“Diario intimo” di Henri-Frédéric Amiel: l’era della mediocrità – ottobre 1851/1875

“− Lo spleen diventerà la malattia del secolo egualitario. – L’utile sostituirà il bello, l’industria l’arte, l’economia politica la religione, l’aritmetica la poesia.

Il tempo dei grandi uomini passa; viene l’epoca del formicaio, della vita multipla. Col livellamento e con la divisione del lavoro la società diventerà tutto e l’uomo non sarà più nulla.” − Henri-Frédéric Amiel

Henri-Frédéric Amiel citazioni mediocrità
Henri-Frédéric Amiel citazioni mediocrità

“L’era della mediocrità”. Nel mese di ottobre ma nel 1851 e 1875 il filosofo, poeta e critico letterario svizzero Henri-Frédéric Amiel (Ginevra, 27 settembre 1821 – Ginevra, 11 maggio 1881) scriveva le sue quotidiane riflessioni nel Diario Intimo.

Amiel non ha avuto la fortuna di altri filosofi e poeti dell’800, la sua non è stata una vita “di corte”, di società ma una vera e propria esistenza donata al Pensiero.

Eppure, malgrado l’atteggiamento da eremita, con il suo Diario Intimo ha mostrato tutte le piaghe della società a lui contemporanea e che si sono moltiplicate nella nostra attuale.

In 16.840 pagine il Journal Intime disegna perfettamente ciò che è accaduto in Europa in 150 anni. Alla sua morte furono pubblicate alcune pagine scelte in “Fragments d’un Journal intime” decretate come fenomeno letterario molto interessante, e successivamente nel 1923 il filologo e docente svizzero Bernard Bouvier pubblica una selezione più ampia.

Henri-Frédéric Amiel è tagliente, non accomoda alcun partito, alcuna fazione, il suo scrivere è portare alla luce, è trasmettere il canto, è ragionamento continuo che non ha pretesa di pubblicazione editoriale né di ammirazione da parte degli altri intellettuali contemporanei.

E forse è per questi semplici motivi che il Journal Intime è vero e si presenta come il dialogo di un uomo con l’anima.

Una rarità nel mondo post illuminista che volgeva l’interesse verso la velocità e la produzione, verso la mercificazione dell’essere umano, sulle basi di quello che noi abbiamo chiamato capitalismo.

Abbiamo deciso di selezionare alcuni brani di questo grande filosofo augurandoci di potar ai lettori di oggi qualche riflessione interessante dando la possibilità di curiosare all’interno di un libro diventato pressoché introvabile.

Siamo partiti dal gennaio del 1866 con una bellissima pagina di diario nella quale il nostro filosofo esortava se stesso ed il possibile lettore alla contemplazione. La selezione di febbraio ci ha portati nel 1869 con il discorso della facoltà di conoscere, marzo 1868 abbiamo attraversato le facoltà di metamorfosi, aprile del 1850 è stato il mese in cui abbiamo visto come la coscienza possa essere duplice e ci siamo soffermati sull’importanza del matrimonio. maggio siamo stati a cavallo tra il 1852 ed il 1855 esaminando come la parola possa essere rivelazione, le pagine selezionate condividono l’interrogazione sulla parola e sull’abisso che risiede in ognuno essere umano ma che viene cercato da pochi. Nella selezione del mese di giugno ci siamo trovati nel 17 giugno 1857 e nel 25 giugno 1865, Amiel si interrogava sul come debba agire un uomo di cultura e rifletteva sulla dualità delle lacrime. luglio (1856 e 1859) descriveva l’uomo europeo con le sue diversità culturali prendendo ad esame la Germania, l’Italia, l’Inghilterra e la Francia. Per il mese di agosto (1852 e 1859) si è deciso di selezionare tre giornate nelle quali spicca la riflessione sull’uomo d’ingegno e l’uomo di genio, sull’essere un pianeta oppure una stella. Il mese di settembre (1855 e 1863) ha trattato la caduta dell’essere umano nell’abisso con la riflessione dell’impossibilità del sapere tutto, quando l’universo delle idee diventa fumo.

La scelta del mese di ottobre verte sul 6 ottobre del 1851 e sul 26 ottobre del 1875. Amiel percepisce la rovina dell’Europa, la ricerca dell’uguaglianza assoluta come utopia porterà la società ad abbandonare il bello, l’arte, la religione e la poesia. L’uguaglianza è un termine che a livello teorico può fomentare pensieri di grande altruismo ma a livello pratico non potrà mai essere assoluta per il diritto di nascita, un diritto che nessun uomo può decidere, nessun uomo sceglie la famiglia nella quale nascere. I diritti sono altra cosa rispetto all’uguaglianza e l’uomo europeo ha più o meno stilato dei diritti anche se ogni tanto se ne dimentica e le pulsioni di supremazia dell’Io dettano legge.

Amiel ha ancora in mente l’immagine dei “tutti” rispecchiando se stesso negli altri, come se le sue doti potessero appartenere “a tutti gli altri” in caso di benessere sociale. Come se la gente comune sia impossibilitata nel discorrere di religione solo per mancato benessere sociale, mentre ciò che ha davanti e che abbiamo davanti è una piccola percentuale di esseri umani che sono devoti al pensiero ed alla domanda che porta conoscenza.

La seconda giornata selezionata riprende il discorso su Dio, questa volta in modo molto elevato e cosciente. La frase: “In Deo movemur, vivimus et sumus” riassume perfettamente il pensiero espresso. In chiusura cita Firmin Abauzit, personaggio sconosciuto ai più, un po’ come lo stesso Amiel, e per questo si invita il lettore accorto a leggere la nota a fine articolo.

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Aix-les-Bains, 6 ottobre 1851 – L’era della mediocrità

Frammenti di un giornale intimo - Henri-Frédéric Amiel - ottobre
Frammenti di un giornale intimo – Henri-Frédéric Amiel – ottobre

“… L’era della mediocrità in ogni cosa comincia e il mediocre gela ogni desiderio. L’uguaglianza genera l’uniformità, e solo sacrificando l’eccellente, il cospicuo, lo straordinario, ci si sbarazza di ciò che è cattivo.

− Lo spleen diventerà la malattia del secolo egualitario. – L’utile sostituirà il bello, l’industria l’arte, l’economia politica la religione, l’aritmetica la poesia.

Il tempo dei grandi uomini passa; viene l’epoca del formicaio, della vita multipla. Col livellamento e con la divisione del lavoro la società diventerà tutto e l’uomo non sarà più nulla.

La statistica registrerà grandi progressi, e il moralista un decadimento graduale; le medie saliranno, come il fondo delle vallate in seguito alla denudazione e allo sprofondamento dei monti. Un altipiano sempre meno ondulato, senza contrasti, senza opposizioni, monotono: ecco l’aspetto della società umana.

Gli estremi si toccano, e se il cammino della creazione consiste dal principio nel rilevare e moltiplicare all’infinito le differenze, in seguito essa ritorna sui suoi passi per cancellarle ad una ad una. L’uguaglianza che alla origine è ancora torpore, inerzia, morte, diventerà dunque alla fine la forma della vita?

Comprare il benessere universale a prezzo delle più alte facoltà, delle più nobili tendenze della specie umana, non è pagarlo troppo caro? È proprio questa la sorte fatale riservata alle democrazie?

Ovvero, al di sopra dell’uguaglianza economica e politica, a cui tende la democrazia socialista, si formerà un nuovo regno dello spirito, una chiesa di rifugio, una repubblica delle anime, ove al di là del pur diritto e dell’utilità volgare, il bello, l’infinito, l’ammirazione, la devozione, la santità avranno un culto ed una rocca?

Il materialismo utilitario, la legalità secca, egoista, l’idolatria della carne e dell’io, del temporale e di Mammone sono forse il termine dei nostri sforzi?

Non lo credo. – L’ideale dell’umanità è ben altrimenti alto; ma l’animale reclama per primo e bisogna cominciare dal bandire la sofferenza superflua e d’origine sociale, prima di ritornare ai beni dello spirito. Bisogna che tutti vivano, prima di occuparsi di religione.”

 

26 ottobre 1875

“… Il Dio che le religioni mettono nel cielo e fuori di noi è forse in fondo a noi stessi. Questo Dio è la voce del bene, è l’ammirazione segreta della virtù.

È vero che ciò che si trova nell’effetto dovrebbe trovarsi virtualmente nella causa. Se Dio è in noi, è all’origine delle cose. Se il bene è nostro fine, è anche nostro principio.

Ci sarebbe dunque almeno una Provvidenza generale, la forza restauratrice e medicatrice, che mantiene la vita universale a dispetto della perturbazione e della morte incessanti. Ciò che vuole la vita per il bene e il bene per il meglio, questa potenza primordiale e indefettibile, è quello che si chiama Dio.

In Deo movemur, vivimus et sumus.

Questa persuasione è la religione filosofica, che può sopravvivere a tutti i culti superstiziosi, immaginativi e leggendari, a tutte le credenze divenute allegorie.

L’essenziale è che l’uomo ha sempre presentito un ordine superiore, di cui era l’organo e l’agente e il contemplatore e il neofita, di cui doveva essere l’araldo e l’eroe.

Che importa allora che l’individuo sia più o meno felice, che rappresenti una parte, che abbia o no il suo sboccio? L’opera universale si compie ugualmente…

C’è sempre un numero considerevole di forze perdute e di vittime inutili, perché l’errore ha una parte immensa nella storia dell’opinione e dell’azione umane; è peccato senza dubbio essere del numero degli schiacciati e dei misconosciuti; ma c’è un servizio silenzioso che ciascuno può rendere sempre: è di essere buono, giusto, coraggioso, paziente.

Ciò che fa andare la grande macchina sociale è ancora la somma dei lavori ingloriosi, delle virtù umili, dei meriti anonimi, più che il baccano dei capi, degli ufficiali e dei direttori. L’immortalità del nome è una ghiottoneria riserbata agli eletti della fortuna: si può fare a meno di questo privilegio e c’è più stoicismo a privarsene che a perseguirlo.

L’accontentarsi della mediocrità e dell’oblio ha una certa bellezza, quando si possedeva la stoffa di una maggiore grandezza. Abauzit[1] poteva fare a meno dell’elogio squillante di Rousseau, e Rousseau non poteva far a meno della gloria. Questo è stato il grand’uomo, ma l’altro è stato il saggio.”

 

Note

[1] Firmin Abauzit (Uzès, 12 novembre 1679 – Ginevra, 20 marzo 1767) è stato uno scrittore e teologo francese. Figlio dei calvinisti Jean e Anne Deville, rimase orfano di padre a due anni e in virtù della revoca, avvenuta nel 1685, dell’editto di tolleranza religiosa di Nantes, il vescovo di Uzès lo fece sottrarre alla tutela della madre per rinchiuderlo nel locale Collegio vescovile perché fosse educato nella fede cattolica.

Fuggito dal collegio nel 1687 grazie all’intervento della madre, visse per due anni con il fratello nascondendosi nei monti delle Cévennes, riuscendo a rifugiarsi nel 1689 nella città protestante di Ginevra, presso il nonno paterno, dove furono raggiunti dalla madre dopo che anch’essa riuscì a evadere dal carcere nel quale era stata rinchiusa a causa della sua complicità nella fuga del figlio.

Compiuti gli studi nell’Accademia di Ginevra, nel 1698 soggiornò nei Paesi Bassi, dove conobbe Jacques Basnage, Pierre Jurieu e Pierre Bayle, e in Inghilterra, dove frequentò Évremond e Isaac Newton, che trovò in lui uno dei primi ammiratori delle sue scoperte; Abauzit convinse Newton a modificare la sua opinione sull’eclissi osservata da Talete, contenuta nella prima edizione dei suoi Principia. Incredibilmente versatile, si occupò delle più varie discipline: lingue antiche, storia, archeologia, numismatica, epigrafia, geografia – realizzò carte geografiche della Svizzera, dell’antico Egitto e dell’antica Grecia – matematica, scienze naturali, fisica, astrologia, letteratura, filosofia e teologia. Proprio per la sua vasta erudizione, ebbe numerosi corrispondenti, e ricevette pubbliche lodi dai suoi contemporanei, in particolare da Voltaire e Rousseau.

Resta poco dei suoi scritti: sembra che i suoi eredi ne abbiano distrutto una parte, perché contenente opinioni religiose da loro non condivise. Alcuni articoli di archeologia e di astronomia apparvero nel Journal Helvetique e altrove, contribuì al Dictionnaire de musique, del 1767, di Rousseau, scrisse la voce Apocalisse nell’Enciclopedia di Diderot, mettendo in dubbio l’autorità canonica di quel testo biblico, fece aggiunte alla Histoire de la republique de Genève di Spon.

Nelle sue Réflexions sur les Évangiles, messe all’Indice dei libri proibiti, precorrendo aspetti del moderno pensiero protestante, vide nel Cristianesimo la divulgazione popolare di una religione che dovrebbe essere in realtà naturale e razionale: per Abauzit Dio non può rivelare verità che risultino irrazionali e dogmatiche. (Fonte Wikipedia)

 

Bibliografia

“Frammenti di un giornale intimo” di Henri-Frédéric Amiel (Unione Tipografico – Editrice Torinese, 1967, a cura di C. Baseggio)

 

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