L’ultimo pranzo di Federico García Lorca a New York: breve prospettiva sul grande poeta andaluso

 L’addio lejano alla metropoli, dall’imbarcazione che lo avrebbe riportato in Europa.

Federico García Lorca
Federico García Lorca

Negli anni 1929-1930 il poeta spagnolo Federico García Lorca viaggiò in America soggiornando per vari mesi, prima a New York, poi a Cuba. L’intenzione originaria, come attestano i diari, era quella di poter imparare la lingua inglese a diretto contatto con l’ambiente americano sebbene, tra le ragioni che motivarono i genitori (abbienti, essendo il padre proprietario agricolo) a mandarlo Oltreoceano v’era sicuramente anche il desiderio di voler regalare al figlio un momento di tranquillità e lontananza dai suoi drammi esistenziali.

Difatti si era da poco chiusa la storia amorosa con lo scrittore Emilio Aladrén e di certo questo aveva contribuito a rendere il giovane Lorca molto propenso alla malinconia e alla tristezza (secondo alcuni, addirittura, avrebbe pensato di suicidarsi).

Di questo tormento, che è vivo nella prima parte della sua esperienza sul territorio americano, Lorca riuscirà a stemperarne le forme più pesanti, durante la sua frenetica attività che vivrà nella Grande Mela, tra nuovi amici, conoscenze, lezioni e visite fuori porta (a Coney Island, metafora del divertimento, tornerà varie volte, ma visiterà assiduamente anche il barrio negro di Harlem e viaggerà finanche in Virginia, ospite di amici).

A testimonianza di questa fase importantissima per la sua crescita umana e professionale (lì scrisse varie opere) rimane principalmente quella componente para-letteraria sempre utile per lo studio di un intellettuale e la sua giusta collocazione storico-sociale: il carteggio (raccolto recentemente sembrerebbe in forma completa, a meno di qualche epistola segreta che, per ragioni diverse, sempre vengono fuori in momenti non prevedibili), gli appunti, finanche la sua attività di disegnatore e, ancora, le memorie, i diari e i ricordi di chi lo conobbe direttamente e nel tempo ha prodotto libri interamente dedicati alla sua figura.

Si diceva, per l’appunto, della sua attenzione in termini scrittori durante la estancia americana e vanno sicuramente ricordate le poesie, dal gusto surrealista e avvicinabili a Ámbito e a Espada como labios di Vicente Aleixandre che scrisse in questo periodo. Poesie alle quali il docente Menarini dell’Università di Bologna dedicò quello che può essere considerato uno dei primi studi esaustivi sull’opera Poeta en Nueva York di cui Lorca ebbe modo di parlare anche con Neruda che, in qualche modo, gli consigliò il titolo.

Poesie – pubblicate solo dopo la sua morte, nel 1940, da un editore messicano – che mettono in luce una società disumanizzata e violenta, dove sembra esser venuto meno il senso delle cose a beneficio unico dei loro scopi utilitaristici che non guardano in faccia nessuno.

È la New York dei grattacieli e del denaro, ma anche del fango e dei suicidi, delle fogne e dei ratti, della violenza, dei gabbiani sgozzati e tanto altro ancora.

È la New York che, proprio in quel periodo, vive uno dei momenti di arresto più pesanti, quello del noto Crollo della Borsa di New York che mise molte famiglie al lastrico, che azzerò le ricchezze finanziarie, che aprì a un nero periodo di recessione, incertezza e disperazione (ce n’è traccia nel volume quando si parla di questo “denaro-bitume”, dei suicidi dai grattacieli, dell’indifferenza e paura della gente).

Salvador Dalí, José Moreno Villa, Luis Buñuel, Federico García Lorca y José Antonio Rubio Sacristán, Madrid -1926
Salvador Dalí, José Moreno Villa, Luis Buñuel, Federico García Lorca y José Antonio Rubio Sacristán, Madrid -1926

La sua attività di drammaturgo, per la quale aveva esordito nel marzo del 1922 con El maleficio de la mariposa (opera scritta due anni prima) aveva riguardato un’opera dai contenuti buoni in chiave quasi favolistica, dettata da personaggi animali. Purtroppo per l’autore non si era impressa con un segno positivo subitamente, difatti l’estreno (il debutto) venne accolto con aspre criticità e delusione dalla stampa e in molti non mancarono di osservare che l’opera era di infima qualità, improponibile, certamente troppo avanguardista e lontana dal poter essere accettata.

Si inaugurava, in questo modo, quella che era la produzione drammaturgica surrealista di Lorca, vale a dire quelle opere (per le quali trarrà molta ispirazione dal Living Theatre americano) prive di un canovaccio chiaro, generalmente imperscrutabili, contenutisticamente caotiche e volutamente confuse, imperniate su drammi dell’individualità, di difficile relazione interpersonali, di chiarificazione della coscienza individuale e collettiva.

Chiaramente l’influenza di Pirandello, Shaw e Cocteau dovette essere rilevante sul Lorca del periodo e, pur non esistendo notizie certe in merito all’effettivo incontro di Lorca (che mai giunse in Italia) con il genio siciliano, di certo conosceva e apprezzava la sua opera. Come pure Orfeo di Cocteau e Niebla e Medea dello spagnolo Unamuno che, in quel periodo, sollevava questioni umane e filosofiche analoghe.

Nel periodo americano Lorca lavorò a nuove possibili opere pensate per un teatro de porvenir confidando nel suo carteggio che molto probabilmente sarebbe stato più semplice e opportuno proporle in America, dove avrebbero potuto essere comprese o comunque non rigettate, che in Spagna, dove permaneva un teatro classicista, ridondante, di stampo borghese, ancora attaccato agli stereotipi delle storie dei fratelli Quintero e Benavente.

Lavorò all’opera El Público e, nel periodo ad esso coevo, ad Así que pasen cinco años (secondo alcuni già nel 1931). Sono delle opere astruse e quasi illeggibili, cosparse di personaggi umani, animali, della commedia e della maschera che s’intrattengono tra loro, con confusione spaziale e temporale, con le quali Lorca – ancor meglio che con la sua fiorente poesia – denuncia l’insicurezza che lo pervade, il sentimento represso di auto-esclusione, il dolore per la sua diversità che lo situa in un’impossibilità di rivelazione.

Sono i temi dell’ossessione amorosa, della nevrosi verso la vita di coppia in senso omoerotico, della simpatia promiscua, dell’inclinazione omosessuale che vive come pesanti macigni e che, pur di evidenza comune, non può palesare (per non offendere la famiglia, per non voler subire la gogna del popolo, perché il tempo in cui vive non è disposto a perdonare nulla).

Grazie alla conoscenza con il produttore cinematografico messicano Emiro Amero nacque, quasi d’impulso, anche l’idea della scrittura di un testo pensato come scenografia. Non va dimenticato che il 1929 fu l’anno di pubblicazione del cortometraggio Un perro andaluz di Luis Buñuel, opera che, per la convulsione e l’inestricabilità dei contenuti, ottenne un grande successo. Si trattava del prodotto finale di un’amicizia profonda e di una collaborazione importante di Buñuel con Dalí, il celebre pittore surrealista degli orologi molli, persone delle quali anche Lorca fu inizialmente amico durante la sua estancia alla Residencia de Estudiantes di Madrid.

Un chien andalou
Un chien andalou

Poi, i motivi di gelosia e invidia, elementi creduti e animati da Lorca in relazione all’amicizia Dalí-Buñuel che avrebbe sempre più allontanato il pittore da lui, portò a una vera e propria rottura.

Secondo alcuni (e lo stesso Lorca) Buñuel, con il titolo del suo corto, volle proprio riferirsi a lui, bollandolo come “cane” e questo trattamento spregiativo (che il regista sempre negò) di certo afectó profondamente il granadino.

Possiamo considerare che le recenti delusioni (amorose e amicali) di Lorca, sommate da una leggera invidia verso chi, a differenza di lui (che ancora non era così affermato) riusciva ad imporsi, potessero essere stati i motivi di base per la nascita, frenetica e veloce, del suo testo Viaje a la luna. Opera poco conosciuta e recentemente portata in scena nella versione rivista dal catalano Frederic Amat della quale pare che esisterono due diverse versioni, di cui l’originale consegnato alla collettività solo alla morte di Amero, alla fine degli anni Settanta.

Nel 2019, con la volontà di ripercorrere alcuni degli aspetti e degli incontri di questa sua rilevante permanenza sul territorio americano, nell’occasione dei novanta anni di distanza, ho deciso di tenere alcuni incontri per riferire su questo periodo centrale nella sua formazione, anche con l’ausilio di supporti fotografici (foto, cartoline, lettere, appunti) del periodo oggi conservati nell’Archivio della Fondazione e riprodotti in volumi tematici, come quello di Andrew Anderson[1].

Non sono, invece, risultati audiovisivi in possesso che traccino l’immagine di Lorca o che forniscano la registrazione della sua voce, aspetti che in un certo qual modo possono dirsi come gravemente mancanti per definire, al di là delle copiose informazioni in possesso fatte da altri relativamente a questi aspetti, alcuni tratti della sua personalità.

Pur disponendo, limitatamente a lui e alla sua opera, di una delle più ampie bibliografie sui poeti del Secolo scorso (per quanto riguarda l’Italia vanno senz’altro ricordati gli studi, le analisi e i commenti di autori quali Vittorio Bodini, Carlo Bo ed Elena Clementelli, che pure si dedicarono alla traduzione della loro opera, Piero Menarini, Gabriele Morelli, Maria Grazia Assumma), siamo deficitari, pertanto, della componente orale, fonologica, sonora e cinetica della sua poliedrica figura.

Listin Diario
Listin Diario

Pochi giorni fa sul giornale online domenicano Listin Diario è apparso un interessante articolo su Lorca durante la sua permanenza in America dal titolo “El ultimo almuerzo de Federico García Lorca en Nueva York”[2], ovvero “L’ultimo pranzo di Federico García Lorca a New York”, dove vengono tracciati, seppur per pillole, una serie di riferimenti importanti e, pertanto, ho deciso di tradurre in italiano, a continuazione, prendendomi la libertà di integrarlo (adoperando appositamente i segni [  ]) con informazioni e nozioni in mio possesso che ritengo utili per maggiori specificazioni in merito ai temi ivi trattati.

 

L’ultimo pranzo di Federico García Lorca a New York

Le grandi vetrate incoronate da archi a medio punto e le pareti rivestite di legno del refettorio della residenza John Jay, all’università della Columbia di New York, permettono [di] immaginare come potesse essere quel refettorio novanta anni fa, quando Federico García Lorca celebrò[3] lì, il 4 marzo 1930, il suo ultimo pranzo, prima di lasciare la città. L’autore di Poeta a New York arrivò il 25 luglio 1929 sulle coste della città che odiò e ammirò quasi in egual misura, “fuggendo da varie crisi personali” come [ebbe a dichiarare] a EFE, l’ispanista dell’università di New York, James Fernández, e per studiare l’inglese, senza molto successo, in un corso per stranieri presso l’Università della Columbia.

La mia stanza di John Jay è da ammirare. Si trova al piano dodicesimo della Hall e [da qui] vedo tutti gli edifici dell’università, il fiume Hudson e uno skyline di grattacieli bianchi e rosa”, scriveva Lorca in una lettera che Daniel Castillo e Mónica Vasa raccolsero in un “atlante letterario” che editarono nel 2017 e che riassume in maniera grafica la permanenza dell’artista in [questa] città.

Non ci è stato permesso visitare la stanza 1231 che occupò [Lorca] in questo stabilimento, né la stanza 617 dell’edificio di Furnald, [altro luogo] dove alloggiò, ma una placca commemorativa collocata a novembre 1990, nell’occasione del cinquantesimo anniversario della pubblicazione di Poeta a New York, ricorda la sua permanenza nel campus.

ederico Garcia Lorca - placca commemorativa New York
ederico Garcia Lorca – placca commemorativa New York

Federico García Lorca visse presso John Jay Hall, dove scrisse Poeta a New York, tra giugno 1929 e marzo 1930”, dice la placca ubicata vicino a una tabella di sughero con annunci e una fontana dove gli studenti riempiono di acqua le proprie bottiglie.

Sebbene non sia totalmente certo, dal momento che a gennaio 1930 abbandonò la residenza universitaria per alloggiare in un appartamento [privato], ma il suo legame con l’[Università della] Columbia continuò fino al suo ultimo giorno a New York.

Le tracce di Lorca all’Università della Columbia

Tra gli edifici dello storico campus, ancora è conservata la base dell’orologio solare di fronte al quale Lorca si fotografò allora e dinanzi al quale certamente lesse l’iscrizione latina “Horam expecta veniet” ovvero “Aspetta l’ora [che] verrà”.

Vi mando una [mia] foto molto bella fatta dinanzi all’orologio dell’Università. È una sfera di porfido molto grande. In essa si può vedere un paesaggio di grattacieli[4], se uno si sofferma con attenzione, e il sole”, scrisse alla sua famiglia.

Segue anche un’[altra foto nella quale il poeta è] in piedi nei pressi dell’edificio di Filosofia, dove il 16 agosto 1929 prese parte a un evento in suo onore [voluto e organizzato] dalla scrittrice Concha Espina e [dove] elargì discorsi sulla poesia. Inoltre presentò una relazione del torero Ignacio Sánchez Mejías, la cui morte avrebbe pianto alcuni anni dopo nelle quattro elegie [che compongono il suo celebre Llanto].

È nell’accogliente teatro di Casa Italiana che si conserva, in maggior parte, [il ricordo] dopo i novanta anni [dalla sua presenza] dove il poeta granadino diresse al piano un coro femminile che interpretò musica tradizionale spagnola.

Vorrei che vedeste le americane cantare il vito[5]! Qualcosa di colossale”, assicurava il poeta dopo aver diretto i cori dell’Istituto de las Españas il 7 agosto 1929.

La New York di Lorca

Ed è che, come spiega James Fernández, l’epoca nella quale Lorca visse a New York concise con un “boom senza precedenti di spagnoli nel mondo di lingua spagnola”, un’epoca nella quale numerosi letterati, artisti e intellettuali spagnoli ascesero in questa città, come Juan Ramón Jiménez, María de Maetzu, Vicente Blasco Ibáñez, Julio Camba, Joaquín Sorolla o Ignacio Zuloaga, tra gli altri.

Il suo itinerario per le vie di New York, da Harlem, che scoprì essere “la città nera più importante del mondo”, fino alla “fredda e crudeleWall Street, dove “arriva l’oro nei fiumi di tutte le parti della terra e la morte arriva con esso”, si può seguire nella mappa editata da Castillo e Vacas che, come spiega Castillo a EFE, è elaborata a partire da un percorso turistico del 1930, comprato per 600 dollari in un antiquario di New York.

Spaventato dalla “assenza totale dello spirito” del quartiere finanziario della città, la cui fatidica crisi del 1929 concise con la presenza di Lorca, si lasciò, senza dubbio, catturare dagli spettacoli di Broadway e dal “ritmo delle immense luminarie di Times Square”.

Lo spettacolo di Broadway di notte mi tolse il respiro. Gli immensi grattacieli si vestono dall’alto al basso di annunci luminosi di colori che cambiano e si trasformano con un ritmo insospettato e stupendo, fiotti di luci azzurre, verdi, gialle, rosse, cambiano e rimbalzano fino al cielo”, sosteneva il poeta, assassinato nel 1936 nella sua terra natale dalle truppe franchiste.

Il ritorno in Spagna

Federico García Lorca - Università di Columbia
Federico García Lorca – Università di Columbia

In una conferenza-recital pronunciata a Madrid il 16 marzo 1932 per presentare per la prima volta le poesie ispirate alla città dei grattacieli, Lorca assicurava che “i due elementi che il viaggiatore capta in [quella] grande città sono: [la] architettura extra-umana e il ritmo furioso. Geometria e angoscia”.

Ad una prima vista, il ritmo può sembrare allegria, ma quando si osserva il meccanismo della vita sociale e la schiavitù dolorosa degli uomini e la macchina assieme si comprende quella tipica angoscia vuota che rende perdonabile, per evasione, anche il crimine e il banditismo”, continuava.

Ma, al di là del ritmo frenetico, della mancanza di umanità o della denuncia della schiavitù, dopo aver lasciato New York confessava che si era [come] separato da essa “con emozione e con ammirazione profonda” e che durante la sua permanenza “aveva ricevuto l’esperienza più utile della sua vita”.

Il 18 giugno 1930, Lorca tornò a New York proveniente da L’Avana a bordo della nave Manuel Arnús. Ma il suo visto era scaduto e non poté toccare terra, cosicché dovette contemplare la città dall’imbarcazione dove organizzò un pranzo con alcuni degli amici che si avvicinarono a salutarlo. Questo mercoledì saranno pertanto novanta anni dall’ultimo giorno del poeta a New York.

 

Written by Lorenzo Spurio

 

Note

[1] Gli incontri si sono tenuti secondo il seguente calendario: il 29/03/2019 alla Sala Conferenze dell’InformaGiovani di Ancona, il 13/04/2019 alla Stanza della Poesia di Palazzo Ducale di Genova, il 14/04/2019 al Poggio Orto Bar di La Spezia e il 25/07/2019 alla Biblioteca Civica “Romolo Spezioli” di Fermo.

[2] Sito Listin Diario

[3] L’articolo usa il termine celebrar (“celebrare”) che sarebbe meglio riferibile a una messa o a un rito di altra natura, sicuramente non per un pranzo. Probabilmente l’autore dell’articolo intende sottolineare la centralità di questo evento accaduto – essendo stato, pur nella sua generalità dei contenuti, l’ultimo – e impiega il termine celebrare, come a volerlo innalzare per meglio renderlo visibile e dunque farne oggetto della sua documentazione. Ho deciso, per tali ragioni, di lasciarlo invariato, anche nella traduzione.

[4] Di superficie lucida, avvicinandosi e con le giuste condizioni, è possibile vedere il paesaggio di grattacieli che la persona che osserva la palla si lascia alle spalle, vale a dire il loro riflesso.

[5] Il vito è una romanza, un canto popolare che appartiene alla tradizione andalusa che, come il jaleo e lo zorongo, Lorca conosceva molto bene. In un saggio di prossima uscita il critico Lucia Bonanni ha posto attenzione verso questo forma cantata richiamando alcuni versi di Lorca; in esso si legge: “Del vito Lorca fa menzione nel secondo quadro de Los títeres de cachiporra, facendo cantare a Rosita la strofa di quella danza, assai vivace anche nell’espressione e nel significato letterale: «Con il vito, vito, vito,/ con il vito sto morendo;/ sempre più, tesoro mio/io sento di stare ardendo»”.

 

 

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