… qui le cose avvengono sempre in sordina, tutto si smorza nella polvere, in un cielo spesso immobile, senza nuvole.” – capitava anche a Gavâsa, e c’erano anche molte mosche in cucina se la stalla era limitrofa.

Parli di un certo nonno armeno che però veniva dalla Grecia, poi trasferito in Uzbekistan, ma suo figlio è partito per Altrove, con moglie e prole. E poi dicono che gli elettroni sono bizzarri in quanto sbandano da un livello all’altro, liberando o fagocitando un fotone. Seguendo di volta in volta la luce, che poi si pappano, diversificano il cosmo.

Quando te ne andasti a Bilbao, avvenne un mezzo miracolo: “Avevo imparato a partire.”

“E poi i morti hanno sempre un nome, perché se sparisse anche il nome sarebbe un’altra ingiustizia, già la morte cancella troppe cose, perciò che almeno i nomi possano risuonare incorruttibili, nella loro interezza.” – come quel quasi ignoto scrittore targhettato.

Il concetto che hai espresso è bello, ma non so se condividerlo. Tutti sanno chi fu Cesare, ma ancora oggi gli studiosi discettano, avendo poc’altro da fare, quale sia la corretta pronuncia, Ca-esar o Cesar. Kaiser? Czar?

Prendiamo quello scrittore. Il nome è quello che resta. Prendiamo te. Pochi ti conoscono, finora. Manco io fino a pochi mesi fa. Di te mi scrisse un giorno Gino. E stai ora diventando uno dei miei autori prediletti. Hai una scrittura così densa che devo faticare a non commentare ogni riga. Assomiglia a quella di Kafka, che fu definita da traduttore, e forse s’intendeva poco estrosa. Tu lo sei, estroso, come lo è un bradipo sonnacchioso, ma dici cose così importanti, costringendo il lettore a riesaminare i suoi precedenti concetti. Solo un buon scrittore riesce in questo. Non ho però mai letto Vespa, il quale notoriamente non produce né nettare né miele. Ho deciso di dire la mia, solo quando la tua incide in me una leggera ferita, come capita con la siringa, un buchetto dove poi può fiorire un livido. Dici cose molto belle, che a volte mi scivolano addosso (talvolta accade), ma sono ancora più contento, così non mi affatico a esprimere nuovi e estenuanti commenti.

“… anche i sassi lo sanno che un paesaggio è fatto pure dalle voci, dai gesti e gli sguardi della gente” – anch’io sono animista, anche i sassi lo sono, credo.

“… questo gironzolare a vuoto mi fa sentire libero come mai mi ero sentito. Perché la noia può essere anche molto eccitante, un’avventura dove tutto è possibile.” – in te mi riconosco in tante cose, per esempio nel tuo sentirsi fuori luogo ovunque, ma non in tutto. Io amo girare a pieno. Ho sempre una caterva di cose da fare.

“… non siamo che passanti, siamo stranieri anche alla strada che percorriamo ogni giorno. E questo gioco di appropriazione, di sentire che qualcosa è nostro, è sempre qualcosa di momentaneo, una dolce illusione…” – rileggi quel fatto degli elettroni. È la luce che ci conduce dove pare lei, ed è il black hole che alla fine ci piglierà per la chioma. Anche noi quasi calvi.

La morte di Mario Riva, caduto dal palcoscenico, ha sempre emozionato anche me.

Tu dici del piccolo trauma quando un compagno più sgamato di te t’informò che i regali di Natale non li portava Gesù Bambino, che di certo tu immaginavi coi riccioli e il sorrisino benevolo.

Pensa a me quando il mio amico Franco scosse la testa quando gli dissi che noi avevamo il grillo e le femmine non avevano nulla! Quella parola di 4 lettere, per me nuova, cambiò la mia vita. Anch’io reputo, come te, i saluti che comprendono la qualifica professionale, tipo “buongiorno professore”, come “il mio necrologio, e un necrologio triste”. A qualsiasi appellativo io preferisco un più basico ignoto essere.

Vorresti perdere anche la condizione di cittadino. Non so che dirti, essa serve. Ma ovunque sarai, sarai come quello che è trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera.

“… l’illusione di vivere fuori da un tempo storico…” – a me capita soprattutto dormendo.

“… il tempo storico diventa troppo spesso la gabbia in cui ci s’imprigiona la vita.” – avevo un parrocchetto ondulato, l’amavo troppo e quando volava era uno spettacolo. Mi avvicinavo a lui e mi veniva sul ditino. Lo portavo con me quando mi ritiravo dalla storia familiare, rifugiandomi in mansarda. Quando un giorno aprii il lucernario, non successe nulla il primo giorno. Il secondo il volatile scelse di provare l’Altrove. Non ho mai saputo l’esito della sua ricerca.

“Leggere per dimenticare tutto, per non essere più nessuno.” Uno, nessuno e centomila, te la sei voluta! – “Con un libro in mano anch’io mi dissolvevo, sparivo per molto più tempo di quanto non mi possa capitare adesso.”

Se ben ricordo, la tenera ragazza s’incunea fra te e il libro e ti sta regalando pillole di felicità. Più di qualsiasi opera letteraria.

“… uno scrittore è una persona che pensa sempre delle frasi…” – grande definizione!

“… il fascino di queste terre sta proprio nella loro indeterminatezza…” – il mondo è così, ma non lo sa. Pare ordinato, matematico, logico, irrimediabilmente tale. Per questo il nostro Giacomo si mise la casacca del pastore errante dell’Asia e andò laggiù, dove anch’io mi recai un giorno, e quasi piansi quando scorsi le migliaia di tomi che segnavano i suoi infiniti sentieri borgesiani che lo condussero alla fine a Firenze e poi a Napoli, dove ebbero fine i suoi Idilli. Oggi è l’11 giugno. Fra tre giorni.

Una settimana nel giro del mondo: “A volte ho l’impressione di non essere io, ho l’impressione di non essere io quel signore nelle foto del matrimonio.” – io mi sentivo un incrocio fra James Bond e Woody Allen, sotto celate spoglie nella tana del nemico, sempre con l’ansia di essere scoperto per quello che realmente ero.

“… l’infanzia e la vecchiaia del mondo. E in effetti sono palpabili una felicità e una stanchezza sconosciute al mondo più maturo, civilizzato.” – un luogo che, esistendo, esiste, come tutti gli altri. Il mondo non ha età, ma ha strange quarks che vivono un po’ e si trasformano, anch’essi composti da varie particelle, ognuna delle quali è collegata all’altra da gluoni sempre più piccirilli.

Mi fa sorridere quella statua, che raffigura “con una posa pensosa e l’espressione vagamente corrucciata: un Lenin le mani in tasca”, che rischia di diventare come quello scrittore targhettato o “come quei busti che s’incontrano in tanti giardini pubblici italiani, e che quasi tutti ignorano ormai chi fossero. Memorie cancellate, diventate solo arredi per i parchi.

Commovente è la tombadi un ragazzo ventisettenne morto un paio d’anni fa”, su cui alcune mani pietose gettano sigaretti e altri viveri. I bisogni umani rimarranno sempre tra noi.

Riporto il ricordo di quel necroforo meridionale che si buttò dalla Pietra di Bismantova con in tasca l’immagine di una ragazza suicida, ambedue precipitati nel punto più profondo del Purgatorio, e per sempre uniti e felici.

“Flessuose le giovani studentesse che conoscono a meraviglia la sensualità delle danze asiatiche”: io sempre amato le danzatrici, come ideali da amare, ma non da imitare.

“E in mezzo a loro anche un rigido twist, ballato pressoché immobile da un vecchio professore ormai paonazzo.” a steady think is a joy for ever.

Franz Kafka - 1917
Franz Kafka – 1917

Sei ora in Kirghisia,un’Engadina immersa in una vastità ‘americana’”, “una specie di Svizzera però in larga scala”. Cose che noi padani…

“Allora le figure diventano quelle che s’immaginano, come nelle nuvole. E nuvole, apparizioni del cielo sono le distese tondeggianti di verde, le montagne lontane.”

Entri in un luogo Altro, dove ci sono degli innominati, che tu chiami: “l’Uomo, la Donna, la bambina Grande e il Bambino Piccolo. E la Bambina Grane ci porta una scodella di…” cosa vuoi di più dalla vita?

“… la mamma-bambina che deve accudire l’ultimo nato (da queste parti sono sempre i bambini più grandi a sorvegliare i più piccoli)…” – anche ai nostri tempi, ricordi, ancor di più ai tempi dei nostri avi.

“… lo spazio di fuori mi sembra più intimo…” – è quello che sembra, un’illusione reale.

“La porta di servizio del paradiso, commenta Lorenzo.” occhio a non sporgerti troppo.

“Tra le poesie che ho letto e riletto più volte…” – sai?, a volte mi chiedo che fine farà la mia cultura, però scrivendo comincio a farmene una ragione.

“L’incanto, credo, è sempre un accordo muto che si stabilisce fra il gesto e la cosa.” – rimango in silenzio, per l’eternità.

Non trovate “traccia della piazza e tantomeno del ristorante.” – fortuna che salta fuori l’IncommensurabileLenin col braccio proteso” che indica, a mo’ un trip advisor forse leggermente rigido.

Un vigileci appioppa una multa non si capisce per cosa”: per farti scrivere una riga in più.

Se siamo usciti dall’infanzia del mondo, è anche perché da noi sono spariti quasi del tutto i bambini dalle strade…” – e dai cortili, prima li hanno reclusi in casa, poi non li hanno fatti più nascere.

Purtroppo il ritorno non è così facile” – più ti avvicini al confine e più ti allontani. Come ne Il Castello di Kafka.

“Il motivo ufficiale è per non diffondere un virus polmonare che sta arrivando dalla Cina.”questa dove l’ho già sentita?

“E come ci ha insegnato Kafka quest’ottusità anche molto brutale ha però sempre un risvolto comico, grottesco.” – l’abbiamo appena evocato e ora lui ci dice lui tutta la pietosa verità.

Tu lo sai, vero, perché K. non raggiunge mai quell’arcano maniero? Non avrebbe mai voluto chiudere la storia con quella parola di quattro lettere che comincia con f… Questo è il motivo per cui ho deciso di lacerare e appallottolare pagina 232…

 

Written by Stefano Pioli

 

Bibliografia

Giorgio Messori, Nella città del pane e dei postini, Diabasis, 2005

 

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