“Empire Burlesque” album di Bob Dylan: la sagra delle occasioni mancate
“Well, I had to move fast/ And I couldn’t with you around my neck/ I said I’d send for you and I did/ What did you expect?” ‒ Bob Dylan

Empire Burlesque è uno degli album meno brillanti della carriera di Bob Dylan, e rispecchia uno dei momenti di maggiore crisi artistica del cantautore americano.
Dylan era da poco uscito dal periodo del “rock cristiano” (la trilogia Slow Train Coming, Saved e Shot of Love, 1979-1981) e, dopo il bell’Infidels, iniziò un lungo vagabondaggio tra studi di registrazione che, oltre a Empire Burlesque, avrebbe nutrito anche i successivi, rabberciatissimi Knocked Out Loaded e Down in the Groove.
I dischi live del periodo non aiutavano (il mediocre Real Live e, qualche anno dopo, Dylan and the Dead che, a quanto pare, restituisce una pallida idea di quello che erano stati i concerti della tournée assieme ai Grateful Dead), mentre cominciavano le antologie col recupero anche di materiale inedito (Biograph, uscito nello stesso anno di Empire Burlesque, il 1985) che sarebbero poi sfociate nei vari Bootleg Series. La partecipazione stranita al progetto USA for Africa (la canzone We Are the World, uscita quasi contemporaneamente a Empire Burlesque) pure non era passata inosservata.
Solo nel 1989 con Oh Mercy, e grazie a un apporto sostanziale da parte di Daniel Lanois, Dylan avrebbe recuperato un’ispirazione feconda.
Per certi aspetti, Empire Burlesque appare comunque come una sagra delle occasioni mancate. Cercando di accodarsi al sound di moda degli anni Ottanta, gli arrangiamenti elettronico-plasticosi di molte canzoni, tra sintetizzatori e fiati sintetici, spesso gridano vendetta. Un esempio clamoroso per tutti: When the Night Comes Falling from the Sky, che è una canzone bellissima di cui esiste anche una precedente registrazione in studio con, tra gli altri, Roy Bittan e Steve Van Zandt della E Street Band di Bruce Springsteen, e che nel disco sfoggia un arrangiamento quantomeno sconcertante.[1]
La produzione del disco fu molto confusa: Dylan sostanzialmente assunse anche il ruolo di produttore, ma senza mai prendere realmente in mano il timone delle situazioni, stando ai resoconti di vari musicisti che collaborarono alle sessioni. La collaborazione di strumentisti molto eterogenei provenienti da ambiti musicali diversissimi non fece che aumentare la dispersività del progetto.[2]
E poi diciamo che in realtà Dylan è sempre stato abile nel modificare le mode, mai nel seguirle.
Empire Burlesque si apre con Tight Connection to My Heart (Has Anybody Seen My Love) che uscì anche come singolo ‒ accompagnato da un videoclip ambientato in Giappone, diretto da Paul Schrader ‒ riscuotendo un buon successo di classifica in paesi come Nuova Zelanda e Belgio (!).
Si tratta della rielaborazione di una canzone incisa durante le sessioni di Infidels, intitolata Someone’s Got a Hold of My Heart (inclusa anch’essa in The Bootleg Series Volumes 1-3), e risente ancora in maniera positiva dello stile e del sound di Infidels. Il testo è una classica variazione sul tema dylaniano ricorrente di un personaggio-narratore costretto, per qualche motivo non chiaro, a fuggire, e tuttavia legato con un rapporto conflittuale a una figura femminile:
“Well, I had to move fast/ And I couldn’t with you around my neck/ I said I’d send for you and I did/ What did you expect?/ My hands are sweating/ And we haven’t even started yet/ I’ll go along with the charade/ Until I can think my way out/ I know it was all a big joke/ Whatever it was about/ Someday maybe/ I’ll remember to forget/ (…)/ You’re the one/ I’ve been looking for/ You’re the one that’s got the key/ But I can’t figure out whether I’m too good for you/ Or you’re too good for me/ (…)/ Never could learn to drink that blood/ And call it wine/ Never could learn to hold you, love/ And call you mine”[3]
“Dovevo muovermi in fretta/ E non potevo con te aggrappata al collo/ Dissi che ti avrei mandata a chiamare e l’ho fatto/ Cosa ti aspettavi?/ Le mie mani sono sudate/ E non abbiamo neanche iniziato/ Accetterò questa farsa/ Finché non penserò a una via d’uscita/ So che era tutto uno scherzo/ Di qualunque cosa si trattasse/ Un giorno forse/ Mi ricorderò di dimenticare/ (…)/ Sei tu quella che ho cercato/ Sei tu quella che ha la chiave/ Ma non riesco a capire se sono io troppo buono per te/ O tu troppo buona per me/ (…)/ Non ho mai imparato a bere quel sangue/ E chiamarlo vino/ Non ho mai imparato a stringerti, amore/ E chiamarti mia”
Le canzoni più riuscite dell’album, oltre a questa e a quello che avrebbe potuto essere When the Night Comes Falling sono forse ‒ sempre al netto degli arrangiamenti ‒ gli slow romantici: I’ll Remember You, Never Gonna Be the Same Again e Emotionally Yours.
È indicativo comunque vedere che di due di queste canzoni Dylan ha poi fornito pochissime esecuzioni dal vivo (26 per Never Gonna Be the Same Again, 19 per Emotionally Yours), mentre I’ll Remember You è stata in scaletta 226 volte tra il 1985 e il 2005.[4]
In generale, comunque, quasi tutte le canzoni di Empire Burlesque sono state riproposte dal vivo molto raramente: a parte I’ll Remember You e Seeing the Real You at Last (certo non la migliore canzone dell’album, ma eseguita dal vivo in 242 concerti), si va dalle sole 8 apparizioni di Dark Eyes alle 68 di Clean Cut Kid. Something’s Burning, Baby non è mai stata in scaletta; solo 14 le esecuzioni della stessa Tight Connection to My Heart, mentre When the Night Comes Falling fu eseguita 61 volte, e solamente tra il 1986 e il 1987.
Infine, dopo un concerto del 1°Aprile 2006, Empire Burlesque scomparve definitivamente (o perlomeno fino a oggi) dal repertorio del Nostro.
Clean Cut Kid è, a mio parere, una canzone alquanto mediocre. Il critico del “Village Voice” Robert Christgau elogiò il pezzo come «la canzone più dura sui veterani del Vietnam scritta finora». Il Vietnam, tuttavia, era finito da dieci anni, e il testo di denuncia appare piuttosto ingenuo, su una musica elementare…
Something’s Burning, Baby, d’altro canto, riporta alle atmosfere musicali di Saved ma, anche qui, con un’incongrua aggiunta (del tutto evitabile) di tastiere elettroniche.
Trust Yourself, a sua volta, avrebbe potuto essere una buona canzone, se l’arrangiamento non l’avesse resa un po’ pacchiana. È anche vero che, anche qui, il sound sembra rimandare a Saved, come volendo sottolineare l’allontanamento dal cristianesimo integralista e settario di cui Dylan era stato vittima consenziente pochi anni prima:[5]
“Trust yourself/ Trust yourself to do the things that only you know best/ Trust yourself/ Trust yourself to do what’s right and not be second-guessed/ Don’t trust me to show you beauty/ When beauty may only turn to rust/ If you need somebody you can trust, trust yourself// Trust yourself/ Trust yourself to know the way that will prove true in the end/ Trust yourself/ Trust yourself to find the path where there is no if and when/ Don’t trust me to show you the truth/ When the truth may only be ashes and dust/ If you want somebody you can trust, trust yourself”

“Fidati di te stesso/ Fidati di te stesso per fare le cose che solo tu sai fare meglio/ Fidati di te stesso/ Fidati di te stesso per fare ciò che è giusto senza dubitare/ Non aspettarti che io ti mostri la bellezza/ Quando la bellezza potrebbe solo trasformarsi in ruggine/ Se hai bisogno di qualcuno di cui ti puoi fidare, fidati di te stesso// Fidati di te stesso/ Fidati di te stesso per conoscere la via che alla fine si rivelerà vera/ Fidati di te stesso/ Fidati di te stesso per trovare il cammino dove non c’è “se” e “quando”/ Non aspettarti che io ti mostri la verità/ Quando la verità potrebbe solo essere cenere e polvere/ Se vuoi qualcuno di cui ti puoi fidare, fidati di te stesso”
E poi, alla fine dell’album, una sorpresa: l’ultima traccia è Dark Eyes, eseguita solo voce, chitarra e armonica. Secondo quanto raccontato da Dylan stesso, l’idea di concludere questo album, pieno di overdubbing, con un brano così completamente “semplice” fu di Arthur Baker, cui era stato affidato il missaggio definitivo del disco.
Con l’occhio del poi può apparire un’anticipazione dei due album di cover interpretate da Dylan completamente da solo (Good As I Been to You e World Gone Wrong) che il Nostro pubblicherà tra il 1992 e il 1993. Stava sotterraneamente iniziando il recupero delle vaste e multiformi radici musicali del repertorio dylaniano.[6]
Written by Sandro Naglia
Note
[1] La versione “originale” è inclusa nel primo dei Bootleg Series: Dylan canta con grinta straordinaria, in una delle migliori performance in assoluto della sua carriera.
[2] Alla fine, nel disco furono accreditati 29 musicisti tra strumentisti e coriste, nessuno di loro presente in più di cinque tracce dell’album (molti solo in una).
[3] Il “dylanologo” Clinton Heylin segnala che i versi «I’ll go along with the charade / Until I can think my way out» provengono da un episodio della serie televisiva Star Trek intitolato The Squire of Gothos. «Has anybody seen my love», d’altro canto, è un evidente citazione dal Cantico dei Cantici: le prime elaborazioni della canzone risalivano infatti ancora al periodo cristiano. Come in molti album di Dylan, anche in Empire Burlesque affiorano riferimenti e citazioni da fonti letterarie, musicali e cinematografiche molto disparate.
[4] Cfr. Sito Bob Dylan – Song Played Live
[5] Nel finale della canzone Man of Peace in Infidels Dylan cantava: «Somewhere Mama’s weeping for her blue-eyed boy / She’s holding them little white shoes and that little broken toy / And he’s following a star / The same one them three men followed from the East / I hear that sometimes Satan comes as a man of peace» («Da qualche parte Mama sta piangendo per il suo figlio dagli occhi azzurri / Ha in mano scarpettine bianche e quel piccolo giocattolo rotto / E lui sta seguendo una stella / La stessa che tre uomini seguirono dall’Oriente / Dicono che qualche volta Satana viene come uomo di pace»).
[6] Ne abbiamo parlato in due altri articoli dedicati a Dylan pubblicati su “Oubliette”: