Trieste Science + Fiction Festival 2020: impressioni di un’edizione totalmente virtuale
In quest’autunno 2020, dal 29 ottobre al 3 novembre, la città di Trieste si è trasformata in un palcoscenico virtuale per ospitare un evento di straordinaria attrattiva: la ventesima edizione del Trieste Science + Fiction Festival, dedicato al cinema di genere e al fantastico.
Il Festival è stato organizzato in modalità online sulla piattaforma Mymovies, vista la drammatica situazione in cui versa l’Italia a causa della pandemia, la quale impone necessarie restrizioni.
Tuttavia, nonostante le difficoltà causate dalla situazione, non è venuto a mancare né l’interesse né la visibilità che il Festival merita. Basti pensare che l’affluenza dei visitatori è sempre stata elevata: fino ad oggi ha contato infatti di oltre 26.000 presenze.
Evento fra i più importanti di argomento cinematografico, il Festival ha selezionato film, corti e documentari distribuiti per la prima volta sul Web, con anteprime sia nazionali che mondiali.
Contemplando diversi ambiti della cultura fantascientifica: dal cinema al fumetto, dalla letteratura al teatro, unitamente a convegni e incontri con produttori del cinema di fantascienza.
Il Trieste Science + Fiction Festival ha origini lontane risalenti addirittura al 1963.
Nel 1982 poi, per motivi non del tutto chiari, il Festival viene sospeso, per riprendere la tradizione nel 2000, patrocinato da La Cappella Underground; assumendo una veste inedita prende anche un nuovo nome: Science plus Fiction.
Due anni dopo, nel 2002, in collaborazione con Arnoldo Mondadori editore, in occasione del cinquantesimo della fondazione della rivista Urania, viene istituito un premio alla carriera intitolato Urania d’Argento, conferito quell’anno a Pupi Avati.
È il 2004 quando il Festival ripristina l’antico logo, un asteroide, simbolo alquanto significativo.
Che contrassegna il Festival e rappresenta il Premio storico che viene assegnato al miglior film in concorso. L’asteroide, disegnato da artisti di fama, ogni anno è opera di un diverso artista.
Il Science plus Fiction Festival nel 2005 entra a far parte della European Fantastic Film Festivals Federation, organizzazione atta a promuovere la produzione cinematografica europea di genere.
Dal 2007 si caratterizza per incontri che vanno oltre la cinematografia; appuntamenti eterogenei nei quali trovano spazio anche tavole rotonde, convegni scientifici, performance teatrali e concerti, e non ultimi, eventi letterari e mostre d’arte. Quindi, nel 2009, al concorso riservato ai cortometraggi si affianca il concorso Méliès per i lungometraggi.
Da sempre, la programmazione anticipa proposte che possano accontentare svariati gusti cinematografici. Dai palati più esigenti, quelli che amano la science fiction classica, ai neofiti con inclinazioni verso il genere horror e il fantasy.
La sezione ufficiale ha preso la denominazione di Neon, fiore all’occhiello del Festival, sezione allestita per abbracciare le novità, oltre che le anteprime in concorso e fuori concorso.
Il 29 ottobre 2020 il Festival ha aperto la sua ventesima edizione con Skylin3s di Liam O’Donnell, fortunata serie tv trasmessa in anteprima. Incentrato sulla figura del capitano Rosey Corley, un’umana in possesso di superpoteri, è film che contiene premesse catastrofiche.
Sempre giovedì 29 ottobre, inoltre, sono stati trasmessi 8 episodi di SF8, serie di fantascienza coreana, che mette in campo diverse tematiche, dallo sviluppo tecnologico al gaming, dall’intelligenza artificiale alla robotica, fino ad arrivare ai superpoteri.
Inoltre, Archive, rivisitazione del mito letterario Frankstein, creato da Mary Shelley.
Altro momento importante su cui si è soffermato il Festival è stato il dibattito delle discrepanze, o eventuali punti di unione, fra scienza e fantascienza. Oltre a tavole rotonde con l’intervento di autorevoli addetti ai lavori: astrofisici, meteorologi, giornalisti scientifici e scrittori di genere.
Per concludere, nel Festival sono state comprese anche 40 anteprime fra nazionali e mondiali, divise tra lungometraggi, corti e documentari. Il tutto, fruibile, come già detto, online. Nonostante la novità, la ventesima edizione del Festival ha avuto un successo uguale, se non superiore, a quello delle precedenti edizioni.
Adesso, un breve commento su di alcuni lavori presentati al Trieste Science + Fiction Festival.
“Transfert” di Jonathan Degrelle
Cortometraggio di science fiction che ha partecipato al Festival di Trieste, Transfert, del regista Jonathan Degrelle, è ambientato in un mondo distopico e costruito su di una trama che, seppur breve, ha un risvolto insolito quanto interessante.
Ogni persona, soprattutto nelle pellicole di fantascienza, coglie, in funzione della propria sensibilità, aspetti che a scapito di altri lo colpiscono maggiormente. In conseguenza dei quali, lo spettatore osserva ciò che più si avvicina al proprio modo di essere e soprattutto al proprio sentire.
In Transfert, a mio avviso, il fatto più rilevante è l’aspetto etico che manifesta uno dei protagonisti nel momento in cui arriva a fine vita.
Ma, per poter essere meglio esplicativi veniamo brevemente alla trama.
Al termine della Seconda guerra mondiale, il 4° Reich, grazie a un particolare congegno, ha avuto la meglio sulle altre potenze e il Nazionalsocialismo ne è uscito vincitore. Max, un alto ufficiale nazista, portata a termine un’esistenza eticamente assai riprovevole, mette in discussione se stesso e l’ideologia che da sempre l’ha accompagnato. Campi di stermino, uccisioni e devastazioni sono gli spettri che lo spingono a rivolgersi a Isaac, un viaggiatore nel tempo, affinché recuperi il fatale congegno e ne annulli il compito distruttivo che ha avuto. Nel qual caso, il corso degli eventi storici come noi conosciamo avrebbero avuto un esito diverso. Il viaggiatore si presta a esaudire questa richiesta e prontamente si tuffa nel passato; se non fosse che, dopo varie peripezie incontra sul suo cammino un antagonista nascosto dietro a un pesante scafandro, che probabilmente rappresenta l’incarnazione del male, ma che ha la meglio sul viaggiatore. Che però fa in tempo a ‘spedire’ il congegno verso il futuro per raggiungere il contesto temporale in cui si trova l’ufficiale.
Il marchingegno, infine, assolverà al suo compito e si autodistrugge, e a ritroso cambia il corso della storia. Il 4° Reich, quindi, non diventerà realtà grazie alla distruzione del dispositivo, e non avrà modo di dominare il mondo.
Come già affermato, l’aspetto immaginifico e irrealistico che si evince dal corto è il fatto che l’ufficiale nazista si penta e si dispiaccia del male commesso, raffigurazione plastica delle negatività che affliggono l’umanità intera: invidia, sete di potere e di denaro, fra questi. Secondo il mio parere, come spesso accade, sono rari i casi in cui gli esseri umani mostrano pentimento, o altri simili sentimenti. Realizzato a mo’ di videogioco, Transfert propone una realtà virtuale mostrata con una regia coinvolgente e di richiamo.
“Immortal” di Fernando Spiner
Immortal, del regista argentino Fernando Spiner è film focalizzato su di una problematica, alquanto spinosa e intensa, come quella del legame che si stabilisce fra i vivi e i morti.
Apparentemente la trama è lineare, ma in sé contiene elementi che ne fanno una performance costruita su risvolti che sfiorano il paranormale. O meglio, contiene aspetti che si avvicinano a questioni vicine alla fisica quantistica in quanto, il contesto temporale, rispetto a quello dove sono collocati inizialmente i fatti portati sullo schermo è una dimensione altra.
Fatti che raccontano di Ana, una giovane che dall’Italia torna a Buenos Aires dopo la morte del proprio padre. Raccogliendo le cose che gli sono appartenute incontra la sua seconda moglie e il dottor Benedetti, amico del padre e uomo dal dubbio legame fra i due; si accenna infatti alla bancarotta che il padre di Ana avrebbe subito a causa di Benedetti.
E, mentre la giovane cerca di indagare sulla morte del proprio genitore, il dottore cerca di convincerla ad attraversare una porta per inoltrarsi in un’altra dimensione, rispetto al contesto reale in cui sono inseriti i personaggi, attraversarla e così riabbracciare il padre.
Convinta che sia un intreccio dai risvolti truffaldini, Ana è combattuta tra il desiderio di rivedere il suo babbo e la voglia di far chiarezza su quanto accaduto. Infine, cederà ai suoi sentimenti in una scoperta che le cambia l’esistenza. Storia visionaria, tutta imperniata sui problemi umani, Immortal è pellicola alquanto interessante e realizzata con una regia di pregio.
“Néo Kósmo” di Adelmo Togliani
“Sono sempre stato attratto dalle nuove tecnologie e dall’I. A., di cui i robot sono la massima espressione”. – Adelmo Togliani, regista
Cortometraggio di genere, il cui focus è l’incomunicabilità umana, Néo Kósmo è stato realizzato nel 2020 dal regista Adelmo Togliani. Ambientato in una realtà virtuale di un futuro prossimo
denominata Néo Kósmo i personaggi che animano la narrazione, una benestante famiglia borghese, vivono una dissociazione dalla realtà.
Protagonista del contesto narrativo è soprattutto la tata Alésia, un’androide, la quale vive presso la comunità familiare e si occupa del minore dei figli della coppia, non ancora coinvolto nel processo dissociativo. La famiglia è vittima involontaria di Néo Kósmo, un programma di realtà virtuale che la costringe in un mondo privo di ogni tipo di reciprocità; troviamo infatti i membri della famiglia intenti a relazionarsi soltanto con cellulari e altri supporti multimediali, senza curarsi l’uno dell’altro.
Quello che il corto vuole mettere in luce è, a mio avviso, l’umanità posseduta dall’androide, la quale mostra segni di una sensibilità che non appartiene agli altri componenti del gruppo. Alésia, infatti, manifesta un cedimento che denota sentimenti ed emozioni insoliti per un personaggio ‘altro’, ed esprime una capacità di discernimento spesso appartenente ai soli esseri umani.
Quello insito nel documentario è un messaggio di ordine etico, il quale pone interrogativi a proposito dell’opportunità di promuovere ulteriormente il progresso tecnologico. Oltre a soffermarsi su valori che appartengono alla sfera dei sentimenti, e all’importanza di non perdere di vista la propria identità di uomini.
“Il ruolo dell’androide Alèsia mi ha permesso, per la prima volta, di esplorare un mondo sconosciuto, quello del futuro. Un mondo immortale certamente, ma assolutamente verosimile e che mi ha aperto molti interrogativi su quello che sarà…” – Giorgia Surina, attrice
“Tune into the future” di Eric Schockmel
Documentario del 2020, inserito nella sezione Mondofuturo, realizzato dal regista Eric Schockmel, Tune into the future si sofferma sulla figura di un visionario: Hugo Gernsback, conosciuto come l’uomo che ha gettato le basi per la moderna fantascienza. Figura di editore creativo, originario del Lussemburgo, Gernsback muore nel 1967 dopo essere stato riferimento per tanti giovani scrittori appassionati di fantascienza.
Ideatore del termine “fantascienza” è stato fonte di ispirazione per autori emergenti.
Nonostante ciò, Gernsback è stato ignorato da molti, come si evince dal documentario che racconta la sua storia. Storia, che ha lasciato dietro di sé poche tracce a ricordarne l’operato, soltanto qualche scritto autobiografico per testimoniare la sua vita che si è consumata al di fuori degli schemi convenzionali.
Il regista, anch’esso un visionario, per entrare a fondo e conoscere la personalità di Hugo Gernsback, ha fatto ricerche approfondite, incontrando negli Stati Uniti, dove Gernsback ha vissuto a lungo con i suoi discendenti.
Fin da giovane, Gernsback si scopre amante delle invenzioni scientifiche e dà il via alla pubblicazione di una rivista, fra le prime, di divulgazione scientifica; offrendo spazio sulle sue riviste a pubblicazioni e illustrazioni a molti autori, aprendo loro la strada per la pubblicazione.
Gernsback può essere considerato un pioniere dei social network, in quanto ha dato vita a una comunità di persone, incitandole a sviluppare nuove tecnologie.
Documentario dinamico e dai colori vividi, Tune into the future racconta di un visionario che non è stato un romanziere al pari di Giulio Verne o H. G. Wells, ma un editore che ha gettato le basi per la moderna fantascienza, e celebrato come merita, grazie al Festival, attraverso l’animazione di sequenze tutte coinvolgenti.
A proposito del regista, da aggiungere che Eric Schockmel si è appassionato alla storia di Gernsback, probabilmente perché i loro universi sono simili; anche Schockmel è affascinato da tutto ciò che è tecnologia e fantascienza.
“The Recycling man” di Carlo Ballauri
In The Recycling man, corto distopico di produzione italiana, realizzato dal regista Carlo Ballauri, e inserito nella sezione Mèliès, il protagonista è Jacob, un giovane costretto su di una sedia a rotelle.
Il suo unico svago è osservare i vicini del quartiere dove abita.
Jacob ha per amica Sarah una sua coetanea, la cui amicizia viene però interrotta da un grave episodio di cui Jacob viene a conoscenza osservando ciò che accade alla sua amica attraverso la sua finestra, unico mezzo per comunicare con il mondo.
Ambientato in un contesto ambientale post apocalittico, in cui la sovrappopolazione della terra pone forti contrasti fra il mondo reale e quello proposto da The Reycling man, dove la tecnologia può essere intesa come strumento di limitazione alla libertà.
“Coded Bias” di Shalini Kantayya
L’Intelligenza Artificiale, con tutte le implicazioni che tale disciplina dell’informatica prevede, è il focus su cui si concentra il documentario realizzato nel 2020 dalla regista Shalini Kantayya e inserito nella sezione Neon del Trieste Science + Fiction Festival.
Il documentario si sofferma soprattutto su di una questione dell’I. A. di grande interesse quale il riconoscimento facciale, da cui prende il via un dibattito importante e costruttivo.
Si discute infatti della validità e dell’opportunità di utilizzare questo strumento che ha sì aspetti positivi, per esempio per catturare personaggi che commettono dei crimini, ma può diventare anche un attentato alla privacy di ogni singolo individuo.
Written by Carolina Colombi
Info
Programma Trieste Science 2020
Leggi una recensione estesa di “Coded Bias”